Dopo
parecchio torno su questa raccolta con un'Origin Shipping (Rocco Petri x
Adriano). Sono riuscito a renderla etero e la cosa mi ha stupito.
Commissionata da Cy. Se eventualmente volete vedere un pairing
pubblicato non basta che chiedere; ho così tante coppie da prendere in
considerazione che avere delle commissioni mi semplifica il lavoro. BTW,
buona lettura e grazie per esser passati =)
OriginShipping
Non osava quasi mai mostrarsi in pubblico con bermuda e camicia bianca, Rocco, tantomeno con i suoi comodissimi infradito.
Quel caldo quattordici luglio, però, decise di voler abbandonare ogni formalità e, al costo di sentir urlare il re è in mutande!, si attrezzò, scendendo giù in città.
Le vacanze, le agognate vacanze; aveva stabilito con la Lega Pokémon una settimana di totale relax, che il Campione aveva deciso di trascorrere a Porto Alghepoli, affittando una stanza all’interno dell’albergo giù in paese.
Lui adorava quella città: era decisamente più un tipo da montagna, certo, ma non disdegnava la sensazione della brezza marina che spostava i capelli argentati sulla sua testa, dissipando il calore che trattenevano.
Non sopportava il caldo, Rocco.
Ciabattava lento, con gli occhiali da sole poggiati sul muso ed il giornale sotto il braccio; carezzava lentamente con lo sguardo le belle ragazze che facevano jogging, sullo sfondo azzurro del mare. Prima di quanto credesse era arrivato allo chalet Estrella del mar.
Si sedette al tavolino, allungando le gambe e stiracchiandosi, dopo uno sbadiglio. Faceva caldo, ma sotto quell’ombrellone si stava bene, con quella leggera brezza che gli passava sotto la camicia, rinfrescandogli le carni bollenti.
Alzò gli occhiali sulla testa ed aprì il giornale, sospirando, pronto a rilassarsi.
“Ciao” sentì poi, poco prima di focalizzarsi su di un articolo che svelava i segreti del fatidico Pokérus. Alzò gli occhi, voltando il capo verso sinistra, e vide la cameriera dello chalet che aspettava direttive; era bassina, piccola di corporatura. Aveva dei grandi occhi verdi ed un caschetto nero, che tanto si addiceva allo stile gotico che utilizzava.
“Ciao” rispose Rocco, attendendo che manifestasse il motivo per cui lo avesse interrotto.
“Ordini?” chiese, sfatta e scocciata, masticando un chewing-gum.
“Un succo di frutta”.
“Come?”.
“A piacere tuo...” sospirò, vedendola poi sparire oltre l’uscio.
Sospirò, pensando al fatto che le cameriere a cui era abituate erano più gentili rispetto a quella che lo stava servendo. Spedì il pensiero via, lontano dalla sua mente, quindi abbassò nuovamente gli occhi sul giornale.
“Scusi...” sentì nuovamente. Alzò ancora gli occhi, un bambino dai capelli biondi e gli occhi dorati sorrideva senza un incisivo nella sua direzione.
Rocco chiuse per l’ennesima volta il giornale, dopo un lungo sospiro, e quindi annuì al ragazzo, come dandogli il permesso di parlare.
“Lei è Rocco Petri?” chiese quello, facendo scivolare la lingua sull’incisivo solitario che aveva, provocando un fastidioso sibilo.
Rocco annuì.
“Lei è il Campione?”.
Ancora, lui fece su e giù con la testa, leccandosi le labbra e gettando un occhio dentro il locale, in attesa di poter vedere il suo succo di frutta in arrivo.
“Lei quindi è proprio Rocco Petri, il Campione di Hoenn?!” chiedeva il piccolo, con gli occhi sognanti e la bocca spalancata.
La bocca dell’uomo si rapprese, fece schioccare le labbra e poi le ritirò nuovamente, piegandole verso l’interno e nascondendole alla vista del piccolo. “Sì” fece poi. “Come posso aiutarti?”.
“Può farmi un autografo?! La prego! La prego, la prego, la prego!”.
Rocco sorrise, quei momenti per lui erano tanto surreali quanto frequenti.
“Io sogno un giorno di diventare come lei, e di allenare i Pokémon di tipo Acciaio più forti! E sarò il Campione di Hoenn! E porterò il mantello!”.
“Sono felice di questo. Hai un po’ di carta, così che ti faccia l’autografo?”.
