. ... The25THhour.. .
- Capitolo 5
- Capitolo 5
- Adamanta, Zona Periferica di Timea -
- 9 ore e 24 minuti;
- 9 ore e 24 minuti;
“Dottoressa Alma... Salve, sono l’Avvocato O-Oliver Jackson”.
“Avvocato...”. La voce metallica della donna attraversava la rete e fuoriusciva dalle casse interne del cellulare. “Quanto le rimane?”.
Oliver sospirò. “Beh, p-poco meno di dieci ore. E non-non sono riuscito a catturare Jirachi, ho avuto degli... degli impedimenti, ecco. Però l’ho visto, è sveglio e mi è sfuggito per poco. Era nella Grotta delle Lanterne, proprio dieci minuti fa. Sa dove potrebbe essersi rifugiato, ora? Cioè...”.
“Dannazione, Avvocato... Come ha fatto a farselo sfuggire?! Ora non so proprio dove possa essere...”.
“Oh, ok, giustamente, come potrebbe saperlo lei... M-mi scusi se mi trema la voce, ma come sa c’è in ballo parecchio e... e nulla, la ringrazio”.
Oliver attaccò il telefono, con la mano nelle viscere che stringeva sempre più forte, facendogli tremare le gambe. Doveva fare presto.
- Adamanta, Edesea, Università di Edesea -
Alma rimase con la cornetta tra le mani per qualche secondo, poi sospirò. Non aveva mai visto l’Avvocato Jackson in quel completo di nervosismo e indecisione, anzi: era sempre stato per lui un esempio di pacatezza e classe.
Era in quel modo che lui e Roxanne stavano crescendo Sonia, donandole grazia e capacità di giudizio.
Si alzò dalla scrivania, arrovellandosi attorno alla domanda postale da Oliver.
Dove potrebbe essersi rifugiato ora?
Le grotte, pensò. O i posti alti.
Alzò la cornetta, dopo un lungo sospiro, quindi fece quella telefonata.
- Adamanta, Primaluce -
Squillò il cellulare, per almeno venti secondi buoni prima che Zack si decidesse a rispondere.
“Pronto...” sbadigliò quello.
“Zack. Rapido e conciso”.
“Chi è?” chiese il ragazzo, con ancora la bocca impastata.
“Alma! Sono Alma, Zack! Devi dirmi dove potrei trovare una grotta, o un posto che Jirachi potrebbe prediligere per nascondersi!”.
Zack spalancò gli occhi, girandosi verso la sua donna, che manteneva il pancine tra le mani, stesa sul letto. “Jirachi?! L’avete già trovato?!”.
“Ne sei al corrente? Sai della ricerca di Jirachi?”.
“Certo che lo so! E dimmi, è stato trovato?”.
Rachel si fermò e guardò il suo fidanzato con profonda attenzione. Vedeva l’ansia nel suo viso, mentre le mandibole restavano serrate in attesa di una risposta.
“Sì, però è scappato. Ora dove potrebbe essersi nascosto? Grotte, Zack, antri bui e invisibili! Insomma, hai girato questa dannata regione da capo a piedi, l’hai rivoltata come un calzino, dovresti conoscerla bene!”.
Rachel chiamò Zack, bussandogli sulla schiena. Quello si girò, incrociando il suo sguardo cristallino, chiedendogli soltanto con gli occhi che cosa volesse.
S’allungò un po’ impacciata, cercando di non dare scosse violente a quella che sarebbe diventata una pancia bella voluminosa, contenente sua figlia Allegra, e strappò il cellulare da mano a Zack, per poi parlare.
“Alma, sono Rachel”.
“Oi… Che succede?”.
“C’è una grotta dietro le Cascate Armonia, nella parte occidentale del massiccio del Monte Trave. Ci sono stata con Zack, qualche mese fa, quando siamo andati alla ricerca del Cristallo di Arceus”.
“Sembra passato un secolo…” sorrise Zack. “Comunque hai ragione”.
Alma annuì, energica. “È vero! Jirachi potrebbe essere andato lì! Ottima intuizione Rachel! La gravidanza come sta andando?”.
“È appena cominciata, non c’è alcun problema se non nausee killer, istinti omicidi e un’insensata voglia di abbinare gusti mai provati prima”.
Zack fece un sospiro, passando la mano tra i capelli castani ed abbandonandosi sul letto.
“Va bene, Rachel, mi raccomando, stai a riposo. Buona giornata”.
“Ciao Alma”.
