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The 25th Hour - Capitolo 7: + 1 Ora

.  ... The25THhour.. .
- Epilogo.


Alla fine tutto era terminato.

Pat e Fiammetta avevano ringraziato Rupert ed erano ritornate a Hoenn tramite un aereo privato di Adriano. Una volta arrivate a Iridopoli entrarono nella sede della Lega e fecero il proprio ingresso nella stessa sala dove quel mattino avevano preso in carica la missione.
Fiammetta pensava durasse di più, quella situazione, e invece in poche ore erano riuscite a chiudere il tutto. Era sorpresa, credeva fosse più difficile.
Si sentiva turbata però, e Pat lo percepiva mentre camminavano e s’avvicinavano agli altri esponenti della Commissione della Lega di Hoenn.
Erano tutti lì, tranne Ruby. Lui era nella sala medica dell’edificio, accanto alla postazione di Sapphire Birch. Anche Tell era lì; Pat non s’era mai recata in quegli edifici, da quando suo fratello era morto, e pensava fosse meglio in quel modo.
Rocco fu il primo ad alzarsi, non appena Fiammetta mise piede nella sala grande; si alzò dalla sua poltroncina di pelle rossa e allargò le braccia, accogliendola con un abbraccio caloroso.
“Come stai?” le chiese.
La donna si specchiò nei suoi occhi d’acciaio e sorrise dolcemente, baciandolo. “Sto bene”.
Tutti gli altri si alzarono, applaudendo, per poi accogliere le due eroine. Rocco riuscì a prendere Pat per l’avambraccio e a sottrarla dai convenevoli e i complimenti. Doveva parlarle.
“E tu come stai?”.
Quella annuì, sorridente. “Tutto bene... È stata un’esperienza particolare, per me”.
Un minuto dopo erano tutti seduti al grande tavolo, in silenzio. Attendevano che Rocco parlasse.
“Allora. Ce l’avete?”.
Fiammetta rise. “Così ci fai sembrare le pusher della situazione...”.
“In un certo senso è così...” replicò il Campione, annuendo.
La prima guardò Pat, che in un cenno d’intesa capì. Annuì e tirò la Pokéball di Jirachi fuori dalla borsa.
La posò al centro del tavolo e si risedette.
Rocco scattò una rapida istantanea dei volti delle persone sedute a quel tavolo: tutti tesi, stanchi e provati.

Impauriti.

L’uomo allungò la propria mano verso la sfera, tenendola ben stretta.
“È chiaro che non avremo altre occasioni, quindi sarà una sola persona a parlare a Jirachi, in modo da poter esprimere soltanto il desiderio che ci occorre”.
“E gli altri due?” domandò Alice.
Adriano la fissò per qualche istante, prima di tornare a seguire la scena.
“Il Pokémon passerà sotto il controllo di Green Oak, che lo ha richiesto ufficialmente”.
Alice annuì. Poi fu Walter a prendere parola.
“Chi è che parlerà con Jirachi?”.
Rocco s’alzò in piedi. “Lo farò io. Sono io il Campione, del resto e rappresento a pieno titolo le volontà di questa regione. Inoltre non bisogna parlare... è più complicato di quel che sembra, quindi mi aspetto che voi facciate silenzio e mi lasciate fare quest’operazione con calma”.
Tutti annuirono.
Rocco lasciò che il Pokémon uscisse dalla sfera; Jirachi era davanti a lui e fluttuava sul tavolo, fermandosi proprio di fronte al Campione.
“Jirachi” lo chiamò quello. “Mi chiamo Rocco Petri e...”.
Il Pokémon sembrava non ascoltarlo.
“Con la mente” lo redarguì Pat, telepaticamente. Rocco sobbalzò, facendo sorridere Fiammetta.
“Lo stai facendo anche con lui?” chiese quella, vedendo la Capopalestra di Verdeazzupoli sorridere.
Rocco annuì, comprendendo.

Jirachi... poche settimane fa l’ira di Arceus ha risvegliato Groudon e Kyogre. Loro hanno continuato il proprio scontro millenario lungo il territorio di Hoenn, distruggendo totalmente città e paesi e ammazzando chiunque si ponesse sul loro cammino. Alcune… alcune persone, dei malintenzionati… hanno approfittato di ciò, ammazzando e distruggendo a propria volta; so che è difficile da rendere possibile ma tu sei la nostra unica speranza. Sei l’unico  in grado di aiutarci: ti prego, fa’ che tutte le persone morte per via di questi avvenimenti resuscitino e che le nostre città vengano liberate dalle macerie... fa’ che ritornino allo stato iniziale delle cose; fa’ che tutte le città sommerse dall’acqua tornino a essere bacini di civiltà; fa’ che Cuordilava risorga dalla terra e che la vita torni a scorrere normale, come un anno fa”.

