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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 23 - Umiliazione

Capitolo 23 – Umiliazione

“Senza tanti fronzoli, sì, funziona così. Tu sei un cittadino, quindi paghi la tua città mentre vieni pagato dalla tua città. Gli esseri umani si complicano sempre la vita con i loro soldi…”
‒ Guadagnare soldi. Sembra difficile.
“E lo è… ma pensaci, il movimento dei soldi assicura una sopravvivenza alle persone.”
‒ Un equilibrio che si basa sul movimento? Mi sembra qualcosa di così… stupido…
Kalut e Xatu discutevano dei massimi sistemi, uno seduto su una panchina e l’altro appollaiato sul lampione rotto lì vicino, erano in un parco, un parco di periferia in cui crescevano dei bellissimi fiori, dei bellissimi fiori a forma di siringhe usate.
“Un equilibrio che si basa sul movimento è qualcosa di incredibilmente stabile, invece… pensa alla società degli umani come ad una trottola. Se essa si trovasse con la punta a contatto col suolo, ma immobile, cadrebbe all’istante o al massimo al primo soffio; contrariamente, una trottola in movimento non solo si regge sulla punta, ma resiste anche ai colpi che vengono dall’esterno.”
‒ Non capisco però, per quale motivo una società dovrebbe reggersi su un punto solo? Non si potrebbe prendere la trottola a girarla al contrario? ‒ chiese il curioso Kalut.
“Ma infatti è uno dei problemi degli esseri umani, per il resto, squadra che sembra vincere non si cambia, e una società che sembra funzionare non viene modificata. Né in meglio né in peggio.”
‒ Xatu, un’ultima domanda.
“Certo.”
‒ Qual è questo punto su cui si regge l’intera società degli esseri umani.
“Ah, interessante.”
‒ Mh?
“Beh, difficile dirlo, per quello che ho potuto vedere, ogni società ne ha uno diverso. Alcune volte quel punto è un ideale, altre un interesse comune, altre ancora un nome, altre ancora un essere umano stesso è quel punto, vivo o morto, altre volte ancora è una certa cultura e altre ancora un sentimento…”
‒ E quale funziona meglio?
“Quale funziona meglio…” rise Xatu. “…dipende… se per funzionare intendi far sopravvivere quella società, per ora nessuno.”
‒ Nessuno?
“Nessuno, non ho mai visto popolazioni scomparse a causa di guerre, attacchi di altri popoli o comunque fattori esterni ad esse. Ogni civiltà che ho visto decadere si è autodistrutta, da ciò ne deriva che l’umano stesso non abbia ancora trovato la formula di una giusta società, magari un giorno potrà riuscirci, ma per ora sembra proprio di no…”
Kalut aveva lo sguardo perso nel vuoto, quasi spento.
‒ Come siamo arrivati a parlare di questa cosa qua?
“Ah, boh, parlavamo di soldi” rise il Pokémon Magico.
I due, Kalut e Xatu, si levarono dalle loro posizioni di riposo. Il volatile non aveva bisogno di sonno, il ragazzo invece, secondo il suo orologio biologico, era perfettamente in piena “fase di lavoro”, entrambi si mossero.
‒ Come mi procuro dei soldi, se devo far finta di essere un cittadino devo almeno fare la mia parte… ‒ chiese il bianco.
Xatu fece spallucce.
‒ Ho un’idea.
Il volatile volle seguirlo e capire quale fosse tale trovata. Kalut si incamminò a caso in mezzo alle vie, prese strade senza criterio e logica e imboccò vie solo perché il suo istinto gli diceva così. Finché non trovò il luogo che cercava.
Era arrivato davanti ad un piccolo locale, una specie di bar la cui definizione poteva essere presa e masticata, tanto era elastica. Il locale era pieno di gente, fuori e dentro, e una musica ripetitiva e parecchio aspra faceva vibrare l’aria di tutta la via rimbombando insistente.
‒ Com’è che si chiamavano? Portafogli?
“Esatto.”
Kalut entrò nel bar. Si mosse quasi invisibile tra le persone, un ragazzo della sua stazza in mezzo a tanta gente eccentrica, brilla e distratta non poteva che essere ignorato. Aveva qualche idea in mente, voleva che riuscisse. Kalut si aggirò senza meta nel locale per un po’, quindi, fatto il sopralluogo, decise di agire.
Xatu stava aspettando fuori dal locale da pochi minuti, nascosto dietro l’angolo con al suo fianco Growlithe e Venipede, quando vide Kalut ricomparire davanti a lui con in mano una banconota da duemila Pokédollari. Il volatile non disse nulla riguardo al gesto del ragazzo, solamente alzò il becco e sussurrò telepaticamente: “come hai fatto?”
‒ Portano tutti dei pantaloncini attillati, mi è bastato trovarne uno abbastanza ubriaco, solo e seduto. Ho fatto cadere il portafoglio vicino a lui, mi interessavano solo questi ‒ spiegò con semplicità Kalut.
