Capitolo
6: il mondo
dei grandi pt. 3
Ritrovarsi
con
Gold e Green fu semplice. Tutti chiesero ai due come fossero sfuggiti ai
due figuri che li avevano seguiti fino al Centro Pokémon.
‒
Erano agenti Faces, abbiamo fatto finta di niente e ci hanno pedinato
per un
paio d’ore. Poi sono scomparsi ‒ stava raccontando Gold durante la cena.
‒
Potrebbe essere stata solo una tecnica intimidatoria, tipo strategia del
terrore ‒ ipotizzò Sapphire.
‒
Sicuramente, non tentavano nemmeno di tenere un basso profilo, era un
avvertimento, sgarra una seconda volta e ti facciamo fuori.
‒
Abbiamo una possibilità con Lino ‒ ripeté in presenza del Capopalestra
di
Smeraldopoli. ‒ Ma prima preferirei capire se quegli agenti Faces che vi
hanno
seguito sono ancora in ascolto o no.
‒
Quelli erano solo delle pedine, non servivano ad intercettare
informazioni
importanti, solo a dirci di rimanere fuori dalla vicenda.
‒
Ciò significa che hanno capito che Ruby vi ha informati.
‒
No, non credo lo abbiano compreso appieno. Solo che gli eventi avvenuti
all’HC
One erano molto sospetti.
‒
La Faces sorveglia Ruby… ‒ mormorò Sapphire tra sé e sé pensando a ciò
che il
ragazzo aveva detto l’ultima sera a Vivalet. Era stato costretto ad
allontanarsi da lei e da tutti gli altri… poiché costretto da qualcuno
che non
poteva essere sconfitto. Che si fosse trattato proprio della Faces? Ma a
quale
scopo? Perché questa avrebbe dovuto desiderare che Ruby si separasse dai
suoi
amici? Inutile continuare a bucherellarsi il cervello, servivano le
informazioni
che sicuramente Lino avrebbe potuto dare loro.
Nella
tavola
calda in cui si erano fermati, la televisione era sintonizzata su un
telegiornale. Nessuno di loro ci aveva fatto caso, quando ad un certo
punto una
notizia attirò l’attenzione dei Dexholder.
‒
State a sentire ‒ li esortò Silver.
“…ieri,
una
seconda terribile tragedia si è abbattuta sulla Lega di Holon, dopo gli
avvenimenti del ventiquattro giurno: ha perso la vita in un incidente
stradale
Fenix, anche lui Superquattro della regione…”
‒
Ancora non sanno di ciò che è accaduto a Murdoch ‒ mormorò Blue.
‒
Non potevamo attirare l’attenzione di tutto il mondo ritrovando
“accidentalmente” il cadavere ‒ ribatté Green.
“L’uomo
sembra
aver perso il controllo dell’automobile che è andata fuori strada,
cadendo
poi in una scarpata. Fenix sembra essere morto sul colpo, in ogni caso,
stanno
procedendo gli accertamenti della polizia” e intanto, sullo schermo,
passavano
le immagini dell’asfalto strisciato dalle gomme proprio in
corrispondenza di un
tratto di strada mancante di guard-rail. I cespugli e le fronde
sembravano
esser stati schiacciati violentemente e si intravedeva il catorcio che
una
volta forse era stato una bella BMW nera nuova di zecca.
“…nessuno
degli
altri Superquattro ha voluto lasciare dichiarazioni, tantomeno ci sono
stati interventi da parte del Campione, Zero…”
‒
Un altro morto tra i Superquattro di Holon ‒ sospirò Sapphire.
‒
Quante possibilità c’erano? ‒ disse, con voce cupa, Green.
Tempo
un
quarto d’ora e l’intera squadra era sulla rotta per Petalipoli. Avevano
dormito
nella capitale perché lì erano scesi dall’aereo. La cittadina che
ospitava la
palestra di cui Lino era leader distava poco se raggiunta in volo sulla
groppa
dei loro Pokémon. E scorse altro tempo vuoto, il fischio dell’aria e le
condizioni generali non permisero a nessuno di loro di spiccicare parola
durante tutta la traversata.
