Capitolo
25 –
Crescita III
‒
Continuiamo…
Celia era
stanca, ma non
particolarmente ansiosa. Aveva davanti quella piccola creaturina azzurra
di un
Manaphy, che aveva incassato tante di quelle botte da farla sentire una
maestra
violenta coi bambini ma non aveva ancora dato il minimo segno di
cedimento.
‒ Sei brava,
Celia, ma non sono
ancora convinta che tu possa sconfiggermi ‒ affermò con monumentale
naturalezza
la Capopalestra Sirrah.
‒ Beh, se non ci
proviamo non lo
sapremo mai…
‒ Anche questo è
vero, ma io ti
consiglierei di risparmiare le forze del tuo Pokémon, per evitare che
sia
costretto al ricovero dopo la conclusione della lotta ‒ spiegò la
ragazza.
Celia rimase non
poco interdetta.
‒ Fidati di me,
non sottoporre a
questa tortura il tuo Garchomp…
La bionda si
fece sotto, cercando
di vincere la paura con l’azione: ‒ Dragofuria!
Un altro attacco
incassato in
pieno da Manaphy, un altro attacco che non modificò la situazione.
Manaphy
resisteva, sembrava non sentire neanche i colpi che si schiantavano su
di lui. E
Celia si chiedeva come ciò fosse possibile, ma non riusciva a trovare
risposta.
Momento di
stallo, Manaphy
utilizzò Codadiluce mentre
Garchomp
riprendeva fiato. Fu un attimo, alla ragazza di Austropoli venne
un’idea, aprì
il PokéNet e cercò la pagina dell’Enciclopedia dedicata a Manaphy, la
raggiunse, ivi il Pokémon Oceandante
era
approfondito in ogni senso e in ogni sfaccettatura, ma nessuno dei dati
faceva
riferimento all’incredibile resistenza che stava dimostrando in quello
scontro,
anzi, le statistiche medie che l’Enciclopedia assegnava a Manaphy erano
piuttosto eque.
Quando la
ragazza alzò lo sguardo
dallo schermo del PokéNet, incrociò gli occhi della Capopalestra. Sirrah
la
stava fissando e sembrava non avere altro in testa, la guardava con
un’espressione
assente stampata in volto, sembrava avere la faccia di chi ha appena
ricevuto
una brutta notizia.
Celia fu
talmente empatica da
avvertire il groppo allo stomaco insieme alla mora dall’altra parte
dell’arena.
Ovviamente sfogò urlando: ‒ Terremoto,
vai Jin!
Inaspettatamente,
la Capopalestra
non reagì, lasciò che il suo Manaphy incassasse il colpo. Sembrava
essersi
distratta.
‒ No! Manaphy, Ventogelato!
L’attacco
danneggiò parecchio
Jingle che bloccò per pochissimo la sua grinta. Ormai le sue energie si
avvicinavano agli sgoccioli, era stanco di combattere, ma come un degno
esemplare della sua specie, non avrebbe smesso di utilizzare tutta
l’energia a
lui concessa fino all’ultimo.
Celia era
preoccupata, si era
resa conto anche lei che Sirrah era nettamente superiore come
Allenatrice e che
si erano trovate in parità solo per un paio di scelte infelici della
Capopalestra, ma aveva cercato di fingere che non fosse così. Eppure,
una fioca
di speranza tornò a brillare quando avvenne qualcosa che neanche lei si
sarebbe
mai aspettata.
Garchomp, come
la fiamma della
candela che emana il più luminoso bagliore prima di spegnersi, catalizzò
tutte
le sue energie e gettò fuori un ruggito che fece tremare i vetri di cui
era
composta la Palestra, sia Sirrah che Celia videro delle sostanziose
cariche di
energia splendente concentrarsi davanti alla bocca di Jin per formare
una sfera
che, lanciata in aria dal Pokémon Mach si frammentò in un millisecondo
ricadendo sotto forma di una pioggia brillante e pericolosissima
nell’area di
Manaphy.