“Mh” Xatu non aggiunse altro. “Quindi che cosa intendi fare con questi soldi?”
‒ Vedrai.
Il ragazzo si mosse, i suoi Pokémon lo seguirono. Mentre camminavano in mezzo alla strada, a Xatu venne in mente una cosa.
“Kalut, sei scalzo?”
‒ Oh, sì, me ne ero dimenticato ‒ fece il ragazzo.
“Non sarà il caso che ti compri qualcosa da metterti?”
‒ Probabilmente hai ragione ‒ confermò.
“Il mio è un consiglio comunque…”
‒ Apprezzo.
Kalut e i suoi compagni giunsero dopo qualche isolato ad una tavola calda aperta notte e giorno. Il ragazzo entrò e i suoi Pokémon lo attesero fuori.
Mise piede dentro quella bettola e un odore di frittura in olio riciclato uccise il suo olfatto per i due minuti seguenti, non era il massimo come primo passo, ma si fece coraggio. Il tipo che sedeva dietro il bancone lo squadrò a fondo, e Kalut pure squadrò quell’uomo dal grosso pancione la barba incolta e i capelli unticci. Il ragazzo dai capelli bianchi non fece una mossa brusca. Con morbidezza in ogni sua azione si avvicinò alla cassa, indicò uno dei panini che erano in mostra sulla tavola di legno del bancone e chiese quanto costasse. L’uomo gli disse il prezzo e lui acquistò. Il panino fu servito incartato e il ragazzo si mise seduto ad uno dei tavoli a mangiarlo.
“Spiegami, stai facendo tutto a caso?” disse la voce di Xatu nella sua testa.
“Sì, certo, e ora come faccio a rispondergli?” pensò Kalut.
“Esattamente così” confermò Xatu.
“Cosa? Mi senti?”
“Sì, la telepatia è complessa da imparare ma estremamente versatile, posso dare parola alle persone con cui sono in collegamento e con te è stato estremamente facile a dire il vero” spiegò il Pokémon.
“Oh.”
“Rispondi alla mia domanda…”
“Ah, eh, sì sto improvvisando in realtà, non ho idea di come funzioni questa roba, ma finché la gente non mi guarda strano continuo a fare la prima cosa che mi viene in mente…” si confessò Kalut.
“Cavolo… hai la tattica di un lottatore di sumo che cerca di infilarsi il tutù di una ballerina” lo prese in giro il volatile.
“Che cos’è il sumo?”
“Lascia stare…” Xatu tacque un attimo. “…piuttosto com’è il panino?”
“Fa cagare.”
“E perché continui a mangiarlo?”
“…”
“Mh, spiegami allora perché avresti fatto finta di dover mangiare?”
“E chi finge?”
“Avevi fame davvero?”
“Sì.”
“Pensavo che la tua priorità fosse l’indagine.”
“E lo è, ma i motivi per cui preferisco prima mangiare sono ben tre: primo, a pancia piena si ragiona meglio, secondo, hai detto che per capirci qualcosa devo essere come gli umani e mi sembra che gli umani pensino prima ai loro bisogni e poi a tutto il resto, terzo, penso che se perdo tempo alla fine ti romperai le scatole e mi darai qualche suggerimento.”
“Eh, Kalut, io vivo su questa terra da parecchio tempo, non penso che mi farai perdere la pazienza così facilmente.”
“Xatu, io davvero non so da dove cominciare, non ho indizi e sto cercando qualcosa che non so cosa sia…” si lamentò Kalut che dall’ironia della sua frase aveva ottenuto una mazzata grossa e violenta.
“Kalut, ti faccio notare una cosa…” e il pennuto fece una pausa di enfasi. “…appena una settimana fa non eri capace di parlare, ora ti esprimi come una persona normale e conosci nuove parole secondo non so quale criterio, sto cercando di capirlo anche io, e inoltre ragioni anche in maniera più sottile e intelligente della media degli esseri umani. Ti evolvi a ritmo esponenziale, so che arriverai a capire che cosa sei stato mandato a fare su questa terra quanto prima.”
“…”
“Mi capisci?”
“Ti capisco, ma capisci anche tu che la cosa mi infastidisce? Mi dà profonda frustrazione.”
“La necessità aguzza l’ingegno, sbrigati a finire quel panino che qua ci annoiamo” chiuse il discorso Xatu.
Kalut rimase con un palmo di naso, un panino schifoso in mano e impossibilitato a comunicare col suo Pokémon. Intanto, lui era appena fuori dalla tavola calda e rifletteva, come il novanta per cento del suo tempo. Rifletteva chiedendosi come Kalut potesse conoscere parole che mai aveva sentito dire e come avesse potuto acquisire abilità come l’aritmetica e la lettura che aveva dimostrato rispettivamente pagando il tipo della bettola e leggendo il nome del panino sul menù. Il Pokémon poteva vedere il futuro, conosceva il motivo per cui Kalut era al mondo, ma dopo avergli visto fare certe cose aveva deciso di non guadare più ciò che sarebbe successo negli anni seguenti. Lo trovava un soggetto troppo interessante da veder crescere.
 
