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Lev - Il Pianto Delle Stelle - 32 - Crescita IV

Capitolo 32 – Crescita IV

­­­­­­­­‒ Julie… ‒ mormorò Celia immobile con le gambe che tremavano come fatte di gelatina e gli occhi che non riuscivano a trattenere una smorfia di paura.
‒ Celia, che cosa stavi dicendo di me? ‒ chiese quella che probabilmente non aveva udito il resto della conversazione.
‒ Che cosa ci fai qui?
‒ Ti ho fatto prima io una domanda… comunque sono qua per lavoro.
‒ Io stavo parlando con Xavier… ‒ mugolò la bionda.
‒ Sì, penso di averlo capito.
‒ Ecco lui… lui…
‒ Celia? Che cosa sta succedendo?
‒ Senti, non posso dirtelo io!
‒ Che cosa non puoi dirmi?!
Fortunatamente il Centro Pokémon era vuoto. L’infermiera al bancone principale stava sfogliando senza alcun interesse una rivista di Vanity Fair quando la sua attenzione era stata catturata da quella scenetta così spontanea. Julie e Celia si trovavano davanti alle scalette che conducevano al piano superiore, la prima si era alzata per avvicinarsi alla seconda e l’aveva raggiunta lasciando il trolley vicino al divanetto su cui era seduta.
‒ Julie, mi dispiace, ma è una faccenda tra te e Xavier, non voglio immischiarmi in alcun modo, si trova a Sagittania ora, chiedi lumi direttamente a lui…
‒ Celia! ‒ sbottò infine lei non potendo credere alle sue orecchie.
La sua espressione delusa e i suoi occhi furenti si sciolsero quasi subito, Julie riprese due Ball che aveva lasciato al bancone di cura, si sistemò la felpa, prese la valigia e lasciò il Centro. Senza dire una parola, senza aggiungere altro. Celia non osò né guardarla né salutarla.
Poco dopo la bionda era già nel BMW di Antares.
‒ Allora, è successo qualcosa ‒ affermò con sicurezza il Campione.
‒ Credo di aver appena rovinato il rapporto tra mio fratello e la sua ragazza…
‒ Ahia, male…
‒ Sì, male.
‒ Devi sistemare le cose, parlare con qualcuno? ‒ domandò Antares.
‒ No, no, ormai non posso fare niente ed è inutile perdere altro tempo, dormiamoci su, domani partiremo per Delfisia ‒ stabilì lei.
‒ Il che era il programma iniziale. Va bene, ma prima vorrei portarti a parlare con una persona ‒ aggiunse Antares.
‒ Nessun problema ‒ Celia annuì poco partecipativa.
Il Campione attraversò mezzo quartiere fino a giungere all’area circostante al centro storico della cittadina, parcheggiò di fronte ad una casa con un portone bello grosso, sicuramente costruita qualche secolo nel passato. Una targa, sulla sommità del portale, enunciava a grossi caratteri:
Club dei montanari di Sidera
‒ Chi vuoi farmi incontrare qui? ‒ domandò la bionda non propriamente in vena di sorprese.
‒ Un uomo potente, Celia ‒ rispose il Campione.
I due scesero dall’auto. Antares suonò il campanello e dopo poco il portone si aprì. Una sorta di gigante dalle sembianze umane con occhi del colore della nebbia si presentò al cospetto del Campione.
‒ Buongiorno, Ercole ‒ fece i suoi ossequi lui.
‒ Antares, non mi hai detto che saresti venuto oggi ‒ ribatté quello con una voce che ricordava l’eco di una grossa esplosione all’interno di una profonda caverna.
‒ Io non avviso mai, dovresti ricordartelo…
‒ Infatti, chi è la ragazzina qui con te? ‒ chiese poi l’omone.
‒ Tu con un po’ di intuito ci puoi arrivare ‒ rispose. ‒ Mentre per te, questo energumeno è Ercole, Capopalestra di tipo Roccia di Telescopia ‒ disse voltandosi da Celia.
‒ Piacere ‒ mormorò quella un po’ dubbiosa.
