Capitolo
21 –
Stimolo
‒ Quindi
aspetta, spiegami bene,
se tu avessi vinto io avrei rifiutato di continuare il viaggio con te? ‒
chiese
Xavier un po’ infastidito dalla situazione. ‒ Non hai pensato a quanto
mi
avrebbe dato più fastidio il sentirmi trattato come un bambino o un
Allenatore
alle prime armi?
Cassandra
taceva, testa bassa e
occhi socchiusi, non proferiva parola.
Xavier la fissò
un lungo attimo.
Si chiese perché le stesse dando contro, perché stesse facendo la
persona di
merda con lei. Capì che non aveva apprezzato il suo gesto, ma ci era
passato
subito sopra, mentre ciò che più lo aveva infastidito era il fatto che
lui
fosse già impegnato. Stava reagendo non benissimo ma stava esponendo le
ragioni
sbagliate. E nel momento in cui un ingranaggio del suo cervello gli fece
ricordare che la Capopalestra non sapeva nulla a proposito della sua
relazione
con la lontana Julie, un sorriso nacque sul suo volto e la sua finta
rabbia
riuscì a sbollire.
‒ Scusami… ‒
mormorò lei a
bassissima voce.
‒ Ehi… ‒ il
ragazzo le mise una
mano sulla guancia. Non aprì bocca per qualche istante. ‒ No, scusa tu,
me la
sono presa troppo ‒ disse poi cercando i suoi occhi.
Cassandra ancora
una volta non
parlò.
Celia era
entrata nel Centro
Pokémon. Mezzo vuoto come sempre: qualche ragazzino annoiato dall’attesa
seduto
sui divanetti e due o tre infermiere che si raccontavano pettegolezzi
inutili
per ammazzare il tempo. Cercò con gli occhi e… eccolo, il telefono del
centro.
Si sentiva nel secolo precedente ad inserire la monetina per poter
chiamare, ma
sia lei che Xavier avevano fatto la scelta di non portare dietro i
cellulari
per quel viaggio in modo da concentrarsi più sul dispositivo PokéNet e
capire
tutte le sue potenzialità. Celia attese qualche istante in compagnia
dello
squillo cadenzato nella cornetta. Quindi giunse la risposta.
‒ Allevamento
Pokémon di
Delfisia, come possiamo aiutarla?
‒ Julie, sei tu?
Sono Celia ‒
fece lei.
‒ Ehi, Celia,
ciao… ‒ mormorò la
ragazza dall’altra parte. ‒ come va?
Stavolta decise
di dedicare più
tempo ai convenevoli.
‒ Tutto bene, mi
trovo nel
percorso tra Porto Acquario e Idresia, fa un caldo terribile…
‒ Immagino ‒
rise ‒ da noi si sta
bene, c’è un venticello gradevole.
‒ Il lavoro? ‒
chiese la bionda.
‒ Ah. I Wurmple
si sono evoluti, l’influenza
non gira più, abbiamo già seminato le bacche… non c’è quasi nulla da
fare… ‒
fece lei con voce serena.
‒ Beh, ma allora
potresti passare
a far visita a Xavier, no?
‒ Mh… mi
piacerebbe ‒ ammise. ‒
Non lo so, si vedrà… ‒ e rise di nuovo.
‒ Comunque… ho
bisogno di un
altro grosso favore... ‒ cominciò la ragazza dagli occhi lilla.
‒ Dimmi tutto.
‒ Ecco… ‒ e
Celia prese in mano
il foglietto su cui poco prima si era annotata i nomi di alcuni Pokémon.
Tre,
per la precisione. ‒ Dovresti mandarmi Amber, Sybil e Samurott ‒ disse
soltanto.
‒ Va bene, non
c’è problema ‒
acconsentì l’Allevatrice.
‒ E… un’altra
cosa… ‒ proseguì Celia
con voce greve.
‒ Certo,
ascolto.
‒ Vorrei
rilasciare tutti i miei altri
Pokémon ‒ pronunciò.
