Ceneri
e Piume
Prologo: Come
Essere
Nati E Risorti Insieme
Petalipoli,
Hoenn
5
ottobre, stesso anno degli eventi dello special Omega Ruby e Alpha
Sapphire
Lino
stava
in piedi, immobile, sull’uscio della casa dei suoi genitori, con gli
occhi ricolmi di lacrime e le occhiaie scavate nei suoi pallidi zigomi.
In mano
teneva stretta una Ball al cui interno era celato un Flygon, quel Flygon
che
Norman gli aveva regalato anni prima, quando lo aveva incontrato ad
Orocea.
Grazie a quel Pokémon era riuscito a raggiungere la Torre dei Cieli e a
risvegliare Rayquaza assieme al padre del suo miglior amico. Il suo
mentore.
Per
molto
tempo aveva ricordato con malinconia quel giorno. Le emozioni che
tornavano a galla quando ripensava a tale impresa erano fortemente
contrastanti:
la sensazione dovuta al fatto che il suo maestro avrebbe sicuramente
preferito
Ruby al suo posto, la gratitudine nei confronti di quell’uomo per aver
riposto
la sua fiducia in lui e per averlo fortificato in quel modo, la
delusione che
gli rievocava il pensare a se stesso come ad un Dexholder, cosa che non
era mai
stato, ma che avrebbe desiderato con tutta la sua anima.
‒
Norman ‒ mormorò.
E
in quel momento, davanti a lui, quasi tutto il popolo della sua
cittadina era
sceso per strada nell’oscurità di quella tiepida notte. Tutti rivolti
verso la
Palestra che era appartenuta al leggendario Inseguitore
della
Forza. La persona migliore che lui avesse mai conosciuto.
Nelle
spire
del buio punteggiato da un cielo luminoso e senza nuvole, un secondo
firmamento ondeggiava lentamente per la strada. Migliaia di candele,
semplici
lumi stretti tra le mani di chi, durante il breve periodo della sua
permanenza,
aveva imparato a conoscere Norman.
Petalipoli
piangeva
la scomparsa del suo Capopalestra.
E
così Lino, che nell’intenzione di aggregarsi al gruppo aveva deciso di
non
versare lacrime e uscire anche lui per dare un ultimo saluto a Norman,
non era
riuscito ad oltrepassare il vialetto di casa senza commuoversi.
Il
ragazzo
si fece forza, raccolse gli ultimi frammenti di animo che aveva in
corpo e si portò avanti senza sentire il peso dei propri passi sul
selciato.
Si
mosse
in una galleria ipnotica di luci fioche e spiraleggianti. Vide volti di
persone che conosceva, le quali, consce del legame che univa Lino a
Norman, lo
guardavano con sincera pietà negli occhi. Udì i commenti pregni di
ammirazione
di numerosi Allenatori locali che avevano fatto tesoro degli
insegnamenti del
loro Capopalestra nel corso degli anni.
Tuttavia,
il
suo cervello non riuscì a trattenere nulla. Lino si ritrovò senza sapere
come in mezzo alla folla, davanti alla porta della Palestra, paralizzato
alla
vista della sua esile figura riflessa nella porta di vetro di
quest’ultima.
Proprio lì dove solitamente vedeva Norman immobile ad attenderlo per una
nuova
sessione di allenamento.
Accanto
a
lui, si materializzò una sagoma conosciuta, anche questa la vide dal
riflesso. E un brivido gli corse lungo la spina dorsale. Aveva le
braccia
incrociate sul petto, gli occhiali occultavano il suo sguardo e teneva
stretto
in mano il cappello che portava sempre con sé. Ruby tratteneva con
fatica le
emozioni. Forse si era anche lui ripromesso di non piangere se non in
solitudine.
Il
ragazzo
si trovava lontano da Hoenn quando lo avevano avvertito del fatto che
un incendio si era portato via le due persone che lo avevano messo al
mondo,
devastando casa sua ad Albanova.
‒
Lino ‒ lo chiamò con la voce piegata dalla forza dei singhiozzi che non
si era
concesso. ‒ devo parlarti… ‒ mormorò.
