Courage sta crescendo, e ne sono fiero. In primis perché tramite la pagina Facebook siamo stati in grado di allargare le nostre conoscenze ed ora molti artisti e scrittori discutono con noi delle nostre trame e dei nostri progetti futuri, come per esempio The Sinful's Recall, ovvero il seguito di Back To The Origin e parte terminale della trilogia cominciata per l'appunto quando ho aperto questo blog. Inoltre l'aggiunta al roaster di Levyan e Cyber Witch, oltre a dare continuità al progetto, donano una qualità infinita, per la bellezza delle loro storie e dei loro stili.
E sono grato anche a loro per avermi voluto accompagnare in quest'avventura.
Hoenn's Crysis invece è arrivata praticamente alla fine. Già, perché con oggi si chiude la vicenda che, circa un anno e mezzo fa, ho cominciato a narrare. È stata duretta, dico la verità, ma sono fiero d'aver fatto un buon lavoro. Inoltre sto revisionando i capitoli e la cosa mi piace particolarmente, perché sto rileggendo ciò che ho scritto parecchio tempo fa e mi sono accorto di quanto il mio stile di scrittura sia cambiato nel tempo.
Spero d'esser migliorato.
In ogni caso Black Lady ha disegnato il capitolo 8 del manga, scaricatelo da qui oppure andatelo a leggere sulla sua pagina Facebook.
Ah, HC non è ancora finita. C'è l'epilogo, il capitolo che ho chiamato Beatitudo, che uscirà martedì prossimo e che chiuderà questa storia, dopo tanto tempo ed impegno.
Quindi buona lettura.
- Andy Black
Oltre il grande muro le nuvole erano sparite. Fiammetta guardò il cielo limpido e sorrise.
“Ce l’ha fatta, ragazzi! Crystal ce l’ha fatta!” urlava.
“Ottimo... Ora diamoci da fare anche noi...” diceva Alice. Guardò a distanza la casa della sorella di Adriano, dove lei ed Orthilla si stavano prendendo cura dell’uomo che aveva fatto breccia nel suo cuore.
Quel giorno lei era diventata il difensore di Ceneride, aveva preso le sue veci. Dietro gli occhialoni da aviatrice, però, si nascondevano due occhi smarriti, nonostante tutto l’orgoglio che dimostrassero.
Miriam l’aveva trasformata in una donna ferita, ferendo l’uomo che amava.
E quindi Miriam avrebbe dovuto pagare la sua esuberanza, e la pena sarebbe stata alacre.
Si gettò sul suo Altaria velocemente contro l’avversario, planando all’altezza del suo volto: gli occhi di ArcheoGroudon ormai erano schermati da quella che sembrava energia plasmatica. Le enormi dimensione del Pokémon non avevano intaccato la velocità ed avevano incrementato la potenza: quel Pokémon era una macchina da guerra.
“Per la cattura necessitiamo di Crystal” fece Rocco.
“Non è vero” disse invece Fiammetta, che era salita sul suo Metagross, mentre il Campione volava sullo Skarmory che possedeva. “Tutti possiamo catturare Groudon...”.
“Lei però può farlo al primo colpo e...”
“Rocco, la rossa tettona ha ragione” disse Gold, sul dorso di Zapdos. “Inoltre ci conviene stare accanto ad Alice. Non le farei affrontare Miriam tutta sola...”.
Le tre teste dei ragazzi si voltarono verso sinistra, fissando le ali di Altaria battere lentamente, permettendo alla sua Allenatrice di mantenere la quota.
“Miriam...” fece quella. La donna scese dalla testa del Pokémon leggendario per salire sul palmo della sua mano. Quello tese il braccio, avvicinando le due donne.
“Vuoi parlare con me, Alice?” domandò lei, sorridendo, mentre un rivolo di sangue ai lati della bocca veniva riavviato.
“Stai morendo, te ne rendi conto?” osservò quella di Forestopoli. Per tutta risposta Miriam sorrise.
“No. Ora sono così potente che niente può battermi, né tantomeno uccidermi. E non ce la farai nemmeno tu”.
“Tu hai pugnalato il mio cuore senza pietà. Tu ed i tuoi scagnozzi siete stati capaci di distruggere un’intera regione e di uccidere migliaia di...” e poi Alice sorrise, amaramente. “Ma del resto, a te non importa nulla... Se non siamo stati capaci di farti cambiare idea precedentemente non lo farai di certo ora, che la tua meta sembra così vicina...”.
“La mia meta non sembra vicina. La mia metà è vicina. E tu sei solo l’ennesimo futile ostacolo che mi divide dal mio obiettivo... I sogni di mio padre prenderanno finalmente vita!”.
Alice sorrise nuovamente. “Tuo padre?! Parli ancora di tuo padre?! Ti ha messa al mondo, probabilmente ha ucciso tua madre e ti ha abbandonata tra i monti. Non sono nemmeno sicura del fatto che sperasse di rincontrarti un giorno. Probabilmente non sapeva nemmeno se saresti sopravvissuta”.
Gli occhi di Miriam si riempirono di collera. Afferrò Alice per il collo, stringendolo con forza: le sue mani erano incandescenti e scavavano profondi solchi nella morbida pelle della donna.
“Tu, lurido verme che non sei altro, non osare parlare di mio padre!” urlò poi.
Alice aveva gli occhi spalancati dietro gli occhialoni, sentendo la propria pelle come squagliarsi al contatto con le dita ossute e bollenti della donna.
“Non hai idea di quello che ho passato, ma se mi ha abbandonata è stato per proteggermi! Temeva qualche ripercussione contro la sua famiglia!”.
Alice aveva difficoltà a parlare, con la gola compressa.
“Tu... tu non vuoi perd... perdere... perdere la speranza... vero? Tu... tu vuoi che... che sia così”.
“È così! E non si tratta di speranza! Si tratta di oggettiva realtà! Mio padre mi ha salvato la vita, abbandonandomi!”.
La piega delle labbra di Alice si curvò nuovamente, scatenando l’ira funesta di Miriam che strinse ancor di più le dita attorno al collo di quella.
“Ferma!” urlò Fiammetta, colpendola con lo Psicoraggio di Metagross.
Miriam non si scompose, anzi, rimase impassibile. Mollò la presa attorno al collo di Alice, poi tossì, tossì sangue, e si voltò verso la donna che era alla sua destra.
“Tu! Stai per finire la tua esistenza!” urlò, scagliandosi contro di lei.
Alice aveva gli occhi spalancati ed intanto cercava di riprendere quanto più fiato possibile, massaggiandosi il collo indolenzito e scottato.
Vedeva Fiammetta evitare i rapidi colpi di Miriam. Sentiva urlare quest’ultima.
“Tu hai preso a me ciò che avevo di più caro!” disse Miriam.
“Rocco?! Rocco è ciò che avevi di più caro?! Allora non avresti dovuto abbandonarlo!”.
Miriam digrignò i denti, con gli occhi della furia, e sferrò un violento gancio al volto della rossa di Cuordilava, che lo evitò indietreggiando. Groudon si muoveva in corrispondenza delle esigenze della donna, avanzando quando colpiva, indietreggiando quando doveva evitare d’incassare un colpo.
“Metagross, Cometapugno!” urlava Fiammetta, vedendo il Pokémon di Rocco caricare il colpo e scagliarlo contro la donna, inutilmente però: quella lo evitò.
Poi la vide saltare, atterrando proprio su Metagross.
