Capitolo
20 –
Impazienza
Xavier si
trovava in un limbo tra
il sonno e la delicata veglia. Non riceveva stimoli e non avvertiva
quasi la
sua forma materiale, solo un caldo raggio di sole che lo teneva
attaccato al
suolo fresco sembrava connetterlo alla realtà effettiva. Silenzio.
Pace.
Tranquillità. I suoi Pokémon assieme a quelli della Capopalestra
riposavano
pure loro sull’erba soffice. Così anche Cassandra che sdraiata poco
distante da
lui teneva le mani incrociate dietro la nuca. E anche lei taceva. Ah
no…
‒ Raccontano
un mucchio di
storie… ‒ disse ad un certo punto la ragazza. ‒ Su Hoenn, dico.
Il castano
rispose quasi
controvoglia: ‒ Eh, che significa?
‒ Lo sai, no?
Il cataclisma
scampato a seguito delle lotte tra Groudon e Kyogre, il mostro del
Parco Lotta…
raccontano un sacco di storie su quella regione…
“E perché ne
stiamo parlando?” si
chiese mentalmente Xavier, ma la sua vera frase fu: ‒ Sì, è parecchio
lontana
da qui, ma ho sentito qualcosa, secondo me sarebbe strano viverci.
‒ Dipende da
che cosa intendi per
“strano” ‒ fece Cassandra.
‒ Mah,
generalmente qualcosa di
positivo, tipo che sarebbe figo viverci ‒ Il ragazzo corresse il tiro.
‒ Beh,
dei titani che si combattono in mezzo al mare evocando l’apocalisse
sicuramente
la rendono una regione interessante.
Cassandra
sorrise appena. ‒
Dicono che ci siano degli Allenatori molto bravi, in perfetta sintonia
con i
Pokémon… hai mai sentito parlare dei Pokédex Holder?
‒ Non sono i
ragazzi che… vanno
in giro a documentare quell’agenda digitale?
‒ Stai
scherzando? Sono
Allenatori a tutti gli effetti, mi hanno detto che ognuno di loro ha
una forza
nascosta che farebbe invidia al miglior Capopalestra del mondo!
‒ Me la
facevano molto più noiosa
come roba, fare il Dexholder…
‒ Tu sei
informato e disinformato
insieme ‒ lo sfotté quella.
‒ Beh, io non
sono un
Dexholder-fag ‒ ribatté lui.
‒ Simpatico,
eppure scommetto che
un giorno mi confronterò con uno di loro… magari è vero, si può
imparare molto
da una sconfitta ‒ fece entusiasta.
‒ Ti dai già
per vinta? ‒ chiese
Xavier.
‒ Lo sai che
non sono il tipo, ma
penso che con un avversario troppo potente, se in gioco non c’è nulla
di
importante, sia preferibile impegnarsi in una lotta per imparare il
più
possibile e non tanto per inseguire una vittoria irraggiungibile… ‒
spiegò lei.
Xavier tacque
per un momento. Poi
alzò il busto mettendosi seduto.
‒ Puoi
ripetere, scusa? ‒ fece
con tono lievemente più greve.
Cassandra non
capì la retorica.
‒ Tu sostieni
che ci sono lotte
in cui non vale la pena impegnarsi? ‒ volle mettere in chiaro il
maschio di
Unima.
‒ Ehm, sì?
‒ Cassandra,
che cosa cazzo stai
dicendo? ‒ chiese semplicemente. ‒ Porca miseria, tu sei probabilmente
uno dei
più forti avversari che io abbia mai affrontato e snobbi in questa
maniera una
lotta in cui potresti potenzialmente fare a gara coi migliori… non
pensavo
fosse da te, tu sei il personaggio che nei libri per ragazzini non si
arrende
mai ‒ sciolse.
‒ Non capisco…
‒ fece lei che in
realtà stava capendo.
‒ È una
questione di principio, o
prendi sul serio una cosa o non lo fai… e tu finora mi hai dato
dimostrazione
che non prendi sul serio le lotte Pokémon ‒ spiegò alla fine Xavier. ‒
E non
sarebbe un problema se tu non fossi il Capopalestra della maggiore
città di
Sidera, però a quanto pare è proprio così.
‒ Secondo te
io non prendo sul
serio le lotte Pokémon?! ‒ esclamò un bel po’ contrariata lei.
‒ Guarda che
ho visto come mi hai
lasciato vincere in palestra, un Volcarona e un Heatran di quella
portata non
vanno al tappeto così facilmente, li hai ritirati prima che fossero
davvero
stanchi ‒ tagliò netto Xavier.
Glaciale.
L’aria si fece
glaciale. Cassandra non aprì bocca, ma sotto le lenti dei suoi Ray-Ban
i sui
occhi avrebbero parlato da soli. Xavier rimase con lo sguardo fisso
nel vuoto
senza neanche muovere un muscolo.
