Linnea - Bulletproof Cupid - 2 - My behavior's hard to understand, when I'm like a phone with no connection - but I'm still doin' all I can
H O L D O N T
O M E
(My
behavior's hard to understand, when I'm like a phone with no connection
- but I'm still doin' all I can)
(Qualche mese dopo gli eventi del
capitolo precedente, Lost without a clue)
Avvisi: implied mild drug abuse and illegal activities | kinda abusive relationships - but It's just these assholes way to deal w/ shit | veeeeery mild violence(???) | foul language
Avvisi: implied mild drug abuse and illegal activities | kinda abusive relationships - but It's just these assholes way to deal w/ shit | veeeeery mild violence(???) | foul language
Gli
aveva detto di aver “bisogno di una pausa” come se
fossero una
coppia di quattordicenni. Gold sapeva che questa storia della pausa
era tutta una stronzata che si dicevano le coppiette mentalmente
immature per illudersi di non star mettendo fine alla loro stupida
relazione. Gold aveva ventidue anni ed un sacco di problemi nella
testa ed il suo migliore amico barra scopamico barra
qualcosa-di-indefinito-che-è-meglio-non-definire gli aveva
detto di
avere bisogno di spazio.
Certo Silver era strano e spariva per mesi interi con la scusa di doversi allenare quando Gold sapeva benissimo che aveva semplicemente bisogno di time-out dalle convenzioni sociali e che i posti sperduti erano la sua comfort-zone, dato che era cresciuto come una specie di Mowgly nella giungla dei tempi moderni.
Gold si era detto che fosse uno di quei casi, solo che non lo era perché Silver a quella festa stava socializzando (per quanto potesse socializzare uno che dice ventisette parole contate al giorno come se avesse il limite di parole da usare e dopodiché non potesse più parlare) e l’unica distanza che sembrava star cercando era quella tra di lui e sé stesso. Ora Gold, non è che fosse stupido e non avesse la minima idea di come funzionassero le relazioni, ma era stato convinto che quella che aveva con Silver stesse andando abbastanza bene – per entrambi.
Certo Silver era strano e spariva per mesi interi con la scusa di doversi allenare quando Gold sapeva benissimo che aveva semplicemente bisogno di time-out dalle convenzioni sociali e che i posti sperduti erano la sua comfort-zone, dato che era cresciuto come una specie di Mowgly nella giungla dei tempi moderni.
Gold si era detto che fosse uno di quei casi, solo che non lo era perché Silver a quella festa stava socializzando (per quanto potesse socializzare uno che dice ventisette parole contate al giorno come se avesse il limite di parole da usare e dopodiché non potesse più parlare) e l’unica distanza che sembrava star cercando era quella tra di lui e sé stesso. Ora Gold, non è che fosse stupido e non avesse la minima idea di come funzionassero le relazioni, ma era stato convinto che quella che aveva con Silver stesse andando abbastanza bene – per entrambi.
L’anno scorso aveva fatto
l’errore di concentrarsi troppo su sé stesso per
poi scaricare
Silver come se avesse la peste, ma adesso le cose sembravano andare
bene! Si vedevano una volta a settimana quando i loro impegni
permettevano e Gold si sforzava di fare
quelle cose che a Silver piacevano – tipo dormire insieme o
portargli le sue adorate M&M’s anche se lui non
gliele aveva
chieste. Ed invece, il bastardo,
era arrivato ed era stato tutto il tempo tipo
“owwwww non lo so, sai, ho bisogno di
spazio per pensare,
nonononono non parlarmi gne gne gne”
(e probabilmente Silver era stato più conciso e meno
effemminato e
col suo solito tono apatico e senza fare versi da primate come nella
testa di Gold), ma il fatto era che non gli aveva dato neanche un
motivo, il bastardo! E
come se non bastasse alla festa che Blue aveva
organizzato, con gli invitati che lei aveva
scelto -sì, perché lo odiava fino a quel punto-
c’era anche un
certo finocchio col tutu che Silver avrebbe dovuto odiare!
Perché!
Lo! Aveva! Scaricato! E invece nah, Silver e Brian erano in ottimi
rapporti e Crystal si era avvicinata con un’espressione
così tesa
da far invidia a quella di un lama (o il corrispondente
Pokémon di
un lama) e aveva mugugnato:
“perchéSilverstaparlandoconquelcoglione?”,
così, senza spazi.
Ora,
Gold aveva ventidue anni e questi teatrini da quattordicenni gli
davano il voltastomaco, sarebbe volentieri andato lì a
spaccare quel
naso che neanche Dante che Silver aveva (anche se in altri giorni non
lo odiava così tanto, il suo naso) – e la cosa
neanche gli
conveniva perché anche se era fisicamente superiore a lui,
Silver
sapeva picchiare duro, e non voleva rischiare una concussione e
la perdita degli incisivi superiori. Che
poi, si chiedeva cosa avrebbe fatto Brian nel remoto caso che Gold
andasse davvero a calare un pugno sulla faccia di Silver – un
tizio
che si fa chiamare “Bree” (ma solo da Silver), come
se fosse una
specie di personificazione di un formaggio francese, sicuramente non
era pericoloso.
E Gold avrebbe anche fatto notare questa cosa a Crys, se non fosse che proprio “Bree” non si fosse voltato ed avesse iniziato a camminare verso di loro tutto sorridente, col suo bicchiere di plastica rossa in mano e Silver ed il suo sguardo omicidia che urlava “cattiva idea! Abortire la missione!” in qualunque modo lo si guardasse appresso. Insomma, era arrivato ed aveva abbracciato Crystal e le sue spalle tesissime, avevano parlato e Crystal gli aveva detto che “sì! Certamente verrò a vederti quando ti esibirai a Violapoli! Sai che mi piace la danza classica” mentre Silver faceva quella cosa da asociale che faceva sempre quando la situazione non gli conveniva – ovvero starsene lì con sguardo omicida e l’espressione da “mamma, voglio andare a casa! Uffa!” stampata in faccia. Brian lo aveva ignorato fino alla fine, poi Crystal, ovviamente, da buona amica qual’era, si era dileguata a salutare la sorella di un suo amico, come se fosse una cosa importante da fare proprio in quell’esatto momento, e Brian si era voltato verso di lui, guardandolo letteralmente dall’alto, visto che era alto quanto un palo della luce e altrettanto magro (sicuramente i leggins da finocchio che mostravano il suo pacco a tutto il pubblico mentre giocava a fare Billy Elliot sul palco gli stavano un incanto) e Silver adesso lo fissava con quello sguardo che prometteva sacrifici cruenti al signore oscuro se Brian non fosse uscito da quella situazione immediatamente.
“Sei Gold, giusto? Ho sentito molto parlare di te” aveva detto ammiccandogli come l’ebete che era.
“Io no” aveva risposto Gold, perché era sicuro che Brian in qualche modo sapesse del casino che aveva appena alzato Silver (magari si vedeva lontano un miglio, o magari Blue gli aveva detto di buttarsi visto che Silver voleva “spazio” e lei lo odiava a morte e voleva a tutti i costi che smettessero di vedersi), e stranamente la bocca di Brian si era arricciata in una smorfia di disgusto che rovinò la sua façade da principino ingenuo e immacolato. Silver ormai aspettava passivamente che la situazione cambiasse.
“Certo” Brian aveva ripreso a sorridere, ma quell’hint demoniaco non era sparito dai suoi occhi blu “perché avresti dovuto?”.
“Silver! Brian! Venite qua!”
“Scusaci” aveva continuato lui, prendendo Silver per un braccio (Silver odiava essere trascinato e toccato in qualunque modo, eppure non si scrollò di dosso la mano) e si diresse verso Blue che li guardava allegra e ignorava del tutto la sua presenza.
Se fosse stato un paio d’anni addietro, Gold sarebbe andato a calare una pioggia di pugni sulla faccia di Brian e avrebbe mandato a puttane la festa di Blue per vendetta, ma adesso le aspettative sociali che lo credevano “adulto” gli impedivano di andare ad ammazzare il tizio che aveva praticamente appena pisciato sul suo migliore amico per marchiare il territorio. Come se lui c’entrasse un cazzo, con Silver.
