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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 05 - Ricerca

Capitolo 5 - Ricerca

Un salto. Niente. Un altro salto. Niente.
Le bacche erano troppo in alto perché Kalut riuscisse a raggiungerle. Venipede comprese il suo disagio e la sua fame, decise quindi di tornare sull’albero e facilitare il gioco al ragazzo lasciandogli cadere altri frutti. La creatura cominciò a salire lungo la corteggia, lentamente, con calma. Il ragazzo lo fissò con occhi spiritati, coinvolti fino all’ultima cellula. Ovviamente si avvicinò alla corteccia e provò anche lui a scalarla, mise un piede su di essa, una mano, poi un altro piede un po’ più in alto... si accorse troppo tardi di non avere appigli e rovinò miseramente a terra spellandosi leggermente il ginocchio e la coscia. Non demorse, riprovò e si fece di nuovo male.
 
Celia fissava la bambola che aveva in mano.
Nel frattempo, attorno a lei, plotoni di persone tra clienti e camerieri si muovevano freneticamente. Vassoi che scorrevano agilmente tra gli sguardi sperduti di potenziali clienti appena entrati nel ristorante che scrutavano tra la coltre di teste e pietanze in cerca di un tavolo vuoto adatto ad essere inquinato dalla loro presenza. Ogni tanto un bambino sfuggiva dalla campana di vetro dei genitori, cominciava a correre tra le gambe della folla fino a sbattere con le gambe di un qualche cameriere che, obbligato dal suo mestiere ad essere sempre sorridente, eludeva giovialmente il bambino come si fa con l’assillante richiesta di un mendicante e continuava per la sua strada. Un chiacchierare entusiasta e acuto aleggiava nell’aria, l’acciottolare dei piatti era il tappeto.
La ragazza si decise, era ancora ferma al tavolo su cui aveva consumato il suo pranzo, ma poco gliene importava, i camerieri erano troppo impegnati per preoccuparsi di una ragazza che occupava un solo posticino ad un angolo buio e sperduto della sala. Celia prese un coltello e tagliò alla meno peggio il filo che teneva attaccati gli occhi-bottoni della bambola alla sua testa, ne rimosse uno, dopo aver liberato quel punto da tutti gli spilli che vi erano conficcati. Quel pezzo di metallo che le rimase in mano aveva la parvenza di un bottone ma la sua forma era leggermente più complessa, i quattro buchi che vi erano aperti al suo interno erano decorati in modo strano e tutti i bordi erano rifiniti. Diede un’occhiata all’altro “occhio”. Stessa cosa. Aveva tra le mani ben due medaglie Eclissi una delle quali ancora attaccata alla bambola di pezza macchiata di inchiostro.
Le venne in mente di chiamare Xavier e regalargliela.
Impiegò alcuni minuti a trovare il suo contatto sul PokéNet, lo strumento era talmente intuitivo da risultare a volte fastidioso all’uso, e lo chiamò. Il ragazzo rispose in video, si vedeva chiaramente dal piccolo display che aveva la bocca piena e un panino tra le mani.
– Oh, Celia, dimmi – rispose il castano.
– ...’spetta... – la ragazza era intenta a cercare l’interruttore a sfioramento, individuò il punto, ci passò sopra il polpastrello e immediatamente l’immagine di Xavier mutò in una sua proiezione olografica. – Ok, ci sono, volevo dirti... – rimuginò un istante.
– A parole tue – incentivò lui.
– A quante medaglie sei? – domandò Celia.
– Una.
– Io tre – ribatté lei assistendo al più radicale mutamento di espressione che avesse mai visto fare a Xavier.
– Tre?! – chiese incredulo lui. – Caspita sei stata via un giorno e mezzo...
Celia rise. – Ma aspetta, non è così semplice, due sono uguali, ho due medaglie Eclissi, ne vuoi mica una? – spiegò.
– Eh... – Xavier non capiva perfettamente, ma cercò di mandar giù la notizia allo stesso modo. – Presumo di sì? – Era più una domanda che una risposta.
– Dai, tanto la Capopalestra è una pazza, non ti chiede di combattere, ti dà la medaglia e via...  – affermò Celia.
– Come? Non combatte?
– No, e io sono stata fortunata, non ho dovuto sconfiggere neanche Arturo, sul percorso ho incontrato il Campione Antares e lui mi ha dato uno strappo fin qui facendomi anche prendere la medaglia di Vulpiapoli senza sfidare il Capopalestra – sorrise gaia lei.
– Davvero...? – chiese il ragazzo un po’ deluso e un po’ infastidito.
– Davvero – confermò lei.
– Mh... – Pausa. – Vabbè... il resto come va?
– Tutto bene, io sono abbastanza avanti e mi sto divertendo, tu invece?
– Anche io, i Capipalestra qua a Borgo Asterion sono ossi duri, però, in compenso... – dette un morso al panino che brandiva come un trofeo. – ...si mangia bene.
– Vedo.
– La squadra? – domandò a bruciapelo lui.
– Oh cavolo, devo ancora trovare un compagno a Gel... – ricordò lei un poco allarmata.
– Ah, io ho un Pumpkaboo! – sfotté lui.
– Un Pumpkaboo...? – domandò lei lasciando trapelare il sarcasmo.
– È un Pokémon molto forte – ribatté Xavier.
– Mh, vabbè, adesso dove sei diretto tu? – chiese la bionda cambiando argomento.
– Penso... penso che andrò a Idresia – rispose.
– Ah, anche io avevo idea di andare lì, siamo più o meno alla stessa distanza. Facciamo una cosa...
Xavier aguzzò l’attenzione.
– Passiamo dal Professor Willow e poi andiamo a battere il Capopalestra insieme, il primo di noi che arriva aspetta l’altro, così ti do anche la medaglia, che ne dici?
Il ragazzo annuì. – Ci sto, magari lottiamo anche.
La loro chiamata terminò.
Celia rifletté un istante su ciò che aveva detto il castano. Pensò che effettivamente lei aveva a disposizione soltanto Gel e Xavier conosceva bene le sue mosse. In più i Reuniclus sono vulnerabili al tipo Spettro dei Pumpkaboo. Aveva bisogno urgente di un nuovo Pokémon.
La ragazza pagò il conto e si diresse immediatamente fuori, volle ripartire subito. Guardò sul PokéNet e notò che le mancavano diverse ore di cammino per giungere al fiume Eridano. Idresia si trovava su un isoletta che sorgeva al centro di un lago formato dal rigonfiarsi del fiume stesso al centro della regione. Ancora sentiva l’acido lattico di quella mattina, ma poco gliene importava. Si mise in cammino con Gel che le galleggiava accanto, ma non prima di aver dormito una mezz’ora.
 
