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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 28 - Sensibilità

Capitolo 28 – Sensibilità

“Un’immagine…”
‒ Un’immagine…
Kalut stava osservando le strade della città di Idresia dal tetto ove si era rannicchiato. Le guardava e tremava.
“So che cos’hai visto, Kalut, ho potuto vedere anche io” fece Xatu ad un certo punto, capendo che il ragazzo, precedentemente preso dal forte entusiasmo, non si sarebbe mosso facilmente.
‒ Le nubi, Xatu, le nubi, c’era ghiaccio ovunque e sentivo il gelo sulla mia pelle… ‒ spiegò il bianco quasi con le lacrime agli occhi.
“E allora secondo te questo tuo sogno cosa può voler dire...?” domandò
‒ Che ne so? So solo che qui c’è qualcosa di strano.
“Kalut, vuoi sapere una cosa?”
Il ragazzo annuì.
“Gli esseri umani si interrogano da sempre su un dubbio che hanno insito nel loro animo: si domandano se esiste una divinità che regola lo scorrere degli eventi e il verificarsi di essi. E forse anche tu, da buon umano, ti saresti posto questa domanda se non ne avessi avuto in precedenza la risposta…” spiegò il volatile.
‒ Significa che qualcuno mi sta mandando una sorta di messaggio? Un indizio?
“Significa che tu hai visto qualcosa in più di tutti gli altri esseri umani e per questo potresti avere… una vista migliore della loro.”
‒ Stai metaforizzando?
“Sto metaforizzando.”
‒ Ghiaccio, gelo e nubi… il turbamento, la paura…
“Ci stai arrivando.”
‒ Sentivo il bisogno… il bisogno di calore.
“Calore?”
In quel momento, comprendendo le sue parole, Growlithe si accostò a Kalut mettendosi in evidenza. Il Pokémon scondinzolava felice.
‒ Growlithe… ‒ mormorò Kalut cercando di trovare un capo e una coda in quel groviglio di fili che era la sua testa.
“Vorrebbe esserti utile” spiegò Xatu. “È un Pokémon fedele.”
‒ Fedele?
“Fino alla morte, non abbandona mai il suo Allenatore.”
‒ Non mi sembra proprio.
“Come?”
Kalut aveva lo sguardo fisso nelle pupille ardenti del Pokémon Cagnolino e vi guardava dentro come si fa con una sfera di cristallo.
‒ Vedo un altro padrone, Growlithe non era un Pokémon selvatico… ‒ spiegò il ragazzo.
“Davvero?”
‒ Non eri tu quello di vedere passato e futuro?
“Non ho guardato il passato di Growlithe e posso farlo solo dalla mia prospettiva, non da quella altrui” si scuso il Pokémon Magico.
‒ È strano, perché il suo Allenatore lo ha abbandonato? ‒ si domandò Kalut tornando con gli occhi su Growlithe.
“Potresti chiederlo direttamente a lui…”
Kalut ebbe un’illuminazione.
‒ Puoi accompagnarci dal tuo vecchio Allenatore? ‒ domandò a Growlithe carezzandolo sul collo.
In quell’istante, avvenne un fenomeno al quale Kalut non aveva mai assistito, una luce scaturì dal canide e dalla sua pelliccia che cominciò a infoltirsi; la massa del Pokémon crebbe e la sua forma mutò in alcuni punti. Kalut tolse la mano spaventato. La luce scomparve. Al posto del Growlithe di poco prima era apparso un Arcanine fiero e maestoso dalla criniera di pelo morbido e giallastro che ruggiva con orgoglio.
Il ragazzo dai capelli bianchi guardò strano Xatu.
 