‒ Non te lo
aspettavi, eh? ‒
domandò lui.
Cassandra non
parlò, si limitò
rivolgergli lo sguardo.
‒ Del resto
non mi sono neanche
arrabbiato, a me sta bene così, mi hai fatto risparmiare tempo anche
se il mio
orgoglio di Allenatore non è proprio al massimo. L’unica cosa da fare
ora è
capire perché mi hai
lasciato la
vittoria ‒ chiarì.
‒ Xavier…
‒ Dimmi.
‒ Niente.
‒ Tranquilla ‒
proferì. ‒ Posso
aspettare.
E il ragazzo
si voltò su un
fianco. Esule da quella situazione di pathos che si era generata tra i
due
presenti, ritiratosi in solitudine nella roccaforte della mente a
riflettere e
a pensare in compagnia del solo se stesso. Cassandra fu ovviamente
lasciata
confinata fuori. Aveva per un solo singolo istante, che si era
rivelato
bastevole a farle pronunciare il nome del ragazzo, di rivelarsi. Aveva
tenuto
nascoste delle cose a tutti: a Xavier, ai venticinque, a tutti gli
altri. Ma
non poteva che trattenersi. O meglio, non ne era sicura. Sentiva
soltanto che
era stata spiazzata da quell’inaspettata esplosione di maturità e
intuizione
che da quel ragazzo che giaceva a pochi metri era scaturita.
“Gli
uomini
giudicano un’eccezione, una scossa al quotidiano tenore, il dormire
di
giorno e lo stare svegli di notte. Eppure ci sono persone che
darebbero oro per
avere a disposizione tale caratteristica. Poiché andrebbe d’accordo
col loro
lavoro e permetterebbe di condurre una vita relativamente normale.
Ad esempio,
Juan e Mirta della zona di transito, loro vorrebbero dormire di
giorno…”
pensava Xatu.
Il
volatile
rifletteva, mentre attorno a lui Venipede non dava segni di
esistenza
reale, Growlithe, ormai in sintonia con il ragazzo dai capelli
bianchi,
sonnecchiava e Kalut invece dormiva di gran gusto. E in quei
momenti, un essere
semi eterno stanco persino del sonno, era solito pensare. Far
rimbalzare
simpatici pensieri e azzardate ipotesi all’interno della sua
rotondeggiante
scatola cranica per il puro gusto di farlo. Senza infastidire
nessuno e senza
neanche sforzarsi fisicamente.
“La
loro
normalità è relativa, la loro semplicità è relativa. Gli esseri
umani sono
esseri tanto banali e scontati quanto complessi e affascinanti…
eppure questo
Kalut, lui è un umano come non ne ho mai visti. Io che sono l’ultimo
della mia
famiglia e ho conosciuto così tante persone diverse… riesco ancora a
stupirmi
per la conoscenza di un essere umano? È così strano, magari lui è
stato
affidato a me proprio perché avendo esperienza con quasi ogni tipo
di uomo
sarei riuscito ad occuparmi di un esemplare tanto singolare.”
‒
Scusami, Xatu… ‒ gemette Kalut dimostrandosi mezzo sveglio ad un
certo punto.
Il
Pokémon
Magico gli prestò attenzione.
‒
Riesci a stare zitto…? ‒ chiese il ragazzo non senza lasciarlo
spiazzato.
Celia era
sola, sola come era
spesso stata. Camminava e molto semplicemente guardava il paesaggio
che aveva
attorno. E pensava, pensava a cosa aveva già fatto e cosa ancora
dovesse fare, il
suo viaggio stava andando bene, tutto sommato.
Per un momento
le tornò in mente
Luna, la Capopalestra inquietante di Costa Mirach. Le tornarono in
mente le sue
frasi e le sue grida.
“Attenta
alle
nubi” aveva
detto.
Non che per lei significasse qualcosa in particolare. Solamente era
inquietante e basta. Nubi…
E poi un altro
pensiero distante
fece saltare il suo cervello di palo in frasca. Le venne in mente ciò
che aveva
promesso a suo fratello/non-fratello Xavier, ossia che prima o poi
sarebbero
andati insieme a Holon. Holon, ricordò.
Da giovani
avevano parlato molto
di quella terra, di quella regione. Per lei aveva sempre rappresentato
una
sorta di sogno, un luogo lontano in cui andavano solo i migliori
Allenatori e
nella quale tutto sembrava una gigantesca avventura. Holon era una
lontana
regione, piccola nelle dimensioni, grande nell’animo. Un’isola
sperduta nel
mare in cui il clima perfetto e il territorio vario e camaleontico
avevano
permesso lo sviluppo di una Lega che contava le sue classiche otto
palestre e
aveva la sua sede principale sulla vetta di un monte. Holon era
ricordata nei
libri di storia per essere una delle prime terre in cui Mew aveva
fatto la sua
comparsa e il culto del leggendario Pokémon era stato tramandato per
generazioni fino a creare il mito di una regione sacra, una sorta di
santuario
in cui l’equilibrio era dato dalla coesistenza di Pokémon di
straordinario
potere e umani dalla altrettanto straordinaria abilità. Holon,
nell’era moderna
era poi stata resa un qualcosa che rispettasse il mito e aveva
guadagnato un
nome più sontuoso. Tutti i Capipalestra, i Superquattro, in generale i
federali
che vi lavoravano erano abilissimi e temibili persino dai Maestri
Pokémon più
preparati, tanto che persino l’accesso alla prima palestra era
limitato a chi
aveva già guadagnato il titolo tanto ambito.