Rachel attaccò e diede il cellulare nelle mani di Zack, quindi sospirò. “Lo stanno trovando…”.
“Salveremo Allegra” le rispose lui. Poi si accoccolò accanto a lei e sospirò a sua volta, poggiandole la testa sul petto e mettendole una mano su quella pancia ancora acerba.
“Quando lo prenderanno, Green verrà qui e faremo quel che dobbiamo. È importante che il cristallo rimanga al sicuro”.
“Già” annuì Rachel, spostando una ciocca di capelli corvina lontana dagli occhi cerulei. “Vorrei solo che la mia bambina avesse una vita tranquilla”.
“Ci saremo noi a proteggerla” rispose l’altro.
- Adamanta, Edesea, Università di Edesea -
“Avvocato Jackson... sono la Professoressa Alma Ramìz, dell’Università di studi di Storia. Mi ha telefonato prima”.
“Sì, Professoressa. Ha qualche novità per me?” domandò Oliver, camminando guardingo.
“Deve provare a cercare il Pokémon dietro le Cascate Armonia. Lì c’è una grotta, molto antica; è probabile che Jirachi sia lì”.
Oliver si voltò, guardando da grande distanza le cascate di cui parlava Alma.
“È sicura che è lì troverò il Pokémon?”.
“Non sono sicura di nulla ma a meno che lei non abbia un’idea migliore le consiglio di cercare lì”.
Oliver annuì. “Ha ragione, Professoressa”.
“Andiamo, mi chiami Alma…” sorrise quella.
“E lei mi chiami Oliver”.
- Adamanta, Zona Periferica di Timea -
Fiammetta scrutava il cielo, come ormai faceva da quando aveva messo piede ad Adamanta. Guardava i vasti paesaggi naturali che si erano andati a formare tra un insediamento e l’altro. Tranne che per il clima, dato che Adamanta raggiungeva temperature assai più rigide, quella regione era molto simile alla sua Hoenn.
La Grotta delle Lanterne le ricordava molto il Cammino Ardente, anche se lì la temperatura era assai più alta.
Tuttavia il gas che fuoriusciva dal terreno, il buio, i Pokémon selvatici…
Avrebbe potuto pensare di ritirarsi a vita privata su quell’isola, col tempo.
Scacciò quei pensieri, stava divagando. Guardò per un attimo Bernard, che faceva strada a lei e a Pat. La moretta sembrava concentrata e non si perdeva in chiacchiere inutili, seguendo ogni passo del ragazzino e abbassando lo sguardo, sconsolata.
Non serviva essere una telepate per capire che stesse pensando a suo fratello.
S’asciugò poi la fronte con la manica della fronte, dato che qualche goccia di sudore l’adornava. “È stata dura arrivare fin qui…” osservò, tagliando per prima il silenzio flebile, disturbato soltanto dal vento che soffiava attraverso i lunghi fili d’erba alta ai lati del sentiero che costeggiava la periferia del capoluogo adamantino.
Bernard si limitò ad ascoltare le sue parole e ad annuire.
“Queste cascate, dove hai detto che si trovano?” domandò la rossa, osservando il non troppo lontano skyline di Timea.
“Le Cascate Armonia… Non sono molto lontane da qui”.
“Sei sicuro che Jirachi sia ancora lì?” ribatté ancora Fiammetta. “Pat, puoi fare qualche… cosa con la mente e confermare?”.
L’altra sorrise dolcemente. “Non funziono così…”.
“Funzioni male” sbuffò Fiammetta.
Ancora qualche secondo di silenzio, prima che Bernard tornasse a parlare.
“Le cascate hanno formato col tempo un grosso laghetto… non sarà una passeggiata, attraversarlo. Io non ho neppure portato il costume…” osservò il più giovane.
Pat continuò a sorridere, poi sospirò. Pensò per un attimo al fatto che la vita del piccolo Bernard fosse in costante pericolo accanto a loro due.
Forse sarebbe stato meglio non coinvolgerlo; tuttavia aveva già capito quanto ostinato fosse, quel ragazzino, e intuì quanto difficile sarebbe stato convincerlo a cedere su quel fronte.
Forse era impossibile.
“Potremmo annegare sotto la forza della cascata” continuò il ragazzino con la coppola.
Fu allora che Fiammetta si voltò verso di lui, inarcando un sopracciglio. “Ma tu come diamine sai tutte queste cose?”.