Il bambino abbassò lo sguardo, spaesato e terrorizzato: non aveva carta; aveva però una penna tra le mani, una vecchia Staedler a righe verticali gialle e nere, di quelle con la punta allungata. E la carta c’era.
Era proprio tra le mani di Rocco. Gli occhi del piccolo presero a fissare il giornale ostinatamente, per poi rimbalzare nelle pupille grigiastre dell’idolo che aveva di fronte, per una serie che al piccolo parve infinita.
Dal suo canto, Rocco non capiva. Vedeva il piccolo guardare il giornale, e poi la sua penna, poi lo guardava negli occhi e ricominciava tutto daccapo.
E poi lui capì.
La carta ce l’aveva davanti.
“Vuoi... vuoi che ti dia il mio giornale?” chiese, calmo e speranzoso in un NO perentorio e altisonante. No che naturalmente non arrivò.
Arrivò al suo posto un cenno con la testa, un sì sorridente e sdentato. Il piccolo allungò la mano, porgendogli la Staedler, che Rocco afferrò con malavoglia. Strappò la pagina di giornale che stava leggendo con dolore inaudito, come se stesse estraendosi un proiettile dalla gamba e, una volta terminata l’operazione, guardò sudaticcio il bambino.
“A chi lo devo fare l’autografo?” chiese, sconsolato. Spostò una ciocca di capelli dal volto ed aspettò che il piccolo rispondesse.
“Aurelio. Mi chiamo Aurelio”.
“Bene. Ti chiami come una mia amica, lo sai?” fece quello, tracciando una linea dritta sul foglio, attestando che la penna funzionasse e che stava imbrattando l’articolo che probabilmente, molto probabilmente, non avrebbe letto.
“La tua amica si chiama Aurelio?!” si stupì quello.
“No” sorrise Rocco. “Si chiama Aurelia. È una donna, lei. Vive ad Unima”.
“E dov’è?”.
“Lontano. Ad... Aurelio... con... simpatia... Rocco Petri. Ecco, tieni” fece, firmando il pezzo di carta di giornale e dandolo al piccolo. Il biondo sorrise strinse il Campione in un abbraccio, che lo rinfrancò leggermente del trauma, quindi lo salutò e rimase qualche secondo a fissare il mare.
Abbassò gli occhi e vide i segni della pagina stracciata. Insoddisfatto, chiuse il giornale e lo chiuse sul tavolino.
Quasi contemporaneamente, vide avvicinarsi Adriano.
Indossava lunghi pantaloni bianchi ed una camicia verde acqua, dello stesso colore di occhi e capelli, i quali stavano ben pettinati sulla sua testa, eccezion fatta per quel ciuffo ribelle che gli spezzava lo sguardo.
Si sedette, stringendogli la mano.
“Hey” sorrise l’ultimo arrivato. “Ero sicuro di trovarti qui. Ho sentito delle giovani che parlavano di te: ti avevano visto e stavano folleggiando”.
“Oh cielo...” sospirò Rocco, voltandosi dentro, sempre nel tentativo di attirare a sé il succo di frutta con lo sguardo.
“Sono tutte tue, caro mio” sorrideva ancora Adriano, sedendosi accanto a lui, toccandogli la spalla con la sua. Ognuno guardava dritto.
“Bah...”.
“Che c’è che non va? Di solito non commenti a queste cose... Oggi te ne esci con tutte queste sillabe...” sorrise ancora il Capopalestra di Ceneride, ironico.
“È una giornata un po’ così, Adriano”.
“E... allora?”.
“E allora sono venuto qui per rilassarmi e leggere il mio articolo, e invece mi ritrovo con una pagina di giornale stracciata e regalata al probabile nuovo Campione di Hoenn e sto morendo dal caldo”.
Adriano inarcò un sopracciglio e sospirò. “Capisco. Hai tante responsabilità...”.
“Già... È complicato fare il Campione. Ci sono tante cose a cui pensare, le sfide, gli allenamenti, le conferenze. E poi i meeting...”.
“Beh, non sembra sia così brutto dover incontrare Camilla e Diantha”.
“No. Loro no. Ma, per esempio, Nardo. Quello è uno spiantato. Quel tipo è totalmente fuori di testa”.
Adriano sorrise. “Ricordo quando il Campione ero io e lui volle assolutamente leggere la mia energia vitale”.
“Non giudico eh, tu mi conosci. Ma che diamine! Leggere l’energia vitale. Con quella scusa si avvicina e ti mette le mani ovunque...”.
“E con Camilla e Diantha potrebbe anche essere utile”.
