Sleepers
E
poi uno quando pensa
all’inverno immediatamente crea nel suo cervello un’immagine
raffigurante una
città coperta di neve bianca e purissima sovrastata da un cielo chiaro
da cui
piovono serafiche delle opere d’arte in miniatura destinate al solo
sciogliersi
a contatto con il suolo.
Invece,
la verità era un’altra.
L’ultima volta che Joseph aveva visto la neve era stato nei giorni della
scalata al monte Corona, lì sì che era davvero tutto bianco. La crescita
però
poi decide di intervenire sempre nella vita di una persona; l’inverno
che
Joseph associava a quelle candide immagini così fredde e calde allo
stesso
tempo si era mascherato ed era divenuto la semplice, banale ed effimera
brina
poggiata sulle foglie annoiate del cipresso vicino alla fermata del bus.
L’albero che Joseph salutava ogni mattina e che gli aveva sempre tenuto
compagnia, l’amico fedele che ti presta i soldi che ti mancano per
comprare il
biglietto, ti accompagna alla stazione e poi rimane a salutarti dal
binario
finché il tuo treno non è scomparso oltre l’orizzonte.
Quello
era per lui quel
cipresso. E la sua brina era per lui l’inverno.
Era
il suo cipresso, anche se
esso era situato in un viale accompagnato ai lati da due file parallele
di alberi
tutti uguali, quello era il suo
cipresso.
Joseph
non aveva particolari
cose da pensare nel preciso momento di quel preciso giorno di cui aveva
già
dimenticato la collocazione temporale. Era mattina. Ed era freddo. Le
sue
labbra colorate di una tinta violacea ben poco rassicurante confermavano
e le
sue mani strette e raggomitolate nelle tasche dei jeans davano appoggio
a loro
volta.
Joseph
aveva dormito
decentemente quella notte, si era svegliato come sempre attorno alle
due, ma
era riuscito a riaddormentarsi senza grossi problemi. Ovviamente, dopo
la
pillola. Aveva i muscoli del collo tesi e doloranti per la posizione
assunta
dal suo capo durante la notte inquieta, ma nulla di più grave.
Fece
qualche semplice movimento
per testare ancora quale fosse il raggio d’azione consentito prima di
sentire
il bruciore.
La
sveglia era suonata alle
solite sei e diciotto minuti, orario calcolato nei minimi termini per
risparmiare più ore di sonno possibili, ed era uscito di casa poco dopo.
Ecco
che si affacciava all’angolo
del viale con la strada perpendicolare il muso squadrato e arancione
dell’autobus. Joseph non fece neanche cenno all’autista, al caro vecchio
Eddie
bastava intravedere il cappotto marrone del suo fidato passeggero per
sapere
che doveva fermarsi. Il bus interruppe la sua corsa, aprì docilmente le
porte e
lasciò entrare un altro compagno di viaggio.
Joseph
salutò Eddie, i due
erano molto amici, ma parlavano raramente. Si perde sempre il rapporto
affiatato con le persone che si è costretti a salutare ogni mattino.
Qualche
volta capitava che si
esagerasse con l’interazione e uno dei due tirasse fuori un commento
sull’ultima Olimpiade del Pokéathlon, in tal caso l’altro avrebbe
risposto
felice con qualche semplice parola di poche sillabe. E il tutto avrebbe
reso
solo più amara la delusione per la caduta di una potenziale
conversazione
mattutina tra amici. Al contrario, a volte il cielo era più grigio del
solito
da una delle due parti e il classico saluto si spogliava del suo suono
riducendosi così ad un semplice gesto della mano o del capo. A quel
punto, l’intero
viaggio sarebbe per il fautore di tale mancanza di rispetto un limbo
ossessivo
dondolante tra la preoccupazione di aver offeso l’altro e l’imbarazzo di
tirar
fuori in ritardo una voce per fargli comprendere che non la pesantezza
dell’impegno quanto quella delle palpebre aveva giustificato la sua
non-risposta.
Eppure…
‒ Auguri, Joseph ‒ fu
lo straordinario saluto di Eddie quella mattina.
‒ Oh
ciao, auguri anche a te ‒
rispose l’uomo.