All’atterraggio,
apparve
a loro l’immagine di una pittoresca città dell’entroterra. Era composta
principalmente di prati costellati da migliaia di fiori di differenti
specie e
colore, qualità da cui prendeva il nome. Tempo addietro, era stata
firmato un
decreto che impedì la costruzione di strade all’interno del centro
vitale di
Petalipoli, lasciando l’asfalto alle vie di comunicazione esterne e alla
periferia.
Si resero immediatamente conto che per questa ragione la città vantava
una
morbidezza unica e un silenzio che era impossibile da trovare in un
qualsiasi
agglomerato urbano che fosse tagliato da una e una sola strada. Si
mossero tra
le casette di legno alle quali faceva da sfondo un piccolo stagno o il
fitto
bosco che circondava tutta la città. Sapphire sapeva bene come guidarli,
la
palestra era vicina. La raggiunsero dopo poco, l’edificio in vetro e
metallo si
accostava poco allo stile del resto dell’architettura urbana, ma era
stata
costruita in un periodo in cui si teneva più al rendere simili tutte le
palestre tra loro, invece che ad uniformarle allo stile della cittadina
in cui
sorgevano.
Sapphire
si
fermò a meditare prima di entrarvi. Molti anni prima, precisamente sei,
in
quella palestra aveva sconfitto il padre di Ruby. Purtroppo, un ricordo
carino
e nostalgico come quello le era stato rievocato nella mente dalla grossa
statua
di Norman realizzata in suo onore poco dopo la morte. Il bronzo che
ricalcava
perfettamente l’immagine dell’uomo era posto accanto nello spiazzo di
fronte
alla palestra, sopra un piedistallo. Brillava alla fioca luce della
sera, ma
sembrava allo stesso tempo impolverato e dimenticato. Due anni erano
passati
dalla morte di Norman, due anni dal giorno in cui Ruby aveva tagliato i
contatti con loro.
Insieme,
per
rispetto, si avvicinarono a leggere la targa memoriale.
“Quando
la
più grande eredità di un padre è l’esempio del vero coraggio”
Sapphire
sapeva
bene che a consigliare quella frase fosse stato Lino, diffondendo poi la
voce che era stata tutta un’idea di Ruby. La verità era che il ragazzo
che ora
portava il mantello del Campione della Lega non aveva desiderato neanche
piangere
la morte dei genitori. Forse aveva creduto di apparire debole, in ogni
caso per
un periodo rifiutò tutto e tutti, concentrandosi solo sull’Allenamento e
sull’auto-miglioramento. I suoi genitori non erano mai morti, erano solo
usciti
dalla sua vita per permettergli di fare un passo avanti.
‒
Che uomo era Norman? ‒ chiese Blue.
Sapphire
aveva
ben vividi in mente i ricordi del vecchio di Ruby. Ricordava il loro
rapporto complicato, il loro singolare modo di risolvere una questione
familiare, il loro legame più profondo di quanto chiunque potesse
immaginare.
‒
Era un uomo d’acciaio, non l’ho mai visto sorridere né gratificare
nessuno in
alcun modo. Eppure, ha scalato le montagne per e fatto l’impossibile per
le
persone che amava.
‒
Se n’è andato assieme alla moglie a causa di un incendio, giusto?
‒
Sì…
‒
Strana la vita, a volte.
‒
Già.
Il
gruppo
dei Dexholder entrò nell’edificio. Il look in stile dojo era rimasto,
nonostante quella palestra si fosse notoriamente spenta. La leggenda de
“l’inseguitore della forza” si era conclusa. Lino era un buon
Capopalestra e si
era meritato il titolo a pieni voti, ma non avrebbe mai raggiunto la
fama del
grande Norman. Fatto sta che, a quanto sembrasse, era stato proprio Ruby
a
raccomandare Lino per quel ruolo. Per questa ragione i Dexholder avevano
motivo
di credere che lui sapesse qualcosa che li avrebbe aiutati a portare
avanti le
indagini.