Julie tacque per
qualche istante.
‒ Potresti
prepararli alla
liberazione nella maniera più delicata possibile? ‒ chiese la bionda.
‒ Oh… va bene… ‒
rispose un po’
sconsolata Julie.
‒ Grazie mille,
mandali a questa
posizione.
Ancora una
piccola pausa.
‒ Va bene, io li
invio… ci
sentiamo la prossima volta…
Riattaccò.
Celia rimase con
in mano la
cornetta per alcuni secondi, finché non decise di mollarla e rimetterla
al
proprio posto. Si sedette su un divanetto si guardò le spalle. Non c’era
alcun
ragazzo con strani vestiti a dormire con una rivista in faccia come la
volta
precedente. Fissò il dispositivo di trasferimento Pokémon finché su
questo
comparve la prima richiesta di trasferimento da accettare.
Immediatamente acconsentì
e così fece per tutte le altre. Si ritrovò con una Luna Ball e due Poké
Ball
per le mani. Tutte e tre emettevano uno strano calore, un calore ben
conosciuto
e allo stesso tempo nuovo. Le ricordavano casa.
Trasse un
profondo respiro e si
avviò verso l’uscita. Poco prima di fare il primo passo fuori ricordò
che aveva
bisogno di alcune provviste per la giornata e tornò indietro al bancone
del
reparto bar. Ne approfittò anche per riempire la tasca dei rimedi del
suo
zaino. Sapeva, anzi, era certa che ne avrebbe avuto bisogno. Uscita dal
Centro
fece uscire tutti la sua squadra.
“Un Reuniclus,
una Gabite, una
Skarmory, una Clefable, un Flareon e un Samurott” lesse mentalmente i
loro nomi
scorrendo lungo le loro sagome. Rapidi furono i convenevoli con i tre
membri
della squadra che erano appena stati riconvocati dopo tanto tempo.
“Ho scelto solo
voi perché siete
i più forti e i più promettenti, quelli più propensi al miglioramento…”
tossì,
si diede della stupida da sola e ricominciò parlando a voce alta. ‒ Ho
scelto
solo voi perché siete i più forti e i più promettenti, quelli più
propensi al
miglioramento. D’ora in poi sarete la mia squadra, la squadra che mi
porterà a
Holon, ognuno di voi… ‒ si corresse. ‒ …di noi dovrà dare il massimo e
allenarsi fino allo stremo delle forze.
I Pokémon
annuirono, la capacità
di comunicazione tra gli umani e quegli esseri simil-animali aveva
sempre
stupito chiunque, ma mai nessuno si era chiesto quale fosse il segreto
di tale
taciuta intesa.
‒ Chi di voi
vuole fare un po’ di
riscaldamento ‒ chiese poi abbozzando il primo sorriso della giornata.
Xavier
appallottolò quello che
era rimasto del cartoccio del panino, lo ficcò nel sacchetto che avevano
relegato a cestino dei rifiuti in occasione del pranzo e si alzò in
piedi.
‒ Vogliamo
partire? ‒ domandò poi
a Cassandra.
‒ Sì, penso sia
il caso.
Avevano passato
la mattinata
sulla riva del lago, entrambi erano riposati e freschi come appena
svegli,
forse fare qualche chilometro di strada avrebbe giovato sia all’uno che
all’altro.
Tenuto in considerazione anche il fatto che il loro obbiettivo era
ancora
piuttosto lontano e nessuno dei due aveva voglia di passare un’altra
notte in
un sacco a pelo.
I due ripresero
il passo in
maniera cadenzata e silenziosa. Senza spiccicare parola. Del resto
l’imbarazzo
generale che si era creato tra i due dopo il bacio di Cassandra non se
ne
sarebbe andato via facilmente, a meno che uno dei due non avesse fatto
finta di
niente per tentare un passettino avanti nei confronti dell’altro.
‒ Ti sei
ripresa? ‒ domandò
Xavier.