Iridopoli,
Hoenn
21
marzo, l’anno
seguente
Ai
Capipalestra
era concesso sfidare la Lega Pokémon in qualsiasi momento. Molte
altre volte era accaduto che un Capopalestra decidesse di mettersi alla
prova e
cercare la vittoria contro Superquattro e Campione. Lo stesso Adriano,
ben sei
anni prima aveva detronizzato Rocco conquistando il mantello di tessuto
bianco
che contraddistingueva il più forte Allenatore della regione di Hoenn.
Per poi
lasciare di nuovo il titolo al suo predecessore.
Qualcuno,
quel
giorno, aveva fatto lo stesso.
Anche
il
Metagross di Rocco tornò sconfitto nella sua sfera. Il suo sesto
Pokémon, il
suo ultimo Pokémon. Il Campione emise un sospiro colmo di comprensione.
Sentiva
dentro di sé la delusione che provava nei confronti della sua persona,
ma allo
stesso tempo sapeva che non c’era nessuna vergogna nell’ammettere la
propria
sconfitta.
E
una seconda volta vedeva il mantello del campione strappato dalla
propria
schiena. Una persona normale si sarebbe abbattuta psicologicamente già
dopo la
prima. Lui no, invece.
Lui
era
fatto d’acciaio.
Ma
come
tutti sanno, anche l’acciaio si piega dopo un po’. E a piegarlo era
stato
quel ragazzo che sorprendendo tutti aveva ottenuto il titolo di
Capopalestra
che era appartenuto a suo padre.
Ruby
riprese
fiato. Flygon, il Pokémon che gli era stato donato da Lino tempo prima
e che un tempo era stato proprio di Norman, rientrò nella sua Ball,
parecchio
affaticato per lo scontro.
‒
La vittoria è tua, Ruby, sei il Campione della Lega della regione di
Hoenn ‒
annunciò Rocco.
Il
ragazzo,
stranamente taciturno come si era mantenuto per tutta la lotta,
camminò fino al centro del campo facendo lo slalom tra i crateri, le
buche e le
crepe create dai loro Pokémon nella foga dello scontro.
Rocco
lo
imitò. I due si strinsero la mano e il perdente si privò del simbolo
della
sua carica, cedendolo a Ruby. Il ragazzo non indossò subito il mantello,
se lo
poggiò sulla spalla e guardò Rocco dritto negli occhi. Non portava gli
occhiali, quel giorno, lasciò che i loro sguardi si incrociassero
genuinamente,
senza alcuna barriera a dividerli.
Rocco
vide
uno strano bagliore nelle sue iridi del colore del rubino, ma non disse
nulla. Lo condusse nel silenzio generale alla sala d’onore e gli
illustrò tutte
le procedure necessarie per la registrazione della sua Scheda
Allenatore. Ruby
le eseguì con pazienza e precisione.
Infine,
Rocco
lo portò, sotto gli sguardi rispettosi nei confronti del loro nuovo
sovrapposto di Drake, Fosco, Frida e Ester all’ufficio del Campione
nella sede
della Lega di Iridopoli.
Ruby,
concluso
il tour introduttivo alla sua nuova vita, commentò soltanto: ‒ Come
prima cosa, al mio posto, intendo raccomandare Lino per la carica di
Capopalestra di Petalipoli.
Rocco
non
rimase stupito, lì per lì cacciò un sorriso inconsistente.
‒
Dovrà comunque superare l’esame e registrarsi all’Associazione Pokémon ‒
lo
informò.
‒
Lo ha già fatto ‒ ribatté Ruby con sicurezza. ‒ Mentre noi lottavamo, ho
ordinato che venissero testate le sue capacità per un eventuale
rimpiazzo ‒ quindi
assottigliò lo sguardo. ‒ Sono certo che abbia già superato l’esame.
E
così fu: Lino divenne il nuovo Capopalestra di Petalipoli, Ruby prese la
corona
del Campione e Rocco rifiutò per la seconda volta di essere declassato a
Superquattro, prese invece in mano il suo desiderio di migliorare e
partì per
Holon.
Ovviamente,
la
Lega di Hoenn non sarebbe mai più tornata quella di prima.
Albanova,
Hoenn
20
settembre, lo
stesso anno
Sapphire
si
chiuse la porta alle spalle. Il suo rientro a casa non era stato udito
da
nessuno.