Sospirò invece, e si passò una mano sotto al ciuffo notando come stesse sudando, Crystal lo guardava dall’altra parte del salotto accanto gente che non conosceva.
E Gold avrebbe anche fatto notare questa cosa a Crys, se non fosse che proprio “Bree” non si fosse voltato ed avesse iniziato a camminare verso di loro tutto sorridente, col suo bicchiere di plastica rossa in mano e Silver ed il suo sguardo omicidia che urlava “cattiva idea! Abortire la missione!” in qualunque modo lo si guardasse appresso. Insomma, era arrivato ed aveva abbracciato Crystal e le sue spalle tesissime, avevano parlato e Crystal gli aveva detto che “sì! Certamente verrò a vederti quando ti esibirai a Violapoli! Sai che mi piace la danza classica” mentre Silver faceva quella cosa da asociale che faceva sempre quando la situazione non gli conveniva – ovvero starsene lì con sguardo omicida e l’espressione da “mamma, voglio andare a casa! Uffa!” stampata in faccia. Brian lo aveva ignorato fino alla fine, poi Crystal, ovviamente, da buona amica qual’era, si era dileguata a salutare la sorella di un suo amico, come se fosse una cosa importante da fare proprio in quell’esatto momento, e Brian si era voltato verso di lui, guardandolo letteralmente dall’alto, visto che era alto quanto un palo della luce e altrettanto magro (sicuramente i leggins da finocchio che mostravano il suo pacco a tutto il pubblico mentre giocava a fare Billy Elliot sul palco gli stavano un incanto) e Silver adesso lo fissava con quello sguardo che prometteva sacrifici cruenti al signore oscuro se Brian non fosse uscito da quella situazione immediatamente.
“Sei Gold, giusto? Ho sentito molto parlare di te” aveva detto ammiccandogli come l’ebete che era.
“Io no” aveva risposto Gold, perché era sicuro che Brian in qualche modo sapesse del casino che aveva appena alzato Silver (magari si vedeva lontano un miglio, o magari Blue gli aveva detto di buttarsi visto che Silver voleva “spazio” e lei lo odiava a morte e voleva a tutti i costi che smettessero di vedersi), e stranamente la bocca di Brian si era arricciata in una smorfia di disgusto che rovinò la sua façade da principino ingenuo e immacolato. Silver ormai aspettava passivamente che la situazione cambiasse.
“Certo” Brian aveva ripreso a sorridere, ma quell’hint demoniaco non era sparito dai suoi occhi blu “perché avresti dovuto?”.
“Silver! Brian! Venite qua!”
“Scusaci” aveva continuato lui, prendendo Silver per un braccio (Silver odiava essere trascinato e toccato in qualunque modo, eppure non si scrollò di dosso la mano) e si diresse verso Blue che li guardava allegra e ignorava del tutto la sua presenza.
Se fosse stato un paio d’anni addietro, Gold sarebbe andato a calare una pioggia di pugni sulla faccia di Brian e avrebbe mandato a puttane la festa di Blue per vendetta, ma adesso le aspettative sociali che lo credevano “adulto” gli impedivano di andare ad ammazzare il tizio che aveva praticamente appena pisciato sul suo migliore amico per marchiare il territorio. Come se lui c’entrasse un cazzo, con Silver.
Sospirò invece, e si passò una mano sotto al ciuffo notando come stesse sudando, Crystal lo guardava dall’altra parte del salotto accanto gente che non conosceva.
Uscì
in giardino nell’aria umida di novembre, tirò
fuori una sigaretta
dal pacchetto che aveva comprato quella mattina; a sedici anni per
cancellare i suoi problemi sniffava qualunque cosa Silver gli
portasse. Avevano avuto un’adolescenza rocambolesca; Silver
aveva
fatto il corriere in un momento di depressione e miseria da cui non
sapeva come tirarsi fuori, Gold cercava di mettere le mani su
qualunque eccitante Silver avesse appresso perché era
emotivamente
costipato e non riusciva ad esternare i
sentimenti autodistruttivi che ogni adolescente prova; questa cosa
gli era costata il suo posto nella nazionale di Pokéathlon e
da
allora aveva smesso – anche se delle volte i media ancora
parlavano
degli strabilianti risultati che lui sedicenne aveva ottenuto senza
sforzarsi poi neanche tanto. Adesso era un po’ più
vecchio e
capiva la pericolosità della droga, quindi si limitava alla
buona,
vecchia, cancerogena sigaretta.
Dalla
finestra semiaperta del salotto trapassava un alone di luce arancione
ed il chiacchiericcio di quel ritrovo di giovani adulti tutti uguali
ed un po’ hipster, e lui sentì di non farne parte.
Brian e Silver
adesso parlavano sul divano, il rosso era indecifrabile come al
solito e guardava il collo della bottiglia di birra che teneva tra le
mani mentre parlava, Brian sedeva a gambe larghe e le braccia
poggiate all’indietro sullo schienale, proprio dietro le
spalle di
Silver. Gold si rese conto con un sospiro di essere geloso, e cazzo,
era pure legittimo! Silver sapeva di essere importante per lui,
glielo aveva detto lui chiaramente, ed
era sceso a patti sull’essere
attratto
sia fisicamente che
sentimentalmente a lui; aveva fatto una lunga strada per lui, avevano
vissuto più anni insieme che da separati, ed ecco che Silver
aveva
di colpo dubbi e bisognava “spazio” e parlava
amabilmente
col suo ex, un ex che aveva camminato sul suo pavimento e
dormito nel suo letto e lo aveva aiutato a scegliere tra uno dei
tanti appartamentini arredati per studenti.
Silver
non era una persona adatta alle feste, Silver amava la quiete e
l’intimità di un gruppo ristretto di amici; aveva
quell’idea
romantica di serata passata
a fare cose senza pretese come giocare a carte (anche se quando
succedeva andava tutto a puttane perché lui, Green e Gold
finivano
per allearsi e barare palesemente per far arrabbiare gli altri), o
arrostire un po’ di carne in riva al fiume che passava in
mezzo al
Bosco Smeraldo. A Silver le feste non piacevano perché era
un
contesto instabile in cui passava dalla difficoltà del dover
prestare attenzione a più persone che volevano parlargli
all’essere
solo e dover cercare di ritrovare una posizione in mezzo agli altri.
Soprattutto, alle feste venivano un sacco di persone e gente che non
avrebbe dovuto incontrarsi si incontrava, e cose che non dovevano
essere viste venivano viste.
Silver
non aveva dubbi su quello che provasse
per Gold, mai avrebbe potuto; ma continuava a chiedersi, è
questa la vita che voglio vivere? E’ questa, con una persona
che ha
limiti spinosi che soffocano? E’ questa, con qualcuno che mi
tratta
costantemente come se fossi qualcuno da cui beneficiare senza dare
nulla indietro? Tempo
addietro
Silver si era detto che avrebbe voluto Gold in qualunque modo gli si
fosse offerta la possibilità di stargli vicino, ora si
rendeva
conto che i suoi bisogni e i suoi desideri non erano in simbiosi, e
che mentre amava, e Cristo, se l’amava!,
Gold, quella situazione era così orribile e soffocante che
aveva
dovuto dire stop, e
adesso era la prima volta che vedeva Gold dopo due settimane
– due
settimane in cui stranamente non si era sentito troppo male. Anzi,
per la prima volta in molto tempo si era di nuovo sentito stabile e
padrone di sé stesso.
Adesso però erano le due meno un quarto e Bree gli aveva chiesto di accompagnarlo a casa con Jenny. “Non ho il casco”, gli aveva risposto, ma Bree aveva insistito che non fosse un così grande problema. Aveva insistito dicendo che aveva bevuto e che se lui, che aveva preso soltanto due birre non l’avesse accompagnato avrebbe dovuto chiamare un taxi per tornare a casa - e a dire il vero Silver aveva voglia di accompagnarlo anche se sapeva cosa volesse Bree da lui. Quindi erano sgattaiolati via senza dire niente a nessuno, Silver attento che Gold non lo vedesse mentre giocava a poker nella cucina, e si promise di ritornare subito. Nessuno si sarebbe accorto della sua mancanza. Raggiunsero in silenzio la sua adorata Kawasaki KLX 250, il sellino era umido ma non aveva ancora piovuto.
