Capitolo
4 -
Allattamento
Celia
si
trovò davanti uno spettacolo agghiacciante. L’interno cupo e buio
della
palestra era identico all’interno di una piccola casa delle bambole...
con
tanto di bambole. Un numero indefinibile di pupazzi di pezza con dei
bottoni
come occhi e tempestati di spilli su ogni parte del corpo giaceva
dentro quella
palestra. Alcune bambole gettate a terra, altre appoggiate sulle
numerose
mensole, sui mobili, altre ancora persino inchiodate al muro.
Eppure
c’era
qualcos’altro in quella stanza.
Ovunque,
letteralmente
ovunque, in quella palestra vi erano degli schizzi, delle
macchie, dei disegni o delle scritte indecifrabili fatte con
dell’inchiostro
nero. Era come se un pittore impazzito avesse preso in mano un pennello
di
grosse dimensioni, iniziando a macchiarci i muri, i pavimenti, le
bambole
stesse, il soffitto... Proprio guardando in alto, Celia rimase a bocca
aperta.
Una gigantesca stella a sette punte era stata disegnata sul bianco
intonaco di
quella stanza, in alto, passando sopra al lampadario infranto, e
giungendo a
toccare ogni lato del soffitto.
La
ragazza
cercò di riprendersi, si era lasciata andare in un “oh Dio...” ma anche quello le era morto in gola. Era indecisa, si
trovava ad un bivio, entrare in quel lugubre e inquietante posto o
uscire di
lì.
Si
preparò
a muovere il primo passo all’interno, quando avvertì un pianto, il
pianto di una ragazza i cui mugolii lamentosi e rotti risuonavano
all’interno della
palestra.
Celia
scomparve,
uscì dalla palestra e si chiuse la porta alle spalle, il sole la
irradiò di nuovo, a dire il vero le dette anche un po’ fastidio e fu
costretta
in un primo momento a strizzare gli occhi.
Si accorse di avere il fiatone, decise di calmarsi e riprendere
fiato.
Sarebbe rientrata nella palestra, in qualche modo sarebbe rientrata.
–
Il mio
nome è Xavier, ho appena iniziato il mio viaggio lungo questa regione e
sono
approdato qui – dichiarò il castano davanti ai due sguardi interrogativi
e
sorridenti dei Capipalestra. – vorrei sfidare questa palestra –
concluse.
I
due si
scambiarono un’occhiata. Xavier seguì i loro sguardi, in fase di attesa.
–
Ok –
rispose semplicemente uno dei due con il sorriso stampato sul volto.
Il
ragazzo
rimase un momento immobile, come se dovesse accadere qualcos’altro. In
quel frangente ebbe modo di studiare l’aspetto con cui si presentavano i
due
soggetti. Entrambi avevano dei lunghi capelli neri, fluenti, ma uno li
aveva
legati in una coda dietro la nuca, quest’ultimo era vestito a tema,
pantaloni
da safari, casacca sbracciata da pigliamosche, pieno di tasche e con
degli scarponcini
ai piedi; l’altro, invece, portava una felpa legata alla vita e dei
pantaloni
più educati, bianchi, ancora Xavier non era riuscito a realizzare come
il loro
colore non fosse ancora stato macchiato dall’erba, e infine una camicia,
anch’essa bianca, avvolgeva la parte superiore del suo corpo. I due
avevano una
corporatura simile, non particolarmente alti, ma dal fisico tonico,
giovanile.
Non
trascorsero
più di due istanti, Castore e Polluce presero la loro posizione a
bordo campo, nell’estremità del Capopalestra. Xavier imitò la loro
iniziativa e
decise di prendere posto dall’altro lato.
–
Ti
propongo una cosa prima di iniziare, sfidante, noi sappiamo dare ordini
anche
al Pokémon dell’altro... che ne dici se rendessimo questa lotta un
tantino più
complessa chiamando per nome il Pokémon al quale ordiniamo di attaccare?
In
modo che tu non sappia da quale dei due nemici proviene il colpo. – ideò
uno
dei due, quello vestito elegante coi capelli sciolti.
–
Sono
d’accordo – il fratello gli batté il cinque. – Ci stai, Xavier? – chiese
quello
con i capelli legati, chiamandolo per nome.
