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Lev - Il Pianto delle Stelle - 11 - Amicizia

Capitolo 11 - Amicizia

– È un genio
– È un pazzo
I rispettivi pensieri di Celia e Xavier si espressero sottoforma di parole formulate dalle vibrazioni delle loro corde vocali quasi all’unisono. I due si trovavano sulla penultima scalinata intenti ad uscire dalla palazzina in cui abitava il professor Willow. Erano da poco scoccate le quindici, la bionda e il castano erano d’accordo sul da farsi: riprendere il cammino. Salutato il professore e raccolta ognuno la propria roba, i due esseri umani si apprestavano a tornare sulla loro calle.
– Prossima medaglia? – chiese Xavier.
– Caspita, mi son ricordata solo adesso, ecco la seconda medaglia Eclissi! – esclamò Celia riaprendo la sua borsa.
Xavier rimase non poco stupito quando vide la ragazza porgergli una bambola con un occhio solo, sporca di inchiostro e trafitta da una miriade di spilli.
– Che cos’è questa cosa? – chiese Xavier senza il coraggio di prendere in mano il pupazzo di pezza.
– Oh, devi vedere la palestra di Luna, a Costa Mirach, è una tipa tutta strana, tiene le medaglie attaccate come bottoni alle bambole... – spiegò la bionda.
– Ah... in questo senso tutta strana?
– Non solo, lei non ha voluto combattere ed è... boh, strana, urlava e piangeva nascosta nella palestra, diceva qualcosa tipo “attenta alle nubi” o simili, era inquietante...
– Mah, tanto non devo tornarci – Xavier staccò la medaglia Eclissi dal volto della bambola e gettò quest’ultima in un cassonetto. Quindi ripose il suo premio nel cofanetto. – Oh, aspetta, Celia – irruppe tutt’un tratto lui. – Dovevamo fare una lotta, no?
– Ah, hai ragione, dobbiamo combattere! – esclamò la ragazza.
– Ci dovrebbero essere dei campi dietro l’isolato, andiamo là.
– Va bene.
I due erano nel frattempo usciti in strada, di nuovo si trovavano in quel gomitolo di strade intasate da macchine che sfrecciavano a gran velocità fastidioso e soffocante. In poco tempo aggirarono il palazzo e raggiunsero il posto a cui si riferiva Xavier, dei rettangoli di terra battuta miseramente dal marciapiede parallelo all’asfalto da una povera recinzione verde. Entrarono dalla porta mezza scassata e si disposero ai due estremi del Campo Lotta professionali e conoscitori delle regole ufficiali della Federazione.
– Due Pokémon? – domandò Celia.
– Due Pokémon – affermò Xavier.
Entrambi presero le Poké Ball, una per mano.
– Prima le signore... – sussurrò Xavier.
- Se insisti, scendi in campo, Karma!
Il Pokémon Armuccello fece la sua comparsa sul campo di battaglia. La sua immagine così aerodinamica, minacciosa e pronta ad affettare senza troppi problemi ogni avversario eliminò il ricordo più recente che Xavier aveva di quell’essere, ovvero quello del mite volatile che nell’allevamento di Julie faceva le fusa quando qualcuno gli lustrava le piume d’acciaio.
– Va bene, Eelektross, tocca a te – fece il castano lanciando la sfera del Pokémon Elettropesce a sua volta.
– Karma, Alacciaio! – ordinò la ragazza a bruciapelo prima che l’avversario potesse emettere il suo ruggito di battaglia.
– Eelektross, fermalo con Falcecannone – ribatté Xavier senza fianchi scoperti.
– Taglia a metà la sfera, difenditi! – fedelissimo agli ordini della sua Allenatrice, lo Skarmory falciò la bolla di elettricità eludendo l’attacco e con le sue ali di metallo giunse a destinazione assestando un violento colpo nell’addome dell’avversario.
– Non distrarti, Lanciafiamme – Eelektross si riprese e subito lanciò una rovente lingua di fuoco che partì dalla sua bocca per centrare il volatile metallico nell’altra metà dell’arena.
Sganciapesi! – esclamò la ragazza.
Karma si concentrò, cominciarono a comparire alcune tracce di ruggine e ossidazione sul corpo del Pokémon, la patina si diffuse fino a coprire ogni singola piuma per poi staccarsi automaticamente. Davanti al nemico, ora Skarmory sembrava più agile e rapido. Celia sorrideva.
