Capitolo
35 –
Disperazione
Xavier e
il professor Willow
continuavano a camminare allo stesso passo, il primo con le mani in
tasca e lo
sguardo basso e concentrato, il secondo più rilassato con le mani unite
dietro
la schiena.
‒ In che senso,
professore? ‒
chiese Xavier.
‒ Nel senso che,
per gli oppositori
della Faces, la condizione ideale è soltanto quella immutata attuale ‒
spiegò.
‒ Vedi, avrai di sicuro seguito le spiacevoli vicende degli ultimi anni…
Xavier guardò il
prof come per
incitarlo a continuare.
‒ Kanto, Team
Rocket, una serie
di loschi figuri che cercano di creare una delle più potenti armi
biologiche di
sempre: Mewtwo; Hoenn, Max e Ivan, due pazzi con in mano il potere di
Groudon e
Kyogre rischiano di distruggere l’ecosistema terrestre; Sinnoh, Cyrus
con il
Team Galassia tenta di…
‒ Basta ‒ lo
interruppe Xavier.
‒ Vedi, ragazzo,
basta poco e
subito tutti gli uomini sono pronti per andare contro i propri simili,
spinti
da avidità, vendetta o ideali che mutilano la libertà delle altre
persone. Tutto
questo per la nostra troppa fiducia nelle persone ‒ fece con voce
lontana
Willow.
‒ Vada avanti ‒
resse il gioco
Xavier.
‒ Ciò che
l’essere umano crea
naturalmente con i Pokémon, quel legame di fiducia e sostegno reciproco,
è
sicuramente eccezionale, ma ciò non vuol dire che non vada preservato e
regolato. Ci sono persone che, sfruttando la stessa libertà di voi
onesti
Allenatori, raccolgono potere, forza, seguaci… queste persone sono delle
minacce per la popolazione e la Faces intende impedire a criminali del
genere
di fare ancora del male ‒ spiegò l’uomo.
‒ In che modo
esattamente? ‒
domandò il castano.
‒ Creando una
rete di
informazioni, rendendo tutti partecipi in tempo reale di ciò che sta
accadendo
a chi come loro sta allenando, lottando o viaggiando con i propri
Pokémon,
tutto è nato come un progetto di monitoraggio, ma ci siamo resi conto
che
sarebbe stato come sorvegliare le persone e spiarle di nascosto, per
questo
motivo si è pensato di rendere la nostra tecnologia fruibile da tutti,
in modo che…
‒ Professore, la
Faces manovra le
Leghe privandole delle entrate monetarie e costringendola ad affidarsi
alla sua
politica ‒ sopraggiunse troncando il discorso Xavier.
Silenzio. Il
ragazzo sapeva già
che il progetto PokéNet rispettava i suoi gusti personali, ma il suo
pensiero
subito era tornato al metodo con cui l’organizzazione stava agendo.
‒ Vedi, qui
vorrei veder emergere
la tua maturità, ragazzo ‒ fece Willow. ‒ Capita a volte che sia abbia
bisogno
di qualcuno che sia in grado di guidare le persone e di indirizzarle
verso la
via migliore per loro… si può perdonare un azione fatta all’oscuro di
tutti se
è compiuta per il bene comune.
‒ E quale
sarebbe questo bene? – Xavier
interruppe per la terza
volta Willlow.
‒ Una società
migliore, una
nazione in cui le persone non siano sotto il continuo pericolo di
qualche pazzo
idealista, un mondo sicuro e protetto dalla follia ‒ enunciò il prof.
‒ Io… ‒ mormorò
Xavier.
Aveva abbassato
la guardia, aveva
mostrato il fianco. Si era lasciato persuadere da Willow e in poco
tempo,
quello che subito era stato a lui introdotto come nemico lo aveva quasi convinto a sostenere i suoi ideali.
‒ Professore,
può ora dirmi
perché è venuto a parlare con me? ‒ chiese più docile il ragazzo.
‒ Perché penso
che un Allenatore
come te possa darci una mano… vedi, più che oggettivamente la bandiera
della
giustizia è portata dalla Faces, ora. E tu sei un ragazzo ragionevole,
penso
che un lavoro non ti dispiacerebbe, no? ‒ domandò a conclusione del
discorso il
professor Willow.
‒ Ci siamo
quasi… ‒ mormorò
Antares scrutando l’ambiente attorno all’autostrada che stavano
percorrendo.
