5. Cerchi nel grano
Kanto, Biancavilla
I quattro
erano immobili.
Il vento
soffiava su di loro, spazzava le vie semivuote, spettinava le donne e le faceva
avvicinare agli uomini.
Red aveva lo
sguardo basso, mentre Green rimaneva con le braccia incrociate, quasi come se
fossero uno scudo indistruttibile che lo avrebbe protetto dal disagio di quella
situazione.
Non avrebbe
mai voluto ritrovarsi davanti a quei due.
Era
paradossale. I suoi occhi si posarono per un attimo su quelli di Yellow, che
rimaneva paralizzata, con la mano destra a stringere il braccio sinistro.
Quella spostò rapida lo sguardo, poggiandolo sulle mattonelle consumate di quel
posto senza tempo.
Ma poi si
ricordò di essere sulla sua stessa barca. Rialzò le iridi in sua direzione per
un secondo, ritirando le labbra e mordendole.
Era dura, lo
si percepiva a pelle.
I primi
dieci secondi, dopo diversi anni passati a ricostruire le proprie vite,
scivolarono molto più lentamente di quanto avrebbero dovuto. Fu Blue a tagliare
quel cordone di silenzio.
“Allora?”.
Sorrise genuinamente, con una mano sulla vita
e una che pendeva sul fianco. Yellow si voltò rapida verso Red, sperando
ardentemente che non la stesse guardando.
Fissava le
punte delle scarpe, sporche di terreno, forse fango secco.
Si
tranquillizzò. Sentì quel groviglio di emozioni che le turbinava nello stomaco
districarsi.
Percepiva
tutti i nodi che si scioglievano, riuscendo a dare un nome a ogni cosa e
riuscendo a posizionare ogni cosa al suo posto.
Era così,
quando si diradava il buio.
Si sentì
forte abbastanza da alzare gli occhi in direzione di Blue, percependo che la
stesse guardando. Ed era lì, così bella, alta, coi lunghi capelli castani e
quegli occhi blu come il mare.
Le sembrava
che i vestiti che quella indossavano potessero calzare così bene solo a lei,
con quel corpo da donna perfetta e la capacità di attirare gli sguardi degli
uomini soltanto sorridendo come faceva lei, con quel fare civettuolo.
“Come stai,
Yellow?” domandò.
Annuì, la
bionda. “Bene. E-e… e tu?”.
Blue allargo
il sorriso, gioviale come sempre. “Ora bene. È bello rivedervi…”.
“Già”.
Green sbuffò,
continuando a fissare Yellow, ma riuscì a vedere con la coda dell’occhio il
sorriso di Red. Annuiva.
Non si voltò
a guardarlo. L’impulso di aggredirlo e affogarlo nella fontana alle loro spalle
era ancora troppo forte e non volle accompagnare il suo istinto.
Raffreddò i
bollenti spiriti, mantenne il sangue freddo.
“E tu, Red?”
domandò Blue, senza cambiare minimamente l’espressione sul viso.
Yellow
s’irrigidì, Green si voltò a guardare la sua donna, mordendosi il labbro
inferiore e inarcando il sopracciglio destro.
“Mi sento
strano…” sorrise il ragazzo, grattandosi la testa. Sul suo volto c’era quel suo
sorriso che Green, col tempo, aveva imparato a emulare.
Ma cose come
sorridere erano sempre venute meglio,
a quello dagli occhi rossi.
Espirò il
veleno che covava in corpo, l’altro, e lasciò cadere le braccia in basso.
Riuscì a trovare la forza per tornare a guardare l’amico di un tempo.
Vide il
ciuffo, il solito ciuffo che un tempo usciva fuori dal cappellino rosso e
bianco, andare a coprirgli l’occhio destro.
No, non
portava più alcun cappello, ma la camicia gli fasciava il petto e i bicipiti.
Il caldo cappotto blu lo proteggeva dal freddo.
Era
elegante, quasi volesse fare bella figura.
“Beh?
Vogliamo andare in Osservatorio?” domandò Blue, catalizzando l’attenzione
battendo le mani. S’infilò sotto al braccio di Green e cominciò a camminare in
direzione della collina. Yellow annuì, giocherellando con la treccia dorata che
le si era posata sulla spalla, poi si lisciò il soprabito rosso e rimase in
attesa che Red muovesse i primi passi, per poi seguirlo.
Arrivarono
poco dopo all’Osservatorio, in religioso silenzio. Entrarono nell’ufficio di
Green, Yellow lo vide smontare il lungo cappotto e appenderlo, rimanendo in
camicia. Poi si sedette, facendo cenno con la mano agli altri di accomodarsi
sulle poltroncine.
“Allora”
esordì Red. “Che succede?”.
Green alzò
gli occhi e lo guardò, poi sospirò. Aprì un cassetto da cui tirò fuori due
fogli, quindi girò lo schermo del pc e accese le casse. Si schiarì la voce e
cominciò.
“Poche notti
fa è stato trafugato un oggetto tanto prezioso quanto pericoloso dalla
cassaforte di quest’ufficio”.
“Che oggetto
sarebbe?” domandò l’altro.
“Questa è un
informazione che non posso rivelarti”.
“E cosa
saremmo venuti a cercare, scusa?”.
Lo sguardo
di Red s’infranse nelle iridi verdi dell’altro, che si spostarono sulla sua
donna; Blue annuiva.
“Tesoro… Il
suo ragionamento non fa una piega. Sono qui per aiutarci… dovresti dire loro
tutto ciò che c’è da sapere. A maggior ragione devono sapere come comportarsi in
caso lo trovassero”.
