Capitolo
10
- Interazione
Xavier era seduto al tavolo di fronte al
padrone di
casa. Il professor Willow aveva proposto al ragazzo di rimanere a pranzo
da lui
e, dopo avergli cucinato un’insipida scaloppina, lo aveva servito
educatamente.
I due mangiavano, entrambi molto affamati, senza distogliere gli occhi
dal
piatto se non per scrutarsi per brevi istanti con gli occhi pregni di
quella
sporca fiducia che ognuno aveva nei confronti altrui. Il cozzare del
coltello
di Xavier contro il piatto di coccio faceva sempre drizzare le antenne
al
professore portandolo a riguardare il ragazzo nascosto dietro i suoi
occhiali
soltanto di striscio.
La silenziosa armonia tra i due si ruppe quando
la
suoneria del PokéNet di Xavier che era stato accuratamente riposto su di
una
mensola della cucina suonò insistentemente. I due si voltarono verso il
dispositivo come spaventati.
– È il mio – commentò il castano pulendosi la
bocca con
il tovagliolo e alzandosi dal tavolo con fare disinvolto.
Il professore smise pure di mangiare ma senza
lasciare
la sua posizione, ma aspettandolo educatamente seduto al proprio posto.
– È Celia – fece Xavier leggendo il nome sullo
schermo.
Effettivamente la bionda possedeva, escluso
Willow,
l’unico altro PokéNet in utilizzo.
– Celia – salutò rispondendo e proiettando
l’ologramma
della ragazza nell’aria.
– Xavier, dove sei? – chiese lei leggermente
stranita.
– Io... sono dal professore... – rispose il
ragazzo con
voce innocente di chi dice un’ovvietà.
– Ma...! – esclamò lei infastidita. – Ma sono
qua sotto
che suono il campanello da dieci minuti e nessuno mi apre! – sfogò.
– Ah, chiedi scusa da parte mia, Xavier, vado
subito ad
aprirle! – intervenne Willow che stava seguendo la chiamata dei due da
dietro
le quinte alzandosi e andando verso il citofono che era accanto alla
porta. –
Perdonami Celia, quarto piano appartamento di destra. – fece alla
cornetta
premendo il tasto contrassegnato dalla chiave stilizzata in rilievo
sulla
plastica bianca accanto.
Xavier riagganciò la chiamata dato che la
sorella si era
distratta rendendosi conto che il portone le si era aperto solo in quel
momento, quindi guardò il professore con sguardo lievemente incantato.
– Eh, lo sai, il campanello col mio nome
corrisponde
all’altro appartamento – si scusò con Xavier l’uomo senza aver ricevuto
accusa
alcuna.
Celia raggiunse il pianerottolo. Vedendo per
primo il
professor Jason Willow si impose di nascondere la sua espressione
stravolta
dall’attesa, dal viaggio e dalle rampe di scale con un sorriso.
– Devi scusarmi, figliola, ma eravamo
nell’altra casa e
non pensavamo che arrivassi così presto a dire il vero – L’uomo le
strinse la
mano.
– Non fa niente, l’importante è che vi ho
trovato –
sdrammatizzò lei con un po’ di fiatone e rispondendo al saluto.
La bionda entrò nell’appartamento e subito i
suoi occhi
caddero su Xavier che era tornato a sedere al tavolo.
– Fratello.
– Sorella.
I due si limitarono a lascivi convenevoli
verbali.
Nonostante facesse strano a entrambi chiamarsi in quel modo, dato che
non erano
veramente uniti da legami di sangue, continuavano a salutarsi con tali
appellativi, poiché faceva ancora più strano ai due chiamarsi per nome.
Quindi
si davano i nomi di “fratello” e “sorella” amichevolmente, come due
storci vicini
di banco.
Xavier buttò l’occhio sulla ragazza. Celia era
giunta
alla metà fradicia di sudore e tutta rossa in faccia, ma era
comprensibile,
aveva percorso parecchi chilometri.
– Celia, benvenuta alla mia umile dimora, se
vuoi
accomodarti, posso preparare anche per te... – propose l’uomo.
– No – intervenne precipitosa lei. – Posso
invece farmi
una doccia? Ne ho davvero bisogno - implorò.
– Oh... certamente, il bagno è la seconda porta
a destra
nel corridoio – indicò Willow.
Celia scomparve alla vista dei due.
– Fammi cucinare anche per lei, va’ – pronunciò
tra sé e
sé il professore.
Messa una seconda fettina a sfrigolare sulla
padella,
l’uomo poté risedersi al suo posto e proseguire il suo pasto.