Fiammetta guardava Rocco, che stava con gli occhi chiusi e le mani tese a toccare le zampe anteriori del Pokémon. Quello, amichevole, guardava incuriosito Rocco, come se stesse ascoltando la storia più interessante del mondo.

“Siamo nelle tue mani”.

Jirachi sobbalzò, colpito notevolmente dalla richiesta. Il suo terzo occhio, già aperto sulla pancia, s’illuminò e su di uno dei tre fogliettini che pendevano dalla sua testa apparve, in bella grafia, il desiderio espresso da Rocco.
“Sta succedendo!” esclamò Adriano, stringendo Alice in un abbraccio.
Walter rideva, mentre tutt’intorno cominciava a brillare di una luce argentea fortissima, che costrinse i presenti nella stanza a stringere gli occhi.

Ruby era davanti al lettino di Sapphire. Era rimasto immobile a guardare il suo volto cereo per tutto il tempo in cui era entrato nella sua stanza; voleva che, una volta risvegliatasi, gli occhi blu di Sapphire guardassero i suoi, come prima cosa.
Erano passate quattro ore e ancora non era successo nulla, tardavano a esprimere quel desiderio ed era immensamente sfinito da quella situazione.
Ruby voleva riabbracciare la sua donna e dimenticare le sevizie subite dal Team Magma, le torture attraverso le quali loro due, e anche Emerald, erano finiti per cadere in uno stato di coma.
Pensò che se avesse potuto scegliere si sarebbe sacrificato volentieri al posto della sua Sapph. Le avrebbe donato il cuore se avesse potuto, ma purtroppo così non poteva essere.
Era sul letto a trattenere le lacrime, a sudare freddo, a sperare che gli sforzi fatti per catturare Jirachi non fossero stati vani.
Sapphire non poteva morire.
Era una ragazza troppo solare per perdere la vita; amava stare in mezzo alla natura, amava ridere delle sciocchezze. Adorava, lui, quando s’arrabbiava. Non aveva alcuna pazienza e perdeva subito le staffe. Poi lui rideva di lei, e quella metteva il broncio.
Conosceva alla perfezione ogni sfaccettatura del suo carattere, ogni particolare del suo viso. Ogni movenza del suo corpo, maturato da quando era una giovane selvaggia.
Rideva, se ci pensava. Vestita di foglie e rami.
Per sentirsi parte della natura, diceva.
La cosa peggiore di tutta quella situazione era che lui l‘amava. E veder morire una persona che si ama è come morire a propria volta.
Soffriva, promise a se stesso di proteggerla da ogni cosa ove mai Jirachi l’avesse riportata in vita.
Poi tutto s’illuminò, come se le porte del paradiso si fossero aperte davanti a loro.
E lentamente tutto svanì.
Ruby mantenne gli occhi chiusi, una lacrima cadde. Sentiva che ce l’avevano fatta.
“Ruby...” sentì poi; la voce di Sapphire era compressa.
Quello spalancò gli occhi, non riuscendo più a trattenere le lacrime. “Sei viva!” esclamò, gettandosi su di lei. La strinse.
Quella sorrideva, col volto sfatto e stanco.
“Cosa... cos’è successo?”.
Ruby la baciò e sorrise. “È troppo lungo da raccontare ora... ma giuro che ti racconterò tutto”.

Tutta la commissione Pokémon della Lega di Hoenn riaprì gli occhi dopo la luce argentea.
“Che è successo?” domandò Fiammetta.
“Non lo so...” le rispose Alice.
Tutti corsero verso le ampie finestrate, guardando a distanza Ceneride. Si vedevano le punte degli alti palazzi, che pochi minuti prima non c’erano.
“Ci siamo riusciti!” urlò Rocco, sorridente.
“Sì! Avevo proprio voglia di rilassarmi un po’ sul mio divano” sorrideva a sua volta Walter.
Tutti erano fieri e soddisfatti del lavoro svolto.
Il Campione s’avvicinò a Fiammetta e le diede un bacio passionale, stringendola, sentendo il suo calore penetrargli nelle ossa.
“Ce l’avete fatta, grazie a dio... Sei la migliore...” sussurrò, baciandole la fronte.
Quella sorrise, poggiandogli la testa sulla spalla.
Si sentiva protetta, finalmente.
Dopo tanto tempo era tranquilla, e sicura del suo domani.
“Questo vuol dire che Fiammetta è nuovamente la Capopalestra di Cuordilava” sorrise Alice, da lontano.
Tutti applaudirono, anche Pat, che era rimasta in disparte, sorridente ma triste.
Fiammetta la vide.