“Ma di che
si tratta?” chiese nuovamente Red, curioso.
“Stiamo
parlando del Cristallo del Caos…” sbuffò Green.
Gli occhi di
Yellow si spalancarono e le sopracciglia andarono a formare un arco.
“È un antico
strumento in grado di esasperare l’energia negativa, donando a chiunque forza
fisica e coraggio”.
“Come se
fosse... doping” suggerì la bionda
“Esattamente.
Soltanto più distruttivo. Crystal ne è stata sotto l’effetto diretto e dice di
aver perso la vista, a un certo punto, ma era in grado di sgretolare le pareti
a mani nude”.
“Oh beh...
quello era assodato anche prima” ridacchiò giuliva Blue.
Yellow
sospirò e guardò in basso.
“Non
sappiamo chi diamine sia questa persona” continuò Green, mostrando sullo
schermo le immagini delle riprese dell’uomo che tanto assomigliava a Xavier
Solomon intento a entrare all’interno dell’ufficio, scassinare con apparente
facilità la cassaforte e sparire all’improvviso, dopo un lampo giallo.
“Houdini”
commentò Blue, semplicemente.
“E i Pokémon
non hanno visto nulla?” chiese Yellow.
“Non ne ho
idea, non gliel’ho chiesto...” rispose infine Green, spegnendo lo schermo e
dando due copie dell’immagine col volto del ladro alla coppia che aveva
davanti.
Red ne prese
una cominciò a osservare il viso dell’uomo.
“Non si sa
chi sia?”.
“No. Angelo
conosce un uomo praticamente identico, ad Amarantopoli. Io e Silver siamo
andati da lui, l’ho anche preso a pugni, ma aveva effettivamente un alibi di
ferro. Ora dobbiamo cercare di capire dove si trovi il cristallo. Tutto
chiaro?”.
Yellow
s’alzò, guardando il volto dell’uomo in foto, poi annuì. “Fatemi uscire in
giardino prima che piova”.
Adamanta, Primaluce, Casa
Recket
Rachel
sorrideva.
Respirava
profondamente. Il piacere aveva ubriacato i suoi sensi, i muscoli bruciavano ma
non li sentiva. Era stesa su Zack, con la testa sui pettorali nudi e le mani
strette nelle sue.
Il divano
era comodo e la casa era estremamente silenziosa, solo le lancette
dell’orologio che s’inseguivano forsennate, col loro ticchettio, disturbavano
la quiete.
I loro occhi
guardavano oltre le finestre, dove le nuvole sottraevano l’azzurro del cielo.
“Dorme
ancora…” osservò poi lei, alzando la testa e baciando il mento del marito.
“Quella
bambina russa come una campionessa”. Sorrisero entrambi, lui le carezzò i
capelli, lei sospirò.
“Dovremmo
alzarci e salire su…”.
Si sollevò e cominciò a rivestirsi, sotto gli
occhi del marito. Zack guardava il ventre di sua moglie, dove la cicatrice del
cesareo increspava la linea morbida della sua pelle candida.
La carezzò,
sentendola rabbrividire. Gli occhi di Rachel vagarono per un attimo, prima che
si legassero a quelli dell’uomo. Sorrise sommessamente e immise aria nei
polmoni.
“A volte ho
paura che bruci ancora…”.
“Sono
passati diversi anni…”.
“Lo so ma…
certe sensazioni non spariscono. Anche se non… anche se non provi più quel
dolore, la tua testa ricorda quanto male hai…” sorrise, poi. “Insomma, hai
capito” concluse, infilando il caldo maglione.
“Spero che
Allegra non prenda la tua capacità di linguaggio…”.
“Vestiti,
stupido…” disse infine Rachel, alzandosi e avviandosi verso il piano di sopra.
Zack rimase
qualche secondo immobile, fiero e soddisfatto, compiaciuto da ciò che si era
costruito, ma seminudo.
Contemplava
il soffitto, poi sorrise.
Andava tutto
bene.
Si vestì,
prese un bicchier d’acqua e uscì nell’ampio giardino.
Nonostante
il sole facesse fatica a uscire oltre la coltre grigia la temperatura non era
rigidissima.
Il materiale
per costruire il gazebo era già stato acquistato, stanziava sotto la veranda,
protetto dalle intemperie.
Gli serviva
solo la voglia di mettere mano al progetto, oltre a un po’ di compagnia.
Con la cintura
delle sfere tra le mani estrasse le Pokéball una a una.
E tutti i
suoi Pokémon apparvero davanti a lui.
Torterra,
Absol, Arcanine, Braviary, Lucario e Luxray. Quest’ultimo si allontanò dagli
altri, mai veramente domato e ammansito dalla cattura, e si appollaiò all’ombra
della quercia che Ryan e Rachel avevano piantato qualche anno prima.
“Lasciatelo
stare…” disse, avvicinandosi a Lucario. “Aiutami…”.
Vide
Torterra muoversi placidamente verso una lingua di sole, l’unica che baciava il
prato bruciato dal freddo di quell’inverno. Braviary si poggiò sull’albero che
cresceva sul suo carapace.
“Allora…
dobbiamo scavare le fondamenta…”.
Si erano
avvicinati entrambi alla zona designata, che in estate sarebbe stata oggetto
della frescura procurata dall’ombra dei due grandi pioppi che crescevano l’uno
a pochi metri di distanza dall’altro.
Pala in
mano, Zack e Lucario cominciarono a lavorare, sotto gli occhi felici di Rachel,
dietro la finestra del primo piano.
