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The 25th Hour - Capitolo 4: - 10 ore e 22 minuti;

.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 4


“Adamanta è molto bella” osservò Fiammetta, camminando con passo svelto. Pat e Bernard facevano fatica a starle dietro.
“Rallenta!” esclamò quest’ultimo, arrabattandosi sulla radura oltre la Collina Miracielo con la coppola tra le mani.
“Siamo arrivati, dai!” rispose la rossa, a tono. Aggiustò per la terza volta in pochi minuti l’orologio sul polso. Le stava dando particolarmente fastidio ed era tentata di slacciarlo e metterlo nello zaino, ma per qualche strano motivo non lo aveva ancora fatto.
La Grotta delle Lanterne era chiamata così per via dell’Argon che fuoriusciva dal terreno. Si diceva fosse la dimora di parecchi Charmander e che, per questo, le loro code bruciassero di uno strano colore viola; in realtà erano soltanto delle fuoriuscite di gas ricco di polvere di ametista, abbondante nel sottosuolo.
I tre mossero i loro primi passi nella grotta, con estrema cautela. Si guardarono attorno straniti, per via del buio tagliato da grandi fasci di luce che penetravano dalla volta forata. Spirali di pulviscolo s’alzavano dal pavimento, talvolta secco talvolta fangoso, per salire verso l’alto seguendo le carezze del sole.
Sarebbero poi state spazzate dal vento, geloso protettore.
“La polvere argentea portava qui...” osservò Fiammetta.
“Jirachi è in questa grotta, sento la sua energia. Ma...”. ripose poi l’altra.
“Che c’è, Pat?! Che cos’è successo?!” domandò infine Bernard, affondando coi piedi nella fanghiglia.
“Non siamo soli, qui dentro”.
Fiammetta spalancò gli occhi. “È l’uomo col cappuccio?” domandò, seria.
Pat si limitò ad annuire.

“Pat! Mi senti?” provò a chiedere Fiammetta, soltanto pensando.
“Certo che ti sento, sento tutto”.
“Tutto?! Ma proprio tutto?!”.
“Sì... Anche i tuoi pensieri su Rocco in momenti inopportuni come questo”.
Fiammetta sorrise.
“Beh, non voglio che Bernard ci senta, potrebbe urlare e far spaventare il nostro rivale, che accelererebbe l’eventuale cattura di Jirachi”.
“Sì, hai ragione” rispose Pat, facendo segno vicino a Bernard di stare in silenzio, da quel momento in poi.
“Dobbiamo raggiungere velocemente Jirachi, ma questa grotta è un labirinto” pensò l’altra.
“Io riesco a vedere da lontano l’energia spirituale di Jirachi... ma non è molto vicina. E vedo anche quella di quell’uomo”.
“L’ha raggiunto già?!”.
“No, fortunatamente è nel punto sbagliato della grotta”.
“Benissimo! Ora...” e poi Bernard tirò la manica di Fiammetta. Quella lo guardò come a chiedergli cosa volesse ed il ragazzino fece gesto con la mano di andare avanti, di proseguire.
Fiammetta annuì e mosse qualche passo lento in avanti.
“Dove dobbiamo andare?” chiese poi a Pat.
“Beh... Jirachi è proprio davanti a noi, bisogna proseguire dritto... Vedo la sua energia”.
“Testona, davanti a noi c’è un muro, leva gli occhialoni dell’energia spirituale e guarda le vere pareti che ti trovi di fronte! Destra o sinistra?!”.
Pat sbuffò.
“Non ne ho idea...”.
Bernard allora si spazientì. Tirò nuovamente la manica, stavolta a entrambe, facendo segno di avvicinarsi.
“Che diamine state facendo?! Vi state guardando come se vi voleste baciare!” quasi urlò a bassa voce. “Se quel tizio è entrato qui dentro, ed è entrato qui dentro perché le sue orme sono dappertutto, dobbiamo fare presto! Conosco a memoria questa grotta! Andiamo, vi porto io!”.
“Conosci questa grotta a memoria?! Che ci sei venuto a fare?!” sorrise Fiammetta.
“Nascondino, naturalmente. Non hai idea di quanto fosse difficile giocare qui dentro”.
Aipom, sulla sua spalla, fece un balzo, spostandogli di poco la coppola. Lui la risistemò.
“Allora?” domandò ancora.
“Jirachi è proprio davanti a noi, a circa duecento, duecentocinquanta metri...”.
“Uhm... la sala centrale allora. La più lontana”.
“Naturalmente...” sbuffò Fiammetta.
“Andiamo!” esclamò poi Bernard, urlando un po’ troppo.

