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Lev - Il Panto delle Stelle - 03 - Abbraccio

Buonasera ragazzi!
Anche oggi si legge sul blog di Courage, e per chi era in attesa, ecco a voi il nuovo capitolo della long di Lev, il Pianto delle Stelle! Ormai la storia ha preso il via e poco a poco si vedono i personaggi perndere confidenza nel mondo in cui si muovono! Ma per chi pensa che sia tutto qui, si sbaglia di grosso, come poter dimenticare la nostra Giorgia ci ha preparato un  nuovo capitolo di Hoenn's Crysis, Giù. Per chi volesse leggerlo, può farlo su Svignettiamo, la sua pagina personale, oppure può scaricare le due parti, qui e qui. Per caso di Hoenn's Crysis vi manca anche la versione scritta, la fan fic in sé? Niente paura, dovrete aspettare solo fino a sabato prossimo, quando riprenderà la pubblicazione regolare della long!
Intanto vi auguro buona lettura ragazzi, ci rivediamo sulla pagina di Pokémon Courage!

-Rachel Aori


Capitolo 3 - Abbraccio




Kalut si era alzato in piedi, la strana sensazione che avvertiva dietro al collo era scomparsa. Camminava, camminava, cercando di distanziare quel Venipede che lo seguiva tanto insistentemente, ma senza lasciarlo intendere. Andava solo qua e là, senza una meta, muovendosi in direzione opposta al Pokémon. La creatura, invece, con tutta la calma del mondo seguiva i suoi passi ad un ritmo costante e trovava il modo di recuperare terreno anche quando il ragazzo scattava staccandosi da lui. Gli andava dietro, attratto come il ferro dalla calamita, da qualcosa che neanche lui sapeva riconoscere.



Il Centro Pokémon di Vulpiapoli pullulava di Allenatori e viaggiatori. La struttura era gigantesca, ospitava una decina di nuclei di cura e altrettanti reparti di primo soccorso, due o tre Pokémon Market estremamente forniti, delle camere, un bar e un ristorante. In un modo o nell’altro, Celia riuscì a trovare una stanza in cui alloggiare, vi entrò grazie alla chiave magnetica offerta alla reception.
Immediatamente si gettò sulla branda, e buttò la borsa a terra. Reuniclus, che la seguiva fluttuando calmo e pacato, restò a fissarla con occhi tristi per un po’. La ragazza lo notò quasi immediatamente. – Ehi, Gel, che hai? – chiese.
Il Pokémon fece alcuni versi e gesticolò con le sue braccia gommose lasciando andare nell’aria delle scintille fucsia.
Celia lo scrutò per alcuni istanti. Seria. In silenzio. – Volevi combattere? – domandò poi.
Il Pokémon annuì, sorridendo.
– Ma dai! Abbiamo preso la medaglia senza sforzo, meglio così, no? – esclamò la ragazza osservando felice la targhetta.
La ragazza fece una doccia, uscì dalla stanza per mangiare qualcosa e poi decise di riposarsi. Prima di chiudere gli occhi, prese in mano il suo diario a forma di barretta di cioccolato, con calma vi annotò il resoconto della giornata, i pensieri, le idee e le speranze. Poi andò felicemente a dormire.

