Capitolo
17
– Ribellione
“Sta
andando, è già per
strada…” mormorò Xavier tra sé e sé.
Sul
display del suo PokéNet,
l’icona che indicava la posizione di Celia si muoveva lentamente, a
passo
d’uomo, verso il ponte che collegava Idresia alla parte orientale della
regione. Quando la ritenne abbastanza lontana, si alzò dalla panchina su
cui si
era momentaneamente seduto. Cambiò direzione, si diresse verso la
palestra
dalla quale era uscito quella mattina. Si trovava a pochi isolati da lì
ed era
abbastanza semplice per lui orientarsi tra le strade di una periferia.
Raggiunse la costruzione che da fuori appariva come un prefabbricato
nero e
squadrato e attese lì qualche istante a braccia conserte sul petto.
‒
Sei davvero così tenace? ‒
chiese ad un certo punto qualcuno alle sue spalle.
‒
No, davvero? Avevi ancora dei
dubbi? ‒ rispose lui avendo riconosciuto la voce senza neanche voltarsi.
‒
Mh… tutto sommato, no. Ancora
non mi hai mai dato opportunità di dubitarne ‒ sorrise quella.
Splendida,
sotto il sole dei primi
di settembre. Aveva i Ray-Ban che Xavier le aveva visto addosso al loro
primo
incontro e portava un paio di shorts che lasciavano veramente poco
all’immaginazione più una maglietta con il lembo estremo attorcigliato
appena
sopra l’ombelico. Il castano non poteva negare di provare un attrazione
fisica
inarrestabile verso di lei, ma chi non avrebbe avuto l’acquolina in
bocca
davanti ad una fetta di torta al cioccolato. Purtroppo la sua anima gli
avrebbe
consegnato bollette su bollette di senso di colpa se avesse mai deciso
di
assaggiarla e quindi, per amor della propria integrità morale, si
costringeva
ad annusare soltanto il suo dolce aroma. Sempre, parlando della torta,
s’intende.
‒
Più che tenace, cerco di
essere gentile accompagnando una donzella verso la sua meta, le strade
sono
piene di malfattori, madonna ‒ fece ironico lui fingendo un tono di voce
galante ed educato e tenendo un anta del portone da cui lei era appena
uscita
con fare elegante.
Cassandra
rise: ‒ dai,
muoviamoci, abbiamo molta strada da percorrere…
Lui
porse il braccio, lei vi
appese la sua tracolla. Lui sollevò un sopracciglio, lei sorrise
sorniona.
‒
Sei gentile, madama ‒
ironizzò il castano.
‒
Non ti darò la mano,
piuttosto, come stanno i Pokémon che ti ho massacrato?
Xavier
rifletté un istante con
la professionalità di uno specchio ricoperto di carbone in una
discarica. ‒
Bene, si riprenderanno…
Cassandra
si immobilizzò e
voltandosi lentamente verso di lui lo fulminò con lo sguardo. Per un
breve
momento, il ragazzo penso di dover fuggire.
‒
Oh, che hai? ‒ chiese alla
fine.
Mai
domanda fu peggio posta.
‒
Non li hai portati in un
centro Pokémon?
Xavier
non rispose, scosse
lievemente la testa ma non osò contrarre un muscolo in più.
Probabilmente gli
occhi di Cassandra riuscirono pure a fermargli il cuore nel lasso di
tempo
necessario per effettuare qualche battito.
‒
Sei uno scemo incosciente,
porca puttana! ‒ esclamò lei spintonandolo. ‒ Come diavolo tratti i tuoi
compagni di squadra, vai immediatamente al Centro più vicino!
La
sfuriata della Capopalestra
fu talmente convincente che il ragazzo, mormorando un “ok” docile come un bucaneve a dicembre che fa capolino dal manto
candido, alzò le mani quasi fosse minacciato da un uomo armato.
‒
Se percorro questa strada, giungo a Idresia stanotte…
“Ricordi
il
percorso a memoria, Kalut?”
Il
ragazzo dai capelli bianchi stava camminando a passo lento con i piedi
sui fili
d’erba e con il lenzuolo attorcigliato attorno al collo con un lembo
sceso
lungo la spalla a mo’ di cappa.
‒
Sì, me lo ricordo abbastanza bene.