“Fattele insegnare allora. Con Alice come va?” domandò disinteressato quello dai capelli chiari.
“Mah. Tutto a posto. Non ci vediamo molto, lei è lontana... solite cose. Sai, ieri ho vinto una gara”.
“Che novità...” sbuffò Rocco.
“Era per fare un po’ di conversazione...”.
“Scusami, Adriano. È che sono rimasto male per l’articolo”.
Quello dai capelli verde acqua si voltò leggermente verso l’altro e lo scrutò con interesse, imprimendo nella sua memoria la forma del viso e quell’espressione stanca dietro i Ray ban a goccia che portava.
“Di che trattava? L’articolo, dico”.
“Pokérus” rispose conciso il Campione.
“Interessante... ti piacciono queste cose, vero?” domandò, falsamente affascinato dalla cosa.
Rocco annuì, piegando il lembo sinistro della bocca.
Ci voleva qualche parola per rinfrancarlo, Adriano lo sapeva. Lo vide voltarsi per l’ennesima volta verso l’interno del locale e quindi sospirare verso il mare.
“Beh, Rocco... che posso dirti per farti stare meglio? La forma delle cose è importante, il modo in cui si mostrano è essenziale e tu, essendo un uomo di fama, sotto i riflettori per quasi tutto l’anno, necessiti di apparire nel migliore dei modi. Non angustiarti per un articolo che potresti leggere su internet. Potresti comprare nuovamente il giornale, o vedere se qualcuno che ce l’ha possa prestartelo. Non è la fine del mondo” diceva quello dagli occhi verdi, gesticolando con ampie arcate e rapendo lo sguardo dell’amico.
La cameriera del locale poggiò un bicchiere sul tavolino mentre quello parlava, proprio in corrispondenza della fine del suo discorso; Adriano, assetato, lo prese velocemente e bevve.
Rocco aveva appena fatto partire la mano per afferrare il bicchiere ma la scaltrezza di Adriano lo aveva stupito e battuto; non poté far altro che vedere inerme il suo succo di frutta finire in poche sorsate.
“Ah. Fresco. Comunque, capisci che intendo?” chiedeva l’altro. “È tutta questione di apparenza”.
Rocco levò gli occhiali, calandoli sulla punta del naso, vedendo il volto di Adriano crucciarsi; di preciso si chiedeva perché lo guardasse.
“Vaffanculo, Adriano” fece il primo, alzandosi ed andando via, lasciando l’altro da solo.
“Cosa?! Che ho fatto?!”.o
OriginShipping
Non osava quasi mai mostrarsi in pubblico con bermuda e camicia bianca, Rocco, tantomeno con i suoi comodissimi infradito.
Quel caldo quattordici luglio, però, decise di voler abbandonare ogni formalità e, al costo di sentir urlare il re è in mutande!, si attrezzò, scendendo giù in città.
Le vacanze, le agognate vacanze; aveva stabilito con la Lega Pokémon una settimana di totale relax, che il Campione aveva deciso di trascorrere a Porto Alghepoli, affittando una stanza all’interno dell’albergo giù in paese.
Lui adorava quella città: era decisamente più un tipo da montagna, certo, ma non disdegnava la sensazione della brezza marina che spostava i capelli argentati sulla sua testa, dissipando il calore che trattenevano.
Non sopportava il caldo, Rocco.
Ciabattava lento, con gli occhiali da sole poggiati sul muso ed il giornale sotto il braccio; carezzava lentamente con lo sguardo le belle ragazze che facevano jogging, sullo sfondo azzurro del mare. Prima di quanto credesse era arrivato allo chalet Estrella del mar.
Si sedette al tavolino, allungando le gambe e stiracchiandosi, dopo uno sbadiglio. Faceva caldo, ma sotto quell’ombrellone si stava bene, con quella leggera brezza che gli passava sotto la camicia, rinfrescandogli le carni bollenti.
Alzò gli occhiali sulla testa ed aprì il giornale, sospirando, pronto a rilassarsi.
“Ciao” sentì poi, poco prima di focalizzarsi su di un articolo che svelava i segreti del fatidico Pokérus. Alzò gli occhi, voltando il capo verso sinistra, e vide la cameriera dello chalet che aspettava direttive; era bassina, piccola di corporatura. Aveva dei grandi occhi verdi ed un caschetto nero, che tanto si addiceva allo stile gotico che utilizzava.
“Ciao” rispose Rocco, attendendo che manifestasse il motivo per cui lo avesse interrotto.
“Ordini?” chiese, sfatta e scocciata, masticando un chewing-gum.