Il
castano
si rese conto che effettivamente non sarebbe riuscito a vincere tanto
facilmente se avesse rispettato quelle condizioni, ma, orgoglioso,
annuì.
Stette a pentirsene e a rimuginare sull’accaduto per i due millesimi di
secondo
seguenti, si morse il labbro e si stabilì di stare attentissimo per
quella
lotta, almeno finché non avesse scoperto il set di mosse avversario.
–
Venite
fuori! – esclamò Xavier lanciando le Ball di Eelektross e Pumpkaboo. I
due
esemplari fecero il loro ingresso in campo.
I
due
Capipalestra rimasero stupiti – Mandi in campo i Pokémon prima di vedere
quelli
dei Capipalestra? – chiese Codino.
–
Temerario – commentò Capellisciolti.
–
Ho con
me solo questi due compagni, quindi potete mettere quel che volete, la
mia
scelta non cambia – rispose Xavier a entrambi con la faccia spavalda di
chi
contraddice sicuro di aver ragione.
–
Ma così
faciliti a noi la nostra, di scelta – ribatté Codino.
Xavier,
che
fino a un momento prima si stava martoriando il labbro, si morse la
lingua.
Non sapeva da dove gli fosse arrivata quell’ondata di disattenzione che
gli
stava compromettendo previdenza e riflessione.
I
gemelli
risero. Per evitagli eventuali agevolazioni, voltarono le spalle allo
sfidante,
fecero intendere di starsi scambiando le rispettive sfere un numero
indefinibile di volte, in modo da non far capire chi fosse a lanciare il
Pokémon di chi e quindi per nascondergli persino la sua appartenenza.
Infine
si
voltarono, si misero in posizione e tirarono le Ball.
“Buona
l’acqua
fresca” pensava Guido tornando alla palestra di Costa Mirach a passo
lento sorseggiando una bottiglia di H2O con qualche minerale
dentro.
Stava facendo ritorno alla palestra dopo essere andato a rinfrescarsi.
Celia,
che
in quel momento era tornata ad avere un ritmo cardiaco naturale, lo vide
giungere
alla sua destra. Non saltò in aria per miracolo, ma si voltò furente
verso
l’uomo, che aveva riconosciuto essere la guida presente in ogni santa
palestra
del mondo e adibita all’introdurre essa ad ogni sfidante.
–
Mi può
spiegare che cosa succede là dentro?! – esclamò la bionda facendo
trasalire e
quasi strozzare l’uomo con la sua acqua. – Ci sono bambole che piangono
e
spilli e muri macchiati ed è buio! – proseguì con lo stesso piglio.
–
Ehi,
ehi, signorina, si calmi – la placò l’uomo. – Vuole dell’acqua fresca? –
chiese
mostrando la bottiglia.
–
Non
voglio dell’acqua fresca! – rispose lei ancora incazzata.
–
Se
proprio vuole sapere perché questa palestra è così particolare, le
spiego –
cominciò Guido ridestando la sua attenzione e in parte anche la sua
calma. –
...Luna, la Capopalestra, è una veggente ed ha sempre avuto un carattere
particolare e un po’... eh-eh... lunatico... e quello è il suo regno. Lo
addobba come vuole e i suoi gusti cambiano in base al tempo. Una volta
entri
nella sua stanza ed è tutto arcobaleni e fiori, il periodo primavera di petali, e la volta dopo ci sono poster raffiguranti
cadaveri sventrati e borchie, il periodo
metallara gore – riassunse quello.
–
Ah – si
calmò Celia. – ...e adesso in che periodo è? – domandò.
–
Eh –
mormorò Guido. – ...non lo so, a dire il vero è la prima volta che si
comporta
così, in più questa sua fase sta durando da un bel po’ ormai... a
pensarci bene
ancora non le ho dato un nome... vediamo – L’uomo cominciò a tirare
fuori denominazioni
a caso che riassumessero lo stato mentale di Luna in quel periodo, ma
Celia
aveva smesso di ascoltarlo e lui aveva sottratto la sua attenzione alla
ragazza.
La
bionda
di Austropoli era pronta a rientrare in quella palestra. Con un po’ di
coraggio, prese e aprì la porta, in un momento venne catapultata di
nuovo
all’interno di quel fantomatico mondo fatto di bambole martoriate,
spilli e
inchiostro nero. Camminò lenta e facendo attenzione a non calpestare
nulla, ma
impiegò del tempo prima di riabituarsi al buio pesto.