Kanto, Biancavilla, Giardino dell’Osservatorio di Samuel Oak
Fu Yellow la
prima a mettere piede nel giardino dell’Osservatorio.
I suoi
occhi, gialli come il grano, risaltavano prepotenti sul paesaggio scuro e senza
sole. Guardò rapidamente quei ciuffi d’erba un po’ più alta del normale,
lasciati a crescere come da direttive del Professor Oak, Samuel, cercando
movimenti leggeri o tracce che qualche Pokémon vi fosse annidato.
Ma nulla.
La sua
concentrazione fu rubata invece da alcuni utensili da giardino arrugginiti
appesi nel piccolo armadietto di plastica grigio, la cui porta fu probabilmente
spalancata dal vento.
Lo superò,
il vento si alzava e le spettinava il ciuffo sulla fronte. Davanti ai suoi
occhi, Biancavilla sembrava totalmente vuota.
Il cielo
minacciava di crollare sulle loro teste, ma ancora non pioveva. Green fu
l’unico a seguirla sull’erba, gli altri rimasero sotto il porticato, al riparo.
“Allora?”
chiese alla bionda.
“Sentono
l’arrivo del temporale. Sono tutti rintanati…”.
Green portò
le mani ai fianchi e sospirò. Una goccia di pioggia gli bagnò la punta del
naso.
E poi lo
vide.
“È lì…”
sussurrò, con gli occhi spalancati; indicava un piccolo Rattata accanto allo
steccato di legno dipinto di bianco.
Yellow voltò
subito lo sguardo e annuì, muovendo passi leggeri e portando la mano destra
nella tasca.
Cacciò una
Pokémella.
“Ciao…” fece poi, in sua direzione. Si
accovacciò sulle ginocchia, che si bagnarono nell’erba alta umida.
Allungò la
mano verso il roditore, non riuscendo a fare a meno di sorridere, la donna.
“Mi chiamo Yellow. Ti va di mangiare
qualcosa?”.
Il Rattata
si avvicinò lentamente, con gli occhi rossastri spalancati e il fare schivo.
“Ho fame. Ha un buon odore”.
“È tua. Non ti farò del male. Green
non ti prepara nulla da mangiare?”.
Non rispose.
“Se mi aiuterai ti farò portare una
ciotola di cibo…”.
Blue la
vedeva sorridere.
“Che gli sta
dicendo?” domandò a Red, che sostava con le braccia incrociate poggiato al
pilastrino del porticato.
“Non ne ho
alcuna idea, ma funzionerà certamente. Yellow parla più coi suoi Pokémon che
con me…”.
L’altra
annuì, vedendo poi la bionda voltarsi verso Green.
“Dammi del
cibo per Pokémon, per favore” disse, ancora accovacciata.
“Sì…”. Tornò
sui suoi passi e mise una scodella di mangime tra le mani di Yellow.
“Grazie.
Sarà più incoraggiato ad aiutarci…”.
“Un Rattata
ci ha appena estorto del cibo. Spero ci possa aiutare” sbuffò l’altro,
infilando le mani nelle tasche. Sentì Red e Blue ridacchiare alle sue spalle.
“Allora?”
domandò Red. Pareva fosse riuscito a sopprimere l’effervescenza giovanile,
rimanendo calmo quando un tempo l’impazienza lo divorava.
Yellow si
girò verso il fidanzato. “Sto cercando di guadagnarmi la sua fiducia. Questi
Pokémon sono affamati e alcuni di loro sono appena usciti dal letargo… Green”
disse poi, voltando il viso verso di lui e guardandolo negli occhi. “… Sarebbe
bene che provveda anche a loro”.
L’altro
inarcò le sopracciglia e sospirò. “Dirò a Margi o a chiunque altro di mettere
qualche ciotola qui, in giardino, due o tre volte alla settimana”.
La bionda
annuì e poggiò la ciotola all’asciutto, in un’insenatura scavata tra le radici
di un acero spoglio.
Vide il
Pokémon avvicinarsi sospettoso. Prima di affondare su quelle crocchette
dall’odore pungente, il Rattata diede un’altra occhiata a Yellow, che gli
sorrise, annuendo.
“È per te. Mangia pure…”.
Mentre
attendevano, Green si voltò verso Blue, che fece spallucce. Vedeva le pale del
mulino roteare veloci e il cielo alle loro spalle, murato dietro una colata di
cemento denso e scuro.
“Dobbiamo
muoverci…” sospirò.
Red annuì.
“Da dov’è entrato il ladro?” chiese.
Fu Blue a
rispondere. “Dalla porta d’ingresso… Ha scassinato la porta e si è introdotto
come se niente fosse…”.
“Ma scusa…
non avete un sistema di sicurezza contro le effrazioni, o cose del genere?”
domandò, aggrottando la fronte e indossando un punto interrogativo sul volto.
Blue ridacchiò.
“Delle volte, tua dimentica di chiudere la porta di casa, la sera, prima di
andare a dormire… la lascia spalancata”.
“Nessuno fa
nulla di male, qui a Biancavilla…” ribatté Green.
“Ci
conosciamo tutti, a Biancavilla. Se succedesse qualcosa di male subito si
penserebbe a me…” concluse Blue, sorridendo.
Anche Yellow
sorrise, a mezza bocca. “Background, immagino…”.
Spostò poi
gli occhi sul Pokémon, che continuava a mangiare avidamente.
“Ne vuoi ancora?”.
“Sì”.
“Tra poco vado a prenderti altro
cibo” gli disse,
senza parlare. Poi però azzardò.
“Senti… Stanotte qualcuno si è
introdotto nel laboratorio e ha rubato una cosa… Hai visto chi fosse?”.