Miriam e Fiammetta erano nuovamente a pochi centimetri di distanza.
“Io ho dovuto seguire la mia strada. Ho scelto me. Se avessi pensato agli altri, prima di pensare a me stessa, probabilmente sarei morta a quattro anni nel Passo Selvaggio. E lui avrebbe dovuto seguirmi”.
“Seguirti dove?!” esclamò Fiammetta. “Tu sei una terrorista!”.
“No! Io sono soltanto una brava figlia!” sorrise, sferrando un diretto contro il muso della ragazza che aveva di fronte. La più giovane prese a sanguinare dal naso.
“Brava figlia... Figlia di troia...” sputò Fiammetta.
“Non c’è nulla che tu possa fare. Hai preso il mio scarto, ed anche se mi costa ammetterlo, mi ha fatto del male vedervi così vicini. Sappi che tu sei soltanto la mia brutta copia”.
Gli occhi di Fiammetta ormai erano alti. Aveva cambiato tanto della sua personalità, in quei giorni, ed uno sguardo del genere, prima d’incontrare i Dexholder di Johto, non avrebbe saputo sostenerlo.
“Sei stata tu a prendere la cosa più cara che avevo. Tu hai preso la mia città, l’hai distrutta. Hai ucciso le mie persone”. Fiammetta poi urlò: “Miriam! Io sono qui per prendermi la mia rivincita. Tutta Cuordilava si vendicherà, assieme a me!”.
Un violento ceffone risuonò sulla guancia destra della più cattiva. I suoi occhi erano spalancati e furenti.
“La pagherai!” urlò, e tutti gli spuntoni che erano nati dal mare crebbero a dismisura, salendo e andando a minacciare anche i ragazzi sui Pokémon volanti.
Rocco guardò Gold.
“Dobbiamo intervenire!” urlò, partendo sul suo Skarmory, seguito repentino da Gold. Questi si abbassò su Zapdos per aumentare l’aerodinamicità del duo ed accelerare maggiormente. Miriam fece un salto, pronta a colpire al collo la sua avversario, quando sentì le mani di qualcuno afferrarle le spalle e stopparla.
“Nonostante mi spiaccia molto mettere fine a quest’incontro di boxe tra modelle d’intimo, per altro rosse, e a me le rosse fanno sempre quel certo effetto, quello particolare, è meglio che calmi i bollenti spiriti” disse proprio quello dagli occhi dorati.
“Siete tutti qui?!” domandò Miriam, vedendo Rocco avvicinarsi velocemente.
“No. Marina è lì ed è colpa tua” fece il ragazzo, stringendo le mani sul suo braccio destro, cercando d’immobilizzarla. Poi le ritirò velocemente.
“Cazzo!” urlava. “Scotti!”.
Quella si voltò verso Gold, adesso infuriata con lui. Fiammetta la vide distratta e la colpì con un grande calcio al volto, scarnificandole la guancia. Il sangue colò su tutto il suo corpo ma quella sembrava non aver sentito il dolore.
Colpì sul viso Gold con un pugno, rompendogli il naso e facendolo urlare. Con un calcio ben assestato, invece, fece cadere Fiammetta sui fondelli.
“Mi hai rotto il naso, zoccolaccia!” urlava Gold, mentre il dolore al petto lo mordeva, brandendolo con i canini appuntiti senza lasciarlo andare.
“Scusami” rispose quella, di spalle. Guardava Fiammetta, l’oggetto della sua ira.
“Dragobolide!” sentì poi dalle retrovie: Alice, dal suo Altaria, stava attaccando direttamente Miriam. Quella vide arrivare l’attacco e lo schivò, colpendo nuovamente Gold sul naso con un pugno e Fiammetta con un calcio sul torace.
“Non riuscirete a fermarmi! Groudon, usa Lanciafiamme!” esclamò il Capo del Team Magma.
Gold spalancò gli occhi, terrorizzato, vedendo il sauropode voltarsi solerte verso di loro e spalancare le fauci. La scintilla fece divampare un grosso flusso di fiamme, sparato ad alta velocità e temperatura, proprio addosso ai ragazzi.
Miriam, dal canto suo, rimase totalmente immobile, beatificata dal fuoco e dall’incandescenza dell’attacco del suo Pokémon.
I ragazzi, invece, rimasero terrorizzati.
“No!” urlò Gold che intanto era caduto accanto alla Ex Capopalestra di Cuordilava, guardando Alice proprio davanti alle fiamme. Altaria fu colpito, ma sembrò riuscire a resistere a quel colpo. Fiammetta e Gold, invece, erano sul Metagross di Rocco, che intanto s’avvicinava in picchiata verso Groudon. Il ragazzo di Johto si allungò quanto più possibile per afferrare il polso di Fiammetta e tirarla sé: la strinse, così forte da farle male alle costole, ormai lesionate dal colpo preciso e diretto di Miriam. La cinse con le braccia, spingendole la testa contro il suo petto, quindi si lasciò cadere indietro.
“Gold!” urlò lei.
“Zapdos!” fece quello, serio. Pochi secondi dopo le piume ispide del leggendario uccello del tuono erano a contatto diretto con la schiena di lui. Fiammetta poggiava la testa sul cuore del ragazzo, pareva battesse all’impazzata, come fosse parte integrante delle batterie di una base trap. Lui continuava a stringere i denti e gli occhi, mentre il dolore lo mangiava. Guardava le proprie dita, diventate ormai violacee.
Fiammetta alzò la testa e lo guardò. “Tu sei un pazzo...” disse.
Gold vide Metagross atterrare abbattuto sugli spuntoni di roccia, messo fuori gioco dall’attacco del Pokémon.
Ma in quel momento, il vero e proprio colpaccio stava cercando di farlo Rocco.
Volava sul suo Skarmory, il Campione, basso, carezzava la superficie molto calda della corazza del Pokémon, riscaldata da quel sole tiranno, e si avvicinava così velocemente da tenere gli occhi aperti con difficoltà.
Groudon era davanti a lui, emetteva fuoco in un violento getto, diretto verso i ragazzi.
Vide Alice schermata da Altaria e Gold che afferrava Fiammetta; saltò un battito quando comprese che la donna fosse in pericolo, ma la velocità di pensiero di Gold gli donò un attimo d’ossigeno.
Groudon era enorme, nella sua forma antica. Molto più grande del normale, gigantesco. Il Pokémon più grande che avesse mai visto, forse anche più del Rayquaza che intanto ristabiliva le proprie forze.
Si voltò, Rocco, guardando Martino fare cenno di attendere qualche secondo. Quel Ranger aveva aiutato tantissimo Hoenn e la loro causa, tutta la sua gente doveva essergli riconoscente.
Raggiunse Groudon, il calore accanto a lui continuava ad aumentare, non pareva minimamente fosse la vigilia di Natale.
“Iperraggio!” urlò inviperito l’uomo, puntando il volto di Groudon. Il Pokémon Volante caricò il colpo ed inflisse un danno consistente sulla guancia coriacea dell’avversario.
“Gold!” urlò poi, vedendolo arrivare, con Fiammetta stretta alla sua vita.
“Subito!” sorrise quello, aggiustandosi il ciuffo fradicio. Gli occhi d’oro puntarono la guancia ferita del Pokémon. Fiammetta stringeva sempre di più attorno alla vita del ragazzo, terrorizzata.
“Dove cazzo vai?!” urlava quella, con gli occhi spalancati ed il cuore che batteva nel petto come un metronomo impazzito.