Di
nuovo
giunse alle sue orecchie il pianto, Celia fece una smorfia e cercò di
ignorarlo.
Si
muoveva
con calma, come si trovasse in mezzo ad un campo minato, col cuore a
mille e i nervi tesi, in cerca della Capopalestra. Ad un certo punto le
parve
di raggiungere una meta. In quel punto l’ammasso di bambole era più
grande e
sembrava celare qualcosa che si muoveva, qualcosa da cui provenivano i
singhiozzi.
Non
impiegò
molto a capire che si trattasse di Luna, allora con calma, senza essere
troppo invadente, mormorò un debole e timido “Salve...” che venne contrastato dal pianto forte mutato in un
gridare acuto della ragazza che, giunto tutto d’un colpo alle orecchie
di
Celia, la fece trasalire.
–
Andatevene, nubi! – iniziò a gridare la donna immersa nelle bambole
spillettate
e celata dal buio – Andatevene!
Celia
doveva
ancora riprendersi dallo shock, non ebbe il tempo di ascoltarla e di
decifrare le sue parole.
–
Luna! –
gridò quando il suo cervello tornò a funzionare.
–
Attenta
alle nubi! Stai attenta! – gridò la Capopalestra tra un singhiozzo e
l’altro.
–
Luna! –
chiamò di nuovo Celia.
La
bionda,
più per nervosismo destato dal timore che per rabbia, iniziò a
scuoterla stringendola per le spalle, aveva individuato il suo corpo e
faceva
di tutto per risvegliarla da quella sua furia cieca.
–
Le
nubi, le nubi, Celia! – gridò un’ultima volta la Capopalestra.
–
Luna,
voglio vincere una tua medaglia! – esclamò tutto d’un fiato la bionda
sovrastando persino la sua voce e dandole uno scossone talmente forte da
zittirla.
I
singhiozzi si fecero più lenti e le lacrime isteriche si trasformarono
in un
pianto calmo e doloroso. Per un attimo la bionda ebbe il timore di
averle fatto
del male, per questo non si mosse.
Durante
quel
frangente di calma riuscì a definire la fisionomia della ragazza che
aveva
davanti. Luna aveva, a occhio e croce, poco più di lei, ma era magra,
con la
pelle chiara e vestita di un abito da cameriera completamente nero,
pitturato, probabilmente
con gli stessi colori che sporcavano i muri. Il che aveva appunto
lasciato
numerosi segni sul suo corpo e anche sulle mani di Celia quando lei
l’aveva
afferrata. I capelli della ragazza erano di colore scuro, disordinati,
anch’essi probabilmente macchiati di tempera.
Il
singhiozzare
amaro di Luna proseguì per breve tempo, poi la ragazza smise e
rimase in silenzio. – ...tieni – sussurrò quindi a Celia prendendo una
bambola
a caso dal mucchio, e mettendogliela in mano. – ...ognuno dei loro occhi
è una
medaglia... la medaglia Eclissi – sussurrò a voce ancora più bassa.
–
Ma
come? Neanche tu combatti? – esclamò un po’ stupita ma affatto
preoccupata
Celia.
La
risposta
si fece attendere, poiché quando la bionda prese in mano la bambola,
Luna si girò su un fianco e smise di parlare e di muoversi.
–
Luna...? – riprovò dopo alcuni istanti la bionda.
–
Le
nubi, Celia, stai attenta alle nubi – concluse la Capopalestra con voce
bassissima, appena udibile, ancora scossa dal precedente pianto.
Celia
rinunciò,
strinse la bambola per quanto gli spilli conficcati in essa glielo
impedissero e si avvicinò alla porta.
Proprio
mentre
il vetro oscurato e scorrevole si apriva, le venne in mente che la
ragazza la aveva chiamata per nome, senza che lei le avesse mai rivelato
la sua
identità. Le fece strano, ma la luce del sole che la accecò per almeno
dieci
secondi le fece passare di testa quel pensiero che, nato nel freddo e
buio
antro dei dubbi del suo cervello, per coprirsi dai raggi solari indossò
un
mantello bianco con su scritto “facciamo
finta
che, in realtà, quella donna non abbia mai detto il mio nome”. E
tanti cari saluti.