“Ciao, Jenny” aveva detto Bree accarezzandone la carrozzeria nera opaca – una scelta pericolosa per quel tipo di moto ma quando Blue l’aveva regalata a Silver per il suo compleanno non avrebbe potuto fare scelta migliore. Silver infilò il casco e scavallettò la moto, Brian lo raggiunse sulla sella un po’ piccola per due persone.
Quando Bree lo strinse all’altezza della vita Silver credette di doversi sentire in colpa, ed invece non provò assolutamente niente.
Adesso però erano le due meno un quarto e Bree gli aveva chiesto di accompagnarlo a casa con Jenny. “Non ho il casco”, gli aveva risposto, ma Bree aveva insistito che non fosse un così grande problema. Aveva insistito dicendo che aveva bevuto e che se lui, che aveva preso soltanto due birre non l’avesse accompagnato avrebbe dovuto chiamare un taxi per tornare a casa - e a dire il vero Silver aveva voglia di accompagnarlo anche se sapeva cosa volesse Bree da lui. Quindi erano sgattaiolati via senza dire niente a nessuno, Silver attento che Gold non lo vedesse mentre giocava a poker nella cucina, e si promise di ritornare subito. Nessuno si sarebbe accorto della sua mancanza. Raggiunsero in silenzio la sua adorata Kawasaki KLX 250, il sellino era umido ma non aveva ancora piovuto.
“Ciao, Jenny” aveva detto Bree accarezzandone la carrozzeria nera opaca – una scelta pericolosa per quel tipo di moto ma quando Blue l’aveva regalata a Silver per il suo compleanno non avrebbe potuto fare scelta migliore. Silver infilò il casco e scavallettò la moto, Brian lo raggiunse sulla sella un po’ piccola per due persone.
Quando Bree lo strinse all’altezza della vita Silver credette di doversi sentire in colpa, ed invece non provò assolutamente niente.
Smeraldopoli
non era lontana da Biancavilla e le ruote divoravano chilometro su
chilometro mentre il rombo del motore riempiva le strade deserte; più
l’indicatore di velocità saliva più
Bree lo stringeva forte –
ed era bello e sapeva di comfort e di casa, sapeva di amore e
tranquillità, qualcosa che aveva cercato tutta la vita. Ad
un certo
punto della sua vita Silver aveva deciso di smettere di pensare a
sistemare ciò che era successo in passato, ma quella
sensazione di
mancanza era sempre rimasta e si torceva dentro di lui come una
bestia agonizzante, faceva male e gli mozzava il respiro; in testa
aveva questa scena che aveva vissuto quando aveva sette anni. Si
trovava da qualche parte nel nord di Johto e Blue se n’era
appena
andata a Kanto; le notti erano solitarie e lui si rannicchiava sotto
gli alberi, mangiava e dormiva poco perché in inverno non si
trovava
molta frutta in giro e perché aveva paura che
addormentandosi
sarebbe morto di freddo. Insomma, uno di questi giorni mentre stava
vicino ad un torrente per cercare di catturare un Magikarp ed avere
finalmente qualcosa di sostanzioso da mangiare scivolò sulle
rocce
umide e cadde. Non finì in acqua fortunatamente, ma si
ferì la
gamba destra; ripensandoci probabilmente si era lesionato una tibia,
ma allora era piccolo e non capiva la gravità della caduta.
Ricordava però il dolore lancinante e che ad un certo punto,
mentre
cercava di arrampicarsi e tornare indietro il dolore divenne
così
forte che senza neanche rendersene conto si piegò in avanti
a
vomitò. Non collegò la cosa e dopo una ventina di
minuti riuscì a
risalire e a strisciare sotto gli alberi per ripararsi dalla pioggia
che nel frattempo aveva iniziato a cadere; nella
sua testa vedeva un’immagine che aveva visto poco tempo
prima, il
giorno dopo che Blue era partita, in cui un bambino più
grande di
lui mentre giocava con i suoi amichetti cadde e si sbucciò
il
ginocchio e subito sua madre arrivò a placare le sue urla
isteriche
e ad asciugare le sue lacrime. Silver non era abituato a piangere
perché se l’uomo mascherato li sentiva lamentare
li puniva o li picchiava, ma in quel momento, mentre premeva la sua
piccola manina infangata contro la bocca per soffocare i sussulti del
pianto, credette di non avere
nulla al mondo e di volere soltanto la sua mamma, avrebbe voluto che
lei
fosse lì a dirgli che non era niente e ad asciugargli le
lacrime
anche se la sua faccia era appiccicosa e a baciarlo e a cullarlo.
Crescendo
e conoscendo la sua famiglia i desideri di Silver erano cambiati, ma
quel dolore antico al centro del suo petto che urlava per attenzioni
e consolazione era rimasto immutato per quanto lui cercasse di
soffocarlo.
La sua relazione con Brian era stata breve e piena di litigi – Brian era geloso e possessivo e sapeva che Gold fosse ancora nella sua testa, eppure nei momenti di pace quel suo dolore primordiale sembrava quasi saziato. Poi Bree se n’era andato perché non sopportava l’idea che in mezzo alla loro storia ci fosse il fantasma di Gold, e Silver l’aveva lasciato andare perché era stanco dell’ossessività dell’altro e di essere rimproverato ogni volta che tornava tardi o che non rispondeva al telefono – cose che faceva di proposito per evitarlo perché si andava stancando della sua mancanza di fiducia. All’inizio aveva dato la colpa di tutto a Bree, poi aveva capito che era stato lui ad innescare quella sua paranoia. Perché in effetti lui aveva ancora in testa Gold. Proprio come in quel momento, anche se adesso la sensazione che provava era diversa.
Adesso era lui ad avere in mano la sorte della sua relazione, ma i dubbi che aveva in testa erano così tanti da soffocarlo. Bree una sera di settembre si era presentato a casa sua, era martedì e lo aveva trovato a mangiare ramen crudo davanti ai cartoni animati. Gli aveva detto che gli dispiaceva, che ancora pensava a lui; ma Silver aveva Gold adesso, e Gold era tutto quello che voleva. Non pensava che Bree gli avrebbe più rivolto la parola dopo quel fiasco, ed invece lo aveva fatto. Ed era bello, perché anche se a primo acchito Brian potesse sembrare una testa calda qualunque in realtà aveva i suoi stessi interessi e s’era laureato in filosofia; quando stavano ancora insieme e Bree era ancora all’università, usava raccontargli di quello che studiava, ed era così bravo ad esporre da rendere tutto interessante, e la sua voce lo calmava e lo faceva sentire bene. Quei momenti erano bellissimi e intimi e dolorosamente normali tra una coppia, Silver non aveva nessuno all’infuori di lui ed era bello sentirsi finalmente appoggiati e vicini a qualcuno. Gold non gli aveva mai dato nulla di tutto questo; Gold era un dolore bruciante al centro del petto e una voglia mai saziata; era come se lui stesse morendo di sete e l’acqua fresca davanti a lui gli fosse vietata. Gold non era un “finocchio” e per questo era distante, e Silver provava a capirlo e ad apprezzare il suo sforzo, ma delle volte, specialmente nei fine settimana quando Gold ormai dormiva da ore accanto a lui, si ritrovava a pensare a quei momenti, a Brian che andava a letto più tardi di lui quando la mattina non aveva le prove e gli dava un bacio sulla testa prima di coricarsi dal suo lato, rabbrividendo nel freddo delle lenzuola. Pensava a quando gli stringeva la mano un attimo prima di lasciarlo andare nei momenti più disparati, pensava a come gli importasse e a come fosse ferito, sapendo che nella sua testa ci fosse qualcun altro. Alla sua paura di perderlo, che alla fine era stata così tanta da aver creato un malessere che aveva reso la loro vita invivibile, e che li aveva infine condotti su due strade diverse. Paragonare la qualità di quella storia a quella che aveva con Gold lo faceva sentire in colpa, ma non poteva farne a meno.