Joseph
si sedette in uno dei
posti prossimi all’abitacolo dell’autista e prese ad interrogarsi. Che
cosa
aveva giustificato gli auguri dell’amico?
Quasi
immediatamente comprese,
era il ventiquattresimo giorno di dicembre, era la vigilia di Natale.
Effettivamente, ripenso al fremito che si avvertiva per le strade da
qualche
giorno a quella parte, alle decorazioni che erano state appese tra un
palazzo e
l’altro nei viali più importanti, alle vetrine dei negozi che a poco a
poco
avevano assunto un colorito sempre più tendente al rosso, attutito
appena
dall’onnipresente bianco a rappresentazione del fantomatico mantello di
neve
simbolo di quella stagione.
‒
Ah… auguri… ‒ mormorò a voce
bassa Joseph.
Non
se ne era reso conto, ma il
Natale era giunto pure quell’anno. Non sapeva precisamente da che cosa
derivasse quella festa, però faceva parte della sua cultura e della sua
educazione, da piccolo era solito festeggiarla a casa con i genitori e
qualche
parente.
Da
grande invece… si era
addormentato, o si era soltanto perso qualcosa. Non badava più al
passare dei
giorni quanto a quello delle ore. Il suo lavoro non era particolarmente
emozionante o stimolante ma neanche lasciava molto spazio al riposo,
contabile
in una grossa industria multinazionale, e la pagnotta sapeva di numeri e
cifre
alle papille.
E
poi un pensiero giunse come
un inaspettato raggio di sole nella sua testa: non doveva andare a
lavoro, era
un giorno festivo, quello. Dimenticò tutto: l’inutilità della sua
levataccia
mattutina e la preoccupazione per la grave mancanza di attenzione sul
posto di
lavoro, era sicuro che qualche suo collega gli avesse fatto gli auguri
il
giorno prima o almeno che fosse stato sottolineato dal caporeparto che
nei
giorni seguenti i dipendenti sarebbero potuti rimanere a casa. La
giornata si
fece più bella.
Joseph
guardò fuori dal
finestrino: il marciapiede, come la pellicola di un film muto, scorreva
davanti
ai suoi occhi al di là del vetro del bus. Le strade prima mezze vuote
cominciavano a popolarsi di qualche martire mattutino forse in cerca
degli
ultimi regali in extremis, i negozi cominciavano ad aprire e persino le
bancarelle natalizie iniziavano a sbocciare come fiori in primavera. E
ad un
certo punto gli parve pure di sognare, comprese a fatica che era tutto
vero:
dei fiocchi di neve cominciarono a scendere giù dal cielo, candidi
cristalli di
ghiaccio minuscoli e perfetti iniziarono a cadere come lacrime del
cielo.
Nevicava davvero, non come quella volta che i ragazzi delle scuole medie
della città
si erano messi d’accordo per far nevicare a comando combinando assieme
le mosse
dei loro Pokémon.
“Molto
strano” pensò Joseph.
“Fuori dal normale” elaborò la sua mente.
Effettivamente,
nella sua città
la neve era tanto rara quanto le invasioni aliene. Veramente molti pochi
Pokémon di tipo Ghiaccio
abitavano
dalle sue parti e a volte la temperatura neanche scendeva sotto lo zero
nei
giorni più duri dell’inverno.
Fatto
sta che quella che stava
vedendo fuori dal bus era neve, neve vera. Felice e sereno, Joseph
guardava
quella lenta pioggia biancastra. La giornata sarebbe stata sicuramente
più
dolce per lui, aveva ricevuto proprio una bella notizia.
Eddie
aveva appena iniziato il
turno. Erano le nove e mezzo di sera, la notte era scesa da un bel
pezzo,
essendo la proporzione ore di buio-ore di luce invernale fortemente
carente
verso queste ultime. I lampioni accesi ai lati della strada servivano
davvero a
poco quella sera, quasi ogni angolo della città era addobbato da luci
natalizie
e altre decorazioni luminose. Lui era solito osservare sempre i
cambiamenti
della città in cui viveva, essendo il percorso dell’autobus da lui
guidato
parecchio insistente verso il centro, luogo più animato della cittadina,
ed
avendo quasi raggiunto la doppia cifra inerentemente al numero di anni
passati
a guidare per quella strada. Partenza alle nove e capolinea alle sette,
l’urbano notturno. Dalla rimessa, l’uomo cominciò ancora una volta il
suo itinerario
solito.