La bionda dagli
occhi lilla non
poteva credere ai suoi occhi, il suo Garchomp aveva appena usato Dragobolide,
mossa particolare che aveva
sentito solo alcuni fossero in grado di insegnare ad un élite ristretta
di
Pokémon. Quando le meteore si erano avvicinate al suolo, aveva udito il
grido
di Sirrah che aveva tentato di farsi venire in mente qualcosa per
reagire, ma
poi il frastuono delle esplosioni che risuonavano dall’altra parte del
campo
aveva otturato le sue orecchie.
Un grosso
polverone si era
innalzato a seguito del violento colpo. Un momento di calma era seguito
a quel
disastro, momento che diede il tempo a Garchomp di respirare, a Celia di
digerire l’accaduto, a Sirrah di comprendere la situazione e a Manaphy
di
mollare la presa e cadere a terra arrendendosi.
Il Pokémon Oceandante avversario era KO, Celia aveva conquistato la Medaglia Bussola. Quella più sorpresa
era proprio
lei, che non aveva visto l’ombra del minimo dolore nell’avversario fino
al
momento della sua resa.
Entrambi i
Pokémon rientrarono
nelle loro sfere, le sfidanti si incontrarono al centro dell’arena ormai
ridotta ad uno scavo archeologico, la donna “di casa” mostrò il badge
alla
vincitrice della sua palestra. Una rosa dei venti cerulea in formato
rimpicciolito,
con quattro punte che avrebbero simbolicamente dovuto indicare i quattro
punti
cardinali, era la medaglia Bussola.
‒
Complimenti,
non
mi aspettavo una simile ripresa… ‒ commentò Sirrah.
La donna era di
poche parole,
Celia ringraziò, quindi decise di uscire da quel luogo. Aveva un Pokémon
che si
era evoluto con la lotta, aveva imparato una mossa nuova e le aveva
fatto
guadagnare un’altra medaglia.
Era felice.
‒ Quindi questa
dovrebbe essere
la palestra di Alyanopoli? ‒ domandò sardonico Xavier.
Lui e la castana
si trovavano
davanti ad una porta nera e unta con un paio di scritte lasciate sopra
da
qualcuno che aveva giocato a fare il writer, un cartello troneggiava
appeso
sopra all’ignobile entrata: “Palestra
Gorgone,
Capopalestra: Perseo”. Ovviamente il palazzo non era di qualità
superiore, una infelice palazzina di periferia in mattoncini scuri e
finestre
piccole.
‒ Come siamo
caduti in basso, vero?
‒ fece Cassandra.
‒ Dio… che
schifo ‒ commentò
felicissimo il ragazzo di Austropoli.
‒ Che si fa?
‒ Penso di
poterti risparmiare la
visita, tu vai a… non so, a divertirti magari… qua me la sbrigo io
personalmente
‒ disse il ragazzo.
‒ No, sono anche
io una
Capopalestra e mi sento personalmente chiamata in causa per certe cose,
voglio
rendermi conto della situazione.
‒ Mh… ok ‒
sbuffò Xavier.
‒ ‘ndiamo.
I due aprirono
la porta sudicia,
si ritrovarono compressi in una piccola stanzina dall’aria consumata e
fetida. A
Xavier ricordava molto la Palestra di Velia a Zondopoli, ma lì non si
sentiva
la musica prodotta dalla band della ragazza di sottofondo e soprattutto
non si
respirava quell’aria di bettola rockeggiante. Quella era solo una
stanzina, una
comune e banale stanzina.
Il ragazzo si
guardò attorno per
qualche lungo attimo. I suoi occhi giunsero ad una risposta, sul muro
nero pece
si era infatti un piccolo interruttore quasi impercettibile che si
apprestò a
cliccare. Non passarono due secondi che la parete che fino a quel
momento a
entrambi i presenti era sembrata neutra si spalancò dando la possibilità
ai due
di passare ad un secondo dungeon. Una scalinata scura e poco promettente
si era
parata dinanzi a loro.
‒ Identificatevi
‒ ordinò una
voce registrata risuonante nello stretto locale.
‒ Sono qui per
sfidare la
Palestra di Perseo, sono un Allenatore, lei è con me ‒ rispose
prontamente
Xavier.