Bernard si limitò a fare spallucce e a sorridere, mentre Aipom rimaneva in equilibrio sulla coda manuta.
“Esperienza” rispose saggiamente quello, sorridendo.
“Ma sei solo un ragazzino!”.
Pat sorrise ancora, poi tornò seria. “Concentratevi… Piuttosto, mi ripeti cos’ha detto Crystal?”.
La rossa annuì. “Ha controllato il Pokédex e ha detto che Jirachi si trovava lungo quelle coordinate, e le mappe (assieme a Bernard…) ci hanno confermato che quei punti corrispondono proprio alle Cascate Armonia”.
Il piccolo guardava gli occhi rubini della ragazza di Cuordilava, prima di assumere una smorfia in volto.
“Come può esserne sicura?”.
“Mi fido ciecamente di lei… del resto è una Dexholder… e poi è davvero in gamba!”.
“Grande cosa, il Pokédex” aggiunse la moretta. “Dovrebbero averlo tutti”.
“Non è così semplice da usare… anche se c’è speranza per tutti, se c’è riuscito Gold…” rimbeccò Fiammetta, provocando ancora il sorriso nella giovane di Verdeazzupoli.
“Quel testone…” fece, proprio lei. “È una brava persona, però…”.
L’altra annuì. “Lo so. Ha più cuore di tutti. Col senno di poi, Oak ha fatto bene ad affidargli una missione come quella di Hoenn…”.
Pat annuì. “Il leggendario Professor Oak…” disse, sospirando. “L’hai mai visto?”.
Fiammetta fece cenno di no. “Ne ho solo sentito parlare”.
“In una crisi del genere mi sarei aspettato fosse più attivo…”.
“Non so cosa di cosa stiate parlando” s’inserì Bernard. “Ma è meglio se aumentiamo il passo…” sospirò.
Quasi un chilometro più indietro, invece, Oliver cercava la forza per parlare con sua figlia, al cellulare.
Non voleva capacitarsi del fatto che fossero le ultime ore di vita di Sonia ma purtroppo era un’eventualità che doveva necessariamente prendere in considerazione.
L’importante, per lui, era che la sua bambina non smettesse di combattere.
“Piccola?” fece l’Avvocato, non appena quella rispose. La sua voce era quella di un disperato che doveva beccare un dodici ai dadi. Sospirava profondamente, attendeva la voce di sua figlia con la paura che arrivasse fin troppo distorta, e non per colpa delle interferenze.
“Papà…” rispose la piccola.
Bastò soltanto quella parola, e il modo con cui la bambina l’aveva pronunciata, per costringere Oliver a fermarsi e rivalutare tutto ciò che stava succedendo.
Forse fu quello il primo momento in cui il verme della codardia si stava insediando nella sua mente. Aveva paura di non farcela, e se ne stava quasi convincendo, tant’era vero che tutti quegli sforzi, inutili, stavano soltanto levando tempo agli ultimi momenti che quello avrebbe potuto passare con la sua unica ragione di vita.
Se Sonia fosse morta veramente lui sarebbe dovuto essere lì, a stringerle la mano, e non a combattere con chi era più forte di lui per definizione. Guardò l’orologio, un’occhiata data di sfuggita, per rendersi conto del fatto che mancavano nove ore o poco meno alla scadenza delle ventiquattro poste dal Dottore che aveva consultato la notte precedente.
In cuor suo, Oliver era stanco. Aveva sonno e fame, e una gran voglia d’affogare nell’alcool tutta quella storia, fino a quando le papille gustative non avessero più fatto distinzione tra i vari sapori.
Ma se si fosse fermato, forse Sonia si sarebbe spenta.
Ripensò a quella scena, al corpo esanime di sua figlia in quel letto freddo e alla porta di casa sua che nessuno avrebbe più spalancato quando, in tarda serata dopo il lavoro a studio, lui avesse suonato al campanello.
Quella casa sua sarebbe rimasta solo sua.
Stava sbagliando, forse.
Forse gli ultimi minuti di sua figlia avrebbe dovuto passarli accanto a lei, stringendole la mano e fino a quando non se ne fosse andata via, lentamente.
Fino a quando non si fosse spenta.
Fino a quando il suo piccolo cuore fosse esploso.
Pianse, pensando al fatto che Sonia sarebbe morte come sua madre, per via di un cuore malfunzionante.
“Papà…” fece di nuovo quella, quasi lamentandosi per via di quelle pause che suo padre non riusciva proprio a evitare.
“Piccola…”.