Il sole stava calando. Xavier aveva sonnecchiato lievemente e si stava preparando ad uscire di nuovo. Eelektross fremeva all’interno della sua sfera e Pumpkaboo, più calmo, sembrava anche lui pronto a combattere.
– Grazie, arrivederci! – lo salutò l’infermiera principale.
Xavier fece un cenno con la testa e uscì dal centro. Camminò in mezzo per tutta la sera, lo stridere delle cicale iniziava a diffondersi nell’aria. La luna già alta nel cielo si preparava al turno di guardia notturno. Xavier stava già pensando ad una strategia da utilizzare contro i Capipalestra gemelli di Borgo Asterion in base alle informazioni che aveva ottenuto circa i loro Pokémon dal PokéNet.
“Hanno usato tre coppie di Pokémon diverse, Accelgor e Escavalier, Ninjask e Shedinja, Heracross e Pinsir.” rifletteva il castano. “Mh, un Pokémon di tipo Fuoco mi farebbe comodo...”
Il suo piede destro si appoggiò a qualcosa di molle. Xavier, in allerta fece impulsivamente un passo indietro ritirandolo. Prima scrutò il terreno poi si guardò attorno. Aveva calpestato una chiazza di melma, una melma densa e di color viola.
Comprese, capì di essere circondato. – Venite fuori! – esclamò senza timore.
Passarono pochi istanti. La chiazza su cui aveva messo il piede si rivelò essere un Goomy, altri esemplari simili e anche alcuni Sliggoo vennero fuori pronti a colpire, in ultimo, un enorme Goodra comparve al suo cospetto. Tutti loro erano usciti dalle fronde vicine.
Effettivamente, notò Xavier solo dopo essere finito in quella specie di agguato, si trovava molto vicino alle anse del fiume Eridano, la zona era umida e paludosa e proprio in quel punto, limitrofo alla tana di quei Pokémon, vi era una grande presenza di acqua, persino il sentiero era costellato di pozze e la terra era umida e irregolare. Avrebbe dovuto capirlo, lui, di trovarsi nei quartieri di quel Goodra e del suo clan, ma era stato troppo occupato a leggere informazioni su Borgo Asterion e sui suoi Capipalestra dal PokéNet. e adesso si trovava circondato da un gruppo abbastanza numeroso di draghi.
– Bene, mi stavo giusto annoiando. – Ed era vero.
In un attimo Eelektross e Pumpkaboo erano fuori dalle Ball.
– Dragartigli – ordinò al suo Pokémon Elettropesce. – Tu, Pumpkaboo, usa Halloween su Goodra.
La rissa scoppiò. Eelektross, in totale sintonia con il suo Allenatore, non aveva avuto bisogno di indicazioni precise circa il bersaglio designato e aveva iniziato a fare strage di Goomy e Sliggoo utilizzando i suoi artigli irradiati da una potente energia violacea. Xavier aveva fatto il possibile per evitare colpi di Pokémon selvatici che dirigevano i loro attacchi verso di lui e non verso i suoi compagni adibiti alla lotta. Il Pokémon Zucca, invece aveva utilizzato con successo la tecnica sul Goodra boss del gruppo. Ora il corpo molliccio della creatura esalava ogni tanto dei sottili fumi sul viola scuro, come a dimostrazione del fittizio tipo Spettro impostogli dal Pumpkaboo. Reagì immediatamente scagliando un Dragopulsar verso di lui.
– Eelektross! – esclamò Xavier.
Il Pokémon di tipo Elettro intuì immediatamente e difese il compagno di squadra con un Lanciafiamme che deviò il raggio di energia scagliato dal Goodra. Pumpkaboo era fuori pericolo.
Xavier diede uno sguardo al PokéNet, si accorse che, tenendo in mano la Ball di un Pokémon della sua squadra con il Glowe, tutte le info a lui relative comparivano sul display. Attualmente poteva leggere quelle di Pumpkaboo, rimase un pelo stupito, ma in testa gli si accese una lampadina. – Ok, ho un’idea! – esclamò il castano correndo verso i suoi Pokémon. – Qui con me, tutti e due. – ordinò loro.
I tre si reclusero in un solo punto al centro della mischia. Proprio il punto più pericoloso.
– Ora, Pumpkaboo, usa Bruciatutto e Eelektross, tu vai con Lanciafiamme, non li colpite, riscaldate solo l’ambiente – ordinò.
I due colpi incandescenti si limitarono a colpire il terreno e l’aria, creando una sorta di barriera infuocata tra i Pokémon selvatici e Xavier e la sua squadra. Ciò impediva agli avversari di colpirli.
Dopo un paio di minuti, il ragazzo tastò il corpo di Eelektross. Lo trovò asciutto. – Rientra! – disse richiamando il Pokémon Elettropesce nella sfera bianca e rossa. – Pumpkaboo, tieni vivo il fuoco, manca ancora poco... – fece.
Purtroppo, il secondo membro della sua squadra era affaticato, si rese conto che aveva sprecato molte energie per sputare quella schiera di fiammate così contrastanti il suo elemento madre, l’erba.
Con uno strenuo ultimo sforzo, Pumpkaboo alimentò ancora un po’ il fuoco, prima di accasciarsi a terra, stanchissimo. Xavier lo accolse nella sfera e poco dopo si accorse che la sua tattica aveva funzionato, i Goomy, gli Sliggoo e persino il Goodra si stavano dileguando.
Aveva inteso che quelle creature erano uscite per cacciare di notte proprio perché, durante il giorno, il sole era stato talmente intenso da rendergli pericolosa la permanenza fuori dall’acqua, stessa storia di Eelektross, insomma. Avevano cercato prede per sfamarsi, “Ma ci avevano provato con quelle sbagliate.” rideva tra sé e sé, inconscio del fatto di essere stato attaccato, in realtà, solo perché le creature lo avevano visto calpestare uno dei cuccioli del gruppo.
Aveva quindi scelto una semplice tecnica, far alzare di nuovo la temperatura e levarsi di torno quegli avversari indesiderati in modo da non doverli mettere KO uno dopo l’altro. E aveva fatto tornare nella sfera anche Eelektross in modo che quella barriera di calore non si rivelasse un’arma a doppio taglio.
Soltanto una cosa non gli quadrava. Prese di nuovo con la mano sinistra la sfera di Pumpkaboo e diede un occhio allo schermo del PokéNet. “Perché conosci la mossa Bruciatutto? Soltanto tramite MT puoi impararla e io ti ho catturato nel Bosco Lira poco fa.” pensò come se stesse domandando ciò direttamente al Pokémon.
Il primo dubbio era fondato, ma l’orgoglio generato dall’aver notato un’imperfezione così nascosta superò per grandezza la vera curiosità, così, lì per lì non se ne preoccupò davvero, non era il tipo. Proseguì la sua marcia e non ricevette più alcun fastidio fino a quando, attorno alla mezzanotte, varcò le porte di Borgo Asterion.