– Non serve dargli accelerazione se non hai colpi da sferrarmi, Eelektross, Dragartigli! – disse Xavier. Gli le unghie dell’anguilla cominciarono ad emettere una fioca luce violacea mentre questa scattava serpeggiante in direzione del nemico.
Turbosabbia, tiriamo su un po’ di caos! – Karma prese a sbattere le ali con la rapidità di un colibrì, in poco tempo un polverone si era formato sul campo come un vero e proprio muro come impedisse a Eelektross di portare a termine il suo attacco.
– Cavolo! – esclamò Xavier preso alla sprovvista. “Ho capito, vuole attaccarmi sfruttando la velocità di Skarmory” pensò il ragazzo. – Non ci riuscirai, Lanciafiamme, Eelektross! – il respiro infernale del Pokémon Elettropesce riscaldò la già torrida atmosfera.
Ma non ci furono riscontri, solo un bagliore che a Xavier parve di intravedere tra le fiamme e la terra, una debole luce violacea alla quale il ragazzo non diede peso.
Comete! – fu l’ordine di Celia.
Dalla cappa di terriccio, scie luminose dalla traiettoria curvata spuntarono dirette senza pietà verso Eelektross, ma il Pokémon si difese sfaldandole con Dragartigli.
Ormai il muro di Turbosabbia non era più un problema, Xavier poteva persino vedere Celia che era all’altra estremità del perimetro.
– Cosa avevi intenzione di fare, Celia? Hai coperto la visuale solo per sferrare Comete che di per sé è già una mossa infallibile? Stai perdendo colpi, ragazza... – commentò Xavier. Celia sorrideva.
Alacciaio, non dargli tregua!
Dragartigli, dai che sei più forte!
– Evita!
Stranamente, secondo l’ordine dell’Allenatrice, lo Skarmory che si stava dirigendo a tutta velocità contro l’avversario che pure si apprestava a rispondere in un corpo a corpo, cambiò rotta evitando per un soffio le grinfie dell’Elettropesce.
– Ti diverti? – fece sarcastico Xavier.
– Scherzi? Ora prendi le botte! Torna, Karma!
Il Pokémon Armuccello fu sostituito sul campo dal Reuniclus appena sceso in campo.
– Che diavolo stai facendo, sorella? Eelektross, Sgranocchio!
- Schiva!
La mossa fu rapida, il Pokémon di Xavier tentò di chiudere le sue fauci attorno alla gelatina che costituiva il corpo di Reuniclus avversario, ma quest’ultimo fu rapido a scansarsi, poi qualcosa di strano avvenne, una fitta incredibile martellò il cervello di Eelektross che di colpo si ritrovò a contorcersi a terra come se qualcosa stesse schiacciando ogni suo volere.
– Che diavolo succede?! – esclamò Xavier.
Stordipugno a ripetizione! – gridò Celia.
Una raffica di potenti cazzotti sferrati dalle forti giunture di Reuniclus stesero il povero avversario incapace di difendersi e di resistere a causa della forte emicrania.
Xavier non poteva crederci.
– Fratello, forse non hai notato che approfittando del polverone ho messo per un momento in campo Gel per utilizzare Divinazione sul tuo Pokémon per poi far tornare Karma. Sei stato disattento – rivelò mascalzona la ragazza.
Xavier era interdetto, da una parte era felice che un’Allenatrice come Celia che aveva imparato le basi della lotta Pokémon proprio da lui avesse elaborato una strategia simile, efficace per quanto grezza, dall’altra si sentiva spodestato e non capiva come, quella ragazza che non era mai stata una diva delle lotte fosse stata capace di vincere il leader del suo team.
‒ Nessun problema – mentì Xavier. ­– Pumpkaboo, scendi in campo
Il Pokémon Zucca si presentò senza alcune pretese.
‒ Forza Gel, Ps... – Celia si interruppe, i suoi occhi erano stati catturati dalla visione di uno strano figuro che, con le dita che stringevano la ringhiera, si era appoggiato al recinzione del campo e osservava i due ragazzi combattere. Era un ragazzo moro, non aveva più di vent’anni, ma i due occhi da gufo che erano incastonati nelle sue cavità oculari rendevano il suo sguardo molto più longevo di quanto in realtà fosse.
‒ Buongiorno ‒ salutò Xavier che aveva a sua volta individuato l’intruso dopo aver seguito la linea dello sguardo di Celia. ‒ Serve… serve qualcosa? ‒ chiese per convenzione.