Hey, bella donna, che è successo?” le domandò la rossa, cominciando un’altra delle loro conversazioni mentali.
Pat allargò il sorriso. “Sono felice per te... credimi. Pensavo a Tell e... ad Oliver Jackson”.
“E chi diavolo è?!”.
“L’uomo col cappuccio. Quello che ci ha parlato di sua figlia... Vorrei poterlo aiutare”.
Fiammetta annuì, quindi alzò la testa.
“Rocco, io e Pat dobbiamo dirti una cosa in privato”.
 

- 2 ore e 48 minuti;

Oliver era a casa sua.
Aveva passato il resto di quella strana giornata con sua figlia Sonia, accanto a lei, tenendola per mano. Il suo battito era debole e lei aveva dormito tutto il tempo, tranne per una ventina di minuti, in cui gli aveva raccontato di come la suora l’avesse convinta a mangiare la mela cotta e di quanto quella le fosse piaciuta.
“È dolce” fece, dopo un paio di dolorosissimi colpi di tosse.
Oliver aveva annuito, aveva sorriso ed era tornato cupo.
Le guardava il petto, immaginando quel putrido pezzetto di carne che lentamente si piegava su se stesso.
Le diede un bacio sulla fronte, promettendole di ritornare una mezz’oretta dopo, il tempo di farsi una doccia e cambiarsi d’abito.
Aveva telefonato per chiedere informazioni sull’arrivo dell’aereo. Avevano detto che avrebbero fatto anticipo di dieci minuti ma chiaramente non era abbastanza.
Il Dottor Brown, dal canto suo, non gli aveva dato molte speranze; come ogni buon medico che si rispettasse era rimasto fedele alla sincerità, dicendo che se quel cuore non sarebbe arrivato lì entro quelle tre ore non avrebbe potuto fare più niente per Sonia.
Era davanti allo specchio, Oliver, nudo dopo una doccia bollente.
Il vetro dello specchio era frantumato, con il rossetto di Roxanne ci aveva scritto sopra.
 


fanculo

“Già... fanculo. Fanculo a tutti. Fanculo ai dottori, che non vogliono prendersi le responsabilità di rischiare: mia figlia è una morta che parla, non cambierebbe nulla provare a scommettere, a sperare che il cuore arrivi in tempo, tanto nel peggiore dei casi la situazione non cambia. Loro non vogliono operare senza il cuore, non possono stabilizzare il corpo di mia figlia, ripulirlo dai danni che sta subendo. Una bambina sta tossendo sangue, e a loro importa solo di non andare in galera.
Fanculo alle tempeste, a quel cazzo di Thundrus che non poteva lasciar passare il mio aereo, quello col cuore di mia figlia.
Fanculo a mia moglie Roxanne, così strana, così dannatamente diversa da me, anche i suoi organi erano differenti.
Fanculo alla Lega di Hoenn, altruisti del cazzo che non possono lasciar passare nulla. Fanculo a quella rossa demente e quella psicopatica con la treccia, ai loro Pokémon iperallenati e a tutte le lotte. Fanculo a quel ragazzino con la coppola, invece di stare per strada a giocare doveva per forza rompere le palle al prossimo.
Fanculo a Groudon e Kyogre, che non hanno mai trovato il tempo per capire che il mare e i continenti stanno bene dove stanno. Perché dovete lottare, fatevi una canna e guardatevi i Broncos in televisione. Fanculo anche ad Arceus, despota, prepotente del cazzo, incapace di fare le cose per bene, privo di compiere un lavoro perfetto. Ci ha fatto a sua immagine e somiglianza?! Beh, brutta notizia per te, hai una malformazione cardiaca, stronzo!
Fanculo a tutta la gente che specula su queste situazioni, che guadagna sulle lacrime della povera gente, dei disgraziati, dei disadattati.
Fanculo ai Pokémon: abbiamo creato un mondo basato su loro ma la vita non ce la semplificano quasi mai, quando necessario. Sono soltanto un futile passatempo, amici, compagni. E poi lasciano morire le persone.
Talvolta le uccidono.
Fanculo a te, Jirachi, Pokémon dei desideri... Che diamine di necessità hai?! Come puoi stare sveglio solo sette giorni ogni millennio?! È esagerato!
Fanculo a ogni dannata persona che ha avuto a che fare con me soltanto per sfruttarmi; ora sono solo, non ho più mia moglie, non ho più mia figlia. Non ho più un cazzo, non potrete più succhiare niente da quest’uccello.
E il fanculo più grande, quello più importante, va a te, Oliver Jackson: non sei stato capace di costruirti una famiglia, vivi in una castello di carte. Hai quasi quarant’anni e non hai una dannata sicurezza nella vita e questo dovrebbe farti capire quanto tu sia patetico. Hai fatto finta di nulla quando Roxanne è morta, perché sei un fottuto debole! Non riesci a fare più niente, non sei riuscito neppure a combattere per proteggere tua figlia. Meriteresti di morire più di chiunque altro perché sei una persona inutile!”.