La sua relazione con Brian era stata breve e piena di litigi – Brian era geloso e possessivo e sapeva che Gold fosse ancora nella sua testa, eppure nei momenti di pace quel suo dolore primordiale sembrava quasi saziato. Poi Bree se n’era andato perché non sopportava l’idea che in mezzo alla loro storia ci fosse il fantasma di Gold, e Silver l’aveva lasciato andare perché era stanco dell’ossessività dell’altro e di essere rimproverato ogni volta che tornava tardi o che non rispondeva al telefono – cose che faceva di proposito per evitarlo perché si andava stancando della sua mancanza di fiducia. All’inizio aveva dato la colpa di tutto a Bree, poi aveva capito che era stato lui ad innescare quella sua paranoia. Perché in effetti lui aveva ancora in testa Gold. Proprio come in quel momento, anche se adesso la sensazione che provava era diversa.
Adesso era lui ad avere in mano la sorte della sua relazione, ma i dubbi che aveva in testa erano così tanti da soffocarlo. Bree una sera di settembre si era presentato a casa sua, era martedì e lo aveva trovato a mangiare ramen crudo davanti ai cartoni animati. Gli aveva detto che gli dispiaceva, che ancora pensava a lui; ma Silver aveva Gold adesso, e Gold era tutto quello che voleva. Non pensava che Bree gli avrebbe più rivolto la parola dopo quel fiasco, ed invece lo aveva fatto. Ed era bello, perché anche se a primo acchito Brian potesse sembrare una testa calda qualunque in realtà aveva i suoi stessi interessi e s’era laureato in filosofia; quando stavano ancora insieme e Bree era ancora all’università, usava raccontargli di quello che studiava, ed era così bravo ad esporre da rendere tutto interessante, e la sua voce lo calmava e lo faceva sentire bene. Quei momenti erano bellissimi e intimi e dolorosamente normali tra una coppia, Silver non aveva nessuno all’infuori di lui ed era bello sentirsi finalmente appoggiati e vicini a qualcuno. Gold non gli aveva mai dato nulla di tutto questo; Gold era un dolore bruciante al centro del petto e una voglia mai saziata; era come se lui stesse morendo di sete e l’acqua fresca davanti a lui gli fosse vietata. Gold non era un “finocchio” e per questo era distante, e Silver provava a capirlo e ad apprezzare il suo sforzo, ma delle volte, specialmente nei fine settimana quando Gold ormai dormiva da ore accanto a lui, si ritrovava a pensare a quei momenti, a Brian che andava a letto più tardi di lui quando la mattina non aveva le prove e gli dava un bacio sulla testa prima di coricarsi dal suo lato, rabbrividendo nel freddo delle lenzuola. Pensava a quando gli stringeva la mano un attimo prima di lasciarlo andare nei momenti più disparati, pensava a come gli importasse e a come fosse ferito, sapendo che nella sua testa ci fosse qualcun altro. Alla sua paura di perderlo, che alla fine era stata così tanta da aver creato un malessere che aveva reso la loro vita invivibile, e che li aveva infine condotti su due strade diverse. Paragonare la qualità di quella storia a quella che aveva con Gold lo faceva sentire in colpa, ma non poteva farne a meno.
Nel
frattempo arrivò sotto casa di Bree, poggiò i
piedi a terra per bilanciare
la moto e aspettò che Brian scendesse con il motore acceso.
Il
calore sparì dalla sua schiena, Bree riapparve davanti a lui
guardandolo preoccupato.
“A che pensi?”
“Niente, sono stanco”
“Levati il casco...” Brian aprì da solo la cinghia del casco e glielo sfilò, studiando poi più liberamente i suoi occhi argentei. Silver lo guardava osservarlo, il suo sguardo guizzare da un occhio all’altro per leggerlo dentro. Spense il motore; stava sprecando carburante.
Brian sospirò una nuvoletta di condensa sul suo mento, con quell’espressione che sembrava dire “sei sempre il solito”, piena di malinconia e rassegnazione. Ma l’attimo dopo lo stava baciando e le sue labbra erano calde ed il suo naso lo stuzzicava ed il suo mento era ispido; Silver ricambiò.
“A che pensi?”
“Niente, sono stanco”
“Levati il casco...” Brian aprì da solo la cinghia del casco e glielo sfilò, studiando poi più liberamente i suoi occhi argentei. Silver lo guardava osservarlo, il suo sguardo guizzare da un occhio all’altro per leggerlo dentro. Spense il motore; stava sprecando carburante.
Brian sospirò una nuvoletta di condensa sul suo mento, con quell’espressione che sembrava dire “sei sempre il solito”, piena di malinconia e rassegnazione. Ma l’attimo dopo lo stava baciando e le sue labbra erano calde ed il suo naso lo stuzzicava ed il suo mento era ispido; Silver ricambiò.
Ai suoi piedi si era formato un cumulo di mozziconi di sigarette schiacciate. Gold accese l’ultima e schiacciò il pacchetto con una mano, facendolo cadere sul cumulo. Schiuse le labbra e tenne la sigaretta in equilibrio, sbuffò una nuvola di fumo e condensa. Il suo culo era umido sugli scalini sporchi, e anche se era mattino presto sembrava ancora notte fonda, il cielo era nero e tutte le luci dei palazzi ancora spente.
Potevi sentire Silver arrivare da lontano, il rumore di Jenny prima era un lontano rimbombo e poi pian piano diventava sempre più chiaro, fino a che la moto non sfilò davanti a lui e si infilò nel garage dalla porta automatica. In un minuto Silver era fuori e camminava verso i gradini su cui lui era seduto, davanti al portone del palazzo. Non lo aveva notato comunque, stava controllando il telefono e la luce bianca rifletteva le perenni occhiaie che gli scavavano il volto. Si accorse della sua presenza solo a pochi metri, i suoi occhi erano sbarrati e la sua faccia esprimeva stupore.
“Gold”; Il corvino gli fece un cenno con la testa.
“Che ci fai qui?” arricciò le labbra e fece un tiro dalla sigaretta prima di rispondere.
“Niente. Volevo parlarti; ma non eri a casa”
“...Perché non hai chiamato?” Gold fece spallucce. Ci fu un attimo di silenzio, e dal suo sguardo Gold sapeva che Silver sapeva che lui aveva capito. Ed infatti Gold sganciò la bomba.
“Ci hai scopato, vero?” Silver rimase in silenzio e la sua espressione era dura ed in qualche modo spaventata, piena di vergogna. Gold sospirò e si limitò a guardarlo. Fosse stata qualunque altra persona si sarebbe messo a fare scenate, ma Silver le cose le faceva per un motivo e se aveva deciso di allontanarsi da lui e andarsene con Brian allora aveva una ragione. Adesso però restava zitto in attesa della sua sentenza.
“Non hai niente da dire?”
“...”
“Va bene” Gold si alzò e di colpo ogni osso del suo corpo faceva male, aveva voglia di annichilire Brian e di non vedere mai più Silver. Silver che lo aveva tradito quando lui si era fidato di lui, quando lui gli aveva lasciato lo spazio che voleva anche se non conosceva il motivo per il quale lui volesse allontanarsi.
“Mi dispiace” si affrettò a dire Silver, ma era incolore e Gold gli mollò un destro sul mento con tutta la forza che aveva. Qualcosa dentro di lui bruciava terribilmente e Silver gli aveva detto “mi dispiace” senza neanche fingere che gli importasse davvero qualcosa. Le sue mani erano attorno al collo di Silver, stringevano leggermente, Gold sbatté piano la sua testa contro quella del rosso.
“Non. Mentire. Brutto figlio di puttana” aveva il fiatone e la furia si dibatteva dentro di lui, gli diceva di picchiare Silver fino ad ucciderlo, ma due semplici mani bianche attorno ai suoi polsi lo fermavano.
“Scusa. Scusa.” faceva Silver, e il suo sguardo era molle contro quello furibondo di Gold.