“Un succo di frutta”.
“Come?”.
“A piacere tuo...” sospirò, vedendola poi sparire oltre l’uscio.
Sospirò, pensando al fatto che le cameriere a cui era abituate erano più gentili rispetto a quella che lo stava servendo. Spedì il pensiero via, lontano dalla sua mente, quindi abbassò nuovamente gli occhi sul giornale.
“Scusi...” sentì nuovamente. Alzò ancora gli occhi, un bambino dai capelli biondi e gli occhi dorati sorrideva senza un incisivo nella sua direzione.
Rocco chiuse per l’ennesima volta il giornale, dopo un lungo sospiro, e quindi annuì al ragazzo, come dandogli il permesso di parlare.
“Lei è Rocco Petri?” chiese quello, facendo scivolare la lingua sull’incisivo solitario che aveva, provocando un fastidioso sibilo.
Rocco annuì.
“Lei è il Campione?”.
Ancora, lui fece su e giù con la testa, leccandosi le labbra e gettando un occhio dentro il locale, in attesa di poter vedere il suo succo di frutta in arrivo.
“Lei quindi è proprio Rocco Petri, il Campione di Hoenn?!” chiedeva il piccolo, con gli occhi sognanti e la bocca spalancata.
La bocca dell’uomo si rapprese, fece schioccare le labbra e poi le ritirò nuovamente, piegandole verso l’interno e nascondendole alla vista del piccolo. “Sì” fece poi. “Come posso aiutarti?”.
“Può farmi un autografo?! La prego! La prego, la prego, la prego!”.
Rocco sorrise, quei momenti per lui erano tanto surreali quanto frequenti.
“Io sogno un giorno di diventare come lei, e di allenare i Pokémon di tipo Acciaio più forti! E sarò il Campione di Hoenn! E porterò il mantello!”.
“Sono felice di questo. Hai un po’ di carta, così che ti faccia l’autografo?”.
Il bambino abbassò lo sguardo, spaesato e terrorizzato: non aveva carta; aveva però una penna tra le mani, una vecchia Staedler a righe verticali gialle e nere, di quelle con la punta allungata. E la carta c’era.
Era proprio tra le mani di Rocco. Gli occhi del piccolo presero a fissare il giornale ostinatamente, per poi rimbalzare nelle pupille grigiastre dell’idolo che aveva di fronte, per una serie che al piccolo parve infinita.
Dal suo canto, Rocco non capiva. Vedeva il piccolo guardare il giornale, e poi la sua penna, poi lo guardava negli occhi e ricominciava tutto daccapo.
E poi lui capì.
La carta ce l’aveva davanti.
“Vuoi... vuoi che ti dia il mio giornale?” chiese, calmo e speranzoso in un NO perentorio e altisonante. No che naturalmente non arrivò.
Arrivò al suo posto un cenno con la testa, un sì sorridente e sdentato. Il piccolo allungò la mano, porgendogli la Staedler, che Rocco afferrò con malavoglia. Strappò la pagina di giornale che stava leggendo con dolore inaudito, come se stesse estraendosi un proiettile dalla gamba e, una volta terminata l’operazione, guardò sudaticcio il bambino.
“A chi lo devo fare l’autografo?” chiese, sconsolato. Spostò una ciocca di capelli dal volto ed aspettò che il piccolo rispondesse.
“Aurelio. Mi chiamo Aurelio”.
“Bene. Ti chiami come una mia amica, lo sai?” fece quello, tracciando una linea dritta sul foglio, attestando che la penna funzionasse e che stava imbrattando l’articolo che probabilmente, molto probabilmente, non avrebbe letto.
“La tua amica si chiama Aurelio?!” si stupì quello.
“No” sorrise Rocco. “Si chiama Aurelia. È una donna, lei. Vive ad Unima”.
“E dov’è?”.
“Lontano. Ad... Aurelio... con... simpatia... Rocco Petri. Ecco, tieni” fece, firmando il pezzo di carta di giornale e dandolo al piccolo. Il biondo sorrise strinse il Campione in un abbraccio, che lo rinfrancò leggermente del trauma, quindi lo salutò e rimase qualche secondo a fissare il mare.
Abbassò gli occhi e vide i segni della pagina stracciata. Insoddisfatto, chiuse il giornale e lo chiuse sul tavolino.
Quasi contemporaneamente, vide avvicinarsi Adriano.
