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12. Royalties pt.4
- Kanto, Aranciopoli, Banca Centrale –
La luce era fin troppo poca e Gold sentiva soltanto il rumore della lotta che Sandra stava tenendo contro i nemici. Il Caveau della Banca di Aranciopoli si trovava alla fine di un corridoio lungo metri e metri; certo, non era Fort Knox, ma vi erano tre grandi cancelli di acciaio, uno dietro l’altro, a garantire che nessuno avesse potuto introdurvisi. Il ragazzo camminava in quella lunga corsia senza sbocchi laterali, in cui la luce, poca e fredda come neve, invadeva piccole porzioni di passeggio, lasciando però vuoti tetri di buio che nessuno voleva battere.
Una volta avvicinatosi al primo cancello e vedendo il metallo spesso ottanta centimetri totalmente piegato su se stesso Gold spalancò gli occhi.
“Porca...” sussurrò il ragazzo. “Questi non dovrebbero essere rinforzati al titanio?”.
Gold penetrò nella breccia e passò accanto al corpo esanime d’uno scagnozzo dei cattivi calpestato da Sandra. L’odore di bruciato lì era forte, penetrante, e non cambiò quando, passando attraverso il secondo cancello, identico a quello precedente, si era ritrovato ben tre scagnozzi messi fuori combattimento.
“E tu chi diamine sei?!” sentì urlare di fronte a sé il ragazzo. Era la voce di Sandra, totalmente spaventata.
“Cazzo, ha bisogno di me!” esclamò il giovane, prendendo a correre e superando anche l’ultimo cancello, prima di entrare all’interno del caveau.
Lì la luce era quasi nulla; soltanto quattro, forse sei lampade d’emergenza sulle pareti ed un neon assai vecchio con le griglie sporche davanti, quasi inutile. Tutt’intorno denaro ed oro sistemati in maniera ordinata e regolare.
Sandra era proprio davanti a lei, il suo Charizard a difenderla dall’avversario.
E l’avversario era anch’esso un Charizard; tuttavia era strano.
Era nero, completamente nero, con gli occhi rossi. Anche la fiamma sulla sua coda era totalmente scura. Green aveva parlato di un’altra versione di Mega Charizard qualche tempo prima, che differiva dalla sua; lo ricordava distintamente, quando aveva lottato col Dexholder di Kanto contro Zapdos a Lavandonia.
Rabbrividì, non voleva pensare a quella città.
“Sandra...” la chiamò lui. “Che diamine succede?”.
“Gold... Stai attento...” tuonò lei, con un tono preoccupato che non aveva mai sentito.
Gold aggrottò la fronte e fissò bene l’avversario che aveva di fronte: era una donna.
Una donna assai magra, con la stessa divisa degli uomini che avevano messo fuorigioco fino a quel momento.
Tuttavia non indossava alcuna maschera antigas e nessun paio d’occhialoni.
Aveva i capelli dello stesso colore di Sandra nonostante fossero acconciati in una sorta di carré spettinato, il volto smagrito ma gli occhi dello stesso colore della Capopalestra di Ebanopoli. Aguzzò la vista, il moro, osservando meglio i dettagli del volto dell’avversaria, e, nonostante le labbra screpolate e tagliuzzate e gli evidenti ematomi sulle guance e sugli occhi, Gold fu in grado di riconoscerla.
“Ma che cazzo succede?!” urlò il ragazzo.
Quella era Sandra.
“Non lo so, Gold, ma quel Pokémon non mi piace”. Lei fissava dritto quel Charizard, dalle cui narici fuoriusciva intenso fumo nero. “Non so chi tu sia e per quale motivo mi assomigli così tanto ma ti consiglio di fermarti immediatamente ed arrenderti...”.
Quella fissava dritto la donna col mantello, irrigidendosi quando osservò Gold affiancarla.
“Quella sei tu”.
“Lo so benissimo, non c’è bisogno di puntualizzare” ringhiò l’altra.
“Beh... Se ti può consolare sei molto più gnocca di lei...”.
Sandra si voltò per un secondo, congelandolo con lo sguardo.