Era Ferragosto. La suoneria del PokéNet destò Celia dal suo profondo sonno. “Otto meno dieci, baby.” diceva ironicamente il display. La ragazza staccò il volto dal cuscino, trascinò le gambe fuori dal letto e su di esse si sollevò. Avvertì immediatamente la fastidiosa sensazione di impedimento che l’acido lattico le dava e con rabbia sbuffò. Con gran flemma si portò in bagno, si fece una doccia e si asciugò come meglio poté.
Non aveva voglia di camminare, non con l’acido lattico. Le venne un’idea. Guardò il PokéNet, le previsioni segnavano addirittura dei picchi di quaranta gradi nella sua zona. Aveva tutti i requisiti necessari, uscì immediatamente dal centro e corse verso la palestra di Arturo, lo trovò intento a riaggiustare un macchinario da leg curl.
All’inizio un po’ intimidita, si schiarì la voce e salutò l’uomo dalla porta d’ingresso. Il Capopalestra alzò lo sguardo e mormorò un “ehi” tornando subito a concentrarsi sul suo lavoro. – Come mai qui? – domandò poi dopo aver bloccato la molla del macchinario.
– Sai per caso dove si trova Antares? – chiese la bionda.
– Si è fermato da me a dormire, è sceso da poco, se sei fortunata lo trovi ancora al bar qui a fianco a fare colazione... – rispose Arturo.
Celia annuì e ringraziò: – Ok, grazie mille e buon lavoro! – lo salutò. Si accinse ad uscire, ma si fermò un istante con i piedi già sullo zerbino esterno e guardò di nuovo Arturo. – Grazie ancora per la medaglia di ieri! – esclamò sparendo dietro la porta.
Si sentì una forte botta metallica, il Capopalestra, sentendo quella frase, aveva mollato uno dei cilindri dell’apparecchio lasciando la barra in balia della molla che la aveva spinta addosso al suo pollice e provocandogli un dolore atroce. Arturo si soffocò le imprecazioni nella trachea.
Il bar vicino alla palestra era pieno di persone, molte di queste si dirigevano verso il bancone, altre al loro tavolo, ma la maggior parte sostava vicino ad un certo soggetto dai capelli blu. Fan, chi in cerca di un autografo su una loro Ball, chi solo di una stretta di mano, chi di una foto.
Celia cercò di introdurvisi per raggiungerlo. Quando Antares la vide, in mezzo alla folla che piccola come era cercava una fessura nella quale infiltrarsi, subito fece allargare il gruppo di ammiratori per farla passare. La invitò a sedersi di fronte a lui.
– Ora lasciatemi un secondo, dopo... – Dette un morso al suo cornetto ripieno di miele. – ...vi fifmo gli autogfafi – proseguì a bocca piena.
Le persone, tra la delusione generale e l’ostilità nei confronti della biondina, si diradarono, rimanendo comunque nei paraggi, in agguato, come dei Noctowl, intenti a scrutare il Campione con i loro occhi lunghi.
– Allora, come mai sei venuta a cercarmi? – Antares bevve un sorso di latte, della schiuma gli rimase sospesa sul labbro superiore.
– Ecco... – Celia cercò le parole. – Oggi fa caldo e io devo fare ancora tanta strada per arrivare a Costa Mirach... – spiegò con una vocina da bimba annoiata.
– Ferma, vuoi che ti accompagni per un altro pezzo di strada? – chiese l’uomo per arrivare al punto.
Celia mugolò un “mh” inclinando la testa e evitando il suo sguardo fisso.
Antares sorrise. – Non c’è problema, ragazza, dopo ti porto io! – sorrise il Campione.
Lei imitò la sua espressione gioviale.
– Hai fatto colazione? – domandò poi lui.
La ragazza scosse la testa accompagnando il movimento a un “neh”. Antares le offrì una brioche e un cappuccino, lei non pensò neanche un momento di rifiutare. I due si alzarono poco dopo al termine del pasto, l’uomo pagò al bancone e proprio nell’esatto istante in cui rimise il portafoglio nella sacca, venne assalito di nuovo dagli ammiratori. Celia stessa impiegò una decina di minuti prima di uscire da quella matassa di braccia e un tondo quarto d’ora dopo si trovava sul dorso del Charizard di Antares, fuori dal bar e pronta a volare via sotto la supersonica, ma esperta guida di quel soggetto eccentrico e stravagante.
Venti minuti e si trovavano a Costa Mirach, città, appunto, costiera, pullulante più di Vulpiapoli e Delfisia messe assieme di turisti e visitatori. Era il più famoso sito adibito alla balneazione di Sidera e le persone, attratte nella regione dallo straordinario evento del Pianto Delle Stelle, avevano ben pensato di fermarsi una settimana intera ed approfittarne per andare in spiaggia. Le coste sabbiose di Sidera erano famose per la loro amenità e il mare stesso per la sua trasparenza.
Quando i due Allenatori giunsero a destinazione atterrando, come di convenzione, davanti al Centro Pokémon della città, si resero conto di essere arrivati proprio “nell’ora di punta”, momento in cui tutti i vacanti si riversavano nelle strade armati di borsa, ombrellone e sdraio portatili, diretti verso la spiaggia. I due guardavano divertiti quel grande torrente di bikini, costumi a pantaloncino e pareo.
– Va bene, le nostre strade si separano quindi? – chiese il Campione.
– Penso di sì, ma scusami, non ti ho chiesto se ti do fastidio facendomi accompagnare, tu dove sei diretto? – fece la ragazza.
– Io... – rifletté l’uomo. – ...sto vagando senza meta per la regione, quindi no, non mi infastidisci – sorrise lui.
Celia annuì felice, i due si salutarono informalmente e presero due strade differenti, lei verso la palestra e lui verso... un altro posto. 