– Scommetto che lei ha scelto anche Celia come
tester
del PokéNet solo perché è mia sorella, vero? - domandò ad un certo punto
dal
nulla il castano.
Willow si bloccò. – Scusami? - chiese.
– Celia – ripeté il ragazzo. – Non l’avete
scelta per particolari doti da
Allenatore... –
Enfatizzò parecchio le ultime quattro parole per evidenziare la
citazione. –
...lei non è mai stata un asso con i Pokémon, ma era mia sorella e
doveva
essere imparziale, o mi sbaglio? – assottigliò il discorso Xavier.
Il professore sbatté gli occhi rapidamente un
paio di
volte. Posò la forchetta sul piatto rinunciando al boccone che aveva
selezionato.
– Hai proprio ragione – confermò con
espressione piatta.
– Mh. E comunque ha fatto ben poco e ha già due
medaglie, non penso sarà di grande utilità alla ricerca... – proseguì il
castano.
– Ah, lascia stare, lo so...
Il silenzio cadde nella cucina, il sottofondo
della
carne sfrigolante e il tappeto del suono costituito dal rumore dello
scorrere
dell’acqua utilizzata da Celia la facevano da padrone. Xavier era
rimasto
immobilizzato e Willow si sarebbe morso la lingua duecento volte se non
avesse
avuto in bocca quella forchettata di cibo che aveva riesumato ma aveva
comunque
smesso presto di masticare. Il ragazzo alzò leggermente lo sguardo dal
suo
piatto tornando con gli occhi al professore.
– Lo sapeva già? Come è possibile? – domandò
con una
chicca di tono aggressivo e gutturale il giovane.
– Io? Cosa intendi dire?
– Sapeva che mia sorella ha ottenuto due
medaglie senza
sforzo, la cosa non l’ha stupita minimamente!
– Io... – Jason Willow temporeggiò per l’attimo
fatale.
– Io posso monitorare il livello di crescita dei vostri Pokémon tramite
il
Glowe tramite una scansione automatica che raccoglie dati ogniqualvolta
voi
prendiate in mano una Ball, anche quello fa parte della mia ricerca! –
quasi
gridò lo studioso.
La tensione non si fece mai sottile come in
quel
momento. L’aria era pesante, ma gli angoli mentali di Xavier si
arrotondarono.
– Mh... – emise il ragazzo.
– Xavier, perché sei così sospettoso e cerchi
il pelo
nell’uovo per qualsiasi cosa? – domandò l’uomo. – Per caso non ti fidi
di me?
Il castano riprese la concentrazione. – Uno
sconosciuto
ti invia una lettera a casa e degli apparecchi non ancora presenti in
commercio
senza spiegarti perché ma ti chiede di attraversare una regione. Ho il
diritto
di essere diffidente e deve scusarmi se do poca fiducia, ma ho viaggiato
molto
e ho imparato che non sempre tutti hanno buoni propositi in mente. Celia
no,
lei è più giovane e non ne ha passate tante quanto me.
– Capisco, ragazzo... ma ti dico per certo che
di me
puoi fidarti, se proprio debbo dirtelo, alla fine del viaggio ci sarà
una...
chiamiamola... sorpresa, ma non voglio ancora svelarti cosa sarà. Per il
resto,
lavoro per lo stato, di me puoi fidarti, tutto questo non è né una
buffonata né
una fregatura – confermò l’uomo.
Xavier ricambiò il suo sguardo e accennò un
sorriso. –
Va bene, facciamo che io mi fido e lei mi fa vedere gli altri progetti
che ha
di là, nell’appartamento dei computer – propose.
In quel momento lo scorrere dell’acqua
nell’altra stanza
si interruppe.
– Ci sto – sorrise l’uomo.
Dopo alcuni minuti Celia raggiunse la cucina e
anche a
lei fu offerto il pranzo. I tre conclusero il pasto con della frutta,
poi il
professore cominciò a fare domande generiche ai due a proposito dei
luoghi
visitati e del loro rapporto con il dispositivo.
Un confusionario e
fastidioso
sbattere d’ali si manifestò tutto ad un tratto alle spalle del giovane
dai
capelli bianchi. Kalut si voltò rapido allarmato dall’improvviso
rumore.
Dietro di lui uno stormo
di Pokémon
uccello, tra Chatot, Pidgey, Pidove, Fletchling con alcune delle loro
forme
evolute, si innalzò in cielo maestoso ma caotico al tempo stesso.
Qualcosa come
trenta o quaranta pennuti svolazzava sopra alla testa del giovane,
alcuni in
circolo, altri in maniera totalmente casuale, ma tutti si decisero a
posarsi,
sotto lo sguardo attonito di Kalut che seguiva i loro movimenti con un
misto di
spavento e curiosità, attorno al ragazzo in cerchio sulle tegole del
tetto. Come
alunni attorno al loro sensei.