Nessuno,
viveva
sola con suo padre, non che fossero poi tante le persone all’ascolto in
attesa del suo ritorno. Comunque, essendo entrata a casa alle tre di
notte era
felice di non aver svegliato il professor Birch.
Cacciò
uno
sbadiglio lunghissimo, avrebbe voluto fare una sorpresa al genitore che
non
la aspettava per quel giorno. Era di ritorno dalla regione di Unima,
nella
quale aveva passato due mesi alla conquista delle palestre assieme ad
Emerald e
Blue.
Sorrise
pensando
alla parola Dexholder. E
senza rendersene conto aveva già preso dal mobile che era in salotto la
foto
che aveva scattato il reporter che aveva seguito le vicende sue e dei
suoi
amici al Parco Lotta cinque anni prima. C’erano i Dexholder di Kanto,
Johto e
poi Ruby ed Emerald che con lei formavano il trio di quelli di Hoenn.
Tutta
gente tosta, gente con cui poi nel tempo aveva stretto un legame sempre
più
forte.
Quella
sera
si sentiva un poco malinconica, ma probabilmente era a causa del sonno.
Decise che era il momento di riposare. Si scolò quasi mezzo litro di
latte
freddo direttamente dal cartone preso dal frigo quindi, con passo
felpato, si
diresse verso camera sua. Posò sul comò la borsa su cui aveva fissato le
otto
medaglie di Unima e si svestì gettando i suoi abiti a terra. Serpeggiò
sotto le
coperte con addosso la biancheria intima e una maglietta di quattro o
cinque
taglie più grande di lei che le arrivava quasi fino alle ginocchia. Era
la
prima cosa che le sue dita avevano trovato dentro il cassetto dei panni.
Fu
avvolta dalle spire del sonno quasi istantaneamente.
Dormì
serena
per parecchie ore. Verso le sette del mattino, suo padre diede uno
sguardo alla sua camera, scoprendola appisolata nel suo letto, sorrise
sorseggiando il cappuccino che aveva in mano. Ormai sapeva come
comportarsi con
Sapphire, da due mesi a quella parte ogni mattina aveva l’abitudine di
controllare se la figlia fosse tornata a casa di nascosto durante la
notte. La
lasciò dormire in pace e si dedicò ad altro.
Sapphire
aprì
gli occhi stuzzicata dal sole verso le undici e mezza. Stiracchiò i
muscoli e si scoprì cercando di far assorbire al corpo un po’ di quel
piacevole
tepore di cui l’aria era pregna. Settembre si avvicinava al termine, ma
ad
Hoenn era ancora estate. La ragazza respirò a pieni polmoni, aria di
casa, aria
di compleanno. Scattò in piedi.
Il
lembo
inferiore della maglietta che aveva utilizzato come pigiama le
svolazzava
attorno alle cosce come un vestito. Uscì dalla camera, si appese
affacciandosi
al corrimano delle scale e sporgendosi con metà del busto verso il piano
inferiore.
‒
Pa’, sono tornata! ‒ esclamò felice.
Intravide
suo
padre in cucina intento a spruzzare riccioli di panna montata su una
torta
dal colorito marrone sicuramente promettente.
‒
Non sai quante ricette ci sono su internet sotto la voce “torte da
preparare in
meno di tre ore” ‒ commentò l’uomo facendosi spuntare un sorriso. ‒ Ben
tornata
e buon compleanno, pestifera ‒ la salutò.
Sapphire
si
ritirò su e decise che prima della torta forse era un’ottima idea quella
di
darsi una lavata. Era un abitudine che aveva preso dal momento in cui
aveva
ripreso a vivere nella villetta che lei e il padre condividevano ad
Albanova e
non più nella capanna sugli alberi del Bosco Petalo. Tutto sommato lo
trovava
rilassante. Una seccatura, ma comunque rilassante. Tolse la t-shirt e la
biancheria ed entrò nella cabina doccia del suo bagno. Terminata la
doccia, ne
uscì insieme ad una fitta nebbia di vapore acqueo che si diffuse in
tutta la
stanza, si avvolse in un asciugamano celeste e ne strinse un altro più
piccolo
attorno alla sua ribelle chioma castana. In attesa che il tessuto
assorbisse
l’acqua rimasta sul suo corpo, controllò la placca di gommapiuma
incorniciata e
appesa al muro su cui aveva applicato tutte le medaglie guadagnate
durante gli
anni. Un gran numero, per una della sua età.