Xavier, nel frattempo, varcava la soglia della palestra dei gemelli di Borgo Asterion, cittadina ferma nel tempo in un periodo imprecisato della storia, caratteristica e molto attaccata alle tradizioni. L’ironia stava nel fatto che essa fosse rappresentata da due giovani ragazzi, maestri del tipo Coleottero.
L’edificio della palestra si mostrava da fuori come una struttura completamente a tema col resto della città, in pietra, sfumature tra il marrone scuro e il rosso, di semplice fattura. Quando il ragazzo vi entrò dentro, invece, si trovò davanti una specie di ecosistema miscelato.
Rimase basito di fronte al prato non curato e pieno di erbacce che costituiva il pavimento, al soffitto bucato che permetteva ad un po’ di luce di entrare e inverdire i fili d’erba, alle rovine di una vecchia casa, infilata nella palestra in stile matrioska, che spuntavano dal terreno come fossero nate da esso. Le mura di pietra abbattute, diroccate e colonizzate completamente da ragnatele e insetti creavano un atmosfera particolare, soprattutto se uniti al fresco clima che vi era all’interno della palestra, al cantare delle cicale pure in pieno giorno e all’ombra fitta che ricopriva ogni spigolo interno, eccetto quel cerchio centrale che veniva irradiato dal sole.
Il ragazzo ammirò in silenzio lo scenario.
Per ovvie ragioni, i suoi occhi scorsero fino all’altro estremo della stanza, dove due ragazzi erano intenti a far combattere un Heracross e un Pinsir. Xavier, sempre sulla guardia, si annotò mentalmente che una delle coppie di Pokémon che aveva letto appartenere ai due Capipalestra era esclusa, poiché nessuno avrebbe mai fatto lottare due Pokémon già affaticati per l’allenamento.
Quando i gemelli lo notarono, lui stava seguendo la loro lotta da una decina di minuti circa. I due sorrisero, Castore e Polluce erano i loro nomi. 