 

- 10 ore e 22 minuti;

 

“Andiamo!”.

Qualcuno aveva urlato e Oliver s’era bloccato d’improvviso.
“Sono qui...” ringhiò. “Devo fare alla svelta...”.
Si girò attorno, con la torcia tra le mani, illuminando le pareti della grotta.
S’era perso.
“Devo fare presto, cazzo... Devo fare presto!” esclamò, a denti stretti. Prese il cellulare, sentendolo vibrare.
Qualcuno lo telefonava, nonostante fosse in una grotta. Forse il cellulare prendeva anche grazie ai grossi fori nel soffitto.
Jarvis, c’era scritto. Il suo volto si riempì di paura, costringendolo a rispondere immediatamente.
“Che succede?!” urlò. Dalla sua voce trapelava ansia.
“Signor Jackson, sono Micheal Jarvis, mi sente?!”.
“Sì, ti sento! Che succede?!”.
“Io la sento poco!”.
“Sono in una grotta!” esclamò quello, portando la mano ai fianchi e cercando con lo sguardo qualche parvenza d’orma di Jirachi, ma invano.
“Non la sento!”.
“Per l’amor del cielo, devi dirmi qualcosa su Sonia?! Che diamine vuoi?!”.
La telefonata fu disturbata da rumori d’interferenza, quindi la voce di Jarvis tornò piuttosto chiara.
“Volevo dirle che il pacco è stato spostato su di un aereo che è già in volo verso l’aeroporto di Timea”.
Oliver spalancò gli occhi. “Davvero?!”.
“Sì! È partito un quarto d’ora fa ma sono riuscito a telefonarle solo adesso!”.
“Il... il cuore di Sonia è in volo?!”.
“Sì! Arriverà tra circa nove ore lì!”.
Oliver si morse il labbro, stringendo il pugno libero. L’altra mano, che teneva il telefono all’orecchio, era ben salda. “Va bene, Jarvis, ti ringrazio! Sarai lautamente ricompensato per questo”.
“Dovere, Signor Jackson. Speriamo che la piccola Sonia resista”.
“Resisterà. C’è Roxanne che la protegge, dall’alto”.

La conversazione non durò ancora molto. Era solo più motivato a trovare il Pokémon, sperando di non incappare nelle due ragazze e nel moccioso che aveva seminato nel bosco vicino la Collina Miracielo.
Si guardò attorno, capendo che la stradina che aveva davanti lo avrebbe condotto a un vicolo cieco. Si rigirò e tornò indietro, puntando con la luce della torcia un Charmander dalla fiamma violacea sulla coda.
Lui lo snobbò, non gli interessavano i Pokémon in quel momento; o meglio, gliene interessava solo uno e non riusciva a trovarlo.
La polvere argentata non risaltava nel fango e quindi non era più riuscito a seguirne le tracce.
Vide le orme dei suoi piedi, quelle che aveva lasciato all’andata, sentiva il tempo che passava e il sangue che pulsava nelle tempie.
Anche se il cuore di Sonia era partito con anticipo da Unima non era certo che l’operazione potesse avvenire in tempo.
La cosa gli aveva donato un po’ di sollievo, ma sostanzialmente la sensazione di essere seduto su di una graticola non gli era passata.
Doveva trovare Jirachi, se lo ripeteva spasmodicamente, spostando quella torcia velocemente verso le pareti in lontananza, nella speranza di vedere il Pokémon di fronte a sé.
Non ci riusciva.
E poi si accorse di aver incrociato altre orme.
Orme umane, proprio come le sue.
Due erano leggermente più grandi della terza, più minuta, e proseguivano in direzione ovest.
Proprio dalla parte opposta di quella che aveva preso lui in precedenza.
Le seguì, rapidamente, cercando di fare meno rumore possibile e di tenere la torcia per terra, per non farsi avvistare erroneamente.
Ormai l’aveva capito, Oliver, anche quei tre stavano cercando Jirachi.
Doveva far qualcosa, il panico lo stava straziando.
Corse, col panico che lo trascinava e l’ansia che gli carezzava le guance, e quando perse di vista le tracce dei tre che seguiva s’accorse d’essere in una grande sala, illuminata da una grande apertura nel soffitto, collassato parecchi anni prima.
Lì il pavimento era assai fangoso, ma a Jirachi non importava.
Lui fluttuava, proprio alla fine di quella stanza, stanco e sonnacchioso. Il terzo occhio, sulla sua pancia, era spalancato.
Tra Oliver e Jirachi c’erano quei tre.
Sì, quella coi capelli rossi, la moretta con la treccia e il ragazzino con la coppola.
“Fermatevi!” urlò.