Sorrise.
Si
alzò
e decise di indossare qualcosa di decente. Mise un paio di slip puliti e
di sopra la maglietta dentro la quale aveva dormito quella notte, rimase
senza
il reggiseno, non che ne avesse per forza bisogno, non era una ragazza
particolarmente prosperosa, ma avere il busto libero e comodo dentro una
maglietta gigante le dava un senso di libertà e freschezza incredibile.
Aveva
ancora i capelli bagnati quando tolse l’asciugamano che aveva messo in
testa,
ma diede ugualmente due passate di spazzola alla faccia delle doppie
punte. Pensò
di asciugarli col phon, ma iniziava a diventare impaziente nei confronti
della
torta che la stava aspettando al piano di sotto.
“Se
stamattina
devo proprio fare la femmina” pensò. “…almeno devo farla bene” e si
convinse ad asciugarsi i capelli con cura e pazienza. Quando spense
l’asciugacapelli aveva la faccia tutta rossa per il caldo e la chioma
impazzita
che esplodeva da tutte le parti. Uscì dal bagno e posò gli occhi su un
pezzo di
stoffa rosso che aveva lasciato appeso allo specchio. Lo prese. E la
dolce
curva del suo sorriso si appiattì un poco. La sua vecchia bandana.
Sono sicuro
che ti
staranno bene.
Aveva
detto
Ruby quando le aveva donato quella assieme al resto del completo la
prima
volta. Ricordò per quale motivo l’aveva messa lì, tastò il tessuto con
le mani
e rivolse verso di sé la parte interna. La portò fino al naso, ne
assaporò
l’odore. La strinse a sé.
Le
faceva
bene, ogni tanto, le ricordava che quel ragazzo era effettivamente
esistito
nella sua vita e non se lo era immaginato.
Non
parlavano
da parecchio tempo, lei e Ruby, da quasi un anno. Ricordò il giorno
in cui il Ruby tanto fissato con le Gare e l’eleganza dei propri Pokémon
aveva
deciso di prendere il posto di suo padre come Capopalestra di
Petalipoli, e ci
era riuscito con gran facilità. La parentesi era durata poco, il suo
allenamento doveva portarlo oltre.
E
mentre lei cercava di ristabilire un contatto con quello che sembrava
ormai un
bambino intento a sfogare la sua sofferenza nella lotta, lui diventava
sempre
più forte, tanto da sconfiggere i Superquattro della regione e anche
Rocco,
alla fine.
Una
volta
divenuto Campione, probabilmente aveva pure scordato che faccia avesse
Sapphire. Miglior Coordinatore e Allenatore di Hoenn allo stesso tempo,
era
come se fosse stato la fusione di due persone diverse… come se avesse in
sé lo
splendore la classe di Adriano e la potenza distruttiva di Rocco.
E
lei che si lamentava di non riuscire mai a vederlo… ora soltanto
entrando in
edicola almeno due o tre riviste patinate con sopra la faccia di Ruby le
saltavano subito all’occhio.
Suo
papà
aveva detto: “ognuno sfoga il
dolore
in maniera differente”. Ma era difficile credere che uno che
faceva da testimonial
per gli spot, da giudice per delle competizioni nazionali alle quali non
partecipava per rispetto degli altri concorrenti, che aveva persino
messo il
suo nome su una fragranza maschile di una firma costosissima non dava
proprio
l’idea di star affrontando i suoi fantasmi, ecco.
Sapphire
gettò
la bandana sul letto. Non la indossava da parecchio, la ripugnava. Così
come la ripugnava vedere ogni volta il faccino perfettamente rasato e
curato di
Ruby sul cartellone pubblicitario di un paio di jeans Levi’s, per un
intervista
esclusiva su SInnoh tv, per un commento personale ad un nuovo musical di
Sciroccopoli.
Si
accorse
di star bollendo. Un po’ per il phon e un po’ per la rabbia. Un po’ di
aria di Hoenn le avrebbe fatto bene. Spalancò la finestra ed uscì in
balcone.