Guido
vide
la bambola e sorrise alla bionda che, appena uscita dalla spelonca cupa
e
inquietante che era la palestra di Costa Mirach, doveva ancora abituarsi
alla
luce.
–
Sai che
ho trovato che nome dare a questo periodo? – le disse.
–
Ah sì?
– chiese sarcastica lei – E quale sarebbe? – domandò senza in realtà
avere il
minimo interesse riguardo quell’argomento.
–
L’ho
chiamato periodo notte dei poeti
e degli
assassini – sorrise Guido dando un altro sorso alla bottiglia di
acqua.
Celia
lo
guardò, scrutò la sua immagine a fondo ora che la sua vista glielo
permetteva
riuscendo solo a vedere al posto di quell’uomo un ammasso di cose di cui
non le
interessava una minima pagliuzza. Fece una smorfia strana. – Orribile –
commentò schifata. E andò via.
Due
Pokémon
comparvero sul terreno avversario, un Escavalier e un Accelgor. Quella
fu
la scelta dei due Capipalestra. Erano due esseri particolari, Xavier era
originario di Unima, perciò ne aveva visti a bizzeffe, ma quelli che
aveva
davanti sembravano più fieri, più allenati.
–
Prima
mossa a te, sfidante... – sorrise Codino.
Xavier
si
preparò mentalmente versando l’aria che aveva nei polmoni all’infuori.
–
Pumpkaboo, Bruciatutto, crea
un muro
di fuoco! - ordinò.
Il
Pokémon
eseguì, un’ondata di fiamme caotica e imprevedibile colpì in direzione
dei due
coleotteri avversari i quali furono costretti a tirarsi indietro per non
essere
colpiti da un attacco che avrebbe potuto infliggere loro parecchi danni.
Una nuvola
di fiamme rimase nel punto in cui Bruciatutto
aveva avuto il suo momento di massima espansione, per il tempo
necessario per
coprire il secondo attacco di Xavier. Un potente Falcecannone occultato dal fuoco, infatti, spuntò davanti
all’Accelgor
nemico che non fece in tempo a schivare l’attacco.
Xavier
conosceva
bene la velocità di un Accelgor, aveva ben pensato di danneggiare
entrambi gli
avversari con Bruciatutto e
allo
stesso tempo di sfruttare la mossa per non permettere ad Accelgor di
vedere e
schivare il secondo colpo.
–
Non è
malaccio – commentò Codino.
–
Assolutamente, ha studiato bene, direi... – sostenne Capellisciolti.
–
Gli diamo
sul groppone?
–
Gli
diamo sul groppone.
–
Doppioteam! – ordinò uno dei
due.
Accelgor
rispose
ai suoi comandi, Xavier annotò mentalmente.
Il
Pokémon
si sdoppiò in numerose sue immagini speculari, una dozzina di Accelgor
comparvero ad un paio di metri dal terreno, sopra le teste dei due
avversari.
–
Doppio Ago! – esclamò lo
stesso
Capopalestra.
Xavier
rimase
confuso, un Accelgor non era capace di utilizzare quella mossa. Capì il
tranello che era troppo tardi. Dal
basso,
Escavalier, passando nel punto cieco di Eelektross e Pumpkaboo che erano
occupati a tenere d’occhio i minacciosi Accelgor sopra di loro, aveva
assestato
ben due colpi centrando entrambi gli avversari con le sue due lance.
Violenza
pura. Eelektross cadde all’indietro e Pumkaboo fu sbattuto molto più
lontano.
Il
centro
della lotta si era spostato, ormai non si trovava più in corrispondenza
del
cerchio di luce solare ma poco all’infuori. L’erba si era leggermente
bruciata
al contatto col precedente colpo di Pumpkaboo, ma nulla di grave.
–
Eelektross, Sgranocchio su
Accelgor! Pumpkaboo,
Halloween su Escavalier!
–
Rispondi con Acidobomba! –
ordinò Capellisciolti.
Mentre
Eelektross
veniva intercettato dalla mossa di tipo Veleno
di Accelgor, il colpo di Pumpkaboo andava a buon fine, ora Escavalier
aveva tre
tipi, Coleottero, Acciaio
e Spettro, ed era mediamente vulnerabile alle mosse di quest’ultimo.