“Piangi di nuovo?”.
“Sì, Sonia”.
“Perché piangi?”.
Oliver sospirò. “Perché mi spiace”.
“Sto per morire, vero? Piangi perché sai anche tu che non ce la posso fare”.
Fu un gesto istintivo, l’Avvocato staccò l’orecchio dal ricevitore e gridò come un ossesso, per liberare quell’ansia così opprimente che gli stava distruggendo il fegato. La sua voce si disperse lungo la radura che stava attraversando.
“Papà!” urlò poi la bambina, tossendo. “Non devi fare così... Ti prego, vieni qui, ho bisogno di vederti...”.
E voleva farlo, Oliver. Accontentare sua figlia, vederla sveglia per un’’ultima volta, prima di quel sonno eterno che le spettava.
Poi sarebbe tornato a casa, avrebbe fatto una doccia ed avrebbe bevuto un bicchiere di quel buon Cognac che Roxanne aveva portato da Kalos, infine avrebbe indossato il suo completo migliore, fatto passare un nodo sotto la ringhiera delle scale e si sarebbe impiccato.
Non sarebbe servito più a nulla vivere in un mondo dove non c’era più niente per lui.
Pensò a Roxanne, poi. Di sicuro non avrebbe mai voluto che lui facesse pensieri simili.
Si stava rassegnando, vedeva le cascate a poca distanza da lui e aveva capito che se non vi avesse trovato Jirachi al suo interno sarebbe stata la fine per Sonia.
“Papà! Ti prego!” cominciò a piangere anche la bambina. “Non fare così! Vieni qui da me!”.
Se le avesse detto di sì avrebbe condannato sua figlia a morte.
“Ok. Sbrigherò una faccenda importante e verrò”.
“Cosa c’è di più importante, papà?! Voglio vederti!”.
“Non dire così!” le urlò. “Io ti porterò via da quell’ospedale e sarai fuori pericolo! Non permetterti di darti per rassegnata! Se il tuo cuore s’accorge che ti sei arresa si fermerà, e tu con lei! Lotta per me, campionessa!”.
“Papà...” pianse la piccola. “Io sento che il mio cuore si sta per fermare…”.
“No! Non è così!” urlò ancora Oliver. “Riprenderà a correre più di prima”.
“Ok...” annuì la ragazzina. “Allora ti aspetto qui. Non fare tardi”.
“No. Farò il prima possibile. Ora devo fare un’altra telefonata. Ci sentiamo dopo, piccola”.
Pat, Fiammetta e Bernard raggiunsero il lago nato dall’impeto della caduta verticale.
“Eccoci arrivati” bofonchiò il ragazzino. Vide una coperta di goccioline che si alzava fumosa dalla superficie dell’acqua, salendo verso l’alto e disperdendosi.
Il lago fluiva verso ovest, sfociando poi in mare diversi chilometri dopo. La grande montagna alle spalle delle Cascate Armonia si snodava lungo tutta la zona centrale di Adamanta, dividendola in quattro porzioni ben definite, qualcuna più grande, qualcuna più piccola.
Solo Timea era costruita sull’altura montana, in una zona un po’ più pianeggiante.
Il Monte Trave, il picco più alto del massiccio, imperava silenzioso al centro della regione.
“Il punto è quello” indicò il ragazzino.
“Speriamo che quell’uomo non ci abbia preceduti” sospirò Fiammetta.
“Un momento” entrò Pat in tackle. Chiuse gli occhi, riaprendoli poi ricoperti dalla solita patina di luce. Poi annuì. “Crystal diceva il vero, vedo l’energia di Jirachi. C’è solo lui, oltre che qualche Pokémon selvatico. Dovremmo soltanto stare attente ai Qwilfish presenti nelle acque del lago”.
“Per quelli ho io la soluzione!” sorrise Bernard. Si voltò, cercando nel boschetto limitrofo un grosso ramo, con grandi fronde ormai rinsecchite. Levò le scarpe ed immerse i piedi nell’acqua.
“Ci sono i sassi. Ed è fredda” fece, camminando lentamente. Guardava sotto la superficie, vedendo piccoli Magikarp e Feebas nuotare vicini alle gambe del ragazzo, attratti dal calore del suo corpo.
“I Qwilfish sono ancora lontani”.
“Sta’ attento, ragazzino” tuonò Fiammetta, levando le scarpe e infilandole nella borsa impermeabile. Pat rimase immobile.