“Parliamo, parliamo. Entriamo” Gold strinse più forte le mani, Silver si irriggidì sul serio stavolta, e nei suoi occhi si chiedeva se davvero sarebbero finiti a far botte. Poi però Gold lo spinse indietro ed iniziò a camminare verso il portone. Era un orario indecente e lui era stanco e stufo, ma voleva sentirsi dire qualcosa da Silver, il perché di tutta questa grande stronzata proprio nel momento in cui erano stati felici. In ascensore non si rivolsero la parola, Silver sembrava sentirsi tremendamente in colpa adesso, si asciugava col palmo della mano il sangue che sgorgava da un piccolo taglio che gli aveva fatto lui sul labbro. Uscirono e mentre lui apriva la porta Gold decise che prima di sentire cosa avesse lui da dirgli, avrebbe infierito un po’.
Si sbatté la porta alle spalle e cominciò a parlare.
“Quindi fammi capire” prese un respiro per mantenersi sotto controllo “tu mi dici che vuoi che ci separiamo per un po’ e poi scopi con un arrogante coglione che rimorchi DAVANTI A ME.” Silver continuava a guardarlo con quella sua faccia da Meowth che ha appena distrutto tutti i cuscini del divano e adesso vuole essere perdonato.
“E RISPONDIMI, CAZZO!” Questa volta urlò, e lo spinse.
“Ci hai scopato, huh?” lo afferrò per un braccio e Silver adesso stava ricambiando la sua aggressività, si scrollò la sua presa di dosso e lo spinse indietro.
“Non mi toccare”. Sospirò, abbassò lo sguardo. “Sì; mi dispiace, Gold”
“Eh” Gold sorrideva adesso, ma era un sorriso infelice; ogni parte del suo corpo doleva alla consapevolezza di quello che Silver aveva fatto. Si era fidato, era stato presente; eppure non aveva fatto nulla per impedirlo, avrebbe dovuto mettersi in mezzo e non dare fiducia a Silver. La gelosia prese fuoco in lui come una vampata, infilò i pugni chiusi nelle tasche della felpa e li strinse più che poteva.
“Mi dispiace, Gold”
“Continui a ripeterlo”
“Perché è davvero così”
“Però mentre te lo scopavi non ti dispiaceva” e di nuovo Silver rimase in silenzio.
“Perché tutto questo? Pensavo fossimo felici”
“Io non l’ero.”
“… ...Come scusa?”
“Non ero felice, Gold. Ti ho chiesto di fare una pausa perché non so più se questo è quello che voglio”.
“E Brian?”
“...” Silver raramente aveva torto nelle cose, e la colpa era qualcosa che non sapeva gestire; i suoi occhi vagavano ovunque ma lui si forzava di puntarli nuovamente su Gold. “Abbiamo deciso insieme di lasciarci. Ma abbiamo continuato a vederci, da amici.”
“Poi una sera si è presentato a casa mia e ha detto che pensava ancora a me; non sapeva… di noi due. Da allora ci siamo sentiti un po’ meno, però oggi mi ha detto che rimpiangeva non aver provato a sistemare le cose, tra di noi”
“E tu cosa pensi di fare?”
“Non lo so”
“E dovresti saperlo invece, visto che hai avuto abbastanza tempo per decidere. Mentre lo vedevi a mia insaputa!”
“...”
“Silver” sorrideva ancora, Gold; il suo sguardo faceva paura “sto per andarmene. Scegli adesso perché se esco fuori da quella porta finisce tutto”
“No. Gold, non è come pensi tu, io-”
“Ah e com’è allora?!”
“Io sono innamorato di te” per un attimo Gold ebbe un flashback di quel pomeriggio tardo di tanto tempo fa, in quel bar a Fiordoropoli “-ma noi… noi non siamo niente. Gold, questa cosa che abbiamo non ha senso, e io lo so che questo è proprio quello che volevi tu, ma non fa per me; odio questa situazione. Bree… mi offrirebbe stabilità. Una relazione vera. E quindi non so che fare.” Gold sapeva cosa intendesse Silver. Lui voleva essere il suo ragazzo, voleva essere trattato da tale. Sentì salire l’umiliazione, non aver capito che Silver non fosse soddisfatto era vergognoso per lui.
“Perché non hai parlato?”
“Perché ti accetto per come sei.” Silver era triste “tu non sei gay, Gold, e non so cosa ti spinga a fare tutto questo, ma so che in testa abbiamo due idee diverse di quello che dovrebbe essere la nostra relazione, e tu già ti sei sforzato abbastanza, e non voglio chiedere nulla che risulti finto. Se avessi voluto mi avresti trattato così” di colpo bisbigliava, ed i suoi occhi erano vulnerabili e Gold vedeva tutta la solitudine e i vuoti d’affetto che Silver si portava sulle spalle. E allo stesso tempo lo odiava, perché era andato via con Brian c’aveva fatto sesso come se non gl’importasse nulla di lui. Tacque degli istanti cercando di lasciare sedimentare tutti quei sentimenti contrastanti dentro di sé.
“Avresti dovuto parlarmene. E invece hai continuato a frequentare Brian senza dirmi niente e oggi te ne sei andato con lui a- cristo, mi fai così incazzare! Ti odio, ti odio davvero in questo momento e vorrei davvero non doverti più vedere. Ma so che direi una cazzata ad andarmene adesso da quella porta e dirti di andartene a fanculo e strisciare da Brian, me ne pentirei terribilmente e quindi ti odio ancora di più. Vaffanculo, Silver.”
“Ti amo”
“Vaffanculo. Vaffanculo. Ti sei scopato Brian” Gold gli diede le spalle di colpo, rilasciando lo stess tramite una risata incolore. Era esasperato ed era terribile quello che Silver aveva fatto, e adesso stava lì a dirgli che l’amava, quel bastardo una coscienza non l’aveva!
“Silver. Vuoi stare con me o con lui?”
“Con te.”
“E allora perché tutta questa pagliacciata?”
“Perché volevo fare la cosa giusta per entrambi”
“Quindi mi fai le corna?” Silver sospirò e non rispose. Gold si voltò a guardarlo.
“Io voglio stare con te, Silver. Altrimenti non sarei dove sono e soprattutto non ci starei male. Anche se sono terribilmente incazzato (e con la storia di Brian non è ancora finita qui) e se- e se non faccio il romantico con te è perché mi imbarazzo. E non ridere, che sei un terribile coglione. Smettila, ti odio. Cristo” Gold sentiva caldo e la sua faccia aveva decisamente un problema con il rossore, ma Silver sorrideva anche se i suoi occhi erano ancora tristi e Gold si disse che l’imbarazzo non fosse poi così importante.
“Non voglio che tu ti veda più con quello là” aggiunse con tono più serio.
Silver lo abbracciò ma la vicinanza gli diede più fastidio che conforto, lo spinse via irritato.
“Sono troppo arrabbiato, lasciami stare. Ho bisogno di dormirci sopra e mi fa schifo ché quello t'ha toccato. Chiamo un taxi e vado a dormire a casa di Red. Vedi di non fare altre cazzate mentre sto fuori. Domani continuiamo a parlare, vengo per pranzo.”
Trovare un taxi alle sei ed un quarto non era difficile in quanto non c’era molta gente in giro. Mentre sedeva sui sedili posteriori di una vecchia Cortina telefonò a Red, ci vollero sette squilli prima che rispondesse?
“Ma che cazzo di problemi hai?”
“Bro, scusa per l’orario. Mi serve un posto dove dormire”
“Huh? E che ci fai ancora fuori?”
“Eh, lunga storia; allora, mi ospiti?”
“Mamma non vuole gente sul divano senza preavviso, se ti vede le viene un colpo. Ti dovrai accontentare del tappetino del bagno”
“Divertente. Sto arrivando”
In pochi minuti raggiunse la villetta in cui era nato e cresciuto Red; lui viveva in un lussuoso appartamento privato offerto dalla Lega Pokémon, e tornava raramente in quella casa. Lui lo aspettava sul portico con una felpa rossa addosso ed il cappuccio alzato sulla testa. Gli porse una mano e Gold la strinse, guardando l’espressione stanca e rassegnata del suo migliore amico. Salirono in silenzio le scale e si infilarono direttamente nella camera di Red, il piccolo divanetto blu accanto alla scrivania era già attrezzato con un cuscino e due coperte colorate.
“Mi spieghi che è successo?” fece Red, calciando via i pantaloncini di tuta che aveva addosso e sedendosi sul suo materasso con solo i boxer bianchi addosso. Gold si limitò a fissarlo per qualche istante, prima di decidersi a spillare.