Xavier accartocciò la busta che conteneva l’hamburger appena consumato e la gettò nel più prossimo cestino. Prese il passo, la direzione era Idresia e la sua squadra, appena ritirata al bancone del Centro Pokémon, gli sorrideva radiosa.
Tirò fuori il PokéNet e impostò la destinazione nel programma Navigatore. Secondo i calcoli del dispositivo avrebbe impiegato sette ore circa di cammino per raggiungere la cittadina. Era pronto ad affrontare la scarpinata.
 
Kalut era steso a terra, Venipede gli girava attorno mentre lui fissava il cielo. Calmo, sereno, silenzioso. Il Bosco Lira sembrava privo di vita, eppure ogni istante un nuovo e sconosciuto suono giungeva alle sue orecchie.
“Kricketune, Roselia, Combee...” pensava lui man mano che il suo cervello identificava la specie che emetteva il verso. Si accorse di saper dare un nome a quei Pokémon, si rese conto di conoscerli. Era come se nel suo cervello ci fosse qualcosa di già scritto, qualcosa che andava scoperto di nuovo. Ma era troppo complesso e troppo nascosto perché lui ci riuscisse.
– Venipede! – esclamò, nella sua spensieratezza. Il Pokémon ridestò la sua attenzione, sentendo il richiamo. Kalut rise, rise di gusto, senza motivo, ma rise.
Ad un certo punto la sua serenità fu minata da un rumore, il muoversi di un ramo improvvisamente. Di nuovo.
Si alzò in piedi.
Eppure, il ragazzo non provò timore, la prima sensazione che giunse alle sue sinapsi non fu l’ansia né tantomeno la paura. Si sentiva dentro, si sentiva attratto da quella sensazione di sconosciuto che aveva intravisto in quel suono. Sentiva di voler capire di che cosa si trattasse.
Fece un gesto a Venipede per intimargli di seguirlo e cominciò a camminare.
 