Kalut stava camminando da tutto il giorno. I piedi gli dolevano, ma finalmente aveva trovato il suo perfetto equilibrio. Si rese conto di non avere più quel passo stentato e un po’ barcollante di prima. Ma restava sempre il problema del Venipede, che sembrava essersi talmente attaccato a lui da ricomparire ogni volta che il ragazzo prendeva un’altra strada.
Kalut perse la pazienza, si voltò verso il Pokémon e iniziò a gridargli contro le uniche tre parole che pensava di conoscere: “Kalut”, “Ledyba” e “Venipede” ogni tanto smetteva, rendendosi conto di essere rimasto senza fiato, quindi tornava a farlo, ricominciava a gridare. Alcuni Pokémon uccello, infastiditi dal caos, lasciavano i rami su cui stavano appoggiati e svolazzavano via. Anche alcuni esseri terrestri, come Weedle, Spinarak e Wurmple se ne andavano seccati, turbati nella loro quiete.
Venipede no. Lui restava fermo al suo posto, davanti a Kalut, fronteggiava la sua ira teorica con coraggio e fermezza. Fin quando il ragazzo stesso smise di strillare, non ricordando il motivo per cui aveva iniziato.
In quello stesso istante, la fatica per i chilometri percorsi, lo stress per gli avvenimenti traumatici avvenuti dalla notte in cui aveva aperto gli occhi, si riversarono tutti in una volta sul giovane e poco temprato corpo del ragazzo. Kalut crollò a terra, stanchissimo e senza preoccuparsi della luce, socchiuse gli occhi con naturalezza, istintivamente.
Pensò negli ultimi momenti della sua lucidità a che cosa gli stesse accadendo e, preoccupato, non volle più chiudere le palpebre. Gli ricordava... il prima, quello che c’era prima, una fitta nebbia, scura, tetra, soffocante. Gli sembrava di aver avuto a disposizione un solo giorno, un lasso di tempo limitato per rinascere, per ricominciare tutto da capo e di averlo sprecato. Di aver gettato quell’opportunità.
Sentiva di star tornando indietro, di star tornando al prima, al sonno.
Lottò, lottò con tutte le sue forze per sconfiggere il suo orologio biologico. Ma nulla, l’uomo non vince sulla natura. L’ultima cosa che avvertì fu il corpo del Venipede stringersi al suo, abbracciarlo, stargli vicino.
E stavolta, il suo contatto non lo intimorì. 


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