“Sai che Silver è gay, no?”
“Heh”
“Diciamo che io e lui stiamo insieme. Anche se non è proprio co-”
“COSA?!”
“Pshh! Non urlare, coglione; svegli tua madre”
“No-- spiegami un attimo, sei finocchio pure tu?”
“NO! Cristo. Fammi parlar- smettila di ridere. Piantala.”
“D’ora in poi quando sarò con te starò col culo rivolto al muro!”
“Red-”
“Ti hanno buttato fuori dal Pokéathlon perché molestavi gli altri negli spogliatoi?”
“FINISCILA.” Un’emozione che Gold esprimeva bene era la rabbia, Red la smise immediatamente.
“Scusa”
“Dicevo. Non sono gay. E’ una cosa che va avanti da un sacco di anni e avevamo rimesso le cose a posto da poco. Nel senso che stavamo insieme, tipo. Comunque a turno passavamo il fine settimana l’uno a casa dell’altro ma due settimane fa, quando toccava a lui venire da me, mi chiama e mi dice di volere una “pausa”; io dico che cazzo Silver, perché? E siccome lui è letteralmente una ragazzina mestruata quando si parla di queste cose, si mette a fare lo snob e dice di aver bisogno di tempo per pensare e che non c’era nulla che potessi fare. Dice di lasciarlo un po’ in pace e così io faccio, perché lo conosco e Cristo se sa essere asociale. Comunque per due settimane non ci vediamo e oggi ci incontriamo alla festa di Blue. La stronza, che sa la storia, e mi odia a morte e cerca sempre di convincere Silver a lasciarmi perdere invita anche quel coglione dell’ex di Silver, quello con la camicia attillata e la barbetta, lo sai quale; e io scopro solo DOPO che i due stronzi ancora si sentivano – roba che neanche alle scuole medie – comunque io mi fido perché dei due sono sempre io quello che fa cazzate ma lui stasera se ne va e ci scopa insieme. Sono stato sotto casa sua a congelarmi le palle fino alle cinque, l’idiota arriva tutto contento e inizia a dirmi che non sa se vuole stare con me perché non gli tengo la manina o lo porto al cinema, ma che cazzo! Potrei farti una lista puntata di cose sbagliate che vedo in questa storia – anzi te la faccio. Prima di tutto se hai dei problemi con me me ne parli, come tutte le persone normali – ma secondo me Silver è autistico e pure coglione, che è una doppia disabilità e ovviamente tocca a me stargli dietro – comunque in ogni caso non vai a scopare con uno che hai lasciato perché pensavi a me. Dimmi il cazzo di senso! Dimmelo, Red!” Fuori dalle tende con i Teddiursa che a Red tanto erano piaciute da piccolo iniziavano a penetrare i primi raggi di sole, e Gold si ritrovò con la gola secca.
“Coso, tu stai vivendo Beautiful e non me ne fai neanche sapere niente. Hai ferito i miei sentimenti” Red si mise una mano al petto e sospirò con fare addolorato. Gold roteò gli occhi.
“Non mi va di cazzeggiare, Red. Se non hai niente da dire me ne vado a dormire perché ho tipo tre ore prima di dovermi alzare di nuovo e andare nuovamente a litigare con Silver” si distese e gli diede le spalle, coprendosi con la sottile coperta di pile.
“No dai, scherzavo. Comunque è davvero un bel casino. Pensi di perdonarlo? Per essersene andato con quello?”
“Che ne so” mugugnò Gold, fissando il muro e sentendo a sua volta lo sguardo di Red sulla sua schiena. “Non ci ho pensato a dire il vero. Ho paura che sia lui a scaricarmi” Rotolò sulla schiena e prese a guardare una crepa nel soffitto bianco.
“Ho sempre dato per scontato che lui sarebbe sempre rimasto là mentre io cazzeggiavo, non ho mai pensato che gli potesse venire in mente l'idea di prendere baracca e burattini e andarsene. E in fondo ha ragione, Red. Non sono bravo con questa cosa dei sentimenti, è il mio migliore amico, capisci? Non posso. Semplicemente non posso.”
“E allora perché ci stai?”
“...Perché lo amo” questo Gold lo sussurrò, e faceva male dirlo perché Silver forse se n’era dimenticato, o forse non era abbastanza per lui.
“Dovresti dirlo più forte”
“Huh?”
“Dovresti dirlo più forte, magari comincerà a sentirti”
“Sai, non è che gliel’ho detto tante volte”
“Forse è questo. Non tutti danno per scontato i sentimenti che gli altri provano verso di loro”
“Non tutti danno per scontato i sentimenti che gli altri provano verso di loro” Gold gli fece il verso e storse la bocca, Red lo colpì con un piccolo cuscino blu.
“Vaffanculo. Uno prova ad aiutarti e questo è il ringraziamento” La risata di Gold si dissolse nella quiete della mattina, entrambi rimasero fermi, quando riprese a parlare Red aveva già chiuso gli occhi.
“Non so cosa voglia fare. Spero voglia rimettere a posto le cose a posto con me”
“Mh. Sicuramente sì, tu e Silver siete culo e camicia dall’alba dei tempi, Brian quant’è che è arrivato? L’anno scorso?”
“Mh. In caso però dovrei trovare un modo per punirlo, non posso lasciare che faccia queste cazzate e poi non ne paghi il prezzo”
“E no eh, le cose sadomaso ve le tenete per voi però” Red gli diede la schiena e nascose la testa sotto al cuscino.
“Vaffanculo, non intendevo quello! Vaffanculo!” Si riassettò sotto le coperte e puntò la sveglia per mezzogiorno meno venti “Cristo” mugugnò ancora al pluviscolo che volteggiava tra i raggi di luce sopra di lui.
Le due pizze che avevano tirato fuori dal freezer erano state infornate già da un po’. Erano sempre le stesse due: “special” con funghi, prosciutto e salame per Silver e ai quattro formaggi per Gold. Quest’ultimo le fissò mentre se ne stavano a cuocere sotto la luce gialla del forno, sentendosi quasi disgustato al pensiero di mangiare. Era troppo stanco e il malumore appesantiva ancora di più il suo stato. Silver poi, non parlava. Se ne stava lì accanto al forno a scaldarsi il culo, il folto casco di capelli fulvi spettinati e gli occhi lividi.
“Che pensi?” gli chiese, accarezzandosi gli spuntoni che gli erano cresciuti sul mento e che non aveva avuto ancora il tempo di radere. Fece spallucce, Silver, e continuò a guardare con interesse il formaggio sciogliersi sulle pizze.
“A titolo informativo, hai niente da dirmi, oggi? Perché sai, ho dormito solo tre ore e ho già speso un patrimonio in taxi e se stare zitto è quello che vuoi fare puoi benissimo farlo da solo, c’è un treno per Fiordoropoli alle tre e se parto adesso riesco a prenderlo” Silver lo guardò negli occhi.
“Non so cosa dirti”
“Iniziamo da questo. Provi ancora qualcosa per Brian?” Ci fu un lungo silenzio, gli occhi argentei di Silver rimasero sospesi nel vuoto per pochi istanti.
“Sì. Mentirei se ammettessi il contrario”
“Allora suppongo che il caso sia chiuso”
“Gold, ascoltami. Sono confuso da far schifo, ma non su quello che provo per te”
“Perché lo hai fatto?”
“Perché ti sei scopato Brian?”
“… ...Non lo so. Al momento mi sembrava una cosa legittima”
“Sei stupido?!”
“Non pensavo ti importasse, francamente” Gold scosse aggressivamente le braccia, la voglia di riaprire il taglio che gli aveva fatto poche ore prima gli bruciava dentro.
“Perché?”
rispose invece, e Silver mai l’aveva visto così
livido, eppure
così calmo. Scosse semplicemente le spalle.
“Non
pensavo fosse importante” Adesso Gold si alzò in
piedi. Non lo
fece velocemente, o aggressivamente, si mosse con stanchezza e
meccanicità, i sentimenti dentro di lui erano tanti colori
mischiati
insieme a formare una melma densa e nera, le sfumature iniziali
indistinguibili in essa.