“Anche
se
prendi un’altra strada, sai seguire le direzioni giuste?”
Kalut
guardò
Xatu. ‒ Un’altra strada?
“Quelli
che
tu ricordi sono i percorsi e le strade battute, tu hai preso la via
del
bosco” rispose il Pokémon.
Kalut
annuì
guardando nel vuoto.
“Stai
andando
a caso, non è così?” chiese allora il volatile.
‒
Sto andando a caso ‒ confermò quello. ‒ non è proprio la peggiore
delle
alternative, per uno che non ha una meta.
“Hai
ragione.
Ma ricorda che potresti fare degli incontri… inaspettati, passando per
la macchia” gli ricordò Xatu.
‒
Lo so.
“Perché
non
ti piace calpestare lo stesso suolo che calpestano i tuoi simili?”
‒
Per favore, Xatu.
“Voglio
saperlo,
gli umani che ho conosciuto si sentivano più sicuri nel percorrere un
sentiero già percorso.”
‒
Evidentemente, questi umani non avevano il senso dell’avventura… ‒
sdrammatizzò
il ragazzo.
Xatu
tacque
alcuni istanti “sei sveglio per essere uno nato da poco…” disse poi.
Kalut
scosse
la testa e non rispose.
‒
Hai
appena incontrato una delle
mie peggiori fisse, ragazzo, la tua squadra viene prima di tutto, prima
di te e
prima delle tue palle. La prossima volta che ti becco con un solo
Pokémon di
cui non ti sei preso cura, stai sicuro che ti consumo le guance a suon
di
schiaffi ‒ sussurrò decisa e categorica Cassandra da dietro il collo di
Xavier.
Il
ragazzo in primis ignorò la
minaccia, ma poi la sua incoscienza gli ricordò di quanto fosse semplice
la
situazione e di quanto fosse d’obbligo cercare di giustificarsi: ‒ Non è
che
non volessi farlo, me ne sono dimenticato e avevo lasciato Celia da
sola,
volevo darle una mano a rifare i bagagli… ‒ provò a mormorare lui senza
ricambiare lo sguardo della ragazza.
‒
Dimenticato? ‒ la risposta
dell’imputato le diede sui nervi non poco. ‒ La mamma che dimentica a
casa il
bambino da solo col cassetto dei coltelli aperto non la passa liscia
dicendo
“ho dimenticato”! ‒ e qui scordò il silenzioso per un solo istante.
Tutt’ad
un tratto, nel Centro
Pokémon tutti fissavano loro: lui, rosso in viso e con una cintura delle
Ball
totalmente fuori posto considerando che la ragazza lo aveva, senza
eufemismi,
trascinato là dentro e lei, tutta rossa ma per altri motivi e con due
occhi
tali che se avesse iniziato a sputare fumo dal naso da un momento
all’altro nessuno
si sarebbe spaventato.
‒
Dovrebbero stare tutti meglio
ora. ‒ E l’entrata in scena dell’infermiera del Centro ruppe ogni
silenzio
imbarazzante. ‒ Soltanto Noivern impiegherà un po’ di tempo a riprendere
completa capacità di volo, lo strappo della membrana alare non è un
danno
facile da riparare, ma il suo Pokémon ha un ottimo fattore rigenerativo,
noi le
abbiamo dato i farmaci necessari e lei si rimetterà in sesto in qualche
giorno
‒ assicurò la donna con grembiule e tiara da infermiera posando un
vassoio con
delle scanalature in cui erano state poste le tre Ball consegnategli da
Xavier
sul bancone.
‒
Gr...
‒
Grazie ‒ si precipitò
Cassandra interrompendo il castano e prendendo le Ball al suo posto.
‒ Ira Di Drago!
Dalle
fauci del Gible
fuoriuscirono bluastre fiamme di natura ignota che atterrarono il nemico
Hawlucha.
‒
Che diavolo è preso a questi
Pokémon, è già il terzo che ci attacca… ‒ si lamentò Celia. Il suo
Pokémon Squaloterra aveva il
fiatone, ma stava
sfruttando quell’occasione per riprendersi un po’ dalle disavventure dei
giorni
precedenti, si era ripreso da poco tempo dall’incidente della caverna e
non
sarebbe stato facile raggiungere il livello degli altri compagni di
squadra
senza un po’ di sano impegno.