‒ Penso di aver capito chi sei, Celia, giusto? ‒ tese la mano l’uomo.
La stretta delicata della bionda sarebbe stata adatta per due dita della mano dell’uomo, con quest’ultima Ercole avrebbe potuto stritolarle la gabbia toracica con lo stesso impegno con cui lei strizzava una spugna.
‒ E adesso, il motivo per cui siamo qui, che credo entrambi conoscerete… ‒ fece Antares riaprendo il discorso.
Ercole annuì, Celia ci arrivò poco più tardi. Il Capopalestra si voltò e invitò i due ospiti ad avanzare all’interno dell’edificio. Passarono per una stanza che sembrava l’ingresso e imboccarono la porta che si trovarono a sinistra. Lì dentro era tutto illuminato da lampade ad olio e torce infuocate e sul soffitto vi erano dei fori e delle finestre poste in modo tale da permettere il ricircolo dell’aria. Fu in quel momento che Celia ebbe modo di squadrarlo: i suoi occhi chiarissimi, la sua carnagione scurita dal sole, le sue spalle e braccia imponenti, l’uomo aveva un addome prominente e ciuffi di capelli argentei che spuntavano dal capo ma tutto ciò rendeva la sua figura sicuramente più autorevole ed evidente. Eppure la ragazza, scrutando bene i suoi tratti somatici, si rese conto di aver già visto quel volto da qualche parte.
‒ So che sei già stata messa al corrente della situazione, Celia ‒ proferì l’uomo.
‒ Te lo ha detto Cassandra? ‒ domandò Antares.
‒ Me lo ha detto mio figlio ‒ rispose quello.
‒ Che lo avrà di sicuro saputo da Cassandra…
‒ Suo figlio? ‒ chiese Celia.
‒ Ah, credo tu lo abbia già conosciuto, ti ricordi di Arturo?
In quel momento la ragazza ricollegò, il Capopalestra di Vulpiapoli, gestore della palestra-palestra, amico di Antares, era il figlio del gigante.
‒ Sì, ho capito, ho già avuto il piacere…
‒ E penso che anche lui ti abbia dato la sua medaglia senza neanche combattere ‒ proseguì lui.
‒ Ehm… sì.
‒ Beh, questa cosa mi delude davvero tanto ‒ disse. ‒ Ma d’altronde cos’è più importante, questo o la nostra dignità di Allenatori?
Celia non rispose alla domanda retorica ma annuì guardando altrove.
‒ Però devi promettermi che una volta che avremo risolto questa vicenda della Faces, lotterai con me ‒ puntualizzò Ercole.
La ragazza rimase per un istante basita.
‒ Allora, ci stai? ‒ chiese l’uomo.
‒ Ehm, certo ‒ mormorò quella.
Ercole si passò le dita sui baffi, quindi rivolse lo sguardo ad Antares, che nel frattempo aveva camminato accanto a loro lungo quel corridoio che pareva infinito con le mani in tasca e gli occhi bassi.
‒ È dalla nostra parte, Antares? ‒ chiese al Campione riferendosi palesemente a Celia.
Il campione ricambiò il suo sguardo fisso: ‒ Per ora, non ha altra scelta, ma sono sicuro che più in là anche lei comprenderà cosa vuol dire tutto questo... ‒ rispose.
‒ Va bene, Celia, dato che ho fiducia in Antares intendo mostrarti qualcosa ‒ proferì con orgoglio Ercole.
La ragazza non sapeva cosa aspettarsi. Intanto i tre erano giunti al termine del tappeto rosso che tappezzava il pavimento di quel corridoio illuminato da sceniche torce accese appese ai muri e si trovavano davanti ad un secondo portone, di ferro stavolta. Ercole lo aprì girando simultaneamente due grandissime manopole metalliche che emisero uno acre stridio. Le due ante scorsero sui passanti permettendo alla stanza che si nascondeva al di dietro di rivelarsi.
Celia spalancò gli occhi.