“Perforbecco!” ordinò con grinta.
E lì tutti sentirono Fiammetta urlare terrorizzata, stringendo al massimo le palpebre e le braccia al torace di Gold, noncurante della sua fragilità e del dolore che imperava nel suo corpo.
Lo sguardo di Gold, invece, era ben spalancato, concentrato.
Determinato.
Guardava Groudon con i denti in vista, un leggero ghigno sul volto, una mano stretta a quella di Fiammetta, sul petto che faceva male, ed un’altra tra le piume appuntite di Zapdos.
Sì, pungevano, ma lui in quel momento il dolore lo aveva assorbito nella forma più intensa possibile; il pizzico delle piume di Zapdos erano equivalenti a mettere la mano sotto l’acqua bollente della doccia quando sia ha i piedi in una vasca di lava.
Ecco, più o meno lui si sentiva così: mezzo morto.
Tanto vale morire dopo aver salvato Hoenn, pensava. E probabilmente aveva ragione.
Zapdos si gettò con forza leggendaria contro Groudon ed il suo becco andò ad infierire sul viso del Pokémon, che indietreggiò ed inciampò sulla coda, franando sugli spuntoni che aveva il mare aveva partorito.
Li distrusse tutti. Tutti tranne uno.
Miriam era in piedi sull’ennesimo pilastro di roccia, spuntato dal mare. Le punte delle sue dita perdevano gocce di sangue, come un rubinetto mal regolato.
Piccole pozze rubine s’erano formate attorno ai suoi stivali ed altrettanto piccoli rivoli colavano giù, sul corpo del pilastro, tuffandosi nel mare appena rinato.
Rocco le si avvicinò, proprio di fronte.
Skarmory batteva ancora le ali, Rocco e Miriam si fissavano.
Era incredibile come, tramite soltanto i loro sguardi, fosse presente tant’astio da poter intendere tranquillamente con le loro facce ciò che le loro bocche non dicevano.
Ed era altrettanto incredibile come due persone che tanto s’erano amate ora s’odiassero a quel modo.
“Levati da mezzo” ringhiò lei, lasciando andare il labbro dalla stretta dei denti.
Lui fece segno di no.
Non si capiva se fosse più resistente lo sguardo d’acciaio dell’uomo oppure se fosse così magnetico quello della donna.
Lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, non riusciva a lasciar andare via quello sguardo, e sapeva che anche se avesse provato a farlo, a guardare altrove, alle sue labbra, al suo corpo, alla devastazione alle sue spalle, quegli occhi sarebbero rimasti lì, severi e giudicatori.
“Non posso” le rispose poi, Rocco.
Quella gli guardò le labbra, in un attimo d’infinito, poi carezzò con lo sguardo la linea del suo viso, fino ad arrivare nuovamente agli occhi.
A lei batteva il cuore, e la cosa le sembrava strana. In lui leggeva dispiacere e timore.
Lui aveva paura di lei.
Nella sua mente i ricordi si rimestarono, una semplice immagine ne uscì fuori, e fu pianta con le sue lacrime bollenti:
Quello era uno dei momenti in cui non c’era bisogno di dire nulla. La pioggia scrosciava al di fuori delle finestre, i tuoni rombavano e l’aria fredda cristallizzava tutto, rendendo l’ambiente immobile. Miriam odiava la pioggia. Ed odiava anche l’inverno. Questo perché soffriva il freddo come poche persone al mondo; nonostante il suo sangue caldo attraversasse le sue vene rapidamente, scaldando qualsiasi cosa fosse a contatto con lei, aveva freddo. Ed ecco che Rocco s’era presentato con una cioccolata calda ed una pesante trapunta. Lei era seduta sul divano, coi calzoncini ai polpacci e la canottiera, con le gambe tirate sul divano di pelle. Il ragazzo sorrideva nel vederla ipnotizzata dalla luce del camino. C’era uno strano legame tra lei ed il fuoco. Le poggiò la cioccolata tra le mani, vedendola sorridere sinceramente, e poi le si sedette accanto, stendendo su di loro la coperta. Miriam s’appiattì contro di lui, sorseggiando la cioccolata. Entrambi si limitavano soltanto a respirare, forse lui in più la stringeva, ma limarono ogni movimento al minimo indispensabile, forse per la magia del momento o per paura che quella sensazione di calma, di beatitudine, smettesse di riempire i loro cuori. Quel giorno, come ogni giorno tra l’altro, Rocco era andato a Cuordilava per incontrare Miriam; nuvole di tempesta stazionavano su Brunifoglia, nascoste dal Monte Camino e la sua vetta fumante, quindi il sole, nella città del Signor Moore, splendeva rigoglioso e caldo. Proprio come piaceva alla signorina che, vedendo Rocco Petri arrivare, gli corse incontro, salutandolo con un bacio sulle labbra. Lui doveva consegnare delle rocce appena trovate sulla sommità del vulcano a suo padre, a Ferrugipoli, e le aveva chiesto di accompagnarlo. Quindi attraversarono il deserto, lui le diede i suoi occhialoni e si coprì la faccia con la maglietta, facendosi guidare da lei, almeno fino a raggiungere Ciclamipoli. E poi, da lì, fu una piacevole passeggiata fino alla Devon, dove consegnò ciò che doveva al padre. Miriam entrava in quei grandi palazzi sempre con grande timore reverenziale, inquietata e piena d’imbarazzo: tutti erano in giacca e cravatta, le camicie abbottonate al collo, le ventiquattr’ore pesanti; le donne poi, nei loro tailleur, le loro camicette s’aprivano su seni prosperosi tirati su da push-up in grado di fare miracoli. Lei non aveva mai avuto un reggiseno, ed era vestita con abiti vecchi e consunti. Vedeva quelle donne, con quelle acconciature profumate, ed i capelli sempre perfettamente lisci, mentre la sua coda di cavallo ormai era storia vecchia. Inoltre tutti la guardavano, perché Rocco era il figlio del capo e lei entrava sempre col ragazzo in quei palazzi. Ma questa situazione c’entrava poco: usciti da lì si resero conto che Brunifoglia aveva tirato le nuvole a Ferrugipoli, con un lancio fluido, unico e diretto. E quindi diluviava. “Come torno a casa?!” urlava lei, mentre il rumore della pioggia copriva la sua voce. “Tranquilla! Andiamo da me!” Corsero verso la magione Petri, un’elegantissima villa a nord della città. Attraversarono un ampia cancellata di ferro battuto che dava nell’enorme e curatissimo giardino. Mentre scappava, con la testa coperta dalle mani, Miriam riuscì a vedere una grossa fontana sulla sinistra che sgorgava acqua limpida sullo sfondo nero del cielo furioso. Rocco la tirò su per la scalinata che portava al grande ingresso, con portone blindato rivestito di legno d’ebano all’interno d’un arco fatto di marmo pregiato di Carrara, in Italia. Entrarono, lui sorrideva, lei no. Odiava la pioggia. “Eccoci arrivati” sorrise Rocco. Non era la prima volta che Miriam entrava in casa Petri, tuttavia la testardaggine della bella giovane lo costringeva a doverla riaccompagnare a Cuordilava a fine giornata, anche in tarda notte, perché lei non voleva rimanere lì. Si giustificava dicendo che non avrebbe potuto lasciare da sola la vecchia che l’aspettava a casa, ma la realtà era che si sentiva a disagio lì. Quella notte, però, non poteva tornare a casa. “Maledizione ad Hoenn ed alle sue piogge tropicali!” sbottò lei, davanti al camino, poco prima che Rocco la raggiungesse e la rifocillasse. E così lui accese il televisore e Miriam prese il telecomando in mano per la prima volta nella sua vita; non era la prima volta che guardava un televisore, nei centri Pokémon ce n’erano a decine, ma la vecchia signora con cui viveva non era propensa all’utilizzo d’apparecchiature così costose e tecnologiche e quindi fu particolarmente tenera la scena in cui lui le insegnava ad usare il telecomando. Guardarono “La Ricerca della Felicità” in televisione, giocarono a Pokkén e poi tornarono sotto le coperte, addormentandosi distesi sul lungo divano, davanti al camino, l’uno abbracciato all’altra. Fu quando, per un improvviso crepitio del camino, entrambi si svegliarono, che il loro amore si tramutò in qualcosa di più fisico. Fu lì che Rocco entrò per la prima volta nel corpo di una donna, in quello della sua donna, ed anche lei provò l’amore del suo uomo senza mai averlo fatto prima. Fu magico e doloroso. Traumatico ma romantico, come ogni prima volta che si rispetti. Ma fu ciò che accadde dopo che Miriam accarezzò, nascose sotto il palmo e rubò, portandolo sempre con se: Rocco la fece distendere al suo fianco e lei gli diede le spalle, aderendo al petto del ragazzo. Lui le sciolse i capelli, e le carezzò la testa per tutta la notte, ripetendole che non fosse sola e quanto lui l’amasse.