‒ Sì, sto bene ‒
rispose
Cassandra.
Il castano aveva
imparato che
nelle situazioni in cui non si sa bene cosa stia succedendo alle donne,
o
bisogna ignorare quest’ultime facendole sentire ancora più sole, o
bisogna mostrarsi
anche solo apparentemente affettuosi. E lui non aveva scelta, era
l’unico
essere umano che gli faceva compagnia in quel momento.
‒ Senti,
Cassandra, vorrei
chiederti una cosa… ‒ cominciò.
La ragazza lo
guardò negli occhi.
‒ Davvero hai
finto di perdere
per venire con me? ‒ chiese, facendo la stessa domanda con cui l’aveva
“accusata”
prima, ma con un tono soffice e delicato e per nulla infastidito.
La Capopalestra
inghiottì e
guardando a terra rispose affermativamente con una vocina flebile
flebile.
Xavier sorrise,
stando bene
attento a far notare la sua espressione serena alla ragazza in modo da
comunicarle indirettamente la sua gratitudine per quell’attrazione forse
ricambiata. Si maledisse un attimo dopo, aveva visto troppi filmacci
romantici
a casa e al cinema con Julie. Julie. Si morse la lingua.
‒ Forza, Sybil
fammi vedere che
cosa ti ricordi, Magibrillio!
‒
ordinò la bionda.
La sua Clefable
sfogò la sua
energia sotto forma di un fascio di luce accecante che investì
immediatamente
entrambi i suoi avversari.
Come era solita
allenarsi quando
era da sola e quando i Pokémon selvatici locali erano troppo deboli per
lei,
aveva messo due dei suoi compagni che avrebbero agito da soli contro un
altro che
invece sarebbe stato guidato da lei. In questo caso gli avversari erano
Reuniclus e Skarmory, rispettivamente Gel e Karma. I due Pokémon, non
ancora
sconfitti reagirono con Introforza
e Alacciaio.
‒ Minimizzato! ‒ Clefable ridusse la sua dimensione notevolmente
consentendosi di evitare entrambe le mosse avversarie. Quindi tornò alla
normalità.
‒ Fulmine su Skarmory e Palla
Ombra su Reuniclus!
Le due mosse,
scagliate quasi
simultaneamente dal Pokémon Fata,
si
abbatterono con violenza sugli avversari causando loro ingenti danni ma
non
mandandoli al tappeto.
‒ Ottimo lavoro,
Ondasana e poi torna dentro,
vedo che
non sei ancora in forma, bella mia ‒ ammiccò Celia.
Sybil curò Karma
e Gel, quindi
poté rientrare nella Luna Ball.
‒ Amber, ora è
il tuo turno ‒
chiamò all’appello il suo Flareon. Il Pokémon Fiamma entrò in campo
fiero e
avvolto nella sua calda pelliccia fulva.
‒ Rogodenti su Karma!
Il canide partì
all’assalto verso
il pennuto e lo addentò con le sue zanne infuocate. Skarmory subì
parecchio il
colpo e scese a terra per riprendersi. Nel frattempo Amber era già
partito con
la seconda avanzata nei confronti di Reuniclus su ordine della sua
Allenatrice.
Gel aveva tentato di scagliare un attacco Psiconda,
ma quest’ultimo venne evitato da Flareon che subito si gettò in un
violentissimo Fuococarica.
Mentre i suoi
Pokémon
combattevano, Celia tornò con la mente al giorno in cui aveva tenuto tra
le
mani per la prima volta il suo Amber. Si trovava a Kanto assieme a
Xavier e
aveva scambiato con un ragazzino che le aveva proposto di uscire la sua
Ambra
Antica per quell’essere tanto tenero e soffice. Era un Eevee quando lo
conobbe
per la prima volta, e conoscendo bene quella specie, aveva subito deciso
che
non avrebbe forzato la sua evoluzione. Per gli Eevee, evolversi è come
oltrepassare un momento della vita dopo il quale non si può più tornare
indietro, per questo motivo il suo Amber, chiamato così da quel giorno,
aveva
deciso di evolversi solo qualche mese dopo, pronto finalmente a compiere
il
grande passo. Aveva proposto lui stesso la pietra, Celia ricordava bene
quel
giorno. Amber che col suo musetto picchiettava sulla sua borsa proprio
in
corrispondenza della tasca che conteneva quel minerale tanto
particolare. Era rimasta
soddisfatta del suo gesto, Flareon si era da subito rivelato un compagno
affidabile e potentissimo.