Il loro gracchiare e
cinguettare
diffuso e fastidioso cominciò a chetarsi. Tutto si zittì, come il
Venipede
compagno di Kalut che si ritirò appallottolandosi dietro la schiena
del
ragazzo.
Quindi un Fletchling, da
un angolo
indefinibile del cerchio di discepoli, emise il suo verso. Poi il
silenzio.
Seguì un Tranquill, poi un Pidgeotto e infine un Chatot. A quel punto
tutto il
caos riprese ad esistere e la frenetica conversazione acre e rumorosa
che vi
era all’inizio tornò come il nocciolo di una discussione attorno al
quale si
gira continuamente.
Versi di pennuti dalla
lingua
ingestibile cominciarono a penetrare le orecchie del povero Kalut
facendo
vibrare i suoi timpani. Il ragazzo si tappò istintivamente le
orecchie, ma quel
casino non accennava a fermarsi. La sua soglia di sopportazione era
già stata
raggiunta e senza sapere come e perché si era ritrovato in quella
situazione né
tantomeno la motivazione per cui era stato accerchiato da quei
Pokémon,
esplose.
‑ Silenzio! – gridò
zittendo ogni
becco.
La serenità tornò in lui.
Si rese
conto che i Pokémon gli davano retta. Voleva ritentare. Fissò
intensamente un
Pidgey che era davanti a lui. – Che cosa volete dirmi?
Il Pokémon cinguettò, ma
Kalut
comprese ciò che stava cercando di comunicargli.
Il ragazzo si voltò e
punto il dito
contro un Pidove vicino. – Tu invece?
Anche Pidove rispose.
– Tu, invece, cosa cerchi
di
comunicarmi? – chiese ad un Chatot poco dietro di lui.
Aveva lasciato parlare
alcuni Pokémon
e tutti loro volevano dirgli la stessa cosa:
“Difendili!”
Il ragazzo si mise seduto
a gambe incrociate
tra i presenti. Stava riflettendo sulle richieste che gli erano state
poste.
- Difendili? Chi devo
difendere? –
domandò rivoltò agli uccelli.
Uno solo, quello su cui
aveva
posato l’occhio, parlò.
“Difendili!” ripeteva.
– Chi? Chi devo difendere?
– ripeté
il ragazzo.
“Quelli come te” rispose
qualcuno
dietro di lui.
Kalut si voltò. Dovette
poi alzarsi
in piedi, un po’ per il rispetto che quella comparsa gli aveva
suscitato, un
po’ perché lo Xatu che si era materializzato alle sue spalle superava
il metro
e mezzo.
– Quelli come me? - chiese
Kalut
stupito di essersi trovato davanti un così maestoso esemplare di
Pokémon Magico
e di non averlo visto precedentemente.
“Quelli come te” ripeté
Xatu.
In quell’istante, Kalut si
rese
conto che il Pokémon non stava parlando, sentiva soltanto la voce
nella sua
mente, lo Xatu non emetteva suoni ma parlava tramite telepatia nel suo
cervello. La cosa gli sembrò dapprima leggermente strana, ma si abituò
subito.
– Che cosa vuoi dirmi? –
chiese di
nuovo il ragazzo.
“Lo sai, Kalut, è nel tuo
cervello ancora
coperto dalla nebbia, ma sai bene da cosa devi difendere quelli come
te...”
rispose Xatu.
– Quelli come me?
“Gli umani, così vi
chiamate tra
voi, quelli come te” spiegò Xatu.
– E da che cosa devo
proteggerli? –
proseguì lui.
“Kalut, sei troppo
precipitoso...”
Il ragazzo dai capelli
bianchi udì
di nuovo il rumore dello sbattere delle ali caotico e impacciato,
voltandosi
appena notò che tutto lo stormo di Pokémon alle sue spalle era volato
via come
se niente fosse.
“...ma posso accompagnarti
e
seguire la tua strada.”
– Ma sei stato tu a
venirmi
incontro, e ora vuoi lasciarmi così, con qualche boccone di
informazioni?
“Kalut” il Pokémon lo
fissò dritto
nelle pupille. “Tu stai parlando.”
Per quanto semplice,
quella frase
gli aprì gli occhi. Lui stava parlando. Parlava come un umano con i
Pokémon.
Quell’azione gli era venuta fuori nella totale normalità, come se
avesse sempre
parlato, durante tutta la sua vita, come se fosse stata la cosa più
semplice e
familiare del mondo. Eppure, si era reso conto di non riuscire a
formulare una
frase se non con enorme difficoltà, prima.