‒
Rientra, riposati un pochino,
il prossimo spero che si veda bene prima di romperci le scatole – fece
convinta
la bionda.
Per
un momento guardò il corpo
esausto del Pokémon Lottalibera
appena mandato al tappeto. Si chiese se fosse necessario nella sua
squadra un
Hawlucha. Pensò di no, camminò oltre.
La
terza ora del pomeriggio era
passata da un po’ e lei aveva appena oltrepassato il ponte, era sulla
terraferma ma doveva percorrere ancora parecchia strada. A piedi.
‒
Allora, hai finito di
guardarmi storto?
‒
Non ti sto guardando storto.
‒
Non sono della stessa
opinione…
‒
Xavier!
Il
castano sbuffò. ‒ Ok, va
bene, scusa… avrei dovuto pensarci, mamma…
Cassandra,
per la prima volta
dopo l’incazzatura di due ore prima, accennò un sorriso. I due stavano
camminando, lei aveva ripreso la sua borsa e guidava la coppia mentre
lui
seguiva tutto preso dal panorama.
‒
Tiè’ guarda qua.
Svoltarono
un angolo e, come
per magia, si ritrovarono di fronte al ponte ovest di Idresia. Xavier
rimase a
bocca aperta, non tanto per lo spettacolo che gli si era parato davanti
quando
per la titanica misura della struttura. Il gigantesco ponte che
connetteva la
capitale di Sidera alla metà orientale della regione era spuntato
all’improvviso in mezzo al sobborgo modesto e poco monumentale in cui
avevano
camminato fino a quel momento; su di esso si spalleggiavano le numerose
corsie
di quell’enorme strada che era il decumano di Idresia.
‒
Quasi più grosso del Ponte
Propulsione… ‒ commentò lui al precisissimo terzo secondo di
ammirazione.
‒
No, non più grosso… ‒ ribatté
Cassandra senza distogliere lo sguardo dall’obbiettivo.
‒
Dici?
‒
Dai, seriamente tu sei di
Unima? Il Ponte Propulsione è gigantesco rispetto a questo…
‒
Mh… forse hai ragione.
‒
Dove sono?
“Che
cosa
cerchi?”
‒
Dove sono?
“Che
cosa?”
‒
I Pokémon, dove sono?
“L’hai
notato,
allora?”
‒
Te ne eri già accorto?
“Io
sono
sempre al corrente di ciò che sta succedendo, tu piuttosto, hai
impiegato
parecchio prima di renderti conto dell’assenza di qualcosa.”
Kalut
era
salito su un ramo e osservava come un predatore tutto l’ambiente
attorno a
lui. Cercava una presenza, un qualcosa che gli dicesse che non tutte
le
creature erano scomparse. Si stava preoccupando seriamente. Stava
scendendo il
buio, il sole si accingeva a tramontare e il cielo si faceva roseo.
‒
Xatu, che cosa significa che sei sempre al corrente di ciò che sta
succedendo
di preciso? ‒ domandò azzardando un pelino di più Kalut.
“Significa
quel
che significa, ti ho detto che posso vedere qualsiasi cosa che
appartenga
alla nostra realtà…”
‒
E perché… ‒ il ragazzo saltò giù dal ramo. ‒ Riesci ad essere così
calmo?
“La
domanda
è: perché tu sei così agitato?”
Kalut
sbuffò.
‒ Non ne ho idea, sento agitazione dentro di me, sento come se ci
fosse
qualcosa che non va! ‒ esclamò.
“Se
c’è
qualcosa che non va, scopri di che cosa si tratta.”
‒
Facile per te, io non so da dove cominciare, capisci? So che c’è un
problema e
che camminare per un pomeriggio in mezzo ai boschi e non riuscire ad
incontrare
nemmeno un esemplare di niente assoluto mi sembra un pochino strano ‒
spiegò il
suo punto di vista il ragazzo.
“Ti
capisco,
Kalut, per questo penso tu debba almeno provare a cercare la causa di
questo strano fenomeno.”
Il
bianco fisso per un lungo istante Xatu. Era convinto, ma non aveva la
più
pallida idea di come cominciare.