Cercò di tornare a sorridere a quella luminosissima giornata stringendo
con
entrambe le mani la ringhiera e respirando profondamente a pieni
polmoni.
Ma
ovviamente
anche lì qualcosa andò storto.
‒
Ehi… ‒ mormorò qualcuno accanto a lei.
Non
si
voltò neanche. Normalmente avrebbe reagito con prontezza di riflessi ad
un
intruso che si presenta sul balcone del primo piano di casa sua senza
una buona
scusa da raccontarle. Tuttavia, conosceva troppo bene quella voce.
Rispose con
indifferenza, mentre il suo cervello andava a mille per cercare di
capire
quante possibilità ci fossero che proprio lui si presentasse senza
preavviso al
suo balcone proprio in quel momento.
Sì,
naturalmente,
si trattava di Ruby. Sapphire lo scrutò con la coda dell’occhio,
vide la sua figura longilinea appoggiata al muro, portava una maglietta
nera
dal colletto inquieto per via della brezza e dei pantaloni scuri con dei
dettagli rossi che morbidamente avvolgevano sulle sue gambe snelle. In
testa un
casco di capelli più lunghi di quanto mai li avesse lasciati crescere,
anche
loro in continuo movimento. Ai piedi delle semplici Converse rosse.
Lei
invece
era mezza nuda e da quella prospettiva offriva anche uno spettacolo
particolarmente sfacciato del suo lato b. Lentamente, per non dare
nell’occhio,
ritirò il bacino sulla stessa linea della spina dorsale e riprese una
postura,
per così dire, elegante. Ruby si fece avanti e si appoggiò anche lui, ma
con i
gomiti, alla ringhiera.
Ora
Sapphire
poteva vederlo meglio anche in faccia. Ovviamente non aveva un velo di
barba, una macchia sulla pelle o un brufolo, ma riusciva bene a
distinguere
l’immagine della cicatrice che aveva sulla fronte. Ovviamente dovette
impegnarsi per far tornare il respiro regolare dopo avervi posato gli
occhi
sopra.
‒
Che ci fai qui? ‒ domandò lei cercando di essere più distaccata
possibile.
‒
Pensavo di venire a farti gli auguri di compleanno ‒ mormorò lui.
Sembrava
sincero,
privo di secondi fini o altro. Certo, un ragazzo sincero che però per
mesi l’aveva completamente ignorata.
Mimò
una
smorfia lievemente indignata: ‒ E hai anche deciso di perdere tempo per
fare questa cosa? ‒ domandò velenosa.
‒
Pensavo solo che ne valesse la pena ‒ ribatté lui.
Sapphire
bofonchiò
e fece per rientrare in casa.
‒
Aspetta ‒ la fermò lui. ‒ Solo un secondo.
La
ragazza
dagli occhi blu, seccata, gli diede una chance e si fermò con la mano
ancora stretta sulla maniglia della finestra.
Ruby
scosse
la testa e fissò il terreno. ‒ Vorrei parlarti di tante cose ‒ disse. ‒
ma non posso proprio farlo… ‒ sussurrò con un filo di voce. Quindi si
infilò
una mano in tasca. ‒ Però ti ho portato un reg…
‒
Ma smettila ‒ sputò lei schifata rientrando in casa e chiudendo la
finestra.
Ruby
non
provò neanche a fermarla, gli era sfuggita dalle mani come una saponetta
bagnata. Rimase fuori dal balcone con la testa bassa e la mano immobile
sul
dono che avrebbe voluto darle.
Sapphire
scappò
dalla stanza facendo bene attenzione a sbattere la porta abbastanza
forte da far giungere a Ruby il rumore. Si appoggiò con la schiena sul
legno di
quest’ultima.
‒
Sapphire, che succede? ‒ domandò suo padre dal piano di sotto.
‒
Niente… niente pa’ ‒ rispose lei. Si morse la lingua, aveva tirato fuori
una
voce ben poco sicura di sé dalla sua gola gonfia di emozioni soffocate.
‒
Tutto a posto? ‒ domandò il genitore intuendo qualcosa.
‒
Sì, tutto a posto… ‒ ancora la voce tremolante. Strinse la maniglia, di
getto
riaprì la porta. Ruby era scomparso. Trasse un sospiro di sollievo. No,
il
sospiro si spezzò a metà del suo corso d’essere.