– Quello? Ti piace? – chiese Celia rivolta a Gel mostrando un Cherrim col display del suo PokéNet. Il dispositivo era fornito di un database contenente informazioni riguardanti tutti i Pokémon trovabili a Sidera ordinati in base alla zona. Il Pokémon la fissò con occhi delusi. – No, infatti, neanche a me... – si rispose la ragazza.
La bionda si muoveva lungo il sentiero da un paio d’ore, il sonno lo aveva recuperato e si sentiva pronta a concludere il viaggio verso Idresia in un giorno, proprio per questo nel tempo limite di un arco solare doveva trovare un Pokémon da aggiungere al suo team.
– Quello invece? – Un Purugly, stavolta, era mostrato nello schermo. Il Reuniclus non le rispose neanche. Celia scosse di riflesso la testa.
In quel momento le venne un’idea. Secondo le mappe nei pressi del punto dove stava camminando in quel momento vi era un antro poco profondo. Lei sapeva per certo, per una di quelle credenze che si acquisiscono da bambini e poi faticano ad andarsene nel corso degli anni, che nelle grotte si trovavano sempre dei Pokémon interessanti. Decise di incamminarsi verso questo luogo e magari esplorare questa caverna per capire quali esemplari esotici si potessero catturare al suo interno.
Non impiegò molto a trovarla, non mancava di senso dell’orientamento, una fessura in un massiccio vicino si apriva quasi ad accogliere gli allenatori in cerca di rogne. Camminò per un po’ in tondo all’interno della prima stanza della grotta, sempre rimanendo nei pressi della sagoma di luce disegnata a terra dalla porta, dato che era sprovvista di una torcia, indecisa se inoltrarsi ancora o cercare cose interessanti in quel punto. Decise di spingersi un po’ oltre. Ad un certo punto udì il gutturale verso di un Pokémon giungerle alle orecchie. Si voltò e con lei Reuniclus.
Probabilmente infastidito dalla loro presenza, un Gible aveva abbandonato il nido e, battagliero come tipico della sua specie, era venuto ad affrontare l’intruso.
Il Pokémon piacque alla bionda che fece un semplice calcolo, Terra: resistente a Eelektross e Drago: resistente a Pumpkaboo. Non ci pensò due volte.
Psichico, Gel! – ordinò.
Una pressa invisibile cominciò a spremere le tempie del Pokémon Squaloterra che, ancor più incazzato, si lasciò sfuggire un Riduttore con cui centrò il Reuniclus troppo impegnato a strizzargli la materia grigia.
Stordipugno! – il suo ordine risuonò nella caverna.
Le forti braccia di Gel incontrarono il corpo di Gible ancora scosso dal contraccolpo che tentò di contrattaccare con Lacerazione ma fu vinto dalla potenza avversaria. Cadde a terra stanco ma non esausto. Celia voleva prima sfinirlo, quindi ordinò al suo Reuniclus di utilizzare Psiconda.
Una sorta di immagine violacea dalla sagoma simile a quella del Pokémon Espansione partì dal corpo gelatinoso di lui per colpire l’avversario emanando una luce accecante. Gible rimase sconfitto, ma il bagliore diede per un istante a Celia la possibilità di vedere che appesi al soffitto vi erano numerosi Zubat e Woobat. Non ebbe il tempo di calcolare la gravità della situazione, la luce improvvisa spinse l’insolito stormo di Pokémon Pipistrello a riversarsi, innervositi dalla sveglia indesiderata, all’interno della caverna e a sbattere le ali freneticamente creando una fattispecie di vortice svolazzante attorno a Celia e Gel. La ragazza si spaventò ma il suo Pokémon  fu lesto a creare una barriera psichica attorno a loro due per impedire ai Pokémon selvatici di colpirli.
Celia, all’interno della bolla, sentiva i corpi degli Zubat cozzare contro le pareti traslucide e poi subito dopo il più debole ma ripetuto sbattere delle loro ali nello stesso punto, i Woobat invece erano più controllati e attaccavano una volta, due al massimo, prima di gettare la spugna e lasciare che la barriera rimanesse al suo posto.
La furia di alette e dentini si concluse poco dopo. Alcuni di quei Pokémon erano usciti dalla grotta per affrontare il sole e altri invece si erano rifugiati spingendosi nei visceri più profondi e reconditi dell’antro. Celia e Gel erano al sicuro. Il Pokémon lasciò che la barriera si dissolvesse.
– Che cavolo... – commentò la ragazza mentre il suo cervello faceva mente locale. – Oh no! – esclamò. Le era tornato in mente Gible. Si voltò.
Il Pokémon era disteso a terra, pieno di graffi e ferite, totalmente devastato. Lo stormo aveva attaccato ciò che poteva attaccare, l’unico Pokémon esterno allo scudo psichico di Reuniclus.  La ragazza si appropinquò a lui. Poteva perfettamente udire il suo respiro affannato e rotto. Era ancora vivo.  Celia prese il Gible tra le braccia e corse fuori dalla caverna.
La luce investì i suoi occhi costringendola a strizzarli per i primi momenti. Le venne in mente che la cittadina più vicina era Costa Mirach, da cui lei era partita, ed era ad un’ora e mezza di cammino. – Merda... – In un primo momento non vide la salvezza per quel Pokémon che aveva in braccio, poi una lampadina a risparmio energetico si accese nel suo cervello. La ragazza diede Gible a Gel e aprì la borsa.
Ben cosciente del fatto che non sarebbe bastata a ristabilirlo completamente, tirò fuori una Cura Ball dalla tasca laterale e, attivandola, la poggiò delicatamente sul corpo del Pokémon Squaloterra. La sfera si aprì e lo risucchiò al suo interno. Il Pokémon era stato catturato, neanche aveva provato ad opporsi.
– Andiamo! – esclamò la bionda prendendo a correre verso il sentiero che aveva seguito nell’intento di ripercorrerlo tutto al contrario.
 