‒
Sono partito da… ‒ si guardò a destra poi a sinistra. ‒ Là. ‒ stabilì
indicando
un punto disperso alle sue spalle. ‒ E sia ieri sia stamattina presto
mi pare
di aver visto dei Pokémon…
“Ciò
vuol
dire…?”
‒
Ciò vuol dire che il problema esiste solo da queste parti, e se esiste
solo da
queste parti significa che ciò che l’ha causato si trova qui vicino,
nessuno ce
la farebbe a far sparire un intero ecosistema di Pokémon da lontano,
giusto?
“Non
fa
una piega.”
‒
E quindi, non ci resta che andare avanti, esattamente come stavamo
facendo
prima ‒ concluse infastidito e lievemente seccato riprendendo il
passo.
Xatu
rimase
immobile per qualche istante.
“Kalut,
devo
dirti una cosa…” lo fermò. “Capisco che tu non ti trovi bene in mezzo
agli
umani, va benissimo, ma ricordati che una buona indagine può essere
condotta
solo tenendo conto di ogni anomalia senza poter credere alle
conseguenze in
alcun caso. E gli umani, quelli che tanto ti infastidiscono” scherzò
“hanno i
più efficienti ed istantanei mezzi di comunicazione esistenti.”
Kalut
non
si mosse.
“È
un suggerimento, il mio.” Precisò Xatu.
‒
Muoviamoci ‒ il ragazzo riprese il cammino.
“Siamo
usciti da Idresia, siamo
diretti verso Alyanopoli e siamo più o meno a metà percorso. Non devo
dare
nell’occhio, lui non deve farsi domande.”
‒
Pensierosa? ‒ domandò il
castano.
‒
No, sto solo riflettendo su
come accamparci e nel caso dormire un po’ ‒ rispose Cassandra.
‒
Oh, hai ragione, vedo se nei
paraggi c’è un qualche Centro Pokémon ‒ si mosse Xavier.
‒
Mh, bravo ‒ sorrise lei.
Stavano
camminando da un bel
po’ avevano parlato del più e del meno, lui le aveva raccontato più o
meno la
sua vita e lei aveva tirato fuori qualche aneddoto qua e là. Le era
stato
insegnato che per conoscere qualcuno per bene bisognava dare poche
semplici
informazioni su di sé per far prendere confidenza e poi lasciarlo
parlare. Fino
a quel momento era andato tutto bene.
‒
Ecco, dovremmo incontrarne
uno tra… un chilometro, si fa, dai ‒ propose l’Allenatore.
‒
Si, va bene, diamoci una
mossa che ho davvero fame! ‒ esclamò quella.
‒
Non aspettarti troppo, in un
Centro al massimo trovi qualche barretta al distributore ‒ la mise in
guardia
il realista Xavier.
‒
Sono fiduciosa, magari è un
Centro ben fornito
Il
castano scrollò le spalle.
Celia
aveva le gambe a pezzi,
non si era mai fermata. Aveva camminato l’intero pomeriggio. Dopo
quell’esperienza un po’ stramba di scontri contro Pokémon selvatici
inquieti
vantava un Gabite in più in squadra e un sonno che le pesava sotto le
palpebre
e sui glutei come un blocco di granito. Ma tutto sommato era
soddisfatta.
“Nessun
Centro Pokémon nel
raggio di… tanto, per raggiungere quello più vicino dovrei arrivare a
Porto
Acquario…” si lamentò con se stessa guardando la mappa sul display del
PokéNet.
“E’
il caso di mettere in
pratica le nozioni di Marcos su come si montano le tende da campeggio?”
chiese
Avril.
Celia
gettò le borse a terra
nel primo angolo sicuro e lievemente isolato che i suoi occhi videro.
“Se
monto la tenda, muoio”
espresse come assioma eterno e incorruttibile della sua vita, la
ragazza.
“Bello.”
“Sacco
a pelo” disse a Avril.
“Ho bisogno di dormire.”
E
così fu, tirò fuori il suo
sacco a pelo, lo stese, mise Gel che aveva sonnecchiato nella Ball per
tutto il
giorno a guardia di quel luogo e gli ordinò di scambiarsi con Karma a
metà
nottata e si addormentò quasi subito stringendo la sua borsa come un
cuscino.
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