Il Pokémon
alzò lo sguardo. “Ho sentito dei rumori,
questa notte… sì, ma non ho visto chi fosse…”.
“E hai visto dov’è andato, quando ha
finito?”.
“No. Non è mai uscito dalla grande
casa”.
Red vide gli
occhi della sua donna vagare, poi abbassarsi. Si voltò, col viso sconvolto,
portò le mani ai fianchi e sospirò.
“Green… Vai
a prendere altro cibo, per favore”.
“Che ha
detto?” ribatté rapido Oak, senza ascoltare altro.
“Non l’hanno
visto uscire dall’Osservatorio”.
Red si voltò
verso la porta.
“È ancora
dentro?”.
“Lo dubito”
rispose quello dagli occhi verdi, abbassando la testa e sospirando. Portò le
mani ai fianchi e cercò di calmare subito l’attacco di panico, in atto in quel
momento. La testa girava, aveva i conati di vomito. “Le… le immagini…”.
“Green…”
disse Blue, avvicinandoglisi. “Tutto bene?”.
Annuì, sotto
gli occhi impauriti di Red, e allungò le mani per appoggiarsi al muro, poi
entrò dentro e si sedette alla scrivania.
Le mani
tremavano, mentre manteneva il cellulare. Il dito scorreva la rubrica infinita,
fino a quando non attivò la chiamata.
Avvicinò il
cellulare all’orecchio. Era libero, suonava.
Poi
risposero.
“Pronto,
Silver? Sono Green. Devi tornare da Xavier Solomon, devi farti spiegare per
bene quello che è successo… a-abbiamo la certezza matematica del fatto che
quell’uomo non sia uscito dalla porta dell’Osservatorio… Sì, sto bene. Ora
vai”.
Johto, Amarantopoli
Le nuvole
provenivano da est, ed erano molto vicine.
Gold e
Silver camminavano guardandosi attorno, con aria distratta; Il primo aveva
nelle orecchie le cuffie e ascoltava “Just
Lose It” di Eminem, imitando il verso che emetteva nel ritornello ad alta
voce.
Erano
proprio davanti alla Palestra quando Silver si voltò, guardandolo in cagnesco.
“La smetti?” domandò.
Ma quello
non sentiva, continuava a camminare dritto, muovendo il collo avanti e indietro
a ritmo di musica. Poi urlava.
Il tipo più
fastidioso del mondo accanto a quello più silenzioso.
“Dannazione!”
esclamò Silver, spintonandolo e facendolo quasi inciampare.
“Hey!”
esclamò l’altro, levando le cuffie. “Ma sei cretino?! Proprio sulla parte bella
della canzone, poi!”.
“Non so come
tu faccia a trovare una parte bella in quell’insieme di rumori...”.
“Dimenticavo
la tua nobiltà interiore, Aristarco...
Non rompere le palle, please” fece,
avvolgendo le cuffie attorno al cellulare.
“Stai
urlando da due ore!” esclamò Silver, protestando. Vide poi Gold alzargli una
mano davanti al volto e guardare dritto.
“Parla con
questa”.
Il fulvo
sbuffò e ruotò gli occhi, stringendo i pugni nelle tasche del trench grigio.
“Siamo
arrivati?” chiese poi Gold.
“No, ci
siamo dati appuntamento da Harold’s”.
“Quello del
pollo?!” esclamò Gold, sorridente. “Prenderò un cestino di alette fritte!”.
“Sono le
dieci del mattino...”.
“Ma è il
pollo di Harold’s!” ribatté l’altro,
fermandosi in mezzo alla strada e allargando entrambe le braccia.
“Ovviamente…”
sbuffò l’altro, sconfitto da quella logica.
Raggiunsero
in silenzio il locale qualche minuto dopo, con Gold che canticchiava ancora la
canzone di qualche minuto prima. Aprirono la porta, entrarono e si trovarono
davanti a una normalissima tavola calda, con tavolini e poltroncine a divanetto
imbottite.
Nonostante
l’orario, era gremito.
Si
guardarono intorno per qualche secondo, prima che qualcuno li chiamasse; Silver
vide Angelo alzare la mano e sorridere placidamente, seduto all’ultimo tavolo
della fila. I due annuirono e cominciarono ad avanzare, evitando due bambini
che correvano verso l’esterno, menzionando Kanye West per qualche motivo che
non erano riusciti a captare.
“Chissà cosa
diamine abbia fatto ancora…”.
“Flashing… Lights…” canticchiava Gold. Riuscì a strappare nell’altro una
risatina, prima che una cameriera con un abitino verde a mezza coscia e la coda
di cavallo bionda sfilasse loro davanti. Gold la seguì per un momento con lo sguardo,
inarcando il sopracciglio, abbassando il viso sui suoi fianchi, per poi
spalancare gli occhi e rialzarli velocemente.
I calci di
Marina erano violenti quasi quanto quelli di Crystal.
Sfilarono
davanti al bancone, facendosi spazio tra le persone in attesa, e superarono la
vetrina piena di dolci, fino a raggiungere Angelo e la donna dai capelli di
quell’insolito color magenta.
Gold pensò
che fosse bella.
E lo fece
anche Silver ma, a differenza del compagno che rimase a guardarla per un paio
di secondi, lui le diede soltanto una rapida occhiata.
Angelo era
seduto accanto a lei e beveva un cappuccino da un grosso bicchiere di carta.
“Non ci
vediamo da tempo” sorrise gioviale. “Accomodatevi”.
