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17. Tessere del Mosaico pt. 3
- Kanto, Aranciopoli, Ospedale Civile –
“Mari...” sentì la Ranger. Era poggiata col volto sul letto di Gold, gli stringeva la mano mentre la notte sembrava essere scivolata velocemente verso il suo cuore più profondo. La donna aprì gli occhi lentamente, guardò il volto del suo uomo e sperò che i suoi occhi aurei fossero spalancati e vividi, gioiosi come sempre, accompagnati dal grosso sorriso che sempre lo aveva contraddistinto.
Invece dormiva.
“Mari...” ripeté qualcuno, poggiandole la mano sulla spalla. La donna alzò lo sguardo verso l’elettrocardiogramma e notò che non vi fosse alcun cambiamento nelle condizioni del battito. Gold sembrava stabile. Guardò l’orologio, aveva riposato mezz’ora, mentre teneva la mano dell’ uomo stretta tra le sue. Si voltò lentamente e vide suo fratello col volto stanco.
“Devi andare a riposarti, cara sorellina mia...”.
Scosse il caschetto castano, la Ranger, in segno di negazione. “Non se ne parla. Non posso allontanarmi da qui”.
“Non ti permetterò di distruggerti in questa stanza, da sola. Altea sta bene, domani la riaccompagnerò a Capo Piuma, ma fino ad allora rimarrò qui in ospedale. Starò io qui a vegliare su Gold. Tu vai a riposarti”.
Martino la sollevò di peso dalla sedia e la strinse in un abbraccio. “Stai tranquilla. Ma hai bisogno di mangiare e dormire. Domattina per le dieci potrai tornare a stare vicino a Gold”.
“Non mi allontanerò, Martino, puoi dire quello che vuoi ma...”.
“Forza. L’hotel Fiori D’Arancio è qui vicino e ti permetterà di non stare lontana. Dai... non farmi preoccupare”.
Marina abbassò gli occhi e sospirò. “Non voglio che si svegli e non mi trovi qui...”.
“Lo colpirò personalmente per farlo riaddormentare, in quel caso”.
Il fratello maggiore riuscì a donarle un barlume di sorriso prima che la stanchezza e lo stress l’assalissero di nuovo .
“Alle nove sarò qui”.
“Dormi un po’, riposa. Ti servirà, credimi” sorrise quello. Si sedette al posto della sorella e fissò il volto dell’uomo, poco prima che Marina gli desse un casto bacio sulla guancia e si dileguasse, un po’ più tranquilla.
La Ranger uscì velocemente da quell’edificio e s’incamminò stretta nel proprio cappotto verso l’albergo. Aveva indosso ancora i vestiti che aveva utilizzato quando aveva lottato contro Lugia; aveva voglia d’un bel bagno caldo e di riposare in un letto vero.
Il check-in fu rapido, diede il proprio nominativo e mostrò la tessera Ranger, quindi l’accompagnarono rapidamente alla camera 206.
Entrò e subito aprì la porta del bagno, quindi riempì la vasca con acqua caldissima, dove s’immerse totalmente, per poi addormentarsi, nel tepore dei fumi del vapore.
Si risvegliò infreddolita un paio d’ore più tardi, si asciugò in un morbido accappatoio e si avvolse nelle coperte, ricadendo tra le braccia della notte, preoccupata e sfinita.
- Johto, Rovine D’Alfa, Sala 7 –
Blue volava su Jiggly come se fosse una mongolfiera. Era più alta delle fredde nuvole e si riscaldava soltanto col pensiero di poter incontrare i suoi genitori.
Voleva rassicurarli su quanto successo poche ore prima.
Non sapeva per quale motivo ma non appena rivissuta la scena del suo rapimento un istinto atavico di protezione verso se stessa l’aveva portata ad inseguire quell’enorme Pokémon uccello. Ricordava alla perfezione, mentre il vento gelido le passava tra i capelli, quella sensazione d’abbandono a se stessa che provò qualche minuto dopo essere entrata in quell’enorme maniero. Non fu piacevole per una bambina di circa sei anni o poco più imparare le leggi della vita così in fretta, né capire che non ci sarebbe stata più sua madre oltre la porta della sua camera ma solo luridi strozzini pronti a riprendersi, al primo errore, il poco che le avevano.
Con gli interessi.
Non un padre amorevole seduto sulla poltrona a leggere il giornale, ma un boia mascherato pronto a mostrare il pollice verso appena possibile.
Carnefici. E si facevano chiamare famiglia.
Pensò a se stessa da bimba, Blue, e capì che dovesse aiutarsi. Forse sarebbe cresciuta più pulita e meno maliziosa.