E poi il telefono squillò, interrompendo quel discorso che i suoi occhi stavano facendo alla figura distorta nello specchio.
Lui lo tirò fuori dalla tasca, sperando che fossero quelli dell’aereo, dicendo che avevano rosicchiato abbastanza tempo. Oppure che il velivolo fosse crollato in mare, in modo da mettersi l’anima in pace, invece di vivere con quel patema d’animo fisso nel petto.
Il numero non gli diceva nulla, non lo conosceva.
Lasciò squillare.
Andò in salotto, ancora nudo, e aprì una bottiglia di Cognac. La suoneria era cessata.
Roxanne aveva arredato quel posto in maniera sopraffina, creando ottimi punti luce e abbinando gradevolmente i colori forti dei divani, rosso e blu, con gli elementi in acciaio del mobilio.
Versò il liquore in un bicchiere di cristallo e lo buttò giù senza neppure dare adito alle papille gustative di risvegliarsi, bruciandole in partenza.
Quel Cognac era fortissimo. Se ne versò ancora e giù tutto d’un sorso.
Si chiese perché diamine non stesse bevendo dalla bottiglia, quindi frantumò il bicchiere per terra sentendo i frammenti di cristallo colpirgli il polpaccio nudo.
Bevve da vicino, riempì la bocca, ustionò le tonsille e poi tossì.
Era troppo forte.
Il telefono squillò di nuovo.

Fanculo anche al telefono...”.
Troppo tempo speso a far telefonate per gente di cui non gli importava nulla.

La testa girava, pensò fosse meglio posare la bottiglia. Sospirò, guardando il vuoto e pensando al fatto che in cantina ci fosse una corda fatta da quattro bei filoni intrecciati.
Solidi.
Il nodo scorsoio lo sapeva fare. Oddio, forse la testa girava un po’ troppo per riuscire a farlo per bene, ma in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Si voltò proprio quando il telefono terminò di squillare e guardò la ringhiera delle scale che portavano al piano di sopra.
Lo avrebbe retto, sicuramente.
Il silenzio si riappropriò di nuovo di quel salotto buio, il telefono aveva smesso di suonare ma quel rumore risuonava ancora nella sua testa.
S’alzò, calpestando i frammenti di cristallo che gli penetrarono nel piede. Non fece una grinza. Lì levò alla bene e meglio e poi si diresse verso la camera da letto.
Ma il telefono suonò nuovamente.
E se il telefono di Sonia si fosse scaricato e stesse usando quello di qualcun altro per contattarlo?
Fu colto dal panico e prese a correre verso il cellulare, rispondendo immediatamente.
“Pronto!” fece, accorato.
“Ehm... Oliver Jackson?”.
“Chi è?!” tuonò quello, mentre vedeva il suo tallone perdere sangue.
“Sono Fiammetta Moore. Ci siamo visti ad Adamanta, cercava di catturare Jirachi... dovrebbe ricordare…”.
“Come ha avuto il mio numero?!” domandò duro quello, totalmente stupito dalla chiamata della donna.
“Abbiamo i nostri mezzi. Tra trenta minuti un aereo privato sarà all’aeroporto di Edesea. Jirachi la sta aspettando”.
“Come?!” esclamò quello. “Che cosa sta dicendo?!” urlò, spalancando gli occhi.
“Si sbrighi, è già partito. Il tempo passa e a lei serve... quindi vada all’aeroporto”.
“Subito!” esclamò Oliver, zoppicando nel buio del corridoio in direzione della camera armadio.