E lei sognava
Holon, quella terra
esotica e lontana che da bambina diceva sarebbe divenuta la sua casa.
Certo,
sicuramente non avrebbe disdegnato una villetta e un posto di lavoro
là, ma nel
frattempo era maturata così come i suoi obbiettivi. E il suo
obbiettivo erano
le lotte. Quindi sapeva che se avesse avuto la possibilità di andare a
Holon lo
avrebbe sicuramente fatto in primis per provare a vincerne le
medaglie. E
quello che aveva compreso il giorno precedente era che se una raffica
di
Pokémon selvatici nervosi era bastata a stremarla in un pomeriggio,
lei avrebbe
dovuto sicuramente allenarsi di più. Altrimenti Holon poteva rimanere
un sogno
lontano.
Prese in quel
momento
un’importante decisione, capì che avrebbe dovuto selezionare un suo
team,
prendere sei Pokémon e portarli sempre con sé allenandoli fino allo
stremo
delle forze. Sarebbe divenuta una professionista.
Altrimenti,
non aveva idea di che
cosa avrebbe potuto combinare della sua vita.
Cassandra
giaceva immobile e
fredda come un iceberg con i raggi del sole addosso che neanche
riuscivano a
scalfire minimamente il suo gelo. Non sapeva che cosa fare, ed era
questo il
suo unico problema. Era una ragazza abbastanza preparata e, sebbene
non molto
previdente, capace di tirarsi fuori dalle brutte situazioni, per tal
motivo
l’unica cosa che riusciva a metterla in difficoltà era l’aggressività
passiva.
Perché non sapeva mai come contrastarla, nessuno sa mai come fare.
‒ È stato
davvero così facile metterti
a disagio? ‒ chiese Xavier nella sua infinità magnanimità.
Si divertiva a
tenere le persone sulle
spine, in tensione, ma non era così sadico da non riconoscere il
limite imposto
dalla sua moralità.
Cassandra non
rispose subito,
mise il broncio: ‒ Non ho motivo di essere a disagio…
‒ Questo lo
sai soltanto tu.
Cassandra
trasse un lungo
respiro. ‒ Vuoi proprio sapere perché ti ho lasciato vincere? ‒ chiese
prendendo una posizione seduta e voltandosi verso il ragazzo.
Xavier pure
cambiò assetto per
poterla guardare meglio mentre veniva fissato da quegli occhi così
profondi. ‒
Beh, sarebbe interessante capirlo…
‒ Ok…
E Cassandra
gli stampò un bacio
sulle labbra che durò qualcosa come cinque secondi netti. Rimase
abbastanza
appiccicata a lui da convincerlo a ricambiare. Quasi ce ne fosse
bisogno.
Inizialmente,
la reazione di
Xavier fu tempestiva e contrastante allo stesso tempo: la parte più
razionale
di lui voleva scansare la donna, il suo emisfero destro al contrario
aveva
deviato quella forza di reazione sui fili d’erba facendogliene
strappare una
manata. Così una volta separatisi, i due si guardarono in malo modo,
lei con il
visino e gli occhi dolci, lui rincitrullito come mai prima. Cercò di
elaborare
nel tempo di percorrenza del suo sistema nervoso da parte di un
impulso
elettrico una nuova teoria sul come le coppie fossero obsolete per le
persone e
uccidessero il vero amore, ma non gli riuscì. Aveva troppa forza
d’animo e
troppa brama carnale in quel preciso istante e le due entità sarebbero
state
capaci di lottare e pareggiare anche giocando in squadra insieme.
‒ Io avrei già
una ragazza… ‒
mormorò in un momento di cedimento.
Kalut
aprì
lentamente gli occhi. Xatu lo guardava ancora con aria di curiosità
mentre
Growlithe e Venipede si limitavano a respirare.
“Buongiorno…”
lo
salutò il volatile.
Kalut
gemette
qualcosa come una risposta. Non aveva terminato il sonno, il suo
orologio biologico invertito rispetto a quello di un essere umano
normale lo
implorava di chiudere di nuovo gli occhi.
‒
Perché non mi lasci dormire in pace? ‒ domandò al suo Pokémon
accompagnatore.
E
immediatamente tornò tra le braccia di Morfeo.
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