Il flashback di Miriam sparì d’improvviso, come se la pellicola che stava trasmettendo la sua mente si fosse bruciata d’improvviso. Davanti a lei ancora Rocco, dietro di lui ancora Groudon che combatteva contro Alice, Gold e Fiammetta.
Fiammetta; Rocco voleva l'altra in quel momento e la cosa la fece irritare e non poco. Ma poi lo guardò meglio negli occhi ed il dolore che provava era così forte da superare tutto.
Miriam capì che Rocco stesse soffrendo.
Tentennò per un momento, il suo cuore saltò un battito, il suo respiro si fermò.
Le importava davvero così tanto di quello che pensasse Rocco?
Avevano rilevanza i suoi sentimenti, in quel momento?
Lui era immobile ma due grosse lacrime lasciarono gli occhi d’acciaio dell’uomo, penetrando in quella rigida armatura e tuffandosi oltre l’ostacolo, scivolando lente lungo le guance.
“Rocco...” ripeté lei, turbata dalla vista dell’uomo in lacrime. “Spostati...” disse.
Lui strinse gli occhi ed i denti, chiuse i pugni e fece cenno di no, ostinatamente.
“Non posso” disse, disturbato dal pianto.
“Non voglio che tu muoia...” fece, prendendo a piangere, e la cosa stupì entrambi. Miriam era tornata umana, finalmente.
“Allora scusami” disse, non riuscendo più a trattenere quel malessere ed abbandonandosi ad un pianto corrosivo. Lei non capiva il motivo per cui lui si scusasse, ma lo vide lentamente alzare la mano, allungandola verso di lei.
Il pilastro sul quale i due ragazzi stavano, stretti peraltro, era tornato ad essere battuto dalle onde impetuose.
“Per cosa?” chiese poi Miriam.
In quel momento Rocco avrebbe voluto accoltellarsi, tagliarsi i polsi, la testa, il torace.
Avrebbe voluto strapparsi il cuore dal petto e gettarlo via, lontano.
Tanto non gli serviva.
Aveva capito che Miriam si fosse ammorbidita, lo vedeva dal suo sguardo e dal fatto che, mentre lui allungava la mano verso di lei, quella rimaneva ferma ed immobile, aspettando ben disposta il suo contatto.
Lei realizzò soltanto dopo.
Lui poggiò i polpastrelli sul suo cuore, la pelle della donna era incandescente.
La spinse.
E la spinta fu così leggera che quasi si sorprese di vedere la donna muoversi di conseguenza, indietro. Gli occhi di Miriam si spalancarono, cadde giù dal pilastro, con le lacrime che, più leggere, venivano lasciate indietro, timide spettatrici della morte cruenta della donna: trafitta nel cuore.
Già, nel cuore. Trafitta dall’unico, ultimo spuntone che lei stessa aveva creato e che era rimasto superstite dalla forza distruttiva di Groudon.
Gli occhi della donna rimasero aperti, la bocca spalancata sgorgava sangue; l’enorme squarcio nel torace aveva partorito una punta di roccia affilata, totalmente insanguinata.
“Per... ché...” domandò infine, prima che la scintilla nei suoi occhi si spense. Dalla sua schiena ricadde la Sfera Rossa, che atterrò nell’acqua del mare, da cui si pulì del sangue.
Miriam era morta.
Rocco l’aveva uccisa.
No.
Rocco l’aveva assassinata.
Il Campione era rimasto immobile, totalmente in silenzio, impaurito da ogni possibile movimento che avrebbe potuto effettuare per paura di poter incrociare la vista del corpo di Miriam, ormai ridotto a sacco di sangue, pochi, ed organi.
Si voltò lentamente, cercando di pensare ad altro, dall’alto di quel pilastro.
Groudon era crollato in acqua, alzando grandi quantità d’acqua.
“Vai! È crollato!” urlava Alice.
Fiammetta era rimasta immobile da quando, sedici secondi prima, s’era voltata verso Rocco, temendo per la sua incolumità: aveva visto tutto.
Aveva visto il suo uomo spingere giù dal pilastro di roccia Miriam, l’aveva vista morire ed aveva visto la Sfera Rossa galleggiare in acqua.
Realizzò che avrebbe dovuto recuperarla immediatamente, quindi saltò giù da Zapdos, da quasi cento metri d’altezza, atterrando nella gelida acqua del mare.
Senza uccidersi, incredibilmente.
Nuotò e recuperò lo strumento, rimanendo a guardare la scena successiva.
Difatti, Gold aveva tra le mani stretta un Ultraball.
“Vai!” urlò Alice. “Prima che si riprenda!”.
“Qui ci vuole Crystal...” sussurrò a se stesso il moro. Poi guardò indietro Rocco sul pilastro, Fiammetta in acqua, Marina e Pat ancora sulla spiaggia. Martino era oltre il muro, pensò che Rayquaza probabilmente stesse aiutando contro Kyogre, ma ciò che più contava era che in quel momento aveva capito che avrebbe dovuto catturare Groudon, da solo.
“Lanciala!” ribadì Alice.
Si voltò nuovamente, Gold, mai così insicuro; guardo Marina alzare la mano verso l’alto.
Era viva.
Lui sorrise e fece quello che avrebbe dovuto fare quasi un minuto prima.
“Vai, Ultraball!” urlò, lanciando la sfera dal dorso di Zapdos.
L’enorme massa di Groudon sparì all’interno della sfera, lasciando un vuoto visivo non indifferente. Strinse le dita intorno al cuore, come se fosse costretto da filo spinato, si sentiva così debole che stava per mollare lì.
Vide la sfera ricadere nell’acqua; prese a ballare, dondolando lentamente a destra e sinistra.
Parve passare mezz’ora, ma i rintocchi totali alla fine furono sempre e comunque tre, e intanto il dolore aveva deciso di voler prendere capo e coda della situazione e tirare: stava per perdere i sensi e quando la sfera si fermò, cullata poi soltanto dal dolce intercedere delle onde, un incudine gli cadde dai polmoni ai piedi.