‒ Basta così,
via che ripartiamo!
‒ esclamò Celia interrompendo l’allenamento.
I suoi Pokémon
si erano stancati
un pochino, ma nessuno di loro aveva bisogno di un Centro Pokémon o
altro,
farli giacere qualche ora nella Ball sarebbe stato sufficiente. La
bionda diede
un’occhiata alla mappa sul suo Pokénet, la strada rimanente per
raggiungere
Porto Acquario non era lunghissima ma neanche era il tratto della
passeggiata
tra casa sua e il negozio di alimentari della via adiacente. Si fece
coraggio.
‒
Forse è arrivato il momento di andarsene ‒ mormorò Kalut.
“Ne
sei così convinto?”
‒
Anche se vorrei rimanere un altro po’ a dormire… ‒ proseguì.
“Decidi
tu.”
‒
È vero che ho sentito il tuo pensiero nel sonno?
“Sì…
è vero.”
‒
Xatu, ho una brutta sensazione ‒ gemette il ragazzo.
“Che
cosa senti?”
‒
Non lo so, mi sembra di avere un vuoto in pancia, un senso di disagio…
“Questo
tuo sentore ti suggerisce di muoverti?”
‒
Di lasciare questo luogo.
“E
tu vuoi ascoltarlo?”
‒
Penso di sì…
“Perché
vuoi ascoltarlo?”
‒
Perché…? Che domanda è? Ho preso una decisione…
“Perché
vuoi ascoltarlo?”
Kalut
tacque per dei lunghi secondi.
‒
Perché una sensazione irrazionale è l’unica cosa che non può essere
contrastata
dalla ragione…? ‒ tentò il ragazzo dai capelli bianchi.
“Bella
risposta, mi piace.”
‒
Ah, ecco…
“Muoviamoci,
sveglia Growlithe e Venipede.”
Il
ragazzo, il pennuto, l’invertebrato e il canide si mossero tutti
assieme, Kalut
si avvolse il lenzuolo a mo’ di mantello attorno al corpo. Lo faceva
sentire
più sicuro.
“Che
direzione vogliamo prendere, capitano?”
‒
Verso qua.
Si
incamminarono tutti verso nord, Kalut aveva ancora in testa la mappa
impressa
come una fotografia nel suo cervello. Sentiva che qualcosa stava per
accadere,
ma non aveva idea di cosa, quindi per sicurezza prendeva precauzioni.
Erano appena
passate le sei del pomeriggio, essendo il quattro settembre ancora il
sole
illuminava l’atmosfera anche se si accingeva appena a toccare
l’orizzonte. Kalut
non si sentiva sicuro al massimo nel muoversi a quell’ora, preferiva
di gran
lunga il buio, ma decise che non era il momento di sindacare sui gusti
personali.
‒
Xatu, dici che riuscirò a capire quale sia il mio obbiettivo almeno
stanotte? ‒
chiese l’umano.
“Non
so, Kalut” rispose il volatile.
‒
Che cosa credi?
Xatu
lo guardò con occhio curioso.
‒
Secondo me sei troppo abituato ad affidarti a quello che sai, hai
visto cos’è
successo ora? Io avevo una sensazione e l’ho seguita, senza affidarmi
alle mie
conoscenze ‒ spiegò il ragazzo. ‒ Che cosa credi? ‒ ripeté.
“Che
se ti impegni davvero potresti avvicinarti alla meta.”
‒
Non sei così incoraggiante... ‒ rise Kalut.
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