“Va bene, era fuori luogo, hai ragione... Ora cerchiamo un modo per distruggere quel Charizard ed uscire tutti interi da qui”. Gold continuava a fissare la fiamma nera del Pokémon.
“Non sarà semplice” osservò Sandra.
“Per niente. Quel Pokémon ha fuso il titanio”.
Sandra lo guardò nuovamente, stupita. “Come sai che è titanio?”.
“L’ho già rapinata un paio di volte questa banca”.
“Non so perché ancora Crystal e Silver non ti abbiano sacrificato agli dei...”.
“Lo hanno fatto, quelli non mi hanno voluto...”.
Poi la donna che si spacciava per Sandra batté le mani e quel Charizard ruggì, spalancando la bocca.
“Exbo!” urlò Gold, mettendo in campo il suo Typhlosion accanto al Charizard di Sandra.
“Dobbiamo muoverci attentamente!”.
“Tu lo combatti in aria ed io da terra” rispose prontamente quello.
Sandra annuì. “Charizard, alzati in volo!”:
“Attento, Exbo!” ordinò invece l’altro.
La donna in tenuta militare avanzò un passo, con gli occhi spalancati e le mani sporche di fuliggine e sangue, strette in pugni così chiusi da fare male.
Il Charizard s’alzò in volo, gettandosi contro l’avversario, affondando gli artigli negli arti superiori del suo simile. Il Pokémon di Sandra urlò, ferito e spaventato.
“Stai calmo!” gli urlò la Capopalestra.
Quel drago scuro teneva stretti gli artigli, col volto serio e le iridi totalmente spiritate; controllava ogni movimento dell’avversario.
“Exbo! Vai con Lanciafiamme!” ordinò Gold, vedendo Typhlosion gettare una grande quantità di fuoco contro l’obiettivo.
Sandra osservò bene l’effetto dell’attacco, stupendosi poi del risultato. “Fuoco contro fuoco, va bene... ma è illeso!”.
“Quel Pokémon è incredibilmente forte” concluse l’altro.
“Charizard!” urlò poi Sandra. “Cerca di liberarti utilizzando un Attacco D’Ala!”. E così fece: chiuse le ali, aumentando il peso complessivo che l’avversario doveva sostenere e sbilanciandolo, costringendolo ad allargare le braccia per ritrovare equilibrio ed evitare di schiantarsi; facendo ciò lasciò la presa dai muscoli del dragone arancione, che si voltò con rabbia, colpendolo con l’ala destra sul volto. Quello indietreggiò di qualche metro per poi rigettarsi con foga sull’avversario, colpendolo con una forte spallata.
“Supporto da terra, Gold” fece Sandra, levando il mantello.
“Dannazione, Exbo, Comete!”.
“Buona idea...” commentò l’altra.
Typhlosion lasciò partire piccole sfere d’energia che colpirono dritto in petto il Pokémon avversario.
La donna in tenuta militare indicò poi Exbo, facendo spalancare gli occhi a Gold.
“No! No, nononono! Sandra, aiutami!”.
Il Charizard nero s’avventò in picchiata verso Exbo, come un rapace sulla preda ignara.
“Gold!” esclamò la Capopalestra, con gli occhi spalancati.
Fu un attimo, Gold sentì il cuore rimbalzargli in gola e scendere nuovamente giù, forse un po’ troppo. D’istinto prese la sfera di Typhlosion e lo fece rientrare, per poi farlo riapparire alle spalle del Charizard nero.
“Vortexpalla!” ordinò, vedendo Exbo eseguire la mossa ed abbattersi contro l’avversario.
Efficacissimo. Quello ruzzolò parecchi metri in avanti, molto vicino a Gold e Sandra.
“Usa Eterelama!” urlò Sandra.
L’altra, la copia, schioccò solo le dita della mano, con ancora gli occhi spalancati e folli, e subito Charizard si spostò, lasciando che il fendente d’aria si schiantasse a meno d’un metro dai due sfidanti.
“Cazzo!” urlò Gold, voltandosi.