I tre si voltarono all’improvviso.


“Jirachi è mio!” urlò l’uomo incappucciato.
Tempestivamente Pat, Fiammetta e Bernard acuirono i sensi.
“L’avevo detto che ci stava seguendo...” disse Pat, seria. “Non dovevamo portarlo qui”.
“Meglio così” sorrise sorniona Fiammetta, spostando l’orologio dal polso, facendolo scendere più in basso. “Vuol dire che sbrigheremo quest’incombenza più velocemente”.
“Bernard, mentre noi lottiamo tu dovrai tenere d’occhio Jirachi” ordinò Pat, spostando la treccia dietro le spalle con un movimento della testa.
Il ragazzino annuì, vedendo l’uomo nero incappucciato mettere mano alla cintura delle Pokéball.
“E così vuoi lottare?!” chiese Fiammetta.
“Tienilo d’occhio!” ripeté Pat al ragazzino, che annuì nuovamente.
L’uomo col cappuccio staccò le Pokéball e le strinse con vigore. “Certo che voglio lottare. Quel Pokémon mi serve e sarà mio”.
“Jirachi è ancora libero, fino a prova contraria” punse Fiammetta.
“Fino a che non metterò le mie mani su di lui”.
“Siamo una delegazione della Lega di Hoenn. Quel Pokémon serve a noi, per ricostruire le nostre case e resuscitare la nostra gente”.
“Non m’interessa nulla di Hoenn!” tuonò l’altro, improvvisamente. “L’unica cosa che m’interessa sono io e quindi levatevi da mezzo, perché Jirachi è mio!”.
Urlò con così tanta foga che alcune gocce di saliva partirono involontarie in avanti, terminando nel fango denso che avevano ai piedi.
L’uomo incappucciato tirò poi la prima Pokéball, mandando in campo un esemplare di  Escavalier, assai grosso.
“Forza, leviamole da mezzo...” sussurrò, digrignando i denti.
L’Aipom sulle spalle di Bernard ebbe un attimo di panico nel vedere il Pokémon dell’uomo incappucciato e saltò tra le braccia del padrone. “Stai tranquillo... forse queste due sono forti davvero” fece.
“Me la vedrò io...” disse poi Fiammetta, sorridendo. Pat le mise poi una mano sulla spalla, fermandola.
“Forse non dovresti... Forse dovrei fare io...”.
Fiammetta si voltò, come per protestare, quando l’uomo col cappuccio ordinò al suo Pokémon di attaccare pesantemente le Allenatrici stesse con Forbice X.
“Attente!” urlò Bernard, saltando di lato. Fiammetta e Pat evitarono l’attacco massivo del Pokémon Cavaliere e caddero nel fango.
“Farabutto!” urlò Pat.
Fiammetta si rimise in piedi, pulendosi le mani sui pantaloni. “Sei stata troppo gentile... arrostirò te e quella sottospecie di scarafaggio. Vai!” urlò, mandando in campo un bellissimo esemplare di Ninetales.
“Prendere quel Jirachi è il mio scopo!” urlò l’uomo incappucciato.
“Anche il mio!” ribatté quella di Cuordilava.
L’uomo si perse nel guardare Ninetales, con gli occhi spalancati e le code ritte.
“Stai attenta, Fiammetta. Questo è un osso duro” avvertì Pat, da dietro.
“Non c’è problema, me la vedrò io! Cominciamo col riscaldare l’atmosfera! Quel dannato scarafaggio sembra essere corazzato. Chissà che succede se lo metto nel microonde! Usiamo Ondacalda!”.