Il BMW passò il
casello, si
introdusse in una strada provinciale più tortuosa ma anche più morbida e
giunse
dopo poche curve al paesino di Delfisia. La ragazza dai capelli biondi
guidò il
Campione suo mentore fino alla casa di Marcos. Celia scese dall’auto, il
viaggio non era stato particolarmente lungo ma aspramente
anestetizzante.
Sgranchirsi le gambe per lei fu come vedere il paradiso in terra.
‒ Marcos! Sono a
casa! ‒ esclamò
Celia bussando con ben poca delicatezza all’uscio.
Sentirsi in
terra propria dopo un
viaggio tanto tortuoso quanto strano le faceva un effetto particolare,
la
destabilizzava.
‒ Marcos! ‒
perse quasi subito
l’energia con cui chiamava il suo nome.
‒ Celia, che
succede? ‒ chiese
Antares intervenendo.
‒ Non lo so… io…
‒ Non hai detto
che solitamente
si trova a casa a quest’ora?
‒ Sì, lui…
aspetta!
La ragazza
percorse a ritroso il
vialetto di casa sua facendo il giro della staccionata e giungendo alla
porta
di casa dei vicini. La signora Gray, cordiale pensionata e crudele
avversaria a
carte di Marcos, aprì il portone con indosso un grembiule tutto
infarinato e i
capelli ridotti ad un’esplosione di ciocche grigiastre.
‒ Oh Celia, sei
tu ‒ esclamò
quella con fare affatto naturale. ‒ Cerchiamo di contattarti da ieri
sera, ma
non ci siamo riusciti.
‒ Come scusi? ‒
chiese lei.
‒ Oh, il caro
Marcos, è
all’ospedale, ieri ha avuto un altro attacco mentre annaffiava le
piante, per
fortuna lo ho visto dalla finestre ed ho chiamato i soccorsi… cara, mi
dispiace, sto preparando dei biscotti per quando si rimetterà in sesto ‒
sorrise la donna cercando uno spiraglio di serenità.
‒ Grazie,
signora Gray ‒ Celia
indietreggiò.
‒ Celia, andiamo
immediatamente ‒
si intromise Antares.
I due, sotto gli
occhi
preoccupati della signora Gray, tornarono nell’auto.
‒ L’ospedale
dovrebbe trovarsi di
qua ‒ guidò Celia improvvisandosi cicerone.
‒ Marcos è
malato, ma non pensavo
fosse tanto grave… ‒ commentò Antares.
‒ Neanch’io lo
pensavo, a dire il
vero ‒ ribatté la ragazza stringendo i denti.
‒ Non ha mai
avuto problemi
respiratori simili, prima?
‒ A volte, ma
quando si metteva
sotto sforzo… tuttavia non c’è mai stato bisogno del pronto soccorso ‒
rispose
lei.
Tra i due
aleggiò un sottile
pulviscolo di sospetto.
‒ Andrà tutto
bene, Celia ‒ cercò
di essere positivo Antares.
Dopo pochissimi
minuti erano all’ospedale,
la ragazza scese velocemente e chiese all’addetta all’ingresso dove
fosse il
paziente Marcos Levine. L’infermiera digitò il nome su un computer e
immediatamente poté dare una risposta ansiogena ad una già ansiosa
ragazza.
‒ Si trova in
sala due, sotto
intervento ‒ disse glaciale la donna.
Celia si sentì
mancare. Non riusciva
a credere di essere stata così precisa nel tornare per assistere ad una
scena
simile e soprattutto non riusciva a pensare ad altro che a Xavier.
Quando e
come sarebbe venuto a sapere di tutto quello? Come avrebbe reagito?
Sotto consiglio
di Antares,
trasse un lungo sospiro, si sedette su uno degli scomodissimi divanetti
della
hall e decise di aspettare fino a quando la situazione non sarebbe
mutata
spontaneamente.
‒ È il caso che
avvisi Xavier? ‒
suggerì il Campione.
‒ Sì, sarebbe il
momento… ‒
mormorò lei.
Temporeggiò.
Prese il diario
dalla sua borsa e vi incise letteralmente sopra qualche riga di sfogo
che Avril
non prese benissimo, smise quando la mina della matita con cui stava
scavando
la carta si spezzò a causa della pressione che le stava applicando
sopra.
‒ Calmati, così
non risolverai
niente… ‒ cercò di chetarla il suo Maestro. ‒ Chiama Xavier.
Celia annuì
silenziosamente, si
alzò in piedi senza dire una parola e scomparve dietro la porta del
bagno della
sala d’attesa. Antares la attese pazientemente.