Biancavilla era lontana qualche chilometro ma la vedeva in lontananza, oltre le nuvole d’ovatta che piangevano neve.
“È quasi un minuto che non risponde, Yellow... Che dobbiamo fare?!”
La bionda guardava Sandra, cercando di rimettere a posto le idee. Fissava il volto di Blue, immobile davanti a lei, catatonica, con lo sguardo proiettato verso il vuoto e la pupilla totalmente fissa ed immobile. Era come ipnotizzata.
Si permise di spingerla vedendola lentamente perdere l’equilibrio, per poi ricadere pesantemente tra le braccia di Sandra.
“Ma che diamine...” esclamò la Domadraghi, spostando con una mossa della testa la coda di cavallo dalla spalla.
“C’è qualcosa che non va” osservò la Dexholder. “C’entra quasi sicuramente un Pokémon...”.
S’abbassò, mettendosi a carponi ed osservando gli angoli; cercava un Pokémon.
Poi decise di agire.
“Per favore! Mi serve aiuto! Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?!”.
Acuì le proprie percezioni, cercando di inviare il proprio messaggio quanto più lontano possibile ma temeva che quelle vecchie mura potessero schermare le sue onde mentali.
“Che dobbiamo fare?” domandò Sandra, poggiando Blue per terra.
Nessun Pokémon aveva risposto a Yellow. Forse anche loro erano in un’illusione.
Capì.
“Dobbiamo trovare questo Zoroark”.
Blue era a Biancavilla, venti anni prima, come l’aveva lasciata prima di ritornarvi da forestiera, da ladra. E poi da eroina.
La temperatura non era così rigida come credeva tuttavia si stringeva nel parka, cercando di non pensare alla neve che le arrivava fino alle caviglie.
La collina vegliava le casette sottostanti nella calma monumentale di quell’inverno mentre tra le vie s’alzava il vociare dei bambini che giocavano festanti. Blue prese qualche secondo per guardare l’Osservatorio, cogliendo un po’ di calore dalle luci accese che filtravano dalle grosse finestre. Il fumo grigio che fuoriusciva dal comignolo non si distingueva dall’alabastro delle nuvole.
Poi riconobbe qualcuno: abbassò gli occhi e si trovò davanti un ragazzino dai capelli neri e dagli occhi di un rosso acceso. Il suo sguardo era limpido, il suo volto pulito. Un piccolo Poliwag si sporse dal retro del suo polpaccio.
Lei non poté fare a meno di sorridere.
“Ciao, Red” fece.
Quello inarcò le sopracciglia, sorpreso. “Come... come conosci il mio nome?”.
La donna dagli occhi blu sorrise ancora e s’inginocchiò davanti a lui, nonostante la neve fredda. Era un bambino bellissimo. “Tu diventerai l’Allenatore più forte di tutti i tempi. Devi soltanto credere in te stesso e non perdere mai la speranza”.
“Ok... Ma... tu chi sei?”.
“Io mi chiamo...” poi si fermò. Sorrise ancora. “Tempo al tempo. Ci rincontreremo, ed assieme a Green saremo gli eroi di questo posto”.
“Green?!” esclamò, alterato. “Io lo odio, quel tipo! Così... antipatico!”.
“Imparerai a volergli bene. Rimani sempre onesto. Dove posso trovare il tuo amico?”.
“Green non è mio amico...” ribatté velocemente. “E comunque sta andando verso la spiaggia. Dice che troverà un Dewgong o un Cloyster e che lo catturerà per diventare il più forte”.
“Sempre il solito...” fece la donna. “Ti va di accompagnarmi da lui?”.
Il ragazzino abbassò lo sguardo, spontaneo com’era non riusciva a nascondere il proprio disappunto. Tuttavia non riusciva a dire no ad una ragazza bella come quella che aveva davanti.
“Va beh...” sbuffò. “Ma facciamo in fretta, la mamma non vuole che mi avvicini alla spiaggia quando non ci sono né lei né il papà...”.
Blue spalancò gli occhi. “Papà?”.
“Sì. Mio padre. Tutti hanno un papà. Tutti tranne Green. Tu non ce l’hai?” chiese quello, spontaneamente, guardandola negli occhi. Non riuscì a non notare la sorpresa nei suoi occhi.
“Ed ora dov’è, tuo padre?”.
Il ragazzino aggrottò la fronte. “A casa con la mamma...”.
“Vorrei conoscerlo. Davvero tanto”.
“Perché?” chiese, ingenuamente.
Blue si limitò a sorridere e a carezzare il capo del bambino. Avrebbe voluto rispondere semplicemente dicendo che fosse curiosa di sapere se gli somigliasse.