Indossava lunghi pantaloni bianchi ed una camicia verde acqua, dello stesso colore di occhi e capelli, i quali stavano ben pettinati sulla sua testa, eccezion fatta per quel ciuffo ribelle che gli spezzava lo sguardo.
Si sedette, stringendogli la mano.
“Hey” sorrise l’ultimo arrivato. “Ero sicuro di trovarti qui. Ho sentito delle giovani che parlavano di te: ti avevano visto e stavano folleggiando”.
“Oh cielo...” sospirò Rocco, voltandosi dentro, sempre nel tentativo di attirare a sé il succo di frutta con lo sguardo.
“Sono tutte tue, caro mio” sorrideva ancora Adriano, sedendosi accanto a lui, toccandogli la spalla con la sua. Ognuno guardava dritto.
“Bah...”.
“Che c’è che non va? Di solito non commenti a queste cose... Oggi te ne esci con tutte queste sillabe...” sorrise ancora il Capopalestra di Ceneride, ironico.
“È una giornata un po’ così, Adriano”.
“E... allora?”.
“E allora sono venuto qui per rilassarmi e leggere il mio articolo, e invece mi ritrovo con una pagina di giornale stracciata e regalata al probabile nuovo Campione di Hoenn e sto morendo dal caldo”.
Adriano inarcò un sopracciglio e sospirò. “Capisco. Hai tante responsabilità...”.
“Già... È complicato fare il Campione. Ci sono tante cose a cui pensare, le sfide, gli allenamenti, le conferenze. E poi i meeting...”.
“Beh, non sembra sia così brutto dover incontrare Camilla e Diantha”.
“No. Loro no. Ma, per esempio, Nardo. Quello è uno spiantato. Quel tipo è totalmente fuori di testa”.
Adriano sorrise. “Ricordo quando il Campione ero io e lui volle assolutamente leggere la mia energia vitale”.
“Non giudico eh, tu mi conosci. Ma che diamine! Leggere l’energia vitale. Con quella scusa si avvicina e ti mette le mani ovunque...”.
“E con Camilla e Diantha potrebbe anche essere utile”.
“Fattele insegnare allora. Con Alice come va?” domandò disinteressato quello dai capelli chiari.
“Mah. Tutto a posto. Non ci vediamo molto, lei è lontana... solite cose. Sai, ieri ho vinto una gara”.
“Che novità...” sbuffò Rocco.
“Era per fare un po’ di conversazione...”.
“Scusami, Adriano. È che sono rimasto male per l’articolo”.
Quello dai capelli verde acqua si voltò leggermente verso l’altro e lo scrutò con interesse, imprimendo nella sua memoria la forma del viso e quell’espressione stanca dietro i Ray ban a goccia che portava.
“Di che trattava? L’articolo, dico”.
“Pokérus” rispose conciso il Campione.
“Interessante... ti piacciono queste cose, vero?” domandò, falsamente affascinato dalla cosa.
Rocco annuì, piegando il lembo sinistro della bocca.
Ci voleva qualche parola per rinfrancarlo, Adriano lo sapeva. Lo vide voltarsi per l’ennesima volta verso l’interno del locale e quindi sospirare verso il mare.
“Beh, Rocco... che posso dirti per farti stare meglio? La forma delle cose è importante, il modo in cui si mostrano è essenziale e tu, essendo un uomo di fama, sotto i riflettori per quasi tutto l’anno, necessiti di apparire nel migliore dei modi. Non angustiarti per un articolo che potresti leggere su internet. Potresti comprare nuovamente il giornale, o vedere se qualcuno che ce l’ha possa prestartelo. Non è la fine del mondo” diceva quello dagli occhi verdi, gesticolando con ampie arcate e rapendo lo sguardo dell’amico.
La cameriera del locale poggiò un bicchiere sul tavolino mentre quello parlava, proprio in corrispondenza della fine del suo discorso; Adriano, assetato, lo prese velocemente e bevve.
Rocco aveva appena fatto partire la mano per afferrare il bicchiere ma la scaltrezza di Adriano lo aveva stupito e battuto; non poté far altro che vedere inerme il suo succo di frutta finire in poche sorsate.
“Ah. Fresco. Comunque, capisci che intendo?” chiedeva l’altro. “È tutta questione di apparenza”.
Rocco levò gli occhiali, calandoli sulla punta del naso, vedendo il volto di Adriano crucciarsi; di preciso si chiedeva perché lo guardasse.
“Vaffanculo, Adriano” fece il primo, alzandosi ed andando via, lasciando l’altro da solo.
“Cosa?! Che ho fatto?!”.o
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