Pat entrò nella sala medica. Ruby riposava accanto a Sapphire, con la testa poggiata sul fianco della ragazza e la schiena curvata, seduto su di una sedia d’acciaio.
La salutò rapidamente dandole un bacio sulla guancia e poi proseguì oltre. Rudi e Petra dormivano, ma Alice era andata a verificare personalmente le condizioni dei due e stavano benone; insomma, avevano appena oltrepassato la soglia che delimitava la vita dalla morte, e nel modo più anticonvenzionale per altro, andando a ritroso.
Era logico non fosse tutto regolare fin da subito.
Il letto successivo era libero, Fosco era con ogni probabilità uscito, forse. Non lo sapeva.
Frida e Drake, e poco oltre Ester, riposavano ognuno su di un fianco.
E sull’ultimo c’era Tell.
Era sveglio, seduto sul letto, annoiato; giocava facendo fluttuare due bicchieri di plastica vuoti.
Era vivo, e stava bene.
La moretta spostò la treccia dietro la spalla e sorrise, avvicinandosi nel silenzio più che totale.
I bicchieri crollarono sul letto quando lui si accorse della sorella, che gli si avventò addosso come un condor sulla preda, stringendolo poi in un tenero abbraccio.
“Sei vivo!” piangeva Pat. Affondò il naso nei capelli del ragazzo, che la strinse.
Totalmente identico a lei, lineamenti più marcati, più solidi, barba sul volto pallido e capelli sciolti.
Tell la tirò a sé, quella s’adagiò su di lui.
“Ho avuto paura di perderti” pianse lei. “T’ho visto senza vita e... e... Dio!”.
“Non fare così... Ora è tutto finito. Ruby mi ha raccontato tutto… Sei stata bravissima”.
Pat si tirò indietro e guardò gli occhi del fratello, del tutto uguali ai suoi.
Tra quei due c’era un filo indissolubile, una linea così forte da passare attraverso le pareti delle differenze e fungere d’autostrada.
Lì, i due si passavano sensazioni ed emozioni, permettendo loro di vivere in perfetta simbiosi.
“Ora andrà tutto per il verso giusto, ne sono certo”.

 

- 1 ora e 07 minuti;

Oliver scese dall’aereo, con la premura che gli stritolava lo stomaco.
Ad accoglierlo ci fu Rocco.
Era decisamente tardi, nessuno era più rimasto negli edifici della Lega.
“Lei... lei è Rocco Petri?” domandò umilmente Oliver, asciugandosi la mano sui pantaloni prima di stringergliela.
Presa stretta, come piaceva a lui.
“In persona. E lei è l’uomo di cui mi hanno parlato Fiammetta e Pat. Ammetto che in simili situazioni sarei ricorso al suo stesso metodo” sorrise l’uomo dai capelli grigi.
Oliver abbassò lo sguardo. “Non c’è ancora tanto tempo...”.
“Andiamo subito”.
Arrivarono nell’ufficio di Rocco. Oliver si guardò attorno, vedendo enormi librerie, zeppe di tomi antichi, rilegati con pregiati materiali. Vi era anche una grossa teca, dentro la quale erano ordinatamente disposte e classificate diverse pietre e gemme, con targhette identificative davanti ad ognuna.
Rocco camminava con quel portamento elegante che lo aveva sempre contraddistinto, fino ad arrivare alla sua grande scrivania. Aprì un cassetto e ne estrasse una Pokéball.
Guardò Oliver negli occhi e vi vide timore e speranza uniti. Quello si mordeva un labbro.
“È molto semplice: lei pensi ardentemente al desiderio di cui necessita... si prenda pure tutto il tempo necessario per formulare la frase ma deve far sì che sia molto chiaro in quel ch’esprime. La cometa Millennium tiene aperto l’occhio sulla pancia del Pokémon, ed è grazie a questo che siamo in grado di esprimere i desideri. Tutto chiaro fin qui?”.
“Sì. Tutto chiarissimo”.
“Oliver... Posso chiamarti per nome, vero? Posso darti del tu? Beh, Oliver... io mi sto fidando di te. Tu potresti desiderare qualsiasi cosa in questo momento, anche qualcosa di profondamente egoistico e cattivo. Di inutile. Mi appello alla tua umanità; se è vero che devi salvare tua figlia, voglio vedere sui fogliettini che Jirachi ha accanto alla testa proprio questo desiderio”.
“Non c’era bisogno nemmeno di dirlo” aveva replicato l’altro, visibilmente commosso.
“Lo so, figurati, ma meglio essere precisi fin dall’inizio”.
Rocco fece uscire Jirachi dalla sfera.
Oliver non riuscì a trattenere un fremito d’eccitazione: aveva davanti a sé il Pokémon che aveva soltanto sfiorato nella lunga giornata che era trascorsa. Quello fluttuava, con la sua solita aria, stanca e felice. Notò che uno dei tre bigliettini che pendevano dal suo capo era già scritto.
Era il desiderio che Pat e Fiammetta gli avevano decantato liberamente durante i loro scontri.
Ve ne erano due liberi.
Due.
Avrebbe potuto salvare due persone.
Sonia, certamente. E Roxanne.
Avrebbe potuto portare indietro Roxanne.
Guardò gli occhi severi di Rocco e poi lasciò che a parlare fosse solo il proprio cuore: non poteva fare una cosa così bassa; quella gente non aveva nessun obbligo verso di lui, quei tre desideri appartenevano a loro, ma ne avevano concesso uno a lui.
Lo avevano concesso a Sonia.
Si convinse quindi a salutare Roxanne da lontano, una volta per tutte, e si sedette di fronte al Pokémon.
Lo guardò per altri dieci secondi quindi, nervoso, strinse i pugni e sospirò.