Sandra era rimasta immobile invece, guardando l’avversario rimettersi in volo per fronteggiare il suo Pokémon. Il sangue colava copioso dalle braccia del Charizard rosso, e fu proprio lì che quello nero andò a riaffondare gli artigli.
“Oh, cielo!”
“Questa cosa deve finire!” ribatté Gold. “Exbo, ancora Comete!”.
Il Charizard nero vide partire l’attacco e con potenza immane spostò il nemico volante, usandolo come scudo. Altro brutto colpo, e subito dopo prese di sorpresa l’altro drago, trascinandolo per aria e poi ribaltandosi di centottanta gradi, picchiando verso il pavimento.
“Non può essere... Movimento Sismico...” sussurrò Sandra.
Il suo Charizard finì per schiantarsi al suolo, esanime.
“Exbo! Subito Rotolamento!” urlò Gold, puntando il dito contro il nemico. Fu così che Typhlosion si appallottolò e si mosse a grande velocità contro il Pokémon avversario, colpendolo una prima ed una seconda volta.
Alla terza volta però Sandra, quella muta s’intende, batté due volte le mani, ordinando silenziosamente al Pokémon di volare più alto ancora.
Fu allora che utilizzò un potentissimo attacco Eterelama, costringendo Exbo a fermarsi.
“Gold, Charizard non ce la fa più...” disse Sandra.
“Non seguiamo alcuna regola e nessuno ci squalifica! Metti un altro dei tuoi serpentoni in campo e...”.
E poi quel Charizard così potente vide la sua Allenatrice battere tra di loro i pugni; bastò tanto per scatenare un’ira tremenda che lo vide gettarsi sulla sua preda con ferocia famelica: Exbo non s’aspettava tanta furia e cattiveria, la picchiata che Charizard effettuò fu così veloce da coglierlo del tutto impreparato. Cadde di spalle, quello, col drago che cominciò a graffiarlo iracondo con gli artigli appuntiti; Typhlosion aveva la pelle dura, e quindi decise di girarsi di spalle, per evitare d’essere danneggiato agli organi più delicati.
“Exbo! Eruzione!” urlò Gold.
La grande fiamma del Pokémon s’accese massiva ed immediata, bruciando in volto il drago. Quello non sembrò risentirne più di tanto ma indietreggiò di qualche passo, sorpreso.
“Come stai, cucciolo?!” gli chiese, quello, preoccupato. “Dannata draghessa, hai intenzione di farmi uccidere oggi?!” chiese, alla partner di lotta.
“Vai, Kingdra!” urlò quella, senza neppure ascoltarlo e mettendo in campo il suo Pokémon più rappresentativo.
La donna dal volto omicida spalancò la bocca e corrucciò lo sguardo, come se avesse appena ricevuto una coltellata nel petto. Una lacrima nera, sporcata dal trucco ormai sciolto che le adornava gli occhi, tracciò una linea pulita sulla fuliggine del suo volto.
E cominciò a piangere, a piangere con forza, prima di urlare.
“No!” fece, allungando per più di cinque secondi la vocale e riempiendo quel luogo ormai così silenzioso di una disperazione quasi liquida, tangibile.
Come la pioggia di quei giorni.
“Sandra...” disse Gold, avvicinandosi a quella e facendo rientrare nella sfera Exbo. “Che minchia sta succedendo?”.
“Non... non ne ho idea, Gold” rispondeva quella stranita.
“Prova a pensare... in fondo quella sei tu...”.
“Beh... ha cominciato a piangere non appena ha visto Kingdra... che è stato il mio primo Pokémon... quello con cui ho iniziato il mio percorso ad Ebanopoli... Forse il suo è morto...”.
“Non dire quella parola!” urlò Sandra, quell’altra, facendo sbiancare i due.
“Calmina, eh...” sussurrò Gold, facendo un passo verso sinistra, per avvicinarsi ancor di più alla donna che aveva accanto.
“Lei... lei era con me quando tutto è cominciato... quando il cielo è diventato nero... E quando sono venuti a prendermi è stata lei a farmi da scudo, finendo per esser divorata viva. E non hanno scelto di finirla, di mangiarla completamente. Sadici... l’hanno gettata in mare, per fare in modo che attaccasse quella merda a qualcun altro...”.