Era tardo pomeriggio e Xavier si trovava a metà strada, Borgo Asterion era leggermente più vicino a Idresia rispetto a Costa Mirach, lui era certo che l’avrebbe raggiunta prima di Celia. Il ragazzo guardò l’orario e iniziò a prendersi il viaggio alla maniera più comoda. Sconfisse qualche Pokémon selvatico, allenò i suoi due compagni di squadra, Eelektross e Pumpkaboo e si preparò ulteriormente sia alla lotta con Celia che a quella con la Capopalestra di Idresia.
 
Kalut era in posizione di guardia. Scrutava l’ambiente circostante con attenzione e un broncio di concentrazione in volto, accanto a lui Venipede. Un ramo sopra di lui si mosse ancora, i suoi occhi si diressero tra quelle fronde da cui, dopo alcuni istanti, uscì uno Staravia pronto all’attacco, in cerca di prede. Kalut si tirò indietro in modo da eludere il becco del Pokémon mentre Venipede si preparava a ricevere ordini di attacco.
– Staravia... – sussurrò Kalut. – Venipede! – esclamò tendendo il braccio al suo Pokémon. Il Centipede si aggrappò alla mano del ragazzo, salì sul suo arto e, passando sopra le spalle, giunse all’altro braccio da cui, come se avesse inteso perfettamente le intenzioni di Kalut, si gettò attaccando con Rotolamento il Pokémon avversario. Staravia incassò il colpo ma non ne rimase danneggiato gravemente, quindi rispose con Attacco Rapido, ma Venipede resistette.
Kalut annuì, in qualche modo, sapeva di star comunicando le mosse al Pokémon, ma non aveva idea di come il suo cervello potesse conoscere così tante strategie, tecniche, possibilità di combattimento. Seguiva nel frattempo la lotta con occhi smarriti, troppo occupati a studiare quello che aveva davanti e ogni possibile suo esito. La sua mente come un computer elaborava gli avvenimenti e ne elencava le possibili risposte alternative, in conclusione sceglieva sempre quella più conveniente. Tutto in pochi millisecondi.
Il ragazzo gridava rendendosi conto che Venipede stava per essere colpito a sinistra da Aeroassalto, lui usava Ricciolscudo e si difendeva. Chiamava il nome del Pokémon quando Staravia mostrava il fianco, un Velenocoda subito veniva sferrato da questi andando perfettamente a segno.
Il Pokémon Centipede colpì un’altra volta l’avversario, Staravia barcollò, ma non si arrese. Le sue ali si illuminarono e per un istante i suoi occhi si diressero verso Venipede. Kalut lo notò, ma senza un reale motivo non fece nulla per allertare il suo Pokémon e quest’ultimo incassò un Attacco D’Ala. Il messaggio lo raggiunse, coniò ufficialmente la sua sicurezza del fatto che il Venipede si basasse sui suoi avvertimenti per attaccare e difendersi. Kalut sorrise.
Staravia si avvicinò per un secondo attacco, il ragazzo avvertì il Pokémon un ultima volta. Protezione. Quindi Rulloduro. E l’avversario era a terra.
Kalut ispirò, permise a Venipede di riavvicinarsi tenendo gli occhi fissi sul Pokémon uccello svenuto ai suoi piedi. Aveva vinto.

Cacciò un grido di sfogo e felicità insieme.

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