Via all’ansia ed alla paura, s’abbandonò al dolore ed i suoi occhi si chiusero lentamente.
E sono grato anche a loro per avermi voluto accompagnare in quest'avventura.
Hoenn's Crysis invece è arrivata praticamente alla fine. Già, perché con oggi si chiude la vicenda che, circa un anno e mezzo fa, ho cominciato a narrare. È stata duretta, dico la verità, ma sono fiero d'aver fatto un buon lavoro. Inoltre sto revisionando i capitoli e la cosa mi piace particolarmente, perché sto rileggendo ciò che ho scritto parecchio tempo fa e mi sono accorto di quanto il mio stile di scrittura sia cambiato nel tempo.
Spero d'esser migliorato.
In ogni caso Black Lady ha disegnato il capitolo 8 del manga, scaricatelo da qui oppure andatelo a leggere sulla sua pagina Facebook.
Ah, HC non è ancora finita. C'è l'epilogo, il capitolo che ho chiamato Beatitudo, che uscirà martedì prossimo e che chiuderà questa storia, dopo tanto tempo ed impegno.
Quindi buona lettura.
- Andy Black
Sperantia
Oltre il grande muro le nuvole erano sparite. Fiammetta guardò il cielo limpido e sorrise.
“Ce l’ha fatta, ragazzi! Crystal ce l’ha fatta!” urlava.
“Ottimo... Ora diamoci da fare anche noi...” diceva Alice. Guardò a distanza la casa della sorella di Adriano, dove lei ed Orthilla si stavano prendendo cura dell’uomo che aveva fatto breccia nel suo cuore.
Quel giorno lei era diventata il difensore di Ceneride, aveva preso le sue veci. Dietro gli occhialoni da aviatrice, però, si nascondevano due occhi smarriti, nonostante tutto l’orgoglio che dimostrassero.
Miriam l’aveva trasformata in una donna ferita, ferendo l’uomo che amava.
E quindi Miriam avrebbe dovuto pagare la sua esuberanza, e la pena sarebbe stata alacre.
Si gettò sul suo Altaria velocemente contro l’avversario, planando all’altezza del suo volto: gli occhi di ArcheoGroudon ormai erano schermati da quella che sembrava energia plasmatica. Le enormi dimensione del Pokémon non avevano intaccato la velocità ed avevano incrementato la potenza: quel Pokémon era una macchina da guerra.
“Per la cattura necessitiamo di Crystal” fece Rocco.
“Non è vero” disse invece Fiammetta, che era salita sul suo Metagross, mentre il Campione volava sullo Skarmory che possedeva. “Tutti possiamo catturare Groudon...”.
“Lei però può farlo al primo colpo e...”
“Rocco, la rossa tettona ha ragione” disse Gold, sul dorso di Zapdos. “Inoltre ci conviene stare accanto ad Alice. Non le farei affrontare Miriam tutta sola...”.
Le tre teste dei ragazzi si voltarono verso sinistra, fissando le ali di Altaria battere lentamente, permettendo alla sua Allenatrice di mantenere la quota.
“Miriam...” fece quella. La donna scese dalla testa del Pokémon leggendario per salire sul palmo della sua mano. Quello tese il braccio, avvicinando le due donne.
“Vuoi parlare con me, Alice?” domandò lei, sorridendo, mentre un rivolo di sangue ai lati della bocca veniva riavviato.
“Stai morendo, te ne rendi conto?” osservò quella di Forestopoli. Per tutta risposta Miriam sorrise.
“No. Ora sono così potente che niente può battermi, né tantomeno uccidermi. E non ce la farai nemmeno tu”.
“Tu hai pugnalato il mio cuore senza pietà. Tu ed i tuoi scagnozzi siete stati capaci di distruggere un’intera regione e di uccidere migliaia di...” e poi Alice sorrise, amaramente. “Ma del resto, a te non importa nulla... Se non siamo stati capaci di farti cambiare idea precedentemente non lo farai di certo ora, che la tua meta sembra così vicina...”.
“La mia meta non sembra vicina. La mia metà è vicina. E tu sei solo l’ennesimo futile ostacolo che mi divide dal mio obiettivo... I sogni di mio padre prenderanno finalmente vita!”.
Alice sorrise nuovamente. “Tuo padre?! Parli ancora di tuo padre?! Ti ha messa al mondo, probabilmente ha ucciso tua madre e ti ha abbandonata tra i monti. Non sono nemmeno sicura del fatto che sperasse di rincontrarti un giorno. Probabilmente non sapeva nemmeno se saresti sopravvissuta”.
Gli occhi di Miriam si riempirono di collera. Afferrò Alice per il collo, stringendolo con forza: le sue mani erano incandescenti e scavavano profondi solchi nella morbida pelle della donna.
“Tu, lurido verme che non sei altro, non osare parlare di mio padre!” urlò poi.
Alice aveva gli occhi spalancati dietro gli occhialoni, sentendo la propria pelle come squagliarsi al contatto con le dita ossute e bollenti della donna.
“Non hai idea di quello che ho passato, ma se mi ha abbandonata è stato per proteggermi! Temeva qualche ripercussione contro la sua famiglia!”.
Alice aveva difficoltà a parlare, con la gola compressa.
“Tu... tu non vuoi perd... perdere... perdere la speranza... vero? Tu... tu vuoi che... che sia così”.
“È così! E non si tratta di speranza! Si tratta di oggettiva realtà! Mio padre mi ha salvato la vita, abbandonandomi!”.
La piega delle labbra di Alice si curvò nuovamente, scatenando l’ira funesta di Miriam che strinse ancor di più le dita attorno al collo di quella.
“Ferma!” urlò Fiammetta, colpendola con lo Psicoraggio di Metagross.
Miriam non si scompose, anzi, rimase impassibile. Mollò la presa attorno al collo di Alice, poi tossì, tossì sangue, e si voltò verso la donna che era alla sua destra.
“Tu! Stai per finire la tua esistenza!” urlò, scagliandosi contro di lei.
Alice aveva gli occhi spalancati ed intanto cercava di riprendere quanto più fiato possibile, massaggiandosi il collo indolenzito e scottato.
Vedeva Fiammetta evitare i rapidi colpi di Miriam. Sentiva urlare quest’ultima.
“Tu hai preso a me ciò che avevo di più caro!” disse Miriam.
“Rocco?! Rocco è ciò che avevi di più caro?! Allora non avresti dovuto abbandonarlo!”.
Miriam digrignò i denti, con gli occhi della furia, e sferrò un violento gancio al volto della rossa di Cuordilava, che lo evitò indietreggiando. Groudon si muoveva in corrispondenza delle esigenze della donna, avanzando quando colpiva, indietreggiando quando doveva evitare d’incassare un colpo.
“Metagross, Cometapugno!” urlava Fiammetta, vedendo il Pokémon di Rocco caricare il colpo e scagliarlo contro la donna, inutilmente però: quella lo evitò.
Poi la vide saltare, atterrando proprio su Metagross.
Miriam e Fiammetta erano nuovamente a pochi centimetri di distanza.
“Io ho dovuto seguire la mia strada. Ho scelto me. Se avessi pensato agli altri, prima di pensare a me stessa, probabilmente sarei morta a quattro anni nel Passo Selvaggio. E lui avrebbe dovuto seguirmi”.
“Seguirti dove?!” esclamò Fiammetta. “Tu sei una terrorista!”.