“Ma di che diamine parli?!”.
“Delia mi ha salvato la vita! Mi ha salvato la vita!” urlò, in preda alle lacrime. Charizard, quello nero, si voltò verso di lei e rimase a fissarla. Quella vide quello sguardo ed annuì. Quindi tutto divenne luce e fuoco, il calore s’espanse forte ed il senso di pericolo crebbe esponenziale. Gold afferrò Sandra per la vita e la gettò per terra, mettendosi su di lei e stringendole la testa tra le mani, col cuore sulla fronte di quella.
Un boato terribile lasciò posto ad un crepitio sempre maggiore, ed il rumore delle lamiere che si piegavano e del cemento che si distruggeva lo sostituì.
Tutto crollò, con Gold che stringeva i denti e gli occhi, facendo in modo che Sandra non subisse alcun danno.
Poi il silenzio. Gold non osava aprire gli occhi: non sarebbe riuscito a vedere il volto di Sandra senza vita, lui che la vita l’amava.
“Giovane...” sussurrò quella, tossendo. Era viva.
Allora Gold schiuse leggermente le palpebre. “Sei viva?”.
“Sì... sto bene... grazie”.
“Ho qualcosa nella schiena, Sandra...” disse quello, chiudendo gli occhi e stringendo i denti. Le lamiere erano poggiate sopra di loro ed il muro crollato peggiorava la situazione.
“Cerca di resistere, Gold” diceva quella, sollevandosi leggermente, per spostarsi. Erano faccia contro faccia, occhi davanti agli occhi. Lui sentiva il suo respiro sulle labbra.
“Fa male, Sandra...”.
“Lo so. Tra poco arriveranno ad aiutarci...”.
“Sicura di stare bene?”.
“Sì... ma Kingdra era fuori...”.
“Sicuramente starà bene anche lei”.
“Resisti”.
“Sì. Resisto”.
Sandra lo guardò negli occhi, qualche lacrima scese lenta da quelle iridi auree, seguendo la punta del naso e tuffandosi sulla sua guancia. “Non... non permetterti di morirmi addosso!” esclamò quella.
“Come diamine... come diamine pesa questa roba...”.
“Ti ho detto di resistere...”.
“Farò di tutto perché tu non ti faccia del male ma... ma nel caso dovessi... beh, ecco...”
“Gold! Non dire cose del genere!”.
“Ho una cosa nella schiena, Sandra...” sussurrò lui. “Fa male...”.
Sandra allungò le mani e toccò i fianchi del ragazzo, sentendovi sangue caldo e viscoso colare per terra.
“Cazzo! Giuro che ti ammazzo se muori!”.
Lui sorrise e tossì. “Che ridondanza”.
“E che paroloni...”.
“È stato Silver a spiegarmi cos’è. Di’ loro che gli voglio bene. E di’ a Marina che la amo tanto”.
“Resisti, cazzo! Resisti!” urlava quella.
- Johto, Amarantopoli, Tavola Calda “Harold’s” –
Cindy fissava dritto negli occhi Xavier, con lo sguardo provato.
La discussione che stavano tenendo l’aveva sfibrata e Xavier se ne rendeva conto; a lui non piaceva vederla in quel modo.
“Non andare via” ripeté lei, mentre le calde luci della tavola calda baciavano delicatamente il viso da bambola della donna. Xavier la scrutò per un attimo, ricordandosi di quando, da ragazzini, lui passava il suo tempo a fissarla di nascosto.
Avrebbe sorriso se non fosse così compenetrato nel momento, se non si sentisse trafitto da quello sguardo da preda che impietosiva di Cindy, perché pensava a quanto era beffardo il destino: quando andava a scuola la piramide sociale vedeva in cima ragazzotti dalla dubbia intelligenza e dallo spiccato senso guerrafondaio. Xavier da bambino era fin troppo fragile, per via del suo passato ed aveva interiorizzato tutto.