“L’acqua è un po’ profonda, vi avverto. Ci inzupperemo tutti”.
Poi alcuni Qwilfish fecero per avvicinarsi alle gambe del ragazzino e lui prese a battere la superficie dell’acqua con il bastone che aveva tra le mani.
“Di solito i… Qwilfish…” diceva, concentrato su ciò che faceva. “…vivono in acque di mare ma in questo periodo risalgono il fiume e vengono a riprodursi. Sono parecchio territoriali e possono diventare aggressivi”.
“Sembra di guardare il National Geographic Channel…” sospirò Fiammetta, con le braccia ad anfora e le mani puntellate sui fianchi. “È congelata!” esclamò, quasi sofferente.
“Queste cose me le ha insegnate Rupert” fece il ragazzino, sorridendo. “Lui è esperto di Pokémon d’Acqua... Ora vi consiglio di tuffarvi e raggiungere velocemente la cascata. Poi troveremo un modo per passare senza essere travolti”.
Fiammetta vide Pat annuire. La rossa fu la prima a prendere coraggio.
“Sapete… prima dei terremoti la caduta della cascata non era così forte... Ora si sarà rotto qualcosa, non si può più passare senza essere travolti. Millicent Perkins stava quasi per affogare…”.
“Bene...” sospirò Pat.
Fiammetta s’immerse con rapidità, spalancando gli occhi. “È troppo fredda! Troppo fredda! Dannazione!”.
“Fai presto! E anche tu, Pat!” esclamò il ragazzino, sorridendo all’imprecazione.
La donna di Cuordilava nuotava quanto più velocemente poteva; odiava l’acqua fredda quasi quanto i sassi e i pesci che le si avvicinavano alle caviglie. Avrebbe preferito nuotare nel cratere del Monte Camino, piuttosto.
Pat invece, con gli occhi ancora ricoperti da quell’energia mistica, cominciò a camminare lentamente sull’acqua.
Raggiunse Fiammetta e la superò, facendo sorridere Bernard.
“Lazzaro... alzati e cammina...” ringhiò Fiammetta, tra una bracciata intirizzita e l’altra.
Pat arrivò poi alla cascata. Alzò il braccio e da lì s’alzò una lingua d’energia di un paio di metri, che agì a mo’ di tettoia, lasciando uno spazio senz’acqua nella caduta della cascata.
Fiammetta e Bernard raggiunsero a fatica il punto, lottando contro la forte corrente, e stavano proprio per passare quando Pat cominciò a sentire le forze venir meno.
“Fate... fate presto!” strinse i denti lei, mentre sotto i suoi piedi un Dratini nuotò veloce, raggiungendo in poco tempo la foce. “Non riesco a mantenere tutto questo peso per... per così tanto tempo...” si lamentò.
Bernard passò e l’acqua tornò a scorrere, ma poi Pat perse la concentrazione e cadde nell’acqua congelata.
La pressione delle cascate era enorme, l’acqua pareva fatta di pesante ferro e la portava giù, sempre più giù, in quelle acque ghiacciate. Aprì gli occhi, non vide nient’altro che bollicine e verde acqua, qualche sasso, un Magikarp, e poi la mano di Fiammetta che la tirava fuori, prendendola per il braccio.
Era dall’altra parte. Il ragazzino tremava per il freddo mentre rossa si ricomponeva alla bene e meglio.
“Siamo passati. Ora facciamo presto e saliamo, ne ho già le palle piene di Adamanta” fece quest’ultima.
- 8 ore e 56 minuti;
“Dottor Brown, salve, sono Oliver Jackson, il padre di Sonia Jackson”.
“Avvocato…” replicò quello. “Si hanno notizie?”.
Marcus Brown era nel suo ufficio a guardare delle cartelle cliniche portategli dall’infermiera. Analizzava dei casi sospetti di emicrania.
“Dottore, l’aereo è in viaggio”.
“Ottimo. Ma lei sa che per questo genere d’interventi c’è bisogno di tempestività... l’operazione dovrà cominciare entro... poco meno di nove ore”.
Il cuore di Oliver batteva.
“Arriverà tra… tra circa nove ore e mezza”.
“È troppo tardi, Avvocato. Deve fare in modo di guadagnare tempo. Anche un’ora in più potrebbe aiutare Sonia”.
“Un’ora?”
“Un’ora”
“Non si potrebbe mettere Sonia sotto il controllo di quelle macchine... non so come spiegare... quelle che fanno sopravvivere il cuore all’esterno del corpo”.