“No! Io sono soltanto una brava figlia!” sorrise, sferrando un diretto contro il muso della ragazza che aveva di fronte. La più giovane prese a sanguinare dal naso.
“Brava figlia... Figlia di troia...” sputò Fiammetta.
“Non c’è nulla che tu possa fare. Hai preso il mio scarto, ed anche se mi costa ammetterlo, mi ha fatto del male vedervi così vicini. Sappi che tu sei soltanto la mia brutta copia”.
Gli occhi di Fiammetta ormai erano alti. Aveva cambiato tanto della sua personalità, in quei giorni, ed uno sguardo del genere, prima d’incontrare i Dexholder di Johto, non avrebbe saputo sostenerlo.
“Sei stata tu a prendere la cosa più cara che avevo. Tu hai preso la mia città, l’hai distrutta. Hai ucciso le mie persone”. Fiammetta poi urlò: “Miriam! Io sono qui per prendermi la mia rivincita. Tutta Cuordilava si vendicherà, assieme a me!”.
Un violento ceffone risuonò sulla guancia destra della più cattiva. I suoi occhi erano spalancati e furenti.
“La pagherai!” urlò, e tutti gli spuntoni che erano nati dal mare crebbero a dismisura, salendo e andando a minacciare anche i ragazzi sui Pokémon volanti.
Rocco guardò Gold.
“Dobbiamo intervenire!” urlò, partendo sul suo Skarmory, seguito repentino da Gold. Questi si abbassò su Zapdos per aumentare l’aerodinamicità del duo ed accelerare maggiormente. Miriam fece un salto, pronta a colpire al collo la sua avversario, quando sentì le mani di qualcuno afferrarle le spalle e stopparla.
“Nonostante mi spiaccia molto mettere fine a quest’incontro di boxe tra modelle d’intimo, per altro rosse, e a me le rosse fanno sempre quel certo effetto, quello particolare, è meglio che calmi i bollenti spiriti” disse proprio quello dagli occhi dorati.
“Siete tutti qui?!” domandò Miriam, vedendo Rocco avvicinarsi velocemente.
“No. Marina è lì ed è colpa tua” fece il ragazzo, stringendo le mani sul suo braccio destro, cercando d’immobilizzarla. Poi le ritirò velocemente.
“Cazzo!” urlava. “Scotti!”.
Quella si voltò verso Gold, adesso infuriata con lui. Fiammetta la vide distratta e la colpì con un grande calcio al volto, scarnificandole la guancia. Il sangue colò su tutto il suo corpo ma quella sembrava non aver sentito il dolore.
Colpì sul viso Gold con un pugno, rompendogli il naso e facendolo urlare. Con un calcio ben assestato, invece, fece cadere Fiammetta sui fondelli.
“Mi hai rotto il naso, zoccolaccia!” urlava Gold, mentre il dolore al petto lo mordeva, brandendolo con i canini appuntiti senza lasciarlo andare.
“Scusami” rispose quella, di spalle. Guardava Fiammetta, l’oggetto della sua ira.
“Dragobolide!” sentì poi dalle retrovie: Alice, dal suo Altaria, stava attaccando direttamente Miriam. Quella vide arrivare l’attacco e lo schivò, colpendo nuovamente Gold sul naso con un pugno e Fiammetta con un calcio sul torace.
“Non riuscirete a fermarmi! Groudon, usa Lanciafiamme!” esclamò il Capo del Team Magma.
Gold spalancò gli occhi, terrorizzato, vedendo il sauropode voltarsi solerte verso di loro e spalancare le fauci. La scintilla fece divampare un grosso flusso di fiamme, sparato ad alta velocità e temperatura, proprio addosso ai ragazzi.
Miriam, dal canto suo, rimase totalmente immobile, beatificata dal fuoco e dall’incandescenza dell’attacco del suo Pokémon.
I ragazzi, invece, rimasero terrorizzati.
“No!” urlò Gold che intanto era caduto accanto alla Ex Capopalestra di Cuordilava, guardando Alice proprio davanti alle fiamme. Altaria fu colpito, ma sembrò riuscire a resistere a quel colpo. Fiammetta e Gold, invece, erano sul Metagross di Rocco, che intanto s’avvicinava in picchiata verso Groudon. Il ragazzo di Johto si allungò quanto più possibile per afferrare il polso di Fiammetta e tirarla sé: la strinse, così forte da farle male alle costole, ormai lesionate dal colpo preciso e diretto di Miriam. La cinse con le braccia, spingendole la testa contro il suo petto, quindi si lasciò cadere indietro.
“Gold!” urlò lei.
“Zapdos!” fece quello, serio. Pochi secondi dopo le piume ispide del leggendario uccello del tuono erano a contatto diretto con la schiena di lui. Fiammetta poggiava la testa sul cuore del ragazzo, pareva battesse all’impazzata, come fosse parte integrante delle batterie di una base trap. Lui continuava a stringere i denti e gli occhi, mentre il dolore lo mangiava. Guardava le proprie dita, diventate ormai violacee.
Fiammetta alzò la testa e lo guardò. “Tu sei un pazzo...” disse.
Gold vide Metagross atterrare abbattuto sugli spuntoni di roccia, messo fuori gioco dall’attacco del Pokémon.
Ma in quel momento, il vero e proprio colpaccio stava cercando di farlo Rocco.
Volava sul suo Skarmory, il Campione, basso, carezzava la superficie molto calda della corazza del Pokémon, riscaldata da quel sole tiranno, e si avvicinava così velocemente da tenere gli occhi aperti con difficoltà.
Groudon era davanti a lui, emetteva fuoco in un violento getto, diretto verso i ragazzi.
Vide Alice schermata da Altaria e Gold che afferrava Fiammetta; saltò un battito quando comprese che la donna fosse in pericolo, ma la velocità di pensiero di Gold gli donò un attimo d’ossigeno.
Groudon era enorme, nella sua forma antica. Molto più grande del normale, gigantesco. Il Pokémon più grande che avesse mai visto, forse anche più del Rayquaza che intanto ristabiliva le proprie forze.
Si voltò, Rocco, guardando Martino fare cenno di attendere qualche secondo. Quel Ranger aveva aiutato tantissimo Hoenn e la loro causa, tutta la sua gente doveva essergli riconoscente.
Raggiunse Groudon, il calore accanto a lui continuava ad aumentare, non pareva minimamente fosse la vigilia di Natale.
“Iperraggio!” urlò inviperito l’uomo, puntando il volto di Groudon. Il Pokémon Volante caricò il colpo ed inflisse un danno consistente sulla guancia coriacea dell’avversario.
“Gold!” urlò poi, vedendolo arrivare, con Fiammetta stretta alla sua vita.
“Subito!” sorrise quello, aggiustandosi il ciuffo fradicio. Gli occhi d’oro puntarono la guancia ferita del Pokémon. Fiammetta stringeva sempre di più attorno alla vita del ragazzo, terrorizzata.
“Dove cazzo vai?!” urlava quella, con gli occhi spalancati ed il cuore che batteva nel petto come un metronomo impazzito.
“Perforbecco!” ordinò con grinta.
E lì tutti sentirono Fiammetta urlare terrorizzata, stringendo al massimo le palpebre e le braccia al torace di Gold, noncurante della sua fragilità e del dolore che imperava nel suo corpo.
Lo sguardo di Gold, invece, era ben spalancato, concentrato.
Determinato.