I due lo
ascoltarono, lo videro poi stendersi addosso il largo maglioncino blu. Non
portava la fascia tra i capelli e questi ricadevano spettinati sul volto.
Il mento era
nascosto da una morbida sciarpa di lana bianca.
“Ciao,
spaventapasseri” sorrise Gold, mostrando l’intera dentatura. Si sedette di
fronte a Cindy e vide Silver aspettare il Capopalestra fargli cenno di
accomodarsi.
“Buongiorno, ragazzi. Lei è mia moglie, Cindy.
Loro sono Gold e Silver, ma dovresti già conoscerli” disse quello, con la
solita flemma e un sorriso divertito sul viso.
Quella li
salutò gioviale. Lo sguardo era assonnato, il volto esprimeva dolcezza.
“Piacere
nostro” esordì Silver, stringendo la mano a entrambi. “Sai perché siamo qui,
vero?”.
“Sì.
Ragazzi, come ho già detto, conosco molto bene la persona nella foto che ha
inviato Green… è un caro amico di Cindy”.
L’attenzione
si spostò verso la donna, che si limitò ad annuire. Abbassò poi il volto,
incrociando le braccia e affondando il naso nella sciarpa di cotone beige.
Aveva le mani fasciate nelle maniche elasticizzate..
Tutti la
guardavano, lei annuì.
“Sì…
effettivamente Xavier è un mio vecchio amico. Siamo cresciuti insieme ma ci
siamo un po’ persi di vista, ultimamente…”.
Gold annuì,
spostando lo sguardo verso la finestra. Qualcuno aveva strisciato il dito sul
vetro, a formare un cuore.
“Gli abbiamo
telefonato. Dovrebbe arrivare a momenti” aggiunse Angelo. “E in ogni caso deve
spiegarci come muoverci… So che non è ufficialmente una priorità della Lega ma
se questa faccenda ha smosso Green… Beh, se l’ha fatto innervosire vuol dire
che dev’essere importante…”.
“Come se a
far incazzare Green ci volesse molto” sbuffò Gold. Cindy sorrise, Angelo fece
altrettanto.
“Lo è,
assolutamente…” ringhiò invece Silver, ammonendolo con lo sguardo. Portò i
capelli dietro le orecchie e liberò lo sguardo da quei ciuffi rossi.
Quello dagli
occhi d’oro sospirò, sbuffò e spostò gli occhi sulla vetrina dei dolci, dove un
barista, totalmente calvo ma dalla folta barba e dai profondi occhi azzurri,
stava servendo due ragazzini con due ciambelle glassate alla crema. Gold spostò
nuovamente lo sguardo in avanti, catturando gli occhi di Cindy per un piccolo
secondo.
Creò una
connessione, quasi lesse ciò che provava, poi la vide abbassare il volto.
Eppure era sicuro di essere ciò che di più lontano ci fosse da una persona
sensibile, tuttavia sentiva che quella fosse turbata: vedeva una strana
sofferenza, sul suo viso, che imbastardiva ogni sua espressione.
E non era
così palese; c’era una piccola traccia, dubitò persino di averla vista.
Però era lì.
Silver e
Angelo discutevano concentrati mentre lui picchiettò quasi impercettibilmente
con la punta dell’indice sul tavolo, prendendosi nuovamente la sua attenzione.
Fu muta, la
domanda che le pose, un breve cenno della testa che le fece spalancare gli
occhi.
Le chiese cosa
avesse.
Quella
storse le labbra e fece cenno di no con la testa. Gold fece spallucce e
sospirò, poi le voci degli altri due lo rapirono nuovamente.
“Dobbiamo
riuscire a farci un’idea di come quell’uomo sia potuto sparire nel nulla”
osservò Silver.
“Xavier è
sicuramente tra le persone più indicate. A meno che non si tratti di magia
oscura”.
“In quel
caso, la persona più indicata per cavare un ragno dal buco saresti tu, e sei
già qui...”.
Gold poi
sbuffò, sbattendo la fronte sul tavolo. Cominciò a emettere un lamento sottile
ma estremamente fastidioso, attirando l’attenzione su se stesso.
“Ho fame...”
borbottò, facendo sorridere Cindy.
Silver
sospirò profondamente, grattandosi la guancia e sistemando nuovamente i
capelli. “Non fare il ragazzino” lo rimproverò.
“Non ho
fatto colazione, per venire con te, stamattina!” protestò l’altro, alzando
rapidamente la testa. Vide l’altro storcere le labbra.
“Avrei
dovuto farmi accompagnare da Marina”.
“E io sarei
dovuto rimanere nel letto ma Mari ha da fare, altrimenti saremmo andati in
qualche posto tropicale. Tipo Alola, eh, non Hoenn. Basta Hoenn”.
“Bella
Alola” aggiunse Angelo, sorridendo gioviale.
“Non è
questo il punto, Gold...” riprese il ragazzo dai capelli rossi, ignorando il
Capopalestra di Amarantopoli. “Cerca di fare la persona seria”.
“Sissignore”.
E poi Xavier
Solomon entrò nel locale.
Indossava un
paio di Ray-Ban, e il giubbino di jeans era aperto su di un maglioncino bianco,
come le Adidas che portava ai piedi. Stan Smith, particolari verdi.
Non allungò
neppure lo sguardo, tanto percepiva la presenza di Angelo seduto all’ultimo
tavolo. Salutò una cameriera dalla gonna succinta, afferrò uno sgabello basso e
lo piazzò proprio tra le due poltroncine, a capotavola, tra Gold e Cindy.
“Buongiorno.
Scusate il ritardo... Ordinate qualcosa con me?” fece.