Oliver rabbrividì.
Era benissimo a conoscenza del fatto che Fiammetta usasse Pokémon di tipo Fuoco, e scegliere Escavalier non era stata forse la scelta migliore.
Siamo in ballo. Balliamo, dannazione. Balliamo pensò, col cappuccio che gli saltava davanti agli occhi. Sospirò, sentiva l’ansia nel petto che premeva, come quando da giovane lottava coi Pokémon, prima d’abbandonare tutto e pensare agli esami di giurisprudenza.
Aveva però voluto continuare ad allenarsi, nell’evenienza di un ritorno in campo.
Inoltre aveva quasi ammazzato quelle due Capopalestra di Hoenn.
Ma doveva avere Jirachi, non poteva rischiare. Anche a costo di uccidere qualcuno.
Avrebbe sopportato la galera ma sapere di aver salvar la vita a Sonia lo avrebbe rinfrancato da ogni cosa.
Il suo Escavalier era profondamente debole contro attacchi di tipo fuoco, lo sapeva.
Contava sulla sua buona difesa però, e, almeno un colpo, sarebbe riuscito a sopportarlo.
Già, perché vedeva quell’onda fiammante avvicinarsi a lui e al suo Pokémon con così poco preavviso che non sarebbe riuscito ad ordinargli di evitarla.
“Riduciamo i danni, Escavalier, proteggiti!” urlava, mentre le fiamme lo investivano e s’avvicinavano anche a lui. Indietreggiò di qualche passo, il calore seccò le sue pupille e le costrinsero a lacrimare.
Sentì un gemito dolorante, il suo Pokémon stava subendo gli effetti dell’attacco dell’avversario.
Alzò gli occhi, vedendo sul volto di Fiammetta un ghigno soddisfatto.
Non sarebbe stata quella donna a privare sua figlia della vita.
Doveva pensare a un modo per diminuire la potenza del fuoco. Poi annuì, illuminato.
“Escavalier, usa Fossa!” urlò, e subito il suo Pokémon lo ascoltò, perforando con i due arti puntuti il fondo fangoso ed immergendovisi all’interno.
Fiammetta guardò Pat con aria preoccupata ma quella annuì con un cenno d’intesa.
La donna dai capelli rossi sapeva benissimo che un attacco del genere, portato a termine da un Pokémon del genere, avrebbe inferto molti danni.
Il Pokémon Coleottero-Acciaio era ormai sparito dal campo fangoso e si muoveva sottoterra e Fiammetta fremeva, un po’ impaurita dall’attacco incombente.
“Hey, stai attenta...” fece poi, al suo Pokémon.
“Non servirà a nulla! Esci fuori!” urlò poi l’uomo incappucciato.
E così Escavalier sbucò dal fango, interamente ricoperto da quel miscuglio di acqua e terreno.
“Schivalo!” urlò la rossa dai capelli legati, inutilmente. Già, perché Il Pokémon Cavaliere sferrò un tremendo colpo con una delle sue lance, facendo ruzzolare Ninetales diversi metri indietro.
“Sonia! No!”.
“Come l’hai chiamata?!” urlò l’uomo incappucciato.
“Si chiama Sonia. E tu fatti gli affari tuoi ed arrenditi!”.
“Non… non ora che ho la vittoria in pugno… Escavalier, usa Doppio Ago!”.
Ninetales si rialzò velocemente e si scrollò il fango di dosso, prima di venir colpito nuovamente.
Pat si voltò e guardò Fiammetta, raccogliendo il suo sguardo sparso nell’antro.


Un altro paio di quei colpi e Ninetales sarà davvero messa male, anche per i Centri Pokémon.
Fiammetta annuì.
“Lo so...” disse.
“Che cosa sai?!” chiese Bernard, alle sue spalle.
“Silenzio” lo chiuse Pat.
“Ma lei parla da sola e...”.