Guardava Groudon con i denti in vista, un leggero ghigno sul volto, una mano stretta a quella di Fiammetta, sul petto che faceva male, ed un’altra tra le piume appuntite di Zapdos.
Sì, pungevano, ma lui in quel momento il dolore lo aveva assorbito nella forma più intensa possibile; il pizzico delle piume di Zapdos erano equivalenti a mettere la mano sotto l’acqua bollente della doccia quando sia ha i piedi in una vasca di lava.
Ecco, più o meno lui si sentiva così: mezzo morto.
Tanto vale morire dopo aver salvato Hoenn, pensava. E probabilmente aveva ragione.
Zapdos si gettò con forza leggendaria contro Groudon ed il suo becco andò ad infierire sul viso del Pokémon, che indietreggiò ed inciampò sulla coda, franando sugli spuntoni che aveva il mare aveva partorito.
Li distrusse tutti. Tutti tranne uno.
Miriam era in piedi sull’ennesimo pilastro di roccia, spuntato dal mare. Le punte delle sue dita perdevano gocce di sangue, come un rubinetto mal regolato.
Piccole pozze rubine s’erano formate attorno ai suoi stivali ed altrettanto piccoli rivoli colavano giù, sul corpo del pilastro, tuffandosi nel mare appena rinato.
Rocco le si avvicinò, proprio di fronte.
Skarmory batteva ancora le ali, Rocco e Miriam si fissavano.
Era incredibile come, tramite soltanto i loro sguardi, fosse presente tant’astio da poter intendere tranquillamente con le loro facce ciò che le loro bocche non dicevano.
Ed era altrettanto incredibile come due persone che tanto s’erano amate ora s’odiassero a quel modo.
“Levati da mezzo” ringhiò lei, lasciando andare il labbro dalla stretta dei denti.
Lui fece segno di no.
Non si capiva se fosse più resistente lo sguardo d’acciaio dell’uomo oppure se fosse così magnetico quello della donna.
Lui non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, non riusciva a lasciar andare via quello sguardo, e sapeva che anche se avesse provato a farlo, a guardare altrove, alle sue labbra, al suo corpo, alla devastazione alle sue spalle, quegli occhi sarebbero rimasti lì, severi e giudicatori.
“Non posso” le rispose poi, Rocco.
Quella gli guardò le labbra, in un attimo d’infinito, poi carezzò con lo sguardo la linea del suo viso, fino ad arrivare nuovamente agli occhi.
A lei batteva il cuore, e la cosa le sembrava strana. In lui leggeva dispiacere e timore.
Lui aveva paura di lei.
Nella sua mente i ricordi si rimestarono, una semplice immagine ne uscì fuori, e fu pianta con le sue lacrime bollenti:
Quello era uno dei momenti in cui non c’era bisogno di dire nulla. La pioggia scrosciava al di fuori delle finestre, i tuoni rombavano e l’aria fredda cristallizzava tutto, rendendo l’ambiente immobile. Miriam odiava la pioggia. Ed odiava anche l’inverno. Questo perché soffriva il freddo come poche persone al mondo; nonostante il suo sangue caldo attraversasse le sue vene rapidamente, scaldando qualsiasi cosa fosse a contatto con lei, aveva freddo. Ed ecco che Rocco s’era presentato con una cioccolata calda ed una pesante trapunta. Lei era seduta sul divano, coi calzoncini ai polpacci e la canottiera, con le gambe tirate sul divano di pelle. Il ragazzo sorrideva nel vederla ipnotizzata dalla luce del camino. C’era uno strano legame tra lei ed il fuoco. Le poggiò la cioccolata tra le mani, vedendola sorridere sinceramente, e poi le si sedette accanto, stendendo su di loro la coperta. Miriam s’appiattì contro di lui, sorseggiando la cioccolata. Entrambi si limitavano soltanto a respirare, forse lui in più la stringeva, ma limarono ogni movimento al minimo indispensabile, forse per la magia del momento o per paura che quella sensazione di calma, di beatitudine, smettesse di riempire i loro cuori. Quel giorno, come ogni giorno tra l’altro, Rocco era andato a Cuordilava per incontrare Miriam; nuvole di tempesta stazionavano su Brunifoglia, nascoste dal Monte Camino e la sua vetta fumante, quindi il sole, nella città del Signor Moore, splendeva rigoglioso e caldo. Proprio come piaceva alla signorina che, vedendo Rocco Petri arrivare, gli corse incontro, salutandolo con un bacio sulle labbra. Lui doveva consegnare delle rocce appena trovate sulla sommità del vulcano a suo padre, a Ferrugipoli, e le aveva chiesto di accompagnarlo. Quindi attraversarono il deserto, lui le diede i suoi occhialoni e si coprì la faccia con la maglietta, facendosi guidare da lei, almeno fino a raggiungere Ciclamipoli. E poi, da lì, fu una piacevole passeggiata fino alla Devon, dove consegnò ciò che doveva al padre. Miriam entrava in quei grandi palazzi sempre con grande timore reverenziale, inquietata e piena d’imbarazzo: tutti erano in giacca e cravatta, le camicie abbottonate al collo, le ventiquattr’ore pesanti; le donne poi, nei loro tailleur, le loro camicette s’aprivano su seni prosperosi tirati su da push-up in grado di fare miracoli. Lei non aveva mai avuto un reggiseno, ed era vestita con abiti vecchi e consunti. Vedeva quelle donne, con quelle acconciature profumate, ed i capelli sempre perfettamente lisci, mentre la sua coda di cavallo ormai era storia vecchia. Inoltre tutti la guardavano, perché Rocco era il figlio del capo e lei entrava sempre col ragazzo in quei palazzi. Ma questa situazione c’entrava poco: usciti da lì si resero conto che Brunifoglia aveva tirato le nuvole a Ferrugipoli, con un lancio fluido, unico e diretto. E quindi diluviava. “Come torno a casa?!” urlava lei, mentre il rumore della pioggia copriva la sua voce. “Tranquilla! Andiamo da me!” Corsero verso la magione Petri, un’elegantissima villa a nord della città. Attraversarono un ampia cancellata di ferro battuto che dava nell’enorme e curatissimo giardino. Mentre scappava, con la testa coperta dalle mani, Miriam riuscì a vedere una grossa fontana sulla sinistra che sgorgava acqua limpida sullo sfondo nero del cielo furioso. Rocco la tirò su per la scalinata che portava al grande ingresso, con portone blindato rivestito di legno d’ebano all’interno d’un arco fatto di marmo pregiato di Carrara, in Italia. Entrarono, lui sorrideva, lei no. Odiava la pioggia. “Eccoci arrivati” sorrise Rocco. Non era la prima volta che Miriam entrava in casa Petri, tuttavia la testardaggine della bella giovane lo costringeva a doverla riaccompagnare a Cuordilava a fine giornata, anche in tarda notte, perché lei non voleva rimanere lì. Si giustificava dicendo che non avrebbe potuto lasciare da sola la vecchia che l’aspettava a casa, ma la realtà era che si sentiva a disagio lì. Quella notte, però, non poteva tornare a casa. “Maledizione ad Hoenn ed alle sue piogge tropicali!” sbottò lei, davanti al camino, poco prima che Rocco la raggiungesse e la rifocillasse. E così lui accese il televisore e Miriam prese il telecomando in mano per la prima volta nella sua vita; non era la prima volta che guardava un televisore, nei centri Pokémon ce n’erano a decine, ma la vecchia signora con cui viveva non era propensa all’utilizzo d’apparecchiature così costose e tecnologiche e quindi fu particolarmente tenera la scena in cui lui le insegnava ad usare il telecomando. Guardarono “La Ricerca della Felicità” in televisione, giocarono a Pokkén e poi tornarono sotto le coperte, addormentandosi distesi sul lungo divano, davanti al camino, l’uno abbracciato all’altra. Fu quando, per un improvviso crepitio del camino, entrambi si svegliarono, che il loro amore si tramutò in qualcosa di più fisico. Fu lì che Rocco entrò per la prima volta nel corpo di una donna, in quello della sua donna, ed anche lei provò l’amore del suo uomo senza mai averlo fatto prima. Fu magico e doloroso. Traumatico ma romantico, come ogni prima volta che si rispetti. Ma fu ciò che accadde dopo che Miriam accarezzò, nascose sotto il palmo e rubò, portandolo sempre con se: Rocco la fece distendere al suo fianco e lei gli diede le spalle, aderendo al petto del ragazzo. Lui le sciolse i capelli, e le carezzò la testa per tutta la notte, ripetendole che non fosse sola e quanto lui l’amasse.