“Per me un
cestino di alette fritte, grazie” rispose quello alla sua destra.
Kanto, Percorso 1
Green
guidava la carovana, con Red poco più dietro di lui.
Erano
partiti quasi mezz’ora prima, ripercorrendo gli stessi primi passi che avevano
messo inchiostro sulle loro grandi avventure, parecchi anni prima.
Tetti verdi
si vedevano all’orizzonte; Smeraldopoli non era lontana, ma il vento s’era
alzato e aveva trascinato qualche goccia di pioggia che bagnò loro i visi.
Red guardava
Green a tre metri, che di tanto in tanto si voltava con un’espressione
indefinita tra la rabbia e sconforto, mista a tanta, tanta confusione.
Si stava
arrovellando, cercando di capire gli scopi dell’uomo che aveva rubato il Cristallo del Caos. Avrebbe sicuramente
creato qualche problema, dubitava che avrebbe fatto fatica a trovare qualche
traccia, bastava guardare il telegiornale e aspettare qualche notizia che
parlava di esplosioni gigantesche e immotivate.
Avrebbe
voluto evitare di aspettare, però. Era preoccupato, non voleva che qualcuno ci
rimettesse la pelle.
Si voltò di
nuovo, guardingo, osservando Red. Lo vide concentrato, ricettivo; coglieva ogni
rumore, ogni nuova sfumatura che stimolasse i suoi sensi, nonostante fossero
tutti coscienti di trovarsi in un punto tutt’altro che caldo, dato che stavano
attraversando un bosco su di una stradina sterrata dove i passi degli uomini
avevano creato dei solchi nel terreno.
Fu proprio
Red, poi, a voltarsi verso la sua fidanzata. Le si accostò, guardandola gettare
sguardi nel verde con quegli occhi gentili.
“Stai
chiedendo in giro, ai Pokémon?” le domandò.
Quella si
voltò, e un ciuffo di capelli le coprì il viso. Fu lui ad appuntarglielo dietro
l’orecchio, e a darle poi un casto bacio sulle labbra.
“Sì… ma
nessuno pare abbia visto nulla, qui… Se non coppiette che… ecco…”.
Arrossì,
Blue sorrise. Pensò che fosse rimasta la stessa ragazzina pudica e imbarazzata,
come quando la conobbe.
“E perché
mai avrebbe dovuto venire qui?” ringhiò Green, facendo intendere perfettamente
quale fosse il suo stato d’animo. “Si è smaterializzato in Osservatorio.
Scappare in un bosco, di notte, non mi sembra la strategia migliore. Si sarebbe
perso, non conoscendo il percorso. E chiunque lo conosca, beh… lo conosciamo
anche noi”.
Red annuì. “Effettivamente…
Biancavilla non è la migliore tra le mete turistiche…”.
Rimasero in
silenzio per una ventina di secondi. Salirono lentamente la collina, sulla
quale avrebbero potuto vedere Smeraldopoli dall’alto.
Blue gli si
affiancò e sospirò.
“Se ha
rubato un oggetto così potente è probabile che verrà utilizzato per qualcosa di
veramente pericoloso…”.
“Non lo
sai?” rispose Yellow, provocando il sorriso negli altri due.
L’altra
rimase in silenzio e sospirò. “Va bene, te la concedo, tesoro. Ma cerchiamo di
rimanere concentrati sull’obiettivo”.
Red non
lasciò neppure che finisse di parlare.
“Perché dai
per scontato che verrà utilizzato per una rapina?”.
“Non lo do
per scontato, carino, ma da qualche parte dovremmo pur cominciare, no?”.
Cominciarono
a scendere la discesa, facendolo lentamente e con attenzione, per evitare di
scivolare sul percorso bagnato dalla pioggia.
“Cosa ha
Kanto che potrebbe essere d’importanza vitale?” domandò ancora Red, tenendo
Yellow per mano e piantando saldamente i piedi per terra.
Si
arrovellarono attorno alla risposta per diversi minuti, in totale silenzio,
fino a quando non raggiunsero le porte della città.
Poi Green si
bloccò e spalancò gli occhi. La bocca si schiuse e i suoi occhi vagarono, fino
a incontrare quelli della sua donna.
“Cosa?!”
esclamò Red, portando la mano alla sfera di Aerodactyl.
Oak fece
altrettanto, lasciando uscire il suo Charizard dalla Pokéball.
“La Grotta
Celeste!” tuonò, saltando in groppa al suo Pokémon. “Se quell’uomo cattura
Mewtwo sarà poi impossibile fermarlo!”.
“Dobbiamo
correre lì” concluse Yellow.
Adamanta, Primaluce, Casa Recket
Il vento
continuava a soffiare, e i pilastri di legno del gazebo pesavano.
L’ultimo più
del primo.
“Aiutatemi…”
sospirò, cercando di sollevare da solo il palo, il quinto, che avrebbe
costituito l’ultimo sostegno per l’intera struttura. Lucario strinse il
pilastro, assieme a Zack, e Torterra utilizzò le liane per calarlo diritto nel
cemento.
Ci voleva
concentrazione.
Concentrazione
rotta dal tintinnio del ghiaccio in un bicchiere di cristallo, e da passi leggeri
e veloci.
“Piano...”
sussurrava Zack, cercando di mantenere la posizione.
“Papà!” urlò
invece Allegra, con quella sua vocina cristallina. “Ti ho portato un po’
d’aranciata!”.
Lui era
concentrato e non le diede attenzione, doveva rimanere focalizzato su ciò che
stava facendo. Ma Allegra non era il tipo che accettava di passare in secondo
piano.