 
L’ora di cena era ormai giunta, un giovane Allenatore di nome Xavier con i capelli corti e castani aveva le mani intente a sottrarre svogliatamente qualche nocciolina alla ciotolina del bancone del bar interno al Centro Pokémon di Sagittania. I suoi Pokémon erano in cura, si era appena fatto una doccia e quella sensazione di caldo e asciutto che segue l’asciugatura ovattava i suoi contatti col mondo esterno.
‒ Mi dai un bicchiere di succo di lime? ‒ domandò gentilmente alla barista che fino a quel momento gli aveva sorriso con l’occhio omicida di chi vorrebbe che i cosiddetti clienti lasciassero della grana alla sua attività. Aveva di proposito cercato l’ordine più insolito che gli fosse venuto in mente.
‒ Freddo o temperatura ambiente?
Xavier rimase sorpreso: ‒ Più gelido possibile, ne ho abbastanza di cose calde per oggi… ‒ mormorò affranto il ragazzo.
Era scazzato, Celia gli aveva riattaccato il telefono in faccia e non dava segnali di vita da quasi un’ora e ancora sentiva lo stomaco contorto per la vicenda di Cassandra.
‒ Ci vuoi due cubetti di ghiaccio?
‒ Cubetti di… senti, gettaci un po’ di tequila e triple sec e trasformalo in un Margarita con le tue manine magiche… ‒ fece lui demotivato.
‒ Sembra che la giornata non possa che peggiorare ‒ mormorò la tipa mentre con cominciava a riempire lo shaker di ghiaccio.
Xavier emise un verso amorfo allungandosi con le spalle sul bancone e mettendo la testa tra le braccia incrociate. Per qualche secondo il ragazzo si godé il rumore dei tre liquidi che scendevano lentamente sui pezzi di ghiaccio, quindi anche quella dolce quiete scomparve.
‒ Ciao, Xavier ‒ Voce conosciuta, tono triste, brutte notizie.
Il castano si voltò girando sullo sgabello.
‒ Julie, mi sei mancata ‒ sorrise stanchissimo alzandosi e spingendosi ad abbracciarla.
‒ Anche tu ‒ rispose lei rispondendo un po’ restia alla stretta.
‒ Che ci fai qui? ‒ domandò Xavier.
‒ Ero a Telescopia per ritirare un Pokémon per l’Allevamento quando ho sentito Celia parlare con te… di qualcosa che non potevo sapere.
I due milligrammi di felicità rimasti nel cervello di Xavier evaporarono con tutta la sua giornata dietro.
‒ …e quando le ho chiesto di parlarmi lei ha detto di non poterlo fare ‒ concluse la mora.
‒ Sì ‒ borbottò il ragazzo.
‒ Che cosa succede, Xavier? ‒ il suo tono si era alzato lievemente, era un misto tra il preoccupato e l’acido.
L’Allenatore si prese qualche istante prima di dire: ‒ Niente, amore, va tutto…
‒ Non mentirmi, sai che non ci riesci.
Era all’angolo. Xavier si guardò le scarpe, ma gli occhi scuri di Julie gli bloccarono lo sguardo come due calamite. Odiava quelle situazioni, non che ne avesse vissute chissà quante, ma sentirsi impotente e bloccato da un muro di fuoco insuperabile lo faceva sentire piccolo, troppo piccolo.
‒ Io.
‒ Tu.
Potreiaverbaciatoun'altraragazza… ‒ disse tutto d’un fiato ad una velocità supersonica.
‒ Che cosa?! ‒ esclamò lei.
‒ Io potrei…
‒ Ho capito benissimo! Perché diavolo avresti dovuto farlo?! ‒ esclamò furente quella.
‒ Io... non era una… lei era…
Capì che “io non volevo”, “non era una cosa ricambiata” e “lei era troppo figa” non lo avrebbero scusato. Le prime due poiché bugie, la terza poiché fin troppo sincera.
‒ Cazzo, Xavier, che ti è venuto in mente?! ‒ fece Julie facendo somigliare la frase più ad un lamento che ad una sgridata. Intanto la mora si era staccata da lui e aveva completamente cambiato espressione.
‒ Scusami, davvero, non sapevo quello che facevo, io…
‒ Chi è?