“Ti
ho forse mai dato l’impressione che me ne importasse
poco?”
“Non pensavo che questa… cosa” gesticolò con le mani lo spazio fra di loro “fosse importante per te. Perché non hai mai dimostrato nulla”
“Nulla cosa, scusa?”
“Di amarmi, Cristo. Nessuno dei nostri amici sa di come stiano veramente le cose, sembra quasi che tu te ne vergogni, ancora. Mi pare solo d’essere illuso, ecco cosa mi pare. Ho la sensazione che tutta questa storia vada avanti semplicemente per farmi un favore; e se è davvero per questo allora preferisco chiuderla in questo esatto momento”
“Non pensavo che questa… cosa” gesticolò con le mani lo spazio fra di loro “fosse importante per te. Perché non hai mai dimostrato nulla”
“Nulla cosa, scusa?”
“Di amarmi, Cristo. Nessuno dei nostri amici sa di come stiano veramente le cose, sembra quasi che tu te ne vergogni, ancora. Mi pare solo d’essere illuso, ecco cosa mi pare. Ho la sensazione che tutta questa storia vada avanti semplicemente per farmi un favore; e se è davvero per questo allora preferisco chiuderla in questo esatto momento”
“Tu
pensi che io non abbia preso questa storia seriamente?!” Gold
incominciava ad alzare la voce, Silver rimaneva a fissarlo
impassibile, impenetrabile, gelido. Gold tacque un istante. Urlare,
con Silver non funzionava mai. Se urlavi rimaneva ad ascoltarti per
un po’ di tempo e poi si stancava e se ne andava (sbattendo
la
porta perché la merdaccia aveva la peggior
personalità
passivo-aggressiva esistente).
“Cristo.
Sei- sei un coglione. Ti ricordi quando avevamo quindici anni e mi
dicesti d’essere gay?”
“Sì.”
“Ecco, non so se ti ricordi, ma quella volta ti ho fatto due domande a riguardo. Una era come facessi a sapere di essere gay (e tu mi rispondesti chiedendomi come facessi io a sapere di essere etero – cosa a cui non ti seppi rispondere) e l’altra fu come avevi accettato di essere gay, come ti potesse essere venuta in mente l’idea che ti potessero piacere gli uomini. E tu mi rispondesti che probabilmente aveva a che fare col fatto che eri cresciuto da solo, lontano dai media e dalle convenzioni sociali; che nessuno ti aveva insegnato cos’era giusto o sbagliato e che avevi imparato tardi che normalmente una ‘famiglia’ è composta da un uomo e una donna; mi raccontasti che a sette anni dicesti di voler sposare David Bowie e Blue ti rispose che anche lei lo avrebbe voluto sposare. Insomma nessuno ti aveva insegnato ad essere etero proprio come nessuno ti ha insegnato a mangiare le verdure piuttosto che le caramelle, e facendo tutto da solo ti è stato facile arrivare alla conclusione che ti piacciono di più gli uomini che le donne. Ora, Mamma non è una bigotta e non mi ha cresciuto come tale, ma in qualche modo sono cresciuto con l’idea che i gay fossero dei ‘finocchi’, parodie di gente normale, che fossero reietti e fosse normale ridere di loro o stargli alla larga perché potrebbero essere attratti da me. E ci saranno state in gioco varie cose, come i miei pochi amici nel piccolo paese di campagna in cui sono cresciuto, la tv, il fatto di non aver mai dato la possibilità a qualcuno come te di lasciarsi conoscere senza quella barriera di diffidenza che avevo creato senza accorgermene. Ed è fantastico perché tutto ciò va a dimostrare quanto le preferenze sessuali siano poco importanti in un’amicizia, perché siamo stati amici per anni e l’essere gay non mi ha mai dato fastidio, non ho mai pensato che un tuo difetto potesse essere collegato al tuo essere gay, né ho pensato che essere tale ti rendeva ridicolo o finocchio o un reietto, eppure in me ancora non riesco ad accettare di poter essere bisessuale. E poi francamente non sono la migliore persona, là fuori, già vengo giudicato male abbastanza là fuori. E per adesso andare in giro e dire sì ciao, questo è Silver e stiamo insieme è ancora troppo difficile. Io pensavo che l’avessi capito, pensavo non fosse neanche tanto importante. Ma adesso lo capisco, che se per me è difficile, lo è ancora di più per te. E so anche che questa cosa dell’accettarmi è una cosa che avrei dovuto fare prima o poi, perché la cosa di essere attratto solo da te per via delle implicazioni sentimentali alla fine è una grande cazzata che mi sono raccontato per tenere lontana la parola bisessuale, ma che non è una cosa che tu devi per forza sopportare. Se vuoi farlo, se ti senti pronto, se ne hai la forza allora lo farai, se invece no o per qualunque altra ragione non hai voglia di stare con qualcuno di così problematico allora me ne tornerò a Fiordoropoli e pace. Anche se devo ammettere che sinceramente trovo che quest’ultima opzione sia una gran merda.” Gold lasciò suonare una battuta di silenzio, poi riprese sorridendo incerto. “Wow, questo è stato lungo e affrettato e sfiancante. Parlare di queste cose fa schifo”. Si alzo è andò a prendersi dell’acqua dal frigo, poi raggiunse Silver accanto al forno per prendere un bicchiere. Il rosso sospirò e si mordicchiò il pollice con aria distante, che gran casino, commentò.
“Eh”, rispose lui prima di bere la sua acqua. Il timer del forno suonò allora e Silver tirò fuori velocemente le pizze, le mise sul piccolo tavolo della cucina ed era strano mangiarle lì, perché di solito le mangiavano in salotto davanti una puntata di Supernatural. Si chiese se ci sarebbe mai stata la possibilità di poter rivivere quel tipo di routine ormai diventato così familiare, si rese conto che forse sarebbe stato meglio che forse fosse meglio dividersi perché avevano bisogni troppo diversi, si rese anche conto di non voler perdere Silver, ma anche che per la prima volta la scelta non dipendeva totalmente da lui. Silver avrebbe potuto dirgli di andarsene e Gold si sarebbe mangiato la sua solita pizza ai quattro formaggi e poi se ne sarebbe andato, e avrebbe continuato a non dormire per molto tempo pensando a quanto quella situazione fosse una gran cazzata e a quanto si odiasse per aver commesso tutti quegli errori e di aver richiesto più tempo di quello che Silver avrebbe mai potuto concedergli.
“Sì.”