–
Fanculo, togliamo di mezzo Accelgor, Pumpkaboo Stordiraggio su Escavalier! – fece Xavier che si era reso conto che
la velocità del Pokémon Sgusciato
stava
dandogli parecchio filo da torcere e aveva deciso di lasciar stare la
sua
strategia basata su Halloween.
Una
flebile
lucina dondolante raggiunse Escavalier che non poté per forza di cose
difendersi, il Pokémon rimase stordito.
–
Entomoblocco su Pumpkaboo! –
ordinò Codino.
–
Scordatelo, Lanciafiamme e Bruciatutto, voi due! – esclamò
Xavier.
Effettivamente,
il
nemico fu colto impreparato. Due fasci di fuoco, uno più grande, l’altro
più
modesto, circondarono il Pokémon Sgusciato
che si trovò, ironicamente, proprio tra due fuochi. I colpi andarono a
segno,
Accelgor cadde a terra quasi esausto.
–
Sdoppiatore – ordinò Capellisciolti.
I
Pokémon
di Xavier non se ne resero conto, neanche Xavier a dirla tutta, ma
Escavalier
era tutt’altro che confuso.
Ci
fu un
impatto violentissimo, il Pokémon Cavaliere,
con addosso la sua armatura pesante di metallo, si scagliò con tutta la
sua
mole addosso a Pumpkaboo che fu scagliato vicino all’Accelgor nemico.
–
Cazzo,
Eelektross, Sgranocchio! –
fece
preoccupato Xavier, leggermente in tensione.
–
Contropiede – rispose Codino.
Escavalier
fu
colpito dalle fauci del Pokémon Elettropesce,
ma rispose immediatamente con un rude colpo con il lato della lancia che
fece
piegare Eelektross in due.
–
Ci
vuole ben altro per far perdere la concentrazione ad Escavalier, Xavier!
-
esclamò con un ghigno soddisfatto uno dei due Capipalestra. Il ragazzo
di Unima
si rese conto che non era stato previdente concentrandosi solo su uno
dei due
avversari. Escavalier non era rapido quanto il suo compagno, ma
sicuramente lo
batteva in potenza. In tutta questa combo, il tanto ostico Accelgor era
rimasto
a terra, mentre Pumpkaboo aveva trovato la forza di rialzarsi.
–
Finiscilo con Metaltestata –
ordinò Capellisciolti riferito
al Pokémon Zucca.
Escavalier
si
lanciò contro di lui di gran carriera.
–
Perfetto, usa Malcomune! –
ribatté
Xavier.
La
carica
del Pokémon Acciaio/Coleottero fu
intercettata
dalla forza psichica di Pupkaboo. Escavalier si contorse, il
Pokémon di Xavier stava sottraendogli energia a distanza in modo da
pareggiare
la loro forza vitale rimanente. Ed era molto ampio il divario tra i due,
considerando che Pumpkaboo ne aveva prese, e anche molte, mentre
Escavalier era
sì e no stato toccato da un colpo anche piuttosto debole.
Improvvisamente,
Escavalier
fu più stanco mentre Pumpkaboo si ristabilì quasi del tutto. Xavier era
soddisfatto della sua mossa.
–
Non ci
riesci, Gigassorbimento! –
ordinò un
Capopalestra.
Repentino
come
un fulmine, Accelgor si rialzò da terra e bloccò Pumpkaboo da dietro
mummificandolo con le due bende che aveva attorno al collo. Un bagliore
verde si
manifestò nel punto d’incontro tra i due Pokémon. Accelgor mollò
Pumpkaboo che
cadde a terra rovinosamente. Esausto.
Xavier
non
fu affatto felice di ciò, aveva perso un Pokémon e aveva a disposizione
solo
Eelektross che era anche abbastanza stanco, mentre doveva fronteggiare
un
Escavalier con metà delle sue energie e un Accelgor appena tornato nel
pieno
delle forze. Per colpa sua, in più.