Il ragazzo scosse la testa. Celia taceva.
‒ No, no… continuate pure… io voglio solo stare a guardare ‒ rispose in ritardò quello.
‒ Va bene ‒ commentò lievemente scettico Xavier.
‒ Possiamo almeno avere il piacere di conoscere il nome del nostro spettatore? ‒ domandò Celia in un insolito slancio di favella.
Il ragazzo aprì la bocca come per rispondere, ma il suono fuoriuscì parecchio in ritardo.
‒ Perseo, mi chiamo ‒ sussurrò.
Xavier drizzò le orecchie nell’udire quel nome.
‒ Sei mica il Capopalestra…?
‒ Sì ‒ lo prevenne quello. ‒ Capopalestra di Alyanopoli ‒ fece ermetico.
‒ Beh, sei il benvenuto allora, noi due stiamo cercando di raccogliere tutte le medaglie di Sidera e non ci dispiacerebbe mica lottare con te una volta finita tra noi ‒ fece il castano.
Perseo scosse la testa portandosi il codino che prima pendeva dietro la sua schiena sulla spalla destra. ‒ Non funziona così, ragazzo ‒ la frase era atona e anche abbastanza fuori luogo, lui non era molto più vecchio di Xavier.
‒ Come scusa? ‒ domandò la bionda interdetta.
‒ Gli altri combattono, con me è diverso… ‒ accennò il Capopalestra.
‒ Stai scherzando?! ‒ quasi esclamò Xavier.
Nel frattempo ognuno aveva dimenticato che ci fosse una lotta Pokémon in corso, persino Pumpkaboo e Reuniclus si erano calmati e avevano disciolto ogni tensione.
‒ Gli altri combattono? Cazzo, siete Capopalestra, lottare è il vostro lavoro! ‒ fece precipitoso il castano di Austropoli.
Celia era rimasta zitta, non sapeva come reagire: se non partecipare alla conversazione o sostenere Xavier.
‒ No, noi siamo Capopalestra, assicurarci che le persone si guadagnino le medaglie è il nostro lavoro ‒ ribatté Perseo senza neanche guardare negli occhi il suo interlocutore.
Ad innervosire Xavier non erano state le parole quanto il tono del moro. Le sue parole fiacche ma certe e la sua indole insofferente erano le cascate che rischiavano di far traboccare il vaso al primo colpo. Il castano si sforzava di non ribattere.
‒ Intendi che anche tu regali le medaglie? ‒ domandò Celia.
‒ Regalare? ‒ Perseo rise. ‒ No, assolutamente, che ingenua che sei…
La bionda scosse la testa e passò lo sguardo a Xavier.
‒ Senti, spiegaci bene, cosa dovremmo fare noi per vincere la tua medaglia? ‒ domandò limpido quest’ultimo.
‒ Comprarla.
Bastò quella parola, nella testa di Xavier una miniatura perfettamente intagliata di Perseo cominciò a prendere randellate da un suo sosia con in mano un grosso martello.
‒ Pumpkaboo, ritorna
‒ Xavier, cosa…?
‒ Non ci sto in questa gabbia di matti, io, che regione del cazzo!
Il castano ripose la sua Ball e si diresse verso l’uscita. Perseo si scansò per lasciar passare l’irascibile Allenatore e rimase impassibile quando lui gli diresse contro lo sguardo più tetro che avesse mai visto.
‒ Xavier ‒ Celia, non curandosi minimamente del moro, corse dietro al fratello. ‒ Oh! Che diavolo ti prende? ‒ esclamò dopo averlo raggiunto.
‒ Non parlarmi, per favore ‒ rispose brusco lui.
‒ Dai!
‒ Cosa vuoi?
‒ Che cosa ti prende? Te ne vai così e lasci pure la lotta in sospeso!
‒ Senti Celia, io non so neanche che cosa ci faccio realmente qua e perché un cervellone mi abbia chiesto di fare le cose al suo posto; che diavolo di regione è Sidera? Capipalestra che non combattono e gente che vende le medaglie! Io… ‒ il ragazzo si mise la mano destra tra i capelli. ‒ …non ci sto capendo niente!
Celia tacque.
‒ Non so, vado al Centro Pokémon, faccio curare Eelektross e nel frattempo mi schiarisco le idee, tu… boh, fai quello che vuoi…
Il castano lasciò la sorella con un palmo di naso andandosene e voltandole le spalle in malo modo. Celia non ebbe una prima reazione particolarmente istintiva, il suo cervello ancora non aveva compreso come fosse stata spezzata così facilmente la pazienza di Xavier, non aveva dato precedenti segni di cedimento.