‒ Come?
‒ Chi è lei?
‒ Uff… ‒ sospirò desolato. ‒ Cassandra, la Capopalestra di Idresia ‒ tirò giù.
‒ Con quella?! ‒ esclamò Julie che, abitando da più tempo a Sidera aveva bene idea di che sex symbol fosse la peperina in questione.
‒ Sì, ma non è stato un…
‒ È successo altro tra voi?
‒ No.
Silenzio. Il Centro era praticamente vuoto, ma il silenzio avrebbe regnato pure se fosse stato affollatissimo.
‒ Ero venuta a svolgere una commissione a nord con la speranza di incontrarti anche se da quando sei partito non riesco neanche a parlare con te al telefono, ho rimandato l’appuntamento con un cliente e ho fatto un viaggio in pullman con l’ansia di sapere cosa fosse successo… ‒ premise lei. ‒ Per sapere che non solo non sei stato capace di trattenerti da una bella ragazza, ma neanche hai avuto il coraggio di dirmi una cosa così stupida che se probabilmente sarei anche riuscita a sopportare ‒ pronunciò lapidaria.
Ogni parola era una coltellata nella carne tra occhio e orbita oculare per Xavier, non vedeva speranza in quella situazione, solo un mucchio di rotture di scatole che probabilmente avrebbero fatto cedere il suo rapporto con Julie solo dopo tanto altro tempo di fastidiosi problemi.
‒ Hai ragione ‒ mormorò con un filo di voce.
Ceffone. Altro ceffone.
‒ Non seguirmi.
E Julie girò i tacchi andandosene. Xavier, impotente, tornò seduto sullo sgabello del bar e voltò le spalle anche lui all’immagine della sua probabilmente ex ragazza che se ne andava senza guardarsi indietro.
‒ Il tuo Margarita è pronto… ‒ mormorò la barista con il tono di voce greve idoneo alla scena cui aveva appena assistito.
‒ Grazie ‒ sospirò Xavier fissando il bicchiere a forma di sombrero contenente quel liquido traslucido ornato da una corona di sale e una mezza fetta di lime. ‒ Non poteva andare peggio, dicevi?
 
‒ Sta arrivando ‒ pronunciò Kurao.
‒ Bene ‒ approvò Kalut.
Il ragazzo era sdraiato sul pavimento, prossimo al sonno. O meglio, stanco morto per aver tenuto gli occhi aperti nel momento della giornata che il suo corpo definiva come ora di dormire, ossia il giorno. Accanto a lui Gilroy, fedele Arcanine e Scolpiede, fase ancora più avanzata del suo primo compagno, egli si era evoluto poco prima in seguito al secondo tocco di Kalut. Lentamente, sotto gli occhi vigili di Kurao, le sue palpebre si chiusero e i suoi muscoli si rilassarono. Kalut sentì il sonno scorrere su di lui.
‒ Che cosa ha dimostrato di saper fare, ancora, oltre al far evolvere i Pokémon solo volendolo? ‒ chiese allora l’uomo a Xatu.
“Scolipede l’ha visto rigenerarsi da una ferita profonda in un attimo e sopravvivere al suo veleno senza problemi, inoltre senza mai allenarsi è ottimo nella ginnastica, ha un equilibrio perfetto ed ha un’agilità ai limiti umani”
‒ Altro?
“Beh, non so se hai notato ma riesce a capire perfettamente e a mettere dalla sua parte qualsiasi Pokémon.”
‒ Basta?
“Altre parole di Scolipede, senza mai aver combattuto prima lo ha fatto lottare con uno Staravia di gran lunga più forte sconfiggendolo all’istante.”
‒ È come se fosse capace di tirare fuori il meglio di qualsiasi cosa, le sue capacità di essere umano e anche quelle dei suoi Pokémon ‒ mormorò Kurao.
‒ Sono proprio bravo… ‒ fece Kalut nel sonno come avesse sentito tutto.
L’uomo portò lo sguardo al pennuto.
“Sì, sa fare pure questo…” ricordò Xatu.

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