Dovresti ricordarti di me, Jirachi... Sono l’uomo che oggi ha provato a catturarti almeno due volte. Sai, ho una figlia, che si chiama Sonia. Le rimane poco più di un’ora di vita... Vorrei che potesse averne almeno un’altra. Puoi tu, Jirachi, donarle una venticinquesima ora?”.

Jirachi s’illuminò, i suoi tre occhi esplosero di luce e tutto fu investito per qualche attimo da quella forza incredibile.
Quando Oliver riaprì gli occhi, il suo desiderio apparve scritto sul bigliettino che il Pokémon aveva sulla fronte.
Rocco sorrise, vedendo l’uomo riempirsi di gioia. Poi il cellulare dell’avvocato squillò.
Era curioso, il Campione, di sapere chi fosse. Del resto, l’altro cercava con eccitazione malcelata il cellulare nella tasca del suo completo Armani, caricando d’ansia buona anche lui.
Oliver abbassò lo sguardo sul PokéGear.
Marcus Brown, c’era scritto sul display.
Era il Dottore.
“Avvocato Jackson? Sono Marcus Brown, seguo sua figlia, Sonia”.
“Ricordo, Dottor Brown. Che è successo?”.
Temeva che quello gli stesse per comunicare di accorrere lì subito, per il repentino peggioramento delle condizioni di sua figlia. Forse Jirachi non era servito a nulla. Forse era stato tutto inutile.
“Sua figlia sembra stare meglio. Potremmo mantenerla in osservazione per sessanta minuti ulteriori. Il suo aereo dove diamine si trova?!”.
Le lacrime sgorgarono dagli occhi dell’uomo e un sorriso s’aprì fiero sulle sue labbra.
“È... è poco al di fuori di Adamanta! Sarà lì a brevissimo!”.
“Bene. L’aeroporto non è molto lontano dall’ospedale, qui ad Edesea. Mi raccomando. Lei dov’è?”.
“Sono... ad Hoenn...”.
“Hoenn?! Sua figlia è in queste condizioni e lei si allontana?”.
Rocco aveva sentito tutto e guardava gli occhi mortificati di Oliver. “Gli dica che tra meno di venti minuti sarà lì” fece il Campione.
“Sarò... sarò lì tra... tra meno di venti minuti... Ora dovrei andare”.
Poi si sentì bussare alla porta.
“Un momento” tuonò Rocco. Vide Oliver chiudere la telefonata e rinfilare il cellulare nella tasca interna della giacca, quindi si alzò in piedi, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
“Grazie” esplose, abbracciando l’uomo in maniera fin troppo goffa. “Grazie mille! Giuro che le sarò riconoscente a vita! Io e mia figlia le saremo riconoscenti a vita!”.
“Si figuri! Abbiamo salvato milioni di vite, oggi, per noi è importante continuare a preservare la sicurezza e il bene di tutti”.
“Grazie mille”.
“Ora le chiamo Pat, che con i suoi Pokémon sarà in grado di teletrasportala velocemente ad Adamanta”.
Oliver spalancò gli occhi. “Grazie”.
“Non mi ringrazi più. Ora vada, ho un altro appuntamento”.