Sorrise spontaneamente, il dottore. “Il cuore è troppo debole per sopportare un’asportazione e non collassare… Poi il corpo di Sonia non resisterà a lungo senza il motore... Mi capisce, vero?”.
“Sì, la capisco, la capisco, è che...” l’ansia tornava a farsi viva, rosicchiando dall’interno il corpo di Oliver.
Il dottore lo interruppe. “Il cuore deve essere qui quando la opereremo, altrimenti rischieremo di perderla sotto i ferri”.
“Non deve accadere” commentò freddo l’avvocato.
“Assolutamente no” convenne il Dottore.
Oliver deglutì. “Dottor Brown... lei è assolutamente sicuro che non si può sforare di qualche minuto?”.
“Direi di no. Le condizioni di Sonia sono fin troppo precarie. Anzi… se fossi in lei verrei qui da lei. Potrebbe esserci uno sbalzo, un imprevisto... il suo cuore potrebbe collassare prima del tempo”.
“Non aveva ventiquattr’ore?!” urlò il padre, guardando le Cascate Armonia, proprio davanti a lui.
“Sì, la mia stima è quella, secondo la mia esperienza... ma provi a mettersi nei miei panni, non ho mai visto un organo di questa fattezza, non lo conosco. Mi baso sulla mia esperienza di cardiochirurgo… ma la malformazione congenita del cuore di Sonia rimette tutto in discussione”.
“Andiamo! Lei è il miglior medico di tutto il paese! Ci sarà pur qualcosa che possiamo fare, intanto!”.
L’Infermiera entrò nell’ufficio del Dottore.
“C’è un’emergenza alla ottocentoquindici”.
“Sonia?! Dottore, mica è la stanza di Sonia?!”.
“No, si calmi, è un paziente che soffre di cancro, un ottantenne. Devo lasciarla. Ripeto, si calmi. L’unica cosa che c’è rimasta da fare è pregare”.
“Non prego un cazzo!” urlò quello, attaccando il telefono. La caduta dell’acqua era proprio davanti a lui.
Bernard era avvolto da una grande coperta, Aipom non smetteva di starnutire.
Anche aveva cambiato i vestiti, infilando un più asciutto maglione di lana; Fiammetta, al contrario, non sembrò accusare minimamente la temperatura rigida. Il trio saliva lungo il corridoio scavato all’interno della montagna, dietro la cascata.
“Questo... questo posto è vecchissimo. Si dice sia stato creato dai templari in caso d’emergenza. Tutto per proteggere l’Oracolo” diceva il più giovane.
“Ma come diamine sai tutte queste cose?!” chiese ancora Fiammetta, quasi infastidita.
“Hey, ascolto i grandi che parlano, vedo, faccio, viaggio!”.
“Ma sei un bambino!” rise ancora la rossa.
“Sono un bambino che ascolta, vede, fa e viaggia”.
Pat annuì e sorrise, poi Fiammetta si rivolse a lei.
“Non sarebbe più semplice se con i tuoi poteri bloccassi Jirachi e lo portassimo a Rocco? Con i tuoi... bzium sbash zzzam secondo me potremmo semplificare il lavoro”.
La moretta sorrise, scuotendo la testa. “Tu non hai idea di quanto sia forte Jirachi, vero? La sua forza psichica mi ridurrebbe a pezzi. Senza contare che non gli ci vorrebbe nulla per rompere i miei campi di forza”.
“Oh...” fece la rossa.
Continuavano a salire, Fiammetta lasciò uscire dalla sfera Magcargo, in modo da riscaldare la compagnia e permettere a tutti di asciugarsi.
Raggiunsero infine la sala superiore, al termine della salita impervia. Lì vi era una grossa apertura, a mo’ di finestrone, nella roccia viva. Bernard vi si affacciò, guardando in basso lo strapiombo che terminava nel lago formato dalla discesa della cascata.
Fiammetta s’impressionò e lo tirò dentro, per poi guardarsi attorno.
Vi erano delle mensola incavate nella parete interna di quella stranissima stanza. Vi erano anche diversi utensili antichi. Pat studiò per un attimo quello che doveva essere un giaciglio, proprio dove fluttuava uno spensierato Jirachi.
“Ora lo catturo...” sorrise Fiammetta.
“Tu non catturi proprio nessuno!” tuonò qualcuno dietro di lei.
Sì, esatto. Era proprio l’uomo dal cappuccio nero.
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