“Ecco, non so se ti ricordi, ma quella volta ti ho fatto due domande a riguardo. Una era come facessi a sapere di essere gay (e tu mi rispondesti chiedendomi come facessi io a sapere di essere etero – cosa a cui non ti seppi rispondere) e l’altra fu come avevi accettato di essere gay, come ti potesse essere venuta in mente l’idea che ti potessero piacere gli uomini. E tu mi rispondesti che probabilmente aveva a che fare col fatto che eri cresciuto da solo, lontano dai media e dalle convenzioni sociali; che nessuno ti aveva insegnato cos’era giusto o sbagliato e che avevi imparato tardi che normalmente una ‘famiglia’ è composta da un uomo e una donna; mi raccontasti che a sette anni dicesti di voler sposare David Bowie e Blue ti rispose che anche lei lo avrebbe voluto sposare. Insomma nessuno ti aveva insegnato ad essere etero proprio come nessuno ti ha insegnato a mangiare le verdure piuttosto che le caramelle, e facendo tutto da solo ti è stato facile arrivare alla conclusione che ti piacciono di più gli uomini che le donne. Ora, Mamma non è una bigotta e non mi ha cresciuto come tale, ma in qualche modo sono cresciuto con l’idea che i gay fossero dei ‘finocchi’, parodie di gente normale, che fossero reietti e fosse normale ridere di loro o stargli alla larga perché potrebbero essere attratti da me. E ci saranno state in gioco varie cose, come i miei pochi amici nel piccolo paese di campagna in cui sono cresciuto, la tv, il fatto di non aver mai dato la possibilità a qualcuno come te di lasciarsi conoscere senza quella barriera di diffidenza che avevo creato senza accorgermene. Ed è fantastico perché tutto ciò va a dimostrare quanto le preferenze sessuali siano poco importanti in un’amicizia, perché siamo stati amici per anni e l’essere gay non mi ha mai dato fastidio, non ho mai pensato che un tuo difetto potesse essere collegato al tuo essere gay, né ho pensato che essere tale ti rendeva ridicolo o finocchio o un reietto, eppure in me ancora non riesco ad accettare di poter essere bisessuale. E poi francamente non sono la migliore persona, là fuori, già vengo giudicato male abbastanza là fuori. E per adesso andare in giro e dire sì ciao, questo è Silver e stiamo insieme è ancora troppo difficile. Io pensavo che l’avessi capito, pensavo non fosse neanche tanto importante. Ma adesso lo capisco, che se per me è difficile, lo è ancora di più per te. E so anche che questa cosa dell’accettarmi è una cosa che avrei dovuto fare prima o poi, perché la cosa di essere attratto solo da te per via delle implicazioni sentimentali alla fine è una grande cazzata che mi sono raccontato per tenere lontana la parola bisessuale, ma che non è una cosa che tu devi per forza sopportare. Se vuoi farlo, se ti senti pronto, se ne hai la forza allora lo farai, se invece no o per qualunque altra ragione non hai voglia di stare con qualcuno di così problematico allora me ne tornerò a Fiordoropoli e pace. Anche se devo ammettere che sinceramente trovo che quest’ultima opzione sia una gran merda.” Gold lasciò suonare una battuta di silenzio, poi riprese sorridendo incerto. “Wow, questo è stato lungo e affrettato e sfiancante. Parlare di queste cose fa schifo”. Si alzo è andò a prendersi dell’acqua dal frigo, poi raggiunse Silver accanto al forno per prendere un bicchiere. Il rosso sospirò e si mordicchiò il pollice con aria distante, che gran casino, commentò.
“Eh”, rispose lui prima di bere la sua acqua. Il timer del forno suonò allora e Silver tirò fuori velocemente le pizze, le mise sul piccolo tavolo della cucina ed era strano mangiarle lì, perché di solito le mangiavano in salotto davanti una puntata di Supernatural. Si chiese se ci sarebbe mai stata la possibilità di poter rivivere quel tipo di routine ormai diventato così familiare, si rese conto che forse sarebbe stato meglio che forse fosse meglio dividersi perché avevano bisogni troppo diversi, si rese anche conto di non voler perdere Silver, ma anche che per la prima volta la scelta non dipendeva totalmente da lui. Silver avrebbe potuto dirgli di andarsene e Gold si sarebbe mangiato la sua solita pizza ai quattro formaggi e poi se ne sarebbe andato, e avrebbe continuato a non dormire per molto tempo pensando a quanto quella situazione fosse una gran cazzata e a quanto si odiasse per aver commesso tutti quegli errori e di aver richiesto più tempo di quello che Silver avrebbe mai potuto concedergli.
“Comunque
sono stato stronzo a scoparmi Brian e ciò va a dimostrare
quanto sia
insensibile. Mi dispiace sul serio, Gold”
“Eh. Fanculo Brian” Silver tacque, non lo guardava negli occhi. In faccia aveva la solita smorfia che aveva quando soffriva, quella specie di sorriso che usava per sfogare il dolore.
“Eh. Fanculo Brian” Silver tacque, non lo guardava negli occhi. In faccia aveva la solita smorfia che aveva quando soffriva, quella specie di sorriso che usava per sfogare il dolore.
“Cosa
vuoi fare?” chiese.
“Quella
era la mia battuta. Che vuoi fare?” Silver rialzò
gli occhi e lo
guardò con occhi diversi dal solito. Perché
quelli soliti erano
sempre vitrei e indifferenti, questi adesso invece erano liquidi ed
esprimevano rimorso e insicurezza; a ricordargli che anche Silver era
umano e che dietro ad ogni momento difficile che aveva vissuto e
trattato con nervi saldi c’era un ragazzo qualunque con
preoccupazioni qualunque.
“Voglio chiederti scusa, perché avrei dovuto parlarti e non lasciarti a sedimentare nei tuoi complessi da solo. E anche per non averti dato fiducia e aver creduto che questa volta fosse la stessa situazione di… prima” (Gold si irrigidì perché odiava pensare a come lo aveva trattato per anni, fino all’anno scorso) “mi dispiace per aver continuato a parlare e a vedere Brian a tua insaputa, e di esserci stato a letto ieri sera. E di averti ignorato. E di non averti dato delle spiegazioni. E pensandoci il pugno di ieri me lo sono meritato, è la prima volta che usi la violenza e ti do ragione”
“Voglio chiederti scusa, perché avrei dovuto parlarti e non lasciarti a sedimentare nei tuoi complessi da solo. E anche per non averti dato fiducia e aver creduto che questa volta fosse la stessa situazione di… prima” (Gold si irrigidì perché odiava pensare a come lo aveva trattato per anni, fino all’anno scorso) “mi dispiace per aver continuato a parlare e a vedere Brian a tua insaputa, e di esserci stato a letto ieri sera. E di averti ignorato. E di non averti dato delle spiegazioni. E pensandoci il pugno di ieri me lo sono meritato, è la prima volta che usi la violenza e ti do ragione”
“Per
la storia di Brian sono ancora incazzato” Silver
annuì “ma per
il resto fa niente. Sei sempre il solito gnorri” Il pugno del
fulvo
si scontrò con la sua spalla e l’impatto fece
più male del
dovuto; si sentiva pieno di acciacchi.
“E
tra noi due?”
“Ma Sil’, che cazzo ne so, tu eri quello confuso”
“Ma Sil’, che cazzo ne so, tu eri quello confuso”
“Ora
non sono più confuso… credo”
“credi?”
“Ci riproviamo?” Silver non aveva risposto, ma certi ostacoli erano ancora troppo lontani per essere affrontati. La fiducia che aveva legittimamente perso in anni e anni di difficoltà sarebbe stata dura da riconquistare. Ma adesso che erano entrambi colpevoli la cosa non sembrava pesare più così tanto.
“E con Brian?”
“Ci riproviamo?” Silver non aveva risposto, ma certi ostacoli erano ancora troppo lontani per essere affrontati. La fiducia che aveva legittimamente perso in anni e anni di difficoltà sarebbe stata dura da riconquistare. Ma adesso che erano entrambi colpevoli la cosa non sembrava pesare più così tanto.
“E con Brian?”
“Non
è giusto per tutti e tre continuare a parlargli. Gli
parlerò”
“Gli telefonerai”
“Ma-”
“Senti, se dobbiamo ricominciare così vaffanculo, eh”
“Okay, okay” Silver sorrideva, “hai ragione, scusa”
“...”
“Quindi pace”
“Mh” Gold fece spallucce e poi lo abbracciò, Silver strofinò il suo volto con una guancia in quel gesto che Gold trovava divertente ma in qualche modo… tenero. Come se fosse un baby-pokémon. Il che non era proprio una brutta metafora per descrivere la personalità di Silver. Era strano quanto il contatto fisico potesse portare sollievo agli stati mentali, ma Gold sentiva il malessere ritirarsi e lasciar posto al tepore di quell’abbraccio. Strinse Silver un po’ più forte.
“Gli telefonerai”
“Ma-”
“Senti, se dobbiamo ricominciare così vaffanculo, eh”
“Okay, okay” Silver sorrideva, “hai ragione, scusa”
“...”
“Quindi pace”
“Mh” Gold fece spallucce e poi lo abbracciò, Silver strofinò il suo volto con una guancia in quel gesto che Gold trovava divertente ma in qualche modo… tenero. Come se fosse un baby-pokémon. Il che non era proprio una brutta metafora per descrivere la personalità di Silver. Era strano quanto il contatto fisico potesse portare sollievo agli stati mentali, ma Gold sentiva il malessere ritirarsi e lasciar posto al tepore di quell’abbraccio. Strinse Silver un po’ più forte.
“Si
fredda la pizza, duh” fece lui invece, dandogli un colpetto
sulla
nuca e sorridendo con quella sua faccia da cazzo così
tipicamente e
unicamente Silver.
Si sarebbero rimessi in piedi anche quella volta.
Commenti
Posta un commento