‒ Non ti diremo nulla, sei libero di fare ciò
che
vuoi. Ma ricordati di essere ragionevole e di utilizzare quella testa
geniale
che hai al meglio, per favore… ‒ mormorò Cassandra a bassa voce.
L’aeroporto di
Idresia era uno
dei luoghi più caotici della regione. Sidera era relativamente piccola,
sia la
sua popolazione che la sua estensione erano pari ad un quinto di quelle
della
regione di Kanto, per questo non in tutti gli angoli del suo territorio
vi
erano strutture di servizio come stazioni o, appunto, aeroporti; ragion
per cui
tutti coloro che volevano intraprendere un viaggio particolarmente
esteso
confluivano nella capitale per salire su uno di quei mezzi di metallo
volante
che assicuravano uno spostamento non troppo comodo ma sicuramente
rapido.
Kurao, Cassandra
e Kalut erano ordinatamente
seduti sulle seggioline di plastica, tutti e tre aspettavano che il tipo
che con
cadenza regolare nominava i voli prossimi alla partenza convocasse i
passeggeri
del volo 577 in direzione Holon, più precisamente, Vivalet, capitale
regionale.
La Capopalestra di Idresia era in tenuta classica, vestiti leggeri e
comodi,
era comunque settembre. Kurao si trovava invece in tenuta più
altolocata, camicia
e pantaloni da assessore e una coppola di velluto nero in testa. Kalut
era stato
rifornito non solo di un nuovo cambio, che lo vedeva indossare una
camicia a
maniche corte color carta da zucchero e dei pantaloni di cotone dello
stesso
colore, ma anche un mezzo guardaroba nuovo. Teneva tutto all’interno
della
valigia da stiva che i due Capipalestra gli avevano molto gentilmente
regalato.
Kurao e Kalut
avrebbero preso l’aereo,
Cassandra sarebbe rimasta nella sua patria. Holon aspettava il ritorno
del suo
Capopalestra, ma era ancora ignara, come tutto il resto del mondo,
dell’impellente
arrivo di un personaggio come Kalut.
‒ Tu, da questo
momento in poi,
ti chiami Zachary Edward Roland, esattamente come Zero, è un’identità
che ti
servirà soltanto come copertura per situazioni come questa in cui devi
mostrare
la tua identità. Ovviamente è tutto falso, ma puoi startene sicuro,
nessuno se
ne accorgerà, anche perché in pochi conoscono la vera identità del
Campione di
Holon ‒ spiegò Kurao.
‒ Va bene.
‒ Passaporto,
carta d’imbarco, tutto
in regola, devi soltanto fare quello che ti dicono e non dare
nell’occhio, una
volta saliti sull’aereo io e te non ci conosceremo più. Qualcuno
potrebbe
riconoscermi e non è consigliabile che vedano anche te ‒ proseguì il
Capopalestra.
‒ Ci sono.
‒ E… ultima
cosa… non ti forniamo
nessun Pokémon al di fuori di quelli che hai già, sappiamo che non ne
hai
bisogno, ma ti consiglio di procurarti immediatamente una squadra che ti
protegga, nella valigia hai tutti gli strumenti che porta con sé un
Allenatore,
cerca di fingerti tale… ‒ concluse l’uomo.
‒ Ok.
“I
passeggeri del volo 577 diretto a Vivalet in partenza per le 12:30
sono pregati
di recarsi al gate B1” mormorò
una
voce dalle trasmissioni interne della struttura. Kurao e Kalut si
alzarono
in piedi, si scambiarono un cenno e si separarono. Kurao fece un cenno a
Cassandra per salutarla senza dare troppo nell’occhio, Kalut le sorrise.
La castana
sussurrò senza voce ma con le labbra un buona
fortuna
ad entrambi, quindi abbassò la testa e prese il suo cellulare.
Apri
la chat diretta ad una sua vecchia amica, una ragazza di nome Aurora.
Scrisse due
messaggi: “Sono partiti” quindi
“Ho deciso che dobbiamo fidarci di
Kalut”.
“Fino
a ieri non eri così sicura, signorina” rispose Aurora.
Cassandra non
sapeva se leggere
tale messaggio in tono serio o ironico.
“Ora
lo sono, perciò cerca di esserlo anche tu…” proseguì lei.
“Agli
ordini, generale!” fu
la
risposta.
“Speriamo
vada tutto bene” proseguì.
“Se
ci credi sei a metà dell’opera” fece
l’altra.
“Vorrei
fosse così semplice…” e
chiuse la conversazione.
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