La sensazione di vuoto non se n’era andata, neanche dopo i chilometri percorsi col silenzio totale nella macchina fatta eccezione per una Radio Sidera accesa a bassissimo volume. Celia fissava la strada scorrere mangiata pezzo per pezzo dal parafanghi del BMW. Qualcosa non andava. Tante cose non andavano.
“Attendere, bene, attenderemo” fece Avril.
“Ho paura.”
“Antares ci ha assicurato che non c’è nulla da temere, ha detto che non sono pericolosi…”
“Non è come nei film, vero, dove la gente che non serve più a nulla viene eliminata?”
“Non penso.”
“Vediamo che cosa possono proporci, allora, forse cercare di scappare non è la migliore ipotesi, evitiamola.”
“Sono d’accordo…”
E tale dialogo tra Celia e la sua coscienza si era svolto più o meno sessantatré volte nella testolina della ragazza che ogni volta che ripeteva meccanicamente le stesse battute sperava con tutto il suo cuore che qualcosa fosse così caritatevole da cambiare. Qualcuno l’avrebbe chiamata folle. Eppure, era solo impaurita, non sapeva se fidarsi di un’organizzazione che aveva nascosto a lei e suo fratello la maggior parte delle loro azioni e aveva ricattato una Lega Pokémon perché la loro operazione potesse partire.
I due erano giunti a destinazione, la piccola cittadina di Telescopia li aveva accolti con un venticello fresco, un panorama di montagna eccezionale e un timido torpore da primo pomeriggio. D’altro canto, erano circa le quattordici.
La bionda non fece in tempo a scendere dall’auto: il tempismo era il pallino di certe persone, un videomessaggio appena ricevuto fece trillare il suo PokéNet. Non vi erano molti dubbi su chi fosse il mittente, Xavier non mandava videomessaggi e tutto il resto del mondo non aveva un PokéNet. Leggere “Professor Jason Willow” non era una sorpresa.
E immediatamente le sorse il dubbio. Il prof era un membro della Faces? O qualcosa di simile?
Decise di ascoltare dopo il messaggio e scese dall’auto chiudendo lo sportello alle sue spalle. Antares aveva parcheggiato, scese anche lui e le aprì il bagagliaio per prendere lo zaino che vi aveva lasciato dentro.
‒ Antares, un’ultima cosa ‒ fece afferrando la borsa.
‒ Dimmi.
‒ Il professor Willow è della Faces?
Lui raggelò. ‒ Sì.
‒ Quindi anche lui ci ha… usati consapevolmente?
Antares la guardo senza aprire bocca. ‒ Sì ‒ ripeté.
Celia trasse un sospiro. Non era sorpresa dalla cosa, ma sicuramente non era stata una bella notizia per lei.
‒ Celia, siamo arrivati, ma tu hai bisogno di qualcosa? Nel senso, un posto in cui stare… roba del genere… ‒ domandò Antares con tono distaccato.
‒ Io…
‒ Non fare complimenti, sai bene che lo faccio per te ma anche per me.
‒ Va bene, accetto.
‒ Beh, ho il vecchio appartamento di quando ero all’università vicino al centro, se vuoi puoi stare da me per… il tempo che ti serve ‒ fece lui.
Celia ringraziò e insieme si incamminarono. Giunsero dopo alcuni isolati ad una casa in mattoni rossicci inserita in una via poco trafficata. Antares aprì il portone e salì quattro rampe di scale, al secondo piano, inserì la chiave nella serratura di un vecchio uscio che sapeva di casa della nonna. All’interno, l’ambiente era accogliente, i mobili erano semplici e poco ingombranti e le pareti bianchissime. In alcuni punti lo strato di colore era evidentemente ripassato in un secondo tempo, ma la ragazza non si fece domande. Il Campione la invitò a stabilirsi in una camera adiacente al bagno in cui ella trovò un letto da una piazza e mezza, un armadio chiuso a chiave e un comò con varie file di cassetti con sopra due foto incorniciate e dei santini. La ragazza guardò le foto: nella prima era ritratto Antares il giorno della sua laurea con la corona d’alloro attorno alla testa e un papillon a pois estremamente equivoco; nella seconda un giovanissimo Antares affiancato da una ragazza dai capelli biondissimi e dietro di loro un altro baldo giovane vestito elegante e con una chioma di uno stranissimo color celeste chiaro.
‒ Celia, lo bevi il caffè? ‒ chiese Antares dall’altra parte della casa.
‒ No, grazie ‒ rispose la ragazza.
‒ Ginseng?
‒ Sì, quello volentieri.