Era
la sera del ventitré
dicembre, il giorno dopo sarebbe stata la vigilia di Natale. Ne era
felice,
Eddie, si sarebbe riposato per alcuni giorni e avrebbe ripreso le forze.
Non
vedeva l’ora di terminare il turno.8
Le
fermate scorrevano una dopo
l’altra, la radio accesa faceva compagnia all’autista e ai pochi
passeggeri
assonnati della tratta D3. L’uomo si districava con abilità tra le vie
della
metropoli, ogni tanto intravedeva la mano di un pellegrino in cerca di
un
passaggio sotto il segnale con l’icona del suo bus e quindi si fermava
per
raccoglierlo, ogni tanto udiva il suono del campanello di fermata e
vedeva l’icona
collegata lampeggiare sul cruscotto e quindi frenava e anche lì apriva
le
porte. Per la prima ora tutto scorse nella più completa normalità, fino
a
quando, salì verso i quartieri più centrali uno strano figuro. Aveva una
sciarpa legata al collo nera elegante e un cappotto lungo dello stesso
colore,
un paio di pantaloni di un rosso fiammante anch’essi molto educati e
calzava
delle Clark che invece tornavano ad essere nere.
L’uomo
salì sul bus, obliterò
il biglietto e si sedette in zona autista.
Salutandolo
cordialmente come
era solito fare con tutti, col tempo aveva capito che un sorriso da chi
condivide la mala sorte di stare svegli a quell’ora faceva miracoli alle
persone, notò che sotto il lungo cappotto aveva una giacca elegante
sempre nera
a metà della quale si intravedeva una cravatta rossa come i pantaloni
fare da
asse di simmetria.
‒
Buona sera ‒ salutò Eddie.
‒
Salve, buona sera ‒ ripeté
quello aggiungendo il “salve”.
E
quello si sedette.
‒
Pare che domani il cielo sarà
grigiastro…
Eddie
controllò che il suo
udito funzionasse ancora, non era abituato a certe cose. Solitamente, i
passeggeri della sua linea non parlano mai, rimangono invece catalettici
sui
sedili in plastica e tacciono per l’intero percorso.
‒
Sì, ma tanto sarà comunque
una bella giornata, speriamo ‒ rispose con la giovialità che lo
contraddistingueva, Eddie.
‒
Penso anch’io ‒ approvò l’uomo
in mise nera e rossa.
‒
Lei che fa? Sta con gli amici
a cena per l’antivigilia? ‒ chiese poi Eddie cercando di aprire quello
spiraglio di conversazione apertosi nel nulla.
‒
Io… ‒ temporeggiò l’uomo. ‒
No, purtroppo sono incastrato con un galà alla Lega Pokémon… ‒ rispose
un po’
malinconico un po’ infastidito.
‒
Ah, sei un allenatore?
‒
Sono un ex Campione, là hanno
il vizio di chiamare vecchi pezzi da museo per queste occasioni così da
sentirsi più importanti… ‒ scherzò quello.
‒
Giustamente ‒ rise Eddie
comprendendo l’ironia della frase.
Si
interruppe lì, era imbarazzato
dal fatto di non averlo riconosciuto o comunque di non esser stato
abbastanza
attento. Seduto a pochi metri da lui si era seduto un ex Campione della
Lega e
lui non se ne era reso conto. Lo guardò nello specchietto: capelli che
probabilmente un tempo erano stati dello stesso colore della giacca e
della
sciarpa ma che ora in più punti avevano perso colore convertendosi ad un
bianco
grigiastro sopra le basette e in alcune ciocche sparse, una corporatura
anche
se ammorbidita dagli anni ancora molto robusta e snella al tempo stesso,
due
occhi rossi come la fiamma talmente accesi che avrebbero attratto le
falene.
Notando
l’attenzione dell’autista,
l’ex Campione capì immediatamente ‒ Non poteva riconoscermi, appartengo
ad un’altra
generazione, probabilmente quando io ero Campione lei neanche aveva mai
preso
in mano una Poké Ball… ‒ lo prese in contropiede, cercando brutalmente
di
toglierlo dallo stato di imbarazzo.