Alle superiori era intelligente, il più intelligente, ma la piramide sociale non era cambiata: Cindy guardava quelli prestanti, in alto. Quelli che già avevano la macchina destavano la sua curiosità.
Poi crebbero e tutto cambiò; anche la superficialità di Cindy sfumò, dandole l’effettiva realtà dei fatti: la piramide sociale s’era ribaltata e tutti quelli che un tempo vivevano alle sue fondamenta erano diventati avvocati, dottori, architetti, giudici. Inventori.
Al contrario di quelli che erano in cima.
Quello sguardo così accorato che Cindy gli stava donando, quello sguardo così coinvolto, era semplicemente l’esempio lampante del fatto che il valore di Xavier era cresciuto.
Cindy voleva qualcosa da lui.
E lui aveva un muro d’orgoglio da non far cadere.
“Che ti serve ancora?” tuonò l’uomo, fissandola negli occhi, verdi come smeraldi.
Cindy abbassò lo sguardo, puntandolo sulle mani dell’uomo strette attorno alla valigetta del notebook e poi passò alle labbra; il tavolo ancora apparecchiato a dividerli mentre la sua mano, smaltata e sottile, continuava a stringergli il bicipite.
“Non andare via” ripeté.
Usò di nuovo quel tono, così debole e dolce da sfondare ogni orgoglio possibile.
Il biondo sospirò e fece segno di no con la testa, mettendosi di nuovo a sedere.
Cindy fece lo stesso, prendendogli la mano.
“Non credo sia il caso di mostrarti così affettuosa con me in questo posto...”.
“Non m’interessa di Angelo, né di quel che pensa. Tu sei mio amico ed io ti... ti voglio bene...” disse, dopo una piccola pausa. “Non posso più sopportare la tua mancanza... Sei stato importantissimo per la mia vita e voglio che tu lo sia ancora”.
“Cindy” tuonò Xavier. “Hai una vita piena d’impegni e responsabilità ed alcuni di questi li hai presi con un uomo che hai deciso di voler seguire per tutta la vita”.
“Io devo essere sincera: mi aspettavo di cambiarlo” annuì, stringendo più forte la mano dell’interlocutore. “Mi aspettavo di sciogliere quella corazza fredda e di riuscire a trovare in lui un po’ di calore umano, qualcosa che non mi facesse spegnere ma...”.
“Ma?”.
Xavier la guardava negli occhi.
“Ma non ce l’ho fatta; non ci sono riuscita”.
“Lui non ha calore da donarti, Cindy. Per me lui è sempre stato interessato solo a quello che il tuo corpo gli ha offerto per tutto questo tempo”.
Lei sorrise amaramente ed annuì. “E gli ho offerto tutto quello che potevo dargli, credimi, innamorata com’ero. Nella speranza di poterlo cambiare”.
“È sbagliato. Non puoi cambiare un uomo. Non devi”.
Cindy lo guardò, rapita da quell’affermazione. Rimase in silenzio, permettendogli di continuare a parlare.
“Quando due persone s’avvicinano... Cindy, non è giusto modificare il modo di essere di una persona perché a noi non piace com’è. Sinceramente è la cosa più sbagliata che esiste. Renderai il tuo uomo infelice, in questo modo”.
“Ma... poi sarei infelice io”.
“Vuol dire che devi trovare l’uomo che ti piace davvero. Non l’uomo che ti piace esteticamente, con la Palestra ad Amarantopoli ed il modo di fare tenebroso, perché alla lunga rompe un po’ le palle con gli sguardi profondi ed i silenzi prolungati” sorrise.
E lo fece anche lei.
“Ho fatto una stupidaggine enorme...” annuì quella. “Non avrei dovuto sposare Angelo”.
“Non ho detto questo”.
“Lo sto dicendo io. Avrei dovuto proseguire per il mio cammino, per come si prospettava. Questo mio colpo di testa mi ha fatto perdere quasi dieci anni di felicità...”.
Xavier voltò lo sguardo, vedendo Sadie prendere le ordinazioni dal tavolo accanto.
“Sono esperienze”.
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