Distrattasi dalle immagini, le tornò in mente il videomessaggio. Decise di aprire l’orologio e di vederlo. Comparve l’ologramma di Willow sopra al suo polso come sempre con camice e occhiali.
“Celia, ho un favore da chiederti, credo che Antares ti abbia già parlato dell’organizzazione per cui lavoro, bene, mi hanno detto che vorrebbero dialogare con te di persona e quindi hanno mandato un emissario lì a Telescopia. Si chiama Algol, verrà a cercarti lui stesso nel primo pomeriggio. Ti prego di ascoltarlo con attenzione, grazie, buona giornata.”
Parole rapide, introdussero degnamente il suono del citofono che trillò per tutte le stanze dell’appartamento di Antares.
‒ Nessuno sapeva che ero qua, chi diavolo…? ‒ fu il commento mormorato di Antares.
Celia rimase in ascolto, sapeva bene che la visita fosse per lei, ma non intervenne.
‒ Chi è? ‒ chiese Antares. ‒ Algol, sali, forza! ‒ il Campione aveva cambiato totalmente tono, era divenuto gioviale. La ragazza raggiunse l’altra parte della casa, vide dal corridoio un tipo dalla pelle e dai capelli del colore della notte e vestito di un completo bianchissimo entrare nell’appartamento, aveva un bastone di ebano stretto nelle mani e quest’ultime avvolte da morbidi guanti di camoscio.
‒ Campione, buona giornata, devi scusarmi per questa visita inaspettata ‒ salutò.
‒ Nessun problema, Algol, qual buon vento ti porta? ‒ rispose l’uomo.
‒ Faccende di lavoro, Antares ‒ aveva una voce profonda ma dolcissima.
‒ Prego, siediti, caffè?
Algol scosse la testa e si appoggiò su una sedia lasciando bastone e giacca su un appendiabiti vicino alla porta d’ingresso.
‒ Allora, faccende di lavoro, quindi capisco che tu voglia parlarne con me in privato.
‒ In realtà, no, io…
Antares vide spuntare dall’altra stanza Celia. E ovviamente la linea del suo sguardo fu seguita dagli occhi di Algol che pure incontrarono la figura della ragazzina.
‒ Celia, lui è Algol ‒ fece il Campione ricordandosi di essere lui a dover fare presentazioni. ‒ Algol, Celia è un’Allenatrice itinerante e…
‒ Piacere di conoscerla, Celia ‒ sorrise l’uomo alzandosi in piedi e andando a stringere la mano a quest’ultima. ‒ Se non erro, lei sapeva già del mio arrivo.
La ragazza non aveva ancora aperto bocca.
‒ Sapeva già che cosa? ‒ domandò Antares non capendo.
Il silenzio cadde per pochi attimi sulla scena, Algol stringeva la mano alla ragazzina, Antares mischiava il ginseng all’interno della tazzina con la mano destra e intanto guardava gli altri due cercando di intuire la situazione.
‒ Ecco, vorrei conversare qualche minuto con lei, sediamoci sul divano, vieni anche tu Antares ‒ spiegò rapidamente Algol.
L’uomo a capo della Lega di Sidera porse la tazzina di ginseng a Celia e si sedette accanto a lei sul sofà mentre l’ultimo arrivato prese la poltrona.
‒ Devi sapere, Celia, posso darti del tu…?
La ragazza annuì.
‒ …bene, devi sapere che non sono qui in qualità di Superquattro di Sidera, ma vengo come emissario della Faces per farti alcune proposte.
A quella frase, Celia che Antares spalancarono gli occhi. Lei per aver sentito la parola Superquattro e lui per la parola Faces. Algol era un sottoposto di Antares, ecco il motivo per cui sembravano conoscersi tanto bene, ma allo stesso tempo era membro dell’organizzazione che stava ricattando il suo stesso capo.
‒ Emissario della Faces? ‒ fece Antares senza riuscire a dare fede alle sue orecchie.
 
‒ Xavier, non so come dirtelo…
Il cinguettio di alcuni piccoli Pokémon, il leggero sibilare del vento tra i rami e il silenzioso tepore di quel giorno settembrino rendevano l’atmosfera incredibilmente soporifera. Ma la voce di Cassandra faceva tutto molto più interessante.
‒ Dirmi che cosa?
‒ Ecco, lavoro per la Lega, io…
‒ Lo so, sei Capopalestra ‒ a Xavier sembrava ovvio.
‒ No, non quello… Antares, il Campione, mi ha chiesto di accompagnarti.
‒ E perché avrebbe dovuto farlo…?
‒ Perché c’è un pericolo.
Cassandra si fermò. Doveva rivelargli tutto della Faces, del PokéNet, del rapporto di Antares con questa operazione. Era arrivato il permesso di farlo dal suo Campione che a sua volta aveva sicuramente rivelato tutto a Celia.
Trasse un sospiro e cominciò la spiegazione.

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