‒ Mi
scusi, non immaginavo
davvero… ‒ sorrise Eddie.
‒
Non si preoccupi ‒ e un velo
malinconico calò sullo sguardo del tipo dagli occhi rossi.
Allora
Eddie colse il momento
di paura per fare un piccolo calcolo, se quell’uomo avesse avuto circa
cinquant’anni,
come dimostrava, e fosse stato Campione quando lui era troppo giovane
persino
per avere dei Pokémon, doveva aver vinto il titolo attorno ai dieci
anni. Si stupì
non poco, o quell’uomo dimostrava molti meno anni di quanti ne avesse in
realtà, o era un vero fenomeno delle lotte.
Optò
per la prima, sul suo bus
mai nessun fenomeno era salito. Eppure la cosa puzzava, come mai un ex
Campione
della Lega avrebbe dovuto prendere il bus? Di solito due-tre anni in
quel ruolo
bastano per riempirsi le tasche di soldi.
Per
qualche istante, ci fu il vuoto,
sia nei pensieri di Eddie sia nell’area acustica del bus, solo il lieve
brusio
della radio accesa si udiva appena.
‒
Bisogna vestirsi bene, quando
si va ad un convegno con la gente che ti ha visto sul podio… per loro
rimarrai
sempre ricco e famoso… anche se non sei più sulle copertine e hai appeso
le
Pokè Ball al chiodo ‒ sospirò quello un po’ triste ma con un debole
sorriso sul
volto.
Gli
fece un po’ tristezza,
Eddie provò compassione per un’antica stella della regione, non credette
alla
cosa inizialmente. Ipotizzò che forse era stato costretto ad un mezzo
pubblico
poiché non aveva i soldi per fare il pieno alla sua auto, o magari
l’aveva
dovuta vendere o pignorare. Aveva sentito da lontane voci che chi esce
dal
mondo dello spettacolo difficilmente trova un lavoro più semplice che
gli
permetta di campare, una faccia troppo conosciuta non è fatta per stare
in
mezzo alla gente.
Di
nuovo, provò compassione per
quell’uomo. Lo guardò malinconico scendere le scalette del bus, prendere
una
boccata d’aria e voltarsi l’ultima volta a salutare quel simpatico
autista che
non l’aveva riconosciuto, ennesima conferma dell’effimera longevità
della fama,
nel suo mondo. Lo osservò per alcuni istanti voltarsi e muovere i primi
passi
sulla terra ferma dopo lo scomodo viaggio su un mezzo al quale
probabilmente
non era neanche abituato, dopodiché tornò con gli occhi sul cruscotto,
premette
di nuovo sull’acceleratore e a fare il suo lavoro, l’autista della linea
notturna
D3, mancavano ancora delle ore allo scoccare della mezzanotte e al
sopraggiungere della vigilia di Natale.
‒
Eddie, sai mica se riesco a
prendere un bus per tornare indietro? ‒ chiese Joseph all’amico autista
sporgendosi un po’ verso di lui.
‒
Ah, allora ti sei ricordato
che oggi è festa, eh? ‒ scherzò quello. ‒ Dai, chiedimi uno strappo che
tra
poco siamo al capolinea e devo tornare a casa pure io…
‒
Grazie, sei un amico ‒ fece
Joseph tornando a sedere con uno strano sorriso in faccia. ‒ Ci esce una
caffè
con un vecchio compagno? Offro io per ringraziarti ‒ propose quello.
‒
Certamente, ho parcheggiato
vicino ad un bar che fa un espresso meraviglioso.
I
due risero soddisfatti. Rallegrati
entrambi dal periodo di festa, con pochi pensieri nel cervello e con il
pieno
controllo della valvola da girare per far fuoriuscire lo stress del
lavoro dal
sistema nervoso.
Presero
un caffè alle sette e
dieci, ridendo insieme di vecchi ricordi comuni. Era la mattina della
vigilia
di Natale e nevicava dolcemente tra le vie della città, una neve morbida
e
senza pretese, una neve adatta a tutta la famiglia.
E in
quel momento, erano svegli
e addormentati al tempo stesso.
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