La bionda fissava il vuoto.
‒ Ti interessa una medaglia? ‒ chiese una voce non nuova alle sue spalle.
La risposta si fece attendere un po’. ‒ Senti… Capopalestra… Perseo… non credo sia il momento ‒ balbettò lei.
‒ Sai che se non la compri a me non potrai avere gli otto badge necessari per accedere alla Lega, vero? ‒ canzonò lui con tono fastidioso.
 
“Seguimi” ordinò Xatu.
Kalut cominciò a muovere qualche passo incerto dietro all’andamento calmo e ritmato del Pokémon Magico; il volatile posava le sue zampe artigliate a terra con cadenza precisa al millisecondo, quasi come il battito del cuore di Dialga.
‒ Proteggerli… ‒ mormorò Kalut.
“Che cosa stai cercando, ragazzo?” domandò Xatu fermandosi sul bordo del tetto su cui stavano.
Kalut lo guardò storto.
“Ho fatto una domanda” precisò quello.
‒ Che cosa sto cercando…? ‒ Il ragazzo non capiva. ‒ Sto cercando di capire cosa vuoi dirmi ‒ semplificò.
“No… cosa stai cercando tu, tu da solo?”
‒ Sono andato via da Rick, mi sto allontanando.
“E perché eri andato da lui?”
‒ Ci siamo incontrati nel bosco.
“E perché eri nel bosco?”
Kalut non rispose. Il volto scolpito nella roccia eterna del Pokémon Magico sembrava attendere una reazione dalla invece morbida espressione di Kalut che aveva mutato la sua forma varie volte durante la conversazione con quell’essere.
“Kalut, perché eri nel bosco?” ripeté Xatu.
‒ Io… ‒ Nulla. ‒ Io non lo so… ‒ mugolò.
Xatu lo guardò negli occhi.
“Infatti…” fece. “Kalut” il Pokémon Magico ridestò l’attenzione del ragazzo. “Dietro di te.”
Kalut si voltò.
In un brevissimo istante, repentino come nulla, Xatu afferrò il ragazzo dai capelli bianchi per le spalle con i suoi artigli conficcandoli nella carne e lo trascinò indietro. Quanto necessario per portarlo al di fuori del perimetro del tetto e lasciarlo cadere nel vuoto.
Kalut non riuscì a gridare dalla paura. L’umano sentì la sensazione di vuoto salirgli dall’inguine lungo la spina dorsale. Stava cadendo, era terrorizzato, cadere da quell’altezza significava morire, stava cadendo.
Kalut chiuse gli occhi.
Si ritrovò sospeso a mezz’aria, a pochi centimetri dal terreno. Sopra di lui, affacciati al bordo del muro, Xatu e Venipede lo guardavano. E lui levitava sospeso a mezz’aria da una forza psichica. Sentiva l’energia scorrergli addosso, lungo la pelle e sentiva i peli drizzarsi per essa, avvertiva il filo che lo connetteva alla fonte di quel potere telecinetico, avvertiva che era Xatu ad averlo salvato. Era “non caduto” in un vicolo stretto e desolato, nessuno aveva potuto assistere al fenomeno, solo lui e i due Pokémon.
In un momento, quando il tamburo di ventricoli e atrii che aveva in petto si era finalmente calmato, la forza psichica di Xatu lo riportò sul tetto. Una volta rimessi i piedi sulle tegole, Kalut impiegò un po’ a riadattarsi al terreno.
‒ Perché hai fatto questo? ‒ domandò a Xatu spaventato e tremante.
Xatu non parlava.
‒ Perché lo hai fatto? ‒ ripeté tastandosi le ferite lasciate dagli artigli del Pokémon sulla sua carne.
Xatu si voltò. “Aspetta, Kalut…”
‒ Che cosa?
Il ragazzo avvertì un lieve prurito alla spalla, in corrispondenza delle ferite lasciate da Xatu. Provò a strofinare il palmo della mano sugli squarci per lenirlo senza farsi del male.
“Non toccare” gli intimò Xatu.
Kalut, persuaso dalla voce del volatile che rimbombava nel suo cervello, tolse la mano. La sua sorpresa nello scoprire che la sua carne si era rimarginata fu più unica che rara.

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