Si ricordava di quei
giorni in cui
aveva una testa piena di parole che non riusciva a svuotarsi poiché la
lingua non
l’accompagnava. Kalut si zittì. A forza, si obbligò a tacere, mentre
lo Xatu
continuava a scrutare i suoi pensieri rovistando nella sua mente come
fosse un
archivio, uno schedario.
– Xatu, che cosa significa
quello
che mi stai dicendo? – domandò Kalut dopo l’interminabile attesa.
– Dovrei riuscire ad integrare un’applicazione
simile
nel software del PokéNet, un elenco di tutti gli Allenatori esistenti,
anche
quelli che per qualche motivo non possiedono uno dei miei dispositivi o,
magari, non sono più tra noi – spiegò il professore scrollando un elenco
contenente numerosi dati davanti agli occhi ipnotizzati dal monitor di
Celia e
Xavier.
– E quale sarebbe l’utilità di questa funzione?
–
domandò il ragazzo.
- Beh, vedi, Xavier, il PokéNet, lo strumento
che avete
ai polsi è soltanto un portale. Un dispositivo che riesce a connettervi
alla Rete... e non sto
parlando di internet,
ma di qualcosa di molto più sicuro, come una banca dati in continuo
aggiornamento alla quale ognuno può accedere quando vuole. Pensa ad un
mondo di
uomini e Pokémon totalmente connessi tra loro, niente social, niente
telefoni,
solo la Rete, tu puoi essere ovunque e sapere ogni cosa di ogni luogo,
presente
e passata... nella maniera più semplice possibile. Creare ordine,
salvaguardia,
questo è l’obbiettivo della FACES...
– La FACES? – chiese Celia.
– L’organizzazione che si occupa della
sicurezza
statale, il professore lavora per loro – riassunse distratto Xavier
ormai preso
dalla conversazione.
– Esattamente – approvò l’uomo. – Dovete sapere
che
molte volte l’armonia del nostro mondo ha rischiato di essere sconvolta.
Avrete
sicuramente sentito parlare del Team Rocket, delle catastrofi di Hoenn
ad opera
dei Magma e degli Idro o del Team Galassia...
I due annuirono.
– Per tale motivazione abbiamo anche questo
progetto
sotto mano... – Willow aprì un'altra finestra sul monitor. Un altro
elenco di
persone, la cui icona era ben riconducibile ad una foto segnaletica. – è
ancora
un lavoro in fase embrionale, ma è un catalogo che permette di
visualizzare in
tempo reale la lista dei ricercati, stato di cattura, taglia sulla loro
testa.
– Taglia? – chiese Xavier impressionato.
– Sì, si prevede che sarà data una ricompensa a
coloro
che si renderanno utili per le indagini, ovviamente solo se il ricercato
sarà
catturato – fu la risposta.
– ... – Willow aprì un'altra finestra sul
monitor. Un
altro elenco di persone, la cui icona era ben riconducibile ad una foto
segnaletica. – è ancora un lavoro in fase embrionale, ma è un catalogo
che
permette di visualizzare in tempo reale la lista dei ricercati, stato di
cattura, taglia sulla loro testa.
– Taglia? – chiese Xavier impressionato.
– Sì, si prevede che sarà data una ricompensa a
coloro
che si renderanno utili per le indagini, ovviamente solo se il ricercato
sarà
catturato – fu la risposta.
– È fantastico... – commentò Celia colpita.
– E in ultimo – introdusse Willow. – Ricordate
la Rete?
Bene, abbiamo pensato di dividere le persone in base a occupazione,
categoria,
livello di esperienza – fece l’uomo.
– Ad esempio, tu Xavier sarai classificato come
un
Allenatore d’elite hai numerose vittorie alle tue spalle, tante sfide in
palestra e tante partecipazioni a tornei e simili, in più, avrai un alto
grado
anche sul fronte esplorazione, hai viaggiato in quante? Tre regioni? –
elencò
il professore digitando sul monitor il nome del ragazzo e aprendo la sua
scheda
ancora in lavorazione ma quasi completa.
– Oh cavolo... ma dove raccogliete questi dati?
–
domandò il castano alle sue spalle.
– Abbiamo accesso alle schede Allenatore delle
diverse
regioni, quelle che le persone hanno registrato all’inizio e alla fine
del
viaggio, noi lentamente ricostruiamo la loro timeline – srotolò l’uomo.
– Ah...
– Allora! – Willow spense il monitor e si voltò
verso le
facce sbigottite dalla complessità del suo lavoro di Xavier e Celia. –
Che ne
pensate?
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