Fece
rientrare
il Pokémon Zucca. In quel
momento si
accorse di una cosa, un brandello di una sottile membrana nera cadde
davanti a
lui svolazzando nell’aria, un brandello della fasciatura di Accelgor, lo
riconobbe subito. Capì immediatamente, ricordò che gli Accelgor devono
tenersi
sempre idratati e potevano creare una membrana umida per farlo da soli,
ma
evidentemente quello del suo avversario non ne aveva avuto il tempo.
Inoltre dopo
esser stato circondato dai due fuochi ed essere rimasto fermo sotto il
fascio
di luce per un bel po’... si era evidentemente “seccato”.
Sorrise.
–
Eelektross, Lanciafiamme,
incendia
tutto!
Il
Pokémon
raccolse le sue forze e sputò un getto infuocato
potentissimo che colpì
Escavalier per primo, essendo il più vicino a lui, poi di striscio anche
Accelgor. Il colpo arroventò l’atmosfera.
–
Continua, mira ad Accelgor!
Altro
fascio
di fiamme. I due Capipalestra furono rimasero stupiti, Xavier conosceva
bene i
Pokémon e i loro punti deboli, e sapeva pure sfruttare quei punti a suo
vantaggio, sicuramente avevano trovato un degno avversario. Eppure
successe qualcosa
di imprevedibile, Escavalier si schierò davanti al compagno che stava
per
essere colpito, Accelgor perdendo acqua, aveva perso anche velocità di
movimento. Il Lanciafiamme
colpì in
pieno il Pokémon Cavaliere che
rovinò
a terra esausto.
–
Ma
allora non dovevo preoccuparmi più di tanto, elimina anche Accelgor, usa
Colpo! – ordinò Xavier.
Capellisciolti
stava
ritirando
Escavalier nella sfera, Codino
entrò in soccorso del Pokémon Sgusciato.
– Attacco Rapido! – ordinò.
Accelgor
si
scagliò repentino contro Eelektross. Ma servì a poco e niente, la sua
effettiva
forza fisica era imparagonabile a quella avversaria, il corpo a corpo
non era
per Accelgor. Il Pokémon fu intercettato da Eelektross che lo stordì
prima di
tutto con una capocciata, quindi iniziò a massacrarlo a forza di colpi
devastanti con i suoi artigli senza dargli un momento di tregua. Quando
Accelgor
perse conoscenza, il Pokémon Elettropesce
pose fine al suo momento berserk, concludendo la lotta.
Xavier
aveva
vinto.
Kalut
aprì
gli occhi, vide l’erba, prima di tutto, l’erba che aveva davanti e
l’erba
sulla quale si era addormentato. Quindi avvertì la presenza di
Venipede, ancora
stretto al suo corpo. La sua mente impiegò un po’ a comprendere che
non era
morto. Kalut sorrise, sorrise davvero, con gusto, un sorriso che
proveniva dal
suo ventricolo destro. Si alzò in piedi, mossa che svegliò Venipede.
Si guardò
attorno, guardò il suo corpo, lo toccò, strinse i suoi capelli. Si
accorse di
essere vivo.
Si
rese
conto che il sonno era finito.
Il
ragazzo
balzò in piedi, si sentiva carico e pronto a qualsiasi cosa, era
felice, soddisfatto, ma... tutto in un momento, questo finì. Una
scossa
attraversò tutto il suo corpo, una specie di contrazione, un dolore,
da alcuni
punti di vista. Lui si piegò in due, mugolò premendosi con una mano
l’addome.
Aveva
fame,
sentiva il bisogno di mangiare.
Venipede
si
accostò a lui, probabilmente il Pokémon aveva compreso. Subito si
diresse
verso un albero e cominciò a salire sulla sua corteccia, Kalut,
distratto dal
morso allo stomaco, lo seguì con lo sguardo. Venipede scomparve tra le
foglie
dell’albero, il ragazzo avvertì il rumore di alcuni rami che venivano
mossi, il
fruscio delle foglie giungere alle sue orecchie.
Dall’albero
cadde
una Baccapesca che precipitò a terra, tra l’erba. Kalut rimase
leggermente basito. Venipede tornò a fare capolino dalle foglie, come
per
richiamare il ragazzo. Quindi tornò indietro e fece cadere altre due
Bacchepesca. Kalut comprese, si abbassò e le raccolse, le strinse tra
le mani.
La quarta Baccapesca la prese al volo.
Si
convinse
e le diede un morso.
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