Oliver uscì dallo studio di Rocco e vide due persone in piedi ad aspettare. Era notte fonda, lui era stanchissimo, e si recò all’ingresso. Poco dopo arrivò Pat.
Quella gli lesse l’aura, decisamente più calda, di un giallo vivo.
“Salve” sorrise lei, stringendogli la mano. Lo vedeva, ancora con le lacrime agli occhi.
“Grazie anche a lei” disse.
“Bene. È importante che lei raggiunga velocemente Adamanta a quanto mi ha detto Rocco”.
“Sì. L’aereo sta per arrivare e mia figlia ha ottenuto una venticinquesima ora”.
“Perfetto”. Tirò fuori dalla sfera un grande Gardevoir. “Gli prenda le mani” disse poi.
Oliver lo fece immediatamente. Aveva paura di ciò che stava per succedere, ma durò poco meno di un secondo: chiuse gli occhi ad Iridopoli e li riaprì fuori l’ospedale di Edesea.
E trenta minuti dopo il cuore li raggiunse in elicottero.
Tutti i medici si predisposero per un intervento d’urgenza. Sonia salutò il suo papà con la mano prima di entrare in sala operatoria.
L’intervento durò diverse ore ma il Dottor Brown riuscì a innestare quello strano cuore nel petto della piccola.
Un mese dopo Sonia era a casa, e giocava con Indra nel loro giardino.
Oliver riprese a lavorare, anche se per poco, nello studio in cui era entrato in aspettativa, per poi ritirarsi ed aprirne uno proprio.
Jackson&Wishes” si chiamava, ma nessuno aveva mai visto il secondo socio.
Era più tranquillo, il sorriso di sua figlia era lo stipendio giornaliero che gli spettava per essere un buon padre. La guardava: assomigliava così tanto a sua madre che ogni due minuti era costretto a voltarsi a guardare il volto di Roxanne dalle fotografie appese alle pareti.
“Ce l’abbiamo fatta” sorrise a sua moglie.

Ma Rocco aveva ancora un appuntamento.

Poco dopo che Oliver Jackson abbandonasse lo studio, le due persone in sala d’attesa entrarono.
Uno dei due era Green Oak. Sorrise cordialmente mentre, entrando, Rocco accorse a stringergli la mano.
“Caro Green, come stai?”.
Quello sorrise ancora, cercando di allontanare la stanchezza dallo sguardo. “Tutto bene. Ti presento Zackary Recket, ex Campione della Lega di Adamanta”.
Dalle spalle del Dexholder apparve Zack, a sua volta sorridente, con gli occhi più stanchi di quelli di Green.
“Ti conosco di fama” sorrise Rocco, stringendo la mano anche a lui. Quello aveva una stretta potente. “So che eri parecchio forte, e hai lasciato per motivi personali”.
“Sì, poco tempo fa... la mia donna è incinta e voglio starle accanto”.
“Mi sembra più che giusto. Ma accomodatevi” disse Rocco, dando il buon esempio. Jirachi fluttuava sonnecchiante al suo fianco.
Green Oak annuì, col volto basso e scosso. I capelli, di quel castano chiaro, erano scarmigliati sulla fronte, a nascondere le pupille smeraldine. Teneva la mascella serrata, rendendo il volto solido, come un blocco di granito.
Era estremamente serio, mentre guardava Jirachi.
Accanto a lui si accomodò il ragazzo dai capelli di un castano più scuro, ma col volto enormemente più disteso.
“Rocco…” esordì Green. “Mi spiace tantissimo averti dovuto trattenere nei tuoi uffici qui fino a tarda notte…”.
“No” sorrise il Campione. “Come hai visto il mio lavoro non ha fine. Del resto ho tante responsabilità”.
“È il destino del Campione” annuì poi Zack. Rocco gli sorrise, concordando e spostando gli occhi sul Dexholder. “Del resto Hoenn è un cantiere a cielo aperto… Non c’è molto da star fermi, ho troppo da fare. Perché siete qui?” domandò.
“Siamo qui perché Jirachi salverà il destino di molte persone” rispose Oak, sospirando. “E gran parte di questo dipenderà dal bambino che Zack e sua moglie stanno aspettando”.
Rocco batté le palpebre un paio di volte. Incrociò le braccia e prese un lungo respiro.
“Come mai?” chiese.
“Racconto io” s’inserì Zack. Green annuì e si zittì.
“Rachel è la discendente di un’importante donna, che si chiama Prima. Era l’Oracolo di…”.
“Di Arceus. Il tempio di Adamanta, certo, la Battaglia del Plenilunio…” interruppe il Campione. “Come fate a essere così certi di questa cosa?” domandò poi.
“Ti chiedo di fidarti di Zack incondizionatamente” gli rispose Green. “Tutto ciò che dice è vero e ti do ogni garanzia sulle sue parole. Pochi mesi fa hanno affrontato una battaglia durissima e ora è qui per chiedere il nostro aiuto…”.
Recket riprese a parlare. “Sì. Come ben sai Adamanta non è inclusa nell’Unione Lega Pokémon, la superfederazione che ingloba tutte le organizzazioni regionali maggiori”.
“Adamanta è piccola, del resto”.
“Sì. Ecco perché parliamo con te, che sei amico di Green e che sei Campione, come lo sono stato io”.
Il Campione sospirò e annuì. “Procedi. Tua moglie è la diretta discendente di Prima, l’Oracolo di Arceus, vissuta centinaia di anni fa”.
“Esattamente mille” corresse Zack. “La donna poteva evocare Arceus e utilizzare l’energia vitale del Pokémon per comunicare con lui tramite il Cristallo della Luce, un misterioso oggetto creato millenni fa che ha diviso i popoli. Prima, per proteggere Arceus, ha utilizzato Jirachi per desiderare di inglobare il cristallo nel proprio corpo”.
“Diventando così cristallo e Oracolo” aggiunse Green.
Rocco annuì lentamente. “Quindi il cristallo, ad oggi, non esiste più”.
“Materialmente no. Ma in realtà è mia moglie”.
“Che è la diretta discendente di Prima” continuò il Campione.
“Esattamente” annuì Zack, spostando i lunghi capelli dal volto. “Prima di venire qui da te, ho dovuto affrontare un uomo senza scrupoli che voleva sfruttare mia moglie per evocare Arceus. Lo abbiamo sconfitto ma… ma abbiamo capito che esistono persone che mirano ad Arceus per i propri scopi. E non posso permettere che per le megalomanie di qualcuno mia moglie…”.
“E tutto l’universo…” sbuffò Green.
“Sì, anche l’universo… beh, hai capito, no?”.
“Levando il cristallo dalla circolazione e inglobandolo Prima ha costretto tutta la sua progenie a diventare oracolo e cristallo. È stato così per sua figlia, e così via, di generazione in generazione”.
“Ok” annuì quello dai capelli grigi.
“Rachel stava per morire, Rocco. Non voglio che a mia figlia accada lo stesso” fece Zack.
“Già sai che è una femmina?” si voltò Green, stupito.
“Il cristallo fa nascere solo donne, perché soltanto le donne possono fare da Oracolo”.
“Dannazione...” sospirò il terzo.
“Allegra, mia figlia, non avrà niente a che fare con tutta questa storia”.