“Papà”
richiamò, con voce più morbida. “Non mi hai sentita, ti ho portato un po’
d’aranciata”.
Il pilastro
toccò il terreno e Zack rilasciò i muscoli, tutti in tensione. Si voltò,
vedendo sua figlia in un lungo maglioncino a coste blu. Camminava tra i fili
d’erba bruciata dal freddo, sporcando di terreno le punte delle scarpette
bianche.
L’uomo
asciugò la fronte con la manica del maglione grigio e infeltrito, quindi
s’accovacciò sulle ginocchia.
“Grazie,
piccolina”.
Afferrò il
bicchiere e prese un sorso della bevanda, quindi sospirò.
“Che fai?”
domandò quella.
“Sto
costruendo il gazebo”.
Allegra
spalancò gli enormi occhioni azzurri e spalancò la bocca.
“Uao... E
che cos’è?”
Zack
sorrise, prese un altro sorso e s’asciugò le labbra con la manica del maglione,
poi annuì. “Un gazebo è una costruzione che si trova nei giardini”.
“Come una
casa?”.
“Sì, ma più
piccola. E senza pareti”.
Quella
indossò una maschera piena di dubbi.
“Una casa
senza muri?”.
“Non è
proprio una casa... Servirà a darci un posto protetto dal sole e dalla
pioggia”.
“Ma la casa
è lì!” protestò Allegra, puntando il dito verso la grande villa appartenuta
alla famiglia di Rachel.
“Questo
posto sarà più arioso della nostra casa”.
“E che
significa arioso?”.
Zack annuì.
“Significa che vi passa molta aria”.
“E... e non
farà freddo, poi?”.
“Beh,
piccola, il gazebo lo useremo maggiormente d’estate...”.
“Oh. Allora
sì. In estate fa caldo”.
“Giusto”.
“E quindi
potremo stare freschi quando in casa fa caldo?” chiese ancora, ingenuamente. Lo
sguardo era pieno di curiosità e ricordava in maniera fin troppo marcata sua
madre, quando assumeva quell’espressione.
“Sì, piccola
mia” sorrideva poi lui, che aveva voglia di stringerla. “Staremo belli
freschi”.
“E perché?”.
“Perché ci
sarà un tetto che non farà passare il sole”.
“E non avrà
le pareti”.
“Esatto”.
“E perché?”.
“Perché
altrimenti diventerebbe una casetta, e non un gazebo”.
Allegra
sbatté le palpebre un paio di volte. “Allora non potremmo mettere i quadri, nel
gazebo”.
Zack scoppiò
in una risata vigorosa, che spinse Rachel ad affacciarsi.
“Che
succede?” chiese divertita la madre.
“Tua figlia
è uno spasso.
Johto, Amarantopoli, Harold’s
Angelo
sembrava turbato. Respirava lentamente, con la bocca semischiusa, mentre le
mani erano congiunte sul tavolo di legno.
Poggiate
sulla fotografia che Green aveva trasmesso a tutti gli addetti ai lavori.
“Quindi escludiamo...”.
Pausa.
Tutti
rimanevano in silenzio, aspettando che il bel Capopalestra dagli occhi violacei
terminasse la sua frase. Ovviamente tranne Gold, che mangiava rumorosamente le
alette di pollo, sotto gli occhi inorriditi di Silver.
“Cosa?”
s’inserì Xavier Solomon, col mento poggiato sui pugni.
Gli occhi di
Angelo però vagarono fino a incontrare quelli argentei del Dexholder dai
capelli rossi.
“Possiamo
farlo? Possiamo escludere matematicamente che l’uomo nella foto sia uscito
dall’Osservatorio di Biancavilla?”.
Cindy guardò
Gold che annuiva, col volto sporco d’olio.
“Beh...
matematicamente no. Come puoi dimostrare una cosa del genere con tabelline e
frazioni?”.
“Yellow ce
lo ha garantito” riprese Silver. “E tu smettila di mangiare come un maiale...”
sospirò l’altro, spintonando il coinquilino.
“Impossibile”
riprese Gold, sorridendo felice verso Cindy. “Le alette di questo locale
dovrebbero essere esportate nel mondo!”.
L’altra
apprezzò, ridendo.
Quel momento
gioviale fu subito sostituito da una coltre di silenzio denso, molto pesante.
Dagli altoparlanti partì Rockafeller Skank,
ma il vociare assorbì totalmente le prime note della canzone. Angelo
tamburellava con le dita sul tavolo, palesando sul volto un ragionamento non
troppo felice, che si tramutò in uno sguardo colmo di domande lanciato a Xavier.
“Tu...” gli
disse, prendendo una lunga pausa. Umettò le labbra e abbassò gli occhi,
portandoli poi su Cindy, ma solo per un attimo, prima di tornare sull’uomo.
“Tu sei
sicuro di non essere la persona in questa foto?”.
Il dito,
delicato e ben curato del Capopalestra, batté tre volte sul volto del soggetto
dell’immagine ripresa dalle telecamere di Green Oak.
Solomon
spalancò gli occhi.
“Davvero
credi che io sia in grado di fare una cosa del genere?!” urlò poi. Il volto era
colmo di collera e per un attimo chiunque fosse nel locale smise di parlare.
“Xav... per
favore...” lo pregò Cindy, nascosta dietro la sagoma di Gold.
“Io non ci
credo...” sbuffò quello, alzandosi in piedi e spostando col tallone lo sgabello
su cui era seduto.