‒ Attualmente il
Capopalestra non
può essere a vostra disposizione, siamo spiacenti, provate a ripassare…
‒ Perseo, sono
Cassandra, facci
salire! ‒ partì in contropiede la ragazza.
Momento di
silenzio. Poi si udì
qualcuno smanettare con qualcosa vicino al microfono.
‒ È aperto… ‒
borbottò poi la voce.
Entrambi
sentirono uno scatto
provenire dalla porta che si trovava sulla cima della scalinata. Xavier
e
Cassandra salirono e penetrarono pure l’ultimo portone. Nella stanza che
si
nascondeva dietro quest’ultimo li aspettava uno scenario che mai nessuno
si
sarebbe aspettato da una palestra.
Un ambiente che
ricordava in
tutto e per tutto l’appartamento di un nerd molto disordinato faceva da
prima
stanza di quella che era la Palestra di Perseo. Il ragazzo che Xavier
ricordava
bene e identificava con tale nome li stava aspettando con le braccia
dietro la
schiena davanti all’entrata.
‒ Buongiorno,
collega ‒ salutò il
moro col codino riferendosi alla bella castana.
‒ Che postaccio,
cerchiamo di
fare presto così posso andarmene… ‒ fece per tutta risposta lei
rivolgendosi a
Xavier.
‒ Perseo,
giusto? ‒ chiese il
ragazzo allungando la mano per stringere quella del Capopalestra.
Nessuna reazione.
‒ Vorrei vincere
la medaglia Gorgone, dovremmo
combattere ‒ mormorò
il ragazzo. Ancora nessuna risposta.
‒ Mi dispiace ma
non è possibile…
‒ mormorò il tipo.
Kalut
dormiva, non era accaduto molto, quella notte oltre al cibo e alle
feste a cui
era andato senza intendere cosa fossero ma solamente per capire come
funzionassero gli esseri umani in dei luoghi pubblici.
“Stare
sveglio solo di notte sarà davvero controproducente, non potrai
entrare in
negozi, ristoranti o comunque posti notoriamente aperti solo di
giorno, mi
capisci?”
Xatu
stava parlando con il corpo addormentato di Kalut, sapeva che quando
si sarebbe
rialzato avrebbero avuto più cose da dirsi.
“In
più non condivido appieno la tua scelta del metodo di comprensione
degli umani,
l’improvvisazione non va mai bene quando si tratta di una situazione
così particolare…”
proseguiva il volatile.
“Ma
comunque non fa niente, sono felice che nessuno ti abbia visto o
comunque si
sia accorto della tua presenza, per il resto del mondo non esisti…”
Celia era uscita
dalla palestra,
sedeva su una panchina con il suo diario in una mano e la matita
nell’altra,
stava parlando con Avril delle sue esperienze mattutine, aspettava
solamente di
mettere in chiaro i pensieri a proposito di Jin.
“Ho vinto contro
Sirrah, non me l’aspettavo
proprio se devo dire la verità…”
“Ti è andata
meglio di quanto
pensassi.”
“Hai ragione, ma
penso anche che
una buona dose di fortuna legata all’evoluzione di Jin sia da
ringraziare.”
“Tu lo avevi mandato in campo con la sola speranza di vederlo evolvere?”
“Tu lo avevi mandato in campo con la sola speranza di vederlo evolvere?”
“In pratica…”
“Ottimo, ma che
mi dici di
Manaphy?”
“Ah, penso di
aver capito… sembra
che una tecnica intimidatoria molto usata da alcuni combattenti sia
quella di
intimorire l’avversario mettendo in risalto la propria invulnerabilità,
far
credere di essere più forti di quel che si è a volte funziona…”
“Quindi secondo
te Manaphy
avrebbe finto di essere ancora a posto per tutta la lotta finché
l’ultimo colpo
non lo ha sfinito facendolo crollare di punto in bianco…?”
“Esatto.”
“Mh, teoria
molto particolare…”
“E da ciò ho
capito che non solo
la forza conta, ma anche l’attitudine e il proprio modo di proporsi
fanno la
differenza nelle lotte. Bisogna provare ad unire intelligenza ed
estetica,
vorrei davvero tentare appena ne avrò l’occasione.”
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