Il Campione di Hoenn s’alzò dalla sedia e annuì. Camminò fino all’ampia finestra e guardò fuori, mentre Fiammetta prendeva il volo per raggiungere Verdeazzupoli.
“La situazione è più delicata del previsto. Dopodiché il cristallo dove sarà mantenuto?”.
“Sarà nascosto fino a quando non avremo una locazione definitiva. Intanto verrà indetta con urgenza una riunione generale” rispose Green.
“L’Unione Lega Pokémon, l’insieme delle federazioni... Tutti presenti. Ne sono già tutti a conoscenza?” chiese Rocco, con le mani giunte dietro alla schiena.
“Per il momento no. Lo sappiamo solo noi in questa stanza e Camilla, che è stata allertata” rispose Zack.
Il Campione annuì, voltandosi. “Sono sollevato che Camilla sia inclusa in questa storia. C’è bisogno di questa riunione, assolutamente. Questo cristallo è uno strumento assai importante e bisogna preservarlo con la massima cura possibile. Dovrebbe essere decretato come segreto di Livello S e messo agli atti”.
Green guardò Zack.
“La ragazza d0v’è?” chiese ancora Rocco.
“È a Primaluce, a casa” rispose quello di Adamanta.
“È al sicuro?”.
“Sì, ci sono i Superquattro e Ryan Livingstone in casa, l’attuale Campione a cui ho lasciato il posto”.
“È al sicuro” aggiunse Green, grattandosi il mento.
Rocco annuì. “Prendete il Pokémon e detenetelo con la massima cura. Sappiate che una volta espresso il terzo desiderio automaticamente fuggirà. Avete ancora pochi giorni prima che la Cometa Millennium lasci l’orbita che s’affaccia sulla Terra, e allora il suo occhio si chiuderà”.
“Saremo tempestivi” s’alzò in piedi Green. Zack lo seguì.
Rocco fece rientrare Jirachi nella Pokéball e la diede a Green.
“Abbiatene cura. Ora, scusatemi, ma è stata una lunga giornata” fece Rocco, accompagnando gli ospiti alla porta ed uscendo con loro.
Spense le luci e tornò a casa. Fiammetta dormiva già nel grande letto, abbracciata al cuscino dell’uomo, inalando ciò che rimaneva del suo odore.

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