“Usiamo un po’ di strategia... Fuocofatuo!” fece Fiammetta.
Oliver guardava ancora con un occhio Jirachi, dietro al ragazzino.
Sembrava che stesse prendendo coscienza di ciò che succedeva.
Contemporaneamente doveva stare attento a quello che accadeva durante la lotta: quel Ninetales che si chiamava come sua figlia, la stessa figlia il cui pensiero gli martellava le tempie, era allenato in maniera fantastica e, nonostante avesse incassato due potenti colpi era ancora in piedi.
Sentiva l’ansia dentro che spingeva per uscire, e poi quel secondo infinito terminò, e dalle fauci del Pokémon avversario comparvero fiammelle blu e sinuose.
Affascinavano con il loro movimento armonioso ma erano lungi dall’essere mere attrazioni visive: quelle erano maledizioni.
Ed erano partite, scagliate contro il suo Escavalier.
Oliver lo guardò meglio e si rese conto del fatto che fosse interamente ricoperto di fango.
“Attaccala!” urlò ancora.
Escavalier obbedì e andò incontro a Ninetales, velocemente, perdendo gocce di fango dall’armatura.
Fu coraggioso poiché si scontrò con quella fiamme blu, che gli scivolarono addosso senza attecchire.
“Il fango...” disse tra i denti Oliver, sollevato. “Sembra isolarti dalle fiamme! Usa nuovamente Fossa!”.
Fiammetta invece strinse i pugni. “Sembra facile il gioco così... Usa Doppioteam, Sonia!”.
Oliver si risentì quando ascoltò nuovamente il nome di sua figlia. Pensò a lei, forse un istante di troppo, prima che Escavalier s’immergesse nuovamente nel fango.
Rialzò lo sguardo, decine di Ninetales erano bassi sulle zampe, irosi e ringhianti.
“Non riesci a sentire il suo odore?” chiese la donna, mentre Oliver sospirava. Il fango aveva attutito le capacità olfattive di Ninetales, che era in forte difficoltà.
“Non servirà a nulla! Esci fuori!”.
La voce di Oliver rimbombò lungo la grande stanza. Jirachi ancora fluttuava stanco, lo aveva visto per un momento con la coda dell’occhio.
Sentiva il tempo passare, scorrergli al centro della schiena come una goccia di sudore, lenta e fastidiosa, impossibile da ignorare.
Aveva bisogno di più tempo, per far atterrare l’aereo col cuore di Sonia e poter far partire l’operazione.
Attese intrepidamente durante quel secondo in cui il suo ordine fosse recepito dal Pokémon, quindi strinse i pugni quando lo vide sbucare dal fango, totalmente ricoperto da acqua e terreno.
Ma quando Escavalier uscì dal terreno, ricoperto di fango e determinazione, s’accorse di qualcosa che aveva fatto rabbrividire persino Oliver: Ninetales stava fluttuando in aria, avvolto da una misteriosissima luce blu.
“Grazie, Pat” sorrise Fiammetta.
Quella aveva le mani incrociate sopra il ventre, totalmente immobile, con gli occhi che emettevano lo stesso inquietantissimo bagliore bluastro.
“Ma... è scorretto!” urlò l’uomo incappucciato, rimasto totalmente sbalordito.
“Non è corretto neppure attaccare delle persone indifese!” rispose Bernard dalle retrovie, a tono.
“Ora usa Lanciafiamme!” fece la ragazza di Cuordilava.
Ninetales era ancora mantenuto dall’energia di Pat quando una lingua di fuoco incandescente fu gettata con vigore contro Escavalier, che incrociò le lance davanti al torace, cercando di proteggersi.
Sia l’uomo mascherato che il gruppo proveniente da Hoenn rimasero sbalorditi quando videro il fango cuocersi e solidificarsi per il forte calore.
Escavalier era immobile e negli occhi di Fiammetta rinacque una scintilla.
“È bloccato!”.
“Non può andare a finire così!” urlò l’avversario, con la voce che rimbombava vigorosamente all’interno della sala. Forse fu per quel forte rumore che Jirachi cominciò a muoversi leggiadramente verso l’alto.
“S’è spaventato!” urlò il più piccolo dei tre contendenti.
Guardò l’orologio, il tempo passava e il Pokémon si stava allontanando.
Panico.
“No! Jirachi, io ho bisogno di te!” fece l’uomo, muovendo un passo verso il centro.
Quel Ninetales venne infine messo per terra. “Anche noi abbiamo bisogno di lui, e di certo non per scopi loschi come i tuoi!” esclamò Fiammetta.
Pat la guardò, corrucciata. Pareva sapesse qualcosa, preferì però stare zitta.
“Dragonair, aiutami!” ordinò Oliver.
“Hey!” urlava invece Bernard. “Jirachi se ne sta andando via!”.
Pat e Fiammetta si voltarono repentine, guardando il Pokémon fluttuare veloce verso l’alto, nella grande apertura presente nella volta della grotta.
“Jirachi, aspetta!” lo chiamò Fiammetta. “Pat! Fa’ qualcosa!”.
“Che dovrei fare?! Inseguiamolo!” disse.
Fu allora che Oliver saltò in groppa al suo Dragonair. Aveva le lacrime agli occhi e sentiva la paura colpirgli le gambe con un bastone; avrebbe avuto una voglia matta di starsene per i fatti suoi sul divano, tirando i piedi sui cuscini mentre guardava il calcio, ma poi il pensiero di Sonia lo attanagliò e lo costrinse a stringere il collo di Dragonair ancor più vigorosamente. Le donne e il ragazzino videro il Pokémon Drago alzarsi al cielo.
“Inutile...” sentì poi la voce del bambino. “Sarà già scomparso”.
Forse era così ma doveva provarci, Oliver.
Assieme a Dragonair tagliò l’aria come una lama affilata, salendo sempre più in alto, fino a raggiungere il cielo.
Ma quando il vento tirò giù il suo cappuccio Jirachi era già sparito.
“Per Arceus!” urlò, e la sua voce rimbombò per tutta la vallata.

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