“Calmati,
Xavier” riprese Silver, mantenendolo per il polso. Quello si voltò
immediatamente verso di lui, e la collera lasciò il posto al panico.
“Silver, tu
devi credermi! Lo sai, sei venuto con Green, a casa! Avete visto le telecamere!”.
Nella voce
dell’uomo vi era una nota di disperazione. Voleva soltanto uscire il più
velocemente possibile da tutta quella faccenda, tornare a casa sua, sbattersi
la porta alle spalle e fare le valige, per andare in un posto caldo e lontano
dalla merda che stava ingoiando continuamente, da diversi anni a quella parte.
Guardò per
un attimo Cindy, che giochicchiava con l’anello che aveva al dito. Non riusciva
a catturare i suoi occhi, pareva li evitasse con maestria certosina.
“Non dico
che sia stato necessariamente tu” ribatté Angelo, catturando nuovamente la sua
attenzione. “Dico che sappiamo tutti che saresti benissimo in grado di fare una
cosa del genere”.
“Ma non è
vero! Nessuno può sparire all’improvviso senza un Pokémon!”.
“Tu non hai
Pokémon?”.
“Nessuno può
farmi fare quelle cose! E poi ti ripeto, le mie telecamere mi hanno ripreso!
Per tutta la notte!”.
“Sei anche
in grado di modificare quelle immagini...”. La voce di Angelo possedeva una
nota lasciva che faceva imbestialire Xavier.
“Ma cazzo!”
urlò, battendo entrambi i pugni sul tavolo. “Perché diamine sarei accusato,
adesso?! Silver e Green mi hanno già preso a pugni, stamattina!”.
Gold
aggrottò la fronte e prese a fissare l’altro Dexholder. “Cosacosa?!” esclamò.
“Mi spiace
molto” ribatté Angelo, con la solita e serafica calma. “Ma sono i fatti, che
parlano”.
Di nuovo, il
dito dell’uomo puntò la figura nella fotografia.
“Questo!”
urlò ancora Xavier, picchiettando a sua volta il dito sull’immagine. “Questo
non sono io!”.
“E puoi
provarlo?”.
“Ho le
dannatissime telecamere, Angelo!” esclamò l’altro, piegandosi su di lui.
I loro occhi
erano vicinissimi. L’energia che entrambi emettevano era visibile.
Il
Capopalestra rimase un secondo in silenzio, stringendo leggermente gli occhi e
mettendo bene a fuoco Xavier. “Vedi di calmarti, giovane... Non dimenticare che
stai parlando con uno dei rappresentanti della legge...”.
“E lui è uno
dei buoni” s’inserì Gold. “È palese che non sia stato lui, Angelo, quindi
cerchiamo di calmarci un po’, tutti quanti, sì?”.
Angelo aggrottò
la fronte e guardò il Dexholder per un attimo, prima che Cindy gli stringesse
il polso.
“Tesoro... Conosco
Xavier: non farebbe mai una cosa del genere...”.
“Il fatto
che sia tuo amico non significa che sia innocente”.
“Ma neanche
colpevole” rispose quella. Incontrò lo sguardo ceruleo di quello, sperando che
quel timido tentativo di sterile difesa l’avesse redenta dalle promesse non
mantenute. Tuttavia Xavier lasciò che si schiantasse contro un muro di freddo
acciaio, eretto dall’infinita indifferenza.
Angelo riprese la parola, e picchiettò ancora col dito
sulla foto.
“Com’è possibile quello che è successo qui, allora? Ti
riconosci, no?”.
Xavier sospirò, avvicinando nuovamente lo sgabello al
tavolo e sedendosi.
“Non posso negare che quest’uomo mi assomigli, ma...”.
“Questo fa di te il principale sospettato” tuonò
l’altro, con la voce profonda.
“Plausibile, se non fosse per il fatto che non so come
sparire nel nulla... Anzi, a dire il vero sei tu, e quel tuo amico mago da
strapazzo, a saper fare cose del genere”.
Gold ghignò, leccandosi le dita.
“Ma non vi sopportate, eh?” domandò.
“Per niente” rispose velocemente l’inventore,
alzandosi definitivamente dal tavolo. Si voltò verso Silver, considerato il più
serio tra i presenti al tavolo. “Senti... Questa tecnologia ancora non esiste.
Non riesco a capire come potrebbe un agglomerato di molecole sparire e
ricomparire da qualche altra parte, e non saprei spiegare ciò che è successo.
Fino a quando potrò aiutare sarò a disposizione, per qualsiasi cosa, ma non ho
bisogno di stare in compagnia di persone che mi remino contro per partito
preso...”.
“Xavier…” sussurrò Cindy, alzandosi in piedi, prima
che quello si voltasse e andasse via. Il suo sguardo sfiorì gradualmente, fino
a spegnersi. Quello di Angelo, invece, sempre calmo e disteso, sembrava
arrabbiato.
Era palese che qualcosa non andasse.
Silver sospirò, e si alzò in piedi, allungando la mano
verso Angelo.
“Va bene così. Non credo che sia coinvolto ma c’è da
indagare”
Il
Capopalestra la strinse e annuì. “Lo terrò d’occhio, per quel che mi riguarda”.
“Bene così.
Noi adesso andiamo”.
“No” tuonò
Gold. Tutti si voltarono verso di lui, attendendo che parlasse.
Angelo lo
interrogò con lo sguardo.
“Devo ancora
finire le mie alette”.
“No” tuonò
Gold. “Devo ancora finire le mie alette”.
“Le finirai
per strada!” esclamò irritato Silver, che lo colpì sul cappello con una manata.
Lo sollevò di peso e lo portò fuori.
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