Il flashback di Miriam sparì d’improvviso, come se la pellicola che stava trasmettendo la sua mente si fosse bruciata d’improvviso. Davanti a lei ancora Rocco, dietro di lui ancora Groudon che combatteva contro Alice, Gold e Fiammetta.
Fiammetta; Rocco voleva l'altra in quel momento e la cosa la fece irritare e non poco. Ma poi lo guardò meglio negli occhi ed il dolore che provava era così forte da superare tutto.
Miriam capì che Rocco stesse soffrendo.
Tentennò per un momento, il suo cuore saltò un battito, il suo respiro si fermò.
Le importava davvero così tanto di quello che pensasse Rocco?
Avevano rilevanza i suoi sentimenti, in quel momento?
Lui era immobile ma due grosse lacrime lasciarono gli occhi d’acciaio dell’uomo, penetrando in quella rigida armatura e tuffandosi oltre l’ostacolo, scivolando lente lungo le guance.
“Rocco...” ripeté lei, turbata dalla vista dell’uomo in lacrime. “Spostati...” disse.
Lui strinse gli occhi ed i denti, chiuse i pugni e fece cenno di no, ostinatamente.
“Non posso” disse, disturbato dal pianto.
“Non voglio che tu muoia...” fece, prendendo a piangere, e la cosa stupì entrambi. Miriam era tornata umana, finalmente.
“Allora scusami” disse, non riuscendo più a trattenere quel malessere ed abbandonandosi ad un pianto corrosivo. Lei non capiva il motivo per cui lui si scusasse, ma lo vide lentamente alzare la mano, allungandola verso di lei.
Il pilastro sul quale i due ragazzi stavano, stretti peraltro, era tornato ad essere battuto dalle onde impetuose.
“Per cosa?” chiese poi Miriam.
In quel momento Rocco avrebbe voluto accoltellarsi, tagliarsi i polsi, la testa, il torace.
Avrebbe voluto strapparsi il cuore dal petto e gettarlo via, lontano.
Tanto non gli serviva.
Aveva capito che Miriam si fosse ammorbidita, lo vedeva dal suo sguardo e dal fatto che, mentre lui allungava la mano verso di lei, quella rimaneva ferma ed immobile, aspettando ben disposta il suo contatto.
Lei realizzò soltanto dopo.
Lui poggiò i polpastrelli sul suo cuore, la pelle della donna era incandescente.
La spinse.
E la spinta fu così leggera che quasi si sorprese di vedere la donna muoversi di conseguenza, indietro. Gli occhi di Miriam si spalancarono, cadde giù dal pilastro, con le lacrime che, più leggere, venivano lasciate indietro, timide spettatrici della morte cruenta della donna: trafitta nel cuore.
Già, nel cuore. Trafitta dall’unico, ultimo spuntone che lei stessa aveva creato e che era rimasto superstite dalla forza distruttiva di Groudon.
Gli occhi della donna rimasero aperti, la bocca spalancata sgorgava sangue; l’enorme squarcio nel torace aveva partorito una punta di roccia affilata, totalmente insanguinata.
“Per... ché...” domandò infine, prima che la scintilla nei suoi occhi si spense. Dalla sua schiena ricadde la Sfera Rossa, che atterrò nell’acqua del mare, da cui si pulì del sangue.
Miriam era morta.
Rocco l’aveva uccisa.
No.
Rocco l’aveva assassinata.
Il Campione era rimasto immobile, totalmente in silenzio, impaurito da ogni possibile movimento che avrebbe potuto effettuare per paura di poter incrociare la vista del corpo di Miriam, ormai ridotto a sacco di sangue, pochi, ed organi.
Si voltò lentamente, cercando di pensare ad altro, dall’alto di quel pilastro.
Groudon era crollato in acqua, alzando grandi quantità d’acqua.
“Vai! È crollato!” urlava Alice.
Fiammetta era rimasta immobile da quando, sedici secondi prima, s’era voltata verso Rocco, temendo per la sua incolumità: aveva visto tutto.
Aveva visto il suo uomo spingere giù dal pilastro di roccia Miriam, l’aveva vista morire ed aveva visto la Sfera Rossa galleggiare in acqua.
Realizzò che avrebbe dovuto recuperarla immediatamente, quindi saltò giù da Zapdos, da quasi cento metri d’altezza, atterrando nella gelida acqua del mare.
Senza uccidersi, incredibilmente.
Nuotò e recuperò lo strumento, rimanendo a guardare la scena successiva.
Difatti, Gold aveva tra le mani stretta un Ultraball.
“Vai!” urlò Alice. “Prima che si riprenda!”.
“Qui ci vuole Crystal...” sussurrò a se stesso il moro. Poi guardò indietro Rocco sul pilastro, Fiammetta in acqua, Marina e Pat ancora sulla spiaggia. Martino era oltre il muro, pensò che Rayquaza probabilmente stesse aiutando contro Kyogre, ma ciò che più contava era che in quel momento aveva capito che avrebbe dovuto catturare Groudon, da solo.
“Lanciala!” ribadì Alice.
Si voltò nuovamente, Gold, mai così insicuro; guardo Marina alzare la mano verso l’alto.
Era viva.
Lui sorrise e fece quello che avrebbe dovuto fare quasi un minuto prima.
“Vai, Ultraball!” urlò, lanciando la sfera dal dorso di Zapdos.
L’enorme massa di Groudon sparì all’interno della sfera, lasciando un vuoto visivo non indifferente. Strinse le dita intorno al cuore, come se fosse costretto da filo spinato, si sentiva così debole che stava per mollare lì.
Vide la sfera ricadere nell’acqua; prese a ballare, dondolando lentamente a destra e sinistra.
Parve passare mezz’ora, ma i rintocchi totali alla fine furono sempre e comunque tre, e intanto il dolore aveva deciso di voler prendere capo e coda della situazione e tirare: stava per perdere i sensi e quando la sfera si fermò, cullata poi soltanto dal dolce intercedere delle onde, un incudine gli cadde dai polmoni ai piedi.
Via all’ansia ed alla paura, s’abbandonò al dolore ed i suoi occhi si chiusero lentamente.
“Ce l’ha fatta!” urlò Alice, con le lacrime agli occhi.
“Abbiamo salvato Hoenn! Gold ha catturato Groudon!”.
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