Camminarono lentamente e passarono davanti casa sua, dove i suoi genitori ancora dovevano rientrare. La neve continuava a scendere copiosa, accumulandosi sui prati ormai ghiacciati e sui vialetti da spalare, imbiancando le cime degli steccati in legno e dei tetti rossi.
Biancavilla era una bomboniera, una perla tra le valve di boschi e montagne, baciata dal mare.
La gente lì era cordiale e spontanea, tutti si conoscevano tra di loro e la pace sembrava qualcosa di talmente statico e tangibile da non poter mai essere messa in discussione.
Blue aveva bisogno di Biancavilla, soprattutto in quel periodo della sua vita.
Girarono attorno alla collina e si ritrovarono a distanza la spiaggia innevata, baciata dalle onde placide che sussurravano educate la loro omelia. Un ragazzino dai capelli castani era immobile sulle sponde, con le braccia conserte e la schiena dritta.
“Green!” lo chiamò Red. “Green, qui c’è una ragazza che vuole conoscerti!”.
La voce del ragazzino s’infranse contro la spuma della battigia. L’altro, quello dagli occhi verdi, si voltò rapido e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
“Non la conosco” rispose, scontroso proprio come lo conosceva lei, che non poté fare a meno di sorridere. Gli si avvicinò, con lo sguardo vivo, e gli tese la mano.
“Piacere. Mi chiamo Blue”.
L’altro guardò la mano e la spinse lontana.
“Non voglio conoscerti. Va’ al diavolo”. Si voltò poi dall’altra parte, faticando nella neve, fece per ritornare verso il paese.
La donna guardò Red, confusa. “Già gli ho fatto qualcosa di male, per caso?”.
L’altro fece spallucce e sospirò. “Oggi era calmo, generalmente è peggio”.
“E perché?”
“È nervoso, ecco: domani partirà per Johto... andrà da un Capopalestra, non ricordo come si chiama, per imparare la disciplina e calmarsi...”.
“Furio...” sussurrò Blue, sospirando.
“Sì!” esclamò l’altro. “Furio! Come lo sapevi?!”.
“Ho tirato ad indovinare...”.
- Johto, Rovine D’Alfa, Sala Alfa
“Non vorrei ricordarti che non è il momento per mantenere stupide convinzioni!” esclamava Red, indietreggiando velocemente. Davanti a lui una tremenda Palla Ombra esplodeva nel pavimento, alzando detriti e polvere.
La coda di Charizard illuminava a malapena il lungo corridoio e MegaGengar si nascondeva nel buio, lasciando che a riaffiorare fossero i suoi occhi spiritati di sangue ed il sorriso sinistrissimo.
“Non possiamo fare altrimenti, Red! Non possiamo distruggere le Rovine D’Alfa!”.
“Non mi pare che quel tipo si stia facendo i nostri stessi scrupoli!”.
I due si guardarono, quell’attimo che bastò alle loro iridi di scambiarsi l’idea, l’intesa di come avanzare.
“Charizard, Incendio” sussurrò Green, vedendo Red scappare rocambolescamente verso il corridoio adiacente e stendersi per terra. Fu in grado di vedere, dal muro davanti a sé, soltanto una grande quantità di luce illuminare a giorno i mattoni d’arenaria che cingevano tutto la struttura.
“Incendio...” sussurrò quest’ultimo, dopo un sospiro. Si rimise in piedi velocemente. “Il solito esagerato...”.
Raggiunse nuovamente il corridoio accanto, vedendo Green col volto corrucciato ed il polso tra le mani.
“Cagasotto” ribatté quest’ultimo.
“Che diamine vuoi fare?” ribatté l’altro.
“MegaEvolviti, forza!”.
Dal bracciale sul polso del Dexholder venne emessa una luce molto accecante, che assalì totalmente il suo Charizard. Quello finì per completare lo stadio dell’evoluzione raggiungendo la forma Y: corpo assottigliato, cranio aerodinamico e potenza di fuoco devastante, mentre un paio d’ali ai polsi gli permetteva di mantenere la stabilità in volo e di aumentare la velocità.
“Fai Megaevolvere qualcuno e combattiamo, Red. Non perdiamo tempo, sono preoccupato per Blue”.
“Non posso far Megaevolvere nessuno! Non qui, almeno, non ora!”.
“Ma che cazzo significa?!” esclamò il castano, profondamente irritato. Si voltò per un attimo, prima di vedere l’avversario inginocchiarsi.
“Smog!” esclamò quello, rapido, attivando la maschera antigas.
“O porca...” sospirò Green, indietreggiando.
“Vee!” chiamò Red, vedendo il suo Pokémon ancora fermo accanto a lui, in atteso di ordini. “Devi riuscire a contenere psichicamente il fuoco ed il veleno! So che sei in grado di farlo”.