‒
Uh? ‒ Sapphire notò un qualcosa legato alla ringhiera del suo balcone,
proprio
nel punto in cui era appoggiata lei poco prima.
Uscì
fuori
e lo esaminò. Una bandana nuova, sicuramente cucita a mano da Ruby. Era
di
colore nero, anzi, più nero del nero. Al suo centro spiccava la classica
Poké
Ball stilizzata di una tinta blu scintillante. La ragazza ammise di
trovarla
carina, ma soltanto dopo aver superato il primo impulso di gettarla giù
e farla
volare via. Poi, si accorse finalmente che in mezzo ai due lembi del
nodo che
saldava la bandana alla ringhiera c’era intrecciato anche il filo di un
gioiello. Era dello stesso colore della bandana, perciò non l’aveva
notato.
Slegò
il
tessuto, separò i due oggetti ed esaminò il monile. Era una semplice
collana, dalla catenina in stoffa di colore neutro, il pendente era
costituito
da una sola pietra dalla forma romboidale. La ragazza rimase stupita.
Stranamente
quell’oggetto le ricordava qualcosa.
Poi
le
venne in mente che Ruby non le avesse mai regalato gioielli, quel
ragazzo
l’aveva sempre sorpresa: tutto ciò che faceva, anche la più stupida
delle
azioni, si rivelava poi rivolto verso uno scopo più profondo. Oppure no,
forse
aveva mollato anche lui, forse era cambiato e adesso invece di regalarle
vestiti che era sicuro le
sarebbero stati
bene le regalava gioielli. Stupidi gioielli.
Sapphire
stringeva
in mano quella collana insieme alla bandana che Ruby aveva utilizzato
per assicurarla al suo posto. Il regalo del nuovo Ruby, quello che non
le
piaceva, avvolto nel regalo del vecchio Ruby, quello che… beh.
Non
riusciva
a capire, non riusciva veramente a capire.
Poi
l’occhio
le cadde su qualcosa che prima non aveva notato: una sottile scritta
ricamata in filo blu proprio sopra la trapunta interna della bandana.
Chi è nato una
volta sa
già come risorgere
Una
freccia
di nostalgia la infilzò nel petto e una mazza di dubbi le colpì la
nuca. Rientrò in casa non senza dare un’ultima occhiata al cielo
circostante in
cerca della sagoma del ragazzo che pochi istanti prima si trovava sul
suo
balcone, senza trovarvi nulla. Gettò bandana nuova e collana sul letto
come
aveva fatto prima e si diresse in bagno per bagnarsi il viso con qualche
manata
di acqua fresca.
Senza
fare
menzione dell’incontro, scese al piano di sotto riappiccicandosi alla
ben
e meglio una fattispecie di sorriso in faccia, suo padre aveva
finalmente
terminato la sua torta di compleanno.
‒
Hai fame? ‒ domandò l’uomo affettando il dolce.
‒
Non immagini quanto ‒ rispose lei entusiasta.
‒
Beh, oggi puoi concederti tutto il cibo che vuoi, piccola ‒ le sorrise
dandole
un buffetto sulla guancia.
Lei
ricambiò
il sorriso e affondò la prima cucchiaiata nel morbido impasto di
colore brunito.
‒
Hai sentito la notizia? ‒ domandò il padre sedendosi di fronte a lei.
Sapphire
lo
guardò con aria interrogativa, aveva la bocca piena, non poteva
rispondere.
‒
Hanno organizzato il prossimo Campionato Pokémon Internazionale, si
svolgerà ad
Holon tra un anno… ‒ illustrò Birch. ‒ Perché tu e i tuoi amici non vi
iscrivete al torneo? ‒ propose con un sorriso gioviale.
Lei
annuì
titubante. Era più un incitamento a continuare il discorso che una
risposta affermativa. Poi notò che il prof, facendolo strisciare sul
tavolo con
la sua mano, le aveva avvicinato una busta delle lettere blu. La ragazza
la
prese e la aprì. Era un biglietto di andata, soggiorno e ritorno dalla
regione
di Holon per le due settimane in cui si sarebbe tenuto il torneo.
‒
Buon diciottesimo compleanno, Sapphire ‒ sorrise il padre.
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