Nottata marcia, Xavier aveva dormito malissimo. Il ragazzo aprì gli occhi sentendo le palpebre appiccicate come con la colla e il volto completamente devastato. Si rotolò a fatica giù dal letto e raggiunse il bagno, si sciacquò la faccia e la bocca. Bevve anche un bel po’.
Tornò indietro. I suoi occhi si posarono sul corpo ancora addormentato di Cassandra sinuoso e immobile sotto il solo lenzuolo. Se non fosse rimasto schifato dal mondo a causa della sensazione di amaro lasciatagli in corpo dal risveglio veramente merdoso, il suo alzabandiera mattutino sarebbe stato motivato. Eppure sapeva di non dover avere certi pensieri, almeno pensava che non sarebbe stato proprio giustissimo.
Si vestì e uscì dalla stanza, doveva prendere un bel po’ d’aria. Subito il cambio di stanza si fece sentire. Il suo cervello ricevette una boccata d’ossigeno.
Uscì fuori dal centro per assorbire qualche fotone di luce solare. Si fermò con la schiena appoggiata alla parete a lato della porta di vetro del centro. Il suo sguardo fini a terra. E ovviamente nella generale sporcizia di quelle strade.
Alyanopoli era proprio un cesso, questo commento se lo erano risparmiato sia lui che Cassandra al loro arrivo, ma era sicuro che l’opinione era condivisa da entrambi. Decise di muoversi, aveva bisogno di sgranchire i muscoli e dato che non aveva soldi da sprecare in cavillismi quali la colazione, decise di trovare un modo di racimolare qualche nichelino.
Non era nel migliore dei posti per una roba del genere, ma voleva tentare, sicuro le opportunità non sarebbero mancate, la mattina non era praticamente ancora iniziata e la città dormiva, così come Cassandra. Ancora non erano scoccate le sei.
 
Giorno seguente. Celia era tornata quella mattina presto alla Palestra di Porto Acquario, la Capopalestra locale l’aveva accolta in quel meraviglioso edificio di vetro, trasparente e quasi etereo. Lei, Sirrah, era una mora silenziosa e dallo sguardo serio, aveva aperto personalmente le porte all’Allenatrice di Delfisia e l’aveva guidata al Campo Lotta senza dire una parola. Celia l’aveva squadrata per bene, portava un vestito lungo che cadeva sul suo corpo come una tunica. Sembrava una antica dea greca.
‒ Il primo Pokémon da mandare in campo dev’essere del Capopalestra ‒ sussurrò la ragazza dai capelli del colore della notte lanciando la prima Ball sul campo.
E un docilissimo Blastoise comparve nell’arena.
‒ Va bene, gioca duro, vai Samurott!
Il Pokémon Crostaceo e il Pokémon Dignità si scrutavano magnetici e affilati l’uno pronto a picchiare l’altro con decisione. Per ovvie ragioni la loro rivalità era particolarmente elettrica.
Megacorno!  ‒ ordinò Celia dando il via alle danze.
‒ Difenditi con Capocciata!
Il cranio corazzato di Blastoise e il corno osseo di Samurott cozzarono con violenza emettendo un suono aspro e stridulo. Entrambi ne uscirono doloranti, ma nessuno dei due prevalse.
Cannonflash! ‒ esclamò Sirrah.
Vendetta!
Troppo tardi per la Capopalestra, ormai il colpo era stato lanciato dal suo Blastoise, il fascio di luce metallifera investì il Pokémon Dignità, che si rialzò subito in piedi e colpì senza pietà l’avversario con un fendente della sua lama-conchiglia. Sicuramente Blastoise aveva incassato più di lui, Celia era decisa a mantenere il vantaggio.
‒ Ora vai con Nottesferza! ‒ fece la bionda.
Protezione! ‒ Sirrah sapeva come difendersi.
Colpo parato.
Lacerazione! ‒ di nuovo mossa di Samurott.
Morso!
Stavolta le sorti non erano a vantaggio di Celia, le fauci del rettile si chiusero attorno alla conchiglia di Samurott infrangendola in mille pezzi senza troppi complimenti.
‒ …merda… ‒ commentò la ragazza.
‒ Finito di scaldarti? ‒ chiese quindi la Capopalestra con uno sguardo serissimo in volto.
La bionda non fu proprio felice di sentire tali parole. Probabilmente aveva pure sottovalutato la sua avversaria. Autoingannarsi però è comodo, e si convinse che erano i muscoli di Samurott che ancora non erano perfettamente caldi.

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