Espeon avanzò ed i suoi occhi furono rivestiti di quell’energia che avvolgeva anche il suo corpo. Le fiamme tutt’intorno furono come risucchiate da una sfera d’energia che s’era andata a formare al centro del corridoio, ed assieme a quelle anche il gas velenoso.
“Mantienilo, Espeon. E tu, Charizard, mettilo fuori combattimento con un rapido Lanciafiamme” disse Green.
“Attento” riprese l’altro.
“Sì, attento” ribadì.
Il Pokémon accelerò in maniera esponenziale, falciando l’aria con le ali e raggiungendo l’avversario in meno d’un secondo, fino a trovarselo di fronte.
“Doppioteam!” urlò il mercenario, ordinando al suo Pokémon di sdoppiarsi in tante versioni di sé, tutte con le braccia affondate nel pavimento, come ad abbeverarsi dell’oscurità che vi si nascondeva sotto.
“Odio i Gengar...” sospirò Green, vedendo il suo Charizard aprire il fuoco su tre copie fittizie. Subito dopo l’uomo in mimetica bianca batté due volte le mani e le versioni, tutte, s’abbatterono sull’avversario, colpendolo con incredibile forza da tutti i lati con un Pugnodombra.
“Ma è impossibile!” esclamò Red. “Le altre copie dovrebbero essere incorporee!”.
Charizard accusò il colpo ma sembrò rimettersi in piedi velocemente.
“Gengar è un accumulo di ombre, Red” spiegò Green. “Ha diviso la propria potenza in parti uguali in ognuna delle copie, tramite il pavimento”.
“Sono stanco ed il tempo è poco...” sospirò quello dagli occhi rossi, ulteriormente illuminati dall’ammasso di fiamme e smog che galleggiava al centro del corridoio. “Vee... chiudiamola qui. Psichico su quel Pokémon. E Charizard, bracca quell’uomo, non farlo muovere”.
Il felino fu tempestivo e letale, strappò MegaGengar dal pavimento, con tutte le sue versioni, e lo spinse con terribile violenza al centro della sfera che teneva sotto controllo; lo sforzo non fu indifferente: il piccolo Pokémon, difatti, era basso sulle zampe e ben concentrato, con l’energia psichica che l’avvolgeva e che rendeva tutto incredibilmente disordinato.
Al centro di quella sfera, MegaGengar non poté far altro che subire la potenza dell’incendio causato da Charizard, finendo vittima peraltro del suo stesso attacco velenoso. Il campo di forza si restringeva, aumentando sempre più la pressione e creando infine una grossa esplosione. MegaGengar finì per tornare un Gengar, prima d’evaporare come fumo nero.
Red guardò Green, che intanto fissava le pareti danneggiate della sala Alfa; avanzavano entrambi verso Charizard, che teneva spinto verso la parete il mercenario in mimetica bianca.
“La prossima volta faccio io da supporto, allora...” sorrise a mezza bocca il Dexholder dagli occhi verdi. S’accostò al suo Pokémon e colpì con forza il volto dell’uomo, con ancora indosso la maschera antigas. Quello ricadde per terra, a carponi, dolorante.
“Ora proseguiamo e...”.
Il Pokégear suonò rumorosamente, rimbombando lungo le pareti ormai bruciate del corridoio.
Era Valerio.
“Qui Green Oak” rispose.
“Dovete correre immediatamente nella sala 1! Jasmine sta attaccando tutti!”.
“Cosa?! Che diamine stai dicendo?!”.
“Jasmine! Jasmine sta attaccando tutti! Chiara è ferita gravemente e Raffaello è morto. Gli altri non li vedo!”.
“Va bene, Valerio, calmati e spiega per bene la situazione” subentrò Red, stringendo la sfera di Vee tra le mani.
“Non capisco più nulla!” si lamentava. “Qui siamo rimasti soltanto io, Jasmine e Corrado, dietro ad un mezzo muro crollato!”.
“Aspetta” interruppe Green. “Non hai detto che Jasmine vi stava attaccando?”.
“No, non quella Jasmine... Ci servono rinforzi”.
“Nella Sala 2, invece?” domandò Red.
“Non so un cazzo della Sala 2! Fate presto!” urlò, e poi un’esplosione tremenda lasciò che la conversazione s’interrompesse.
Red e Green si guardarono fissi negli occhi, prima di sospirare. Il secondo diede un forte calcio allo scagnozzo, ancora sul volto, mettendolo totalmente fuori combattimento. “Ora non ci darà più fastidio. Dobbiamo dividerci. Andrai tu nella Sala 1 mentre io avanzerò per controllare che questa stanza sia libera. C’incontreremo lì, farò presto”.
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