‒
Mi hanno detto che probabilmente sareste venuti qui ‒ li salutò il
ragazzo dai
capelli verdi vedendoli entrare dalla porta di vetro.
Sapphire
ammirò
l’interno della palestra che era rimasto invariato a com’era l’ultima
volta che lei vi aveva messo piede. Il dojo creato da Norman era rimasto
tale e
quale, gli stessi tatami, le stesse placche in legno di bambù. Il
Capopalestra
li aveva aspettati al centro della prima stanza, con indosso un kimono
leggero
da allenamento.
‒
Ciao, Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒
Come stai? ‒ chiese dolcemente lui, che comunque aveva ancora un
rapporto
decente con la ragazza.
‒
Abbiamo bisogno di alcune informazioni ‒ esordì Green, cancellando il
tentato
approccio morbido dei due.
‒
Tu sei il Capopalestra di Smeraldopoli, giusto? ‒ chiese Lino,
conoscendo già
la risposta. ‒ Mi fa piacere di vedere che almeno voi abbiate deciso di
collaborare, da quello che ho visto i Dexholder non se la stanno
passando
proprio bene, negli ultimi tempi ‒ nella sua voce era percepibile una
lieve
ostilità.
‒
Non è un momento facile ‒ intervenne Sapphire, per impedire agli altri
di
rispondere a tono. ‒ per questo abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto.
‒
Preferisco parlarne a quattr’occhi, se per te non è un problema ‒
ribatté Lino,
seccato.
‒
Va bene ‒ rispose lei, frenando l’impeto di rispondere dei suoi amici. ‒
Andiamo nel tuo ufficio?
La
stanza
del Capopalestra era un ibrido tra uno sgabuzzino e una sala d’onore.
Sui mobili erano accatastati centinaia di trofei e altri riconoscimenti
placcati, appese al muro c’erano i ritagli di giornale e le foto che
ricordavano i periodi di gloria di quella palestra. Eppure, non
mancavano
simpatiche scope appoggiate al muro, cartacce e scartoffie rovesciate a
terra e
su tutto il ripiano della scrivania e persino qualche attrezzo da
allenamento
rotto abbandonato in un angolo. Sapphire si sedette su una delle due
sedie
semplici, dall’altro lato della scrivania, Lino sprofondava nella grossa
poltrona girevole.
‒
Dimmi tutto, Sapphire ‒ fece Lino accennando ad un amaro sorriso.
‒
Mi spieghi cosa ti è preso di là? Perché sei stato tanto acido? ‒
domandò lei.
‒
Lo so, lo so, scusami…
Sapphire
non
capiva.
‒
Ti giuro che era tutto involontario.
La
ragazza
annuì debolmente ‒ Ok, non soffermiamoci su questo, perché preferisci
parlarne in privato?
Lino
non
accennò risposta. Ma i suoi occhi fissi su Sapphire parlavano al suo
posto.
‒
Ok, come facevi a sapere che saremmo venuti da te a chiedere
informazioni?
‒
Ruby è il Campione, ricordi?
‒
Sì, ma…
‒
Lui riesce a sapere tutto ciò che vuole, quando vuole.
Sapphire
era
stupita. Ma era lì per ottenere delle informazioni e Lino era suo amico,
quindi le avrebbe ottenute nel modo più indolore possibile.
‒
Puoi dirmi che cosa ti aspetti che io ti chieda?
‒
Più o meno, ma preferisco che tu mi faccia le tue domande…
‒
Va bene ‒ comprese la ragazza.
‒
Perché Ruby ti ha chiesto di prendere il posto di Capopalestra?
‒
Perché credeva che fossi quello che lo meritava di più, il migliore
allievo di
suo padre ‒ rispose non senza un velo di orgoglio.
Purtroppo
a
Sapphire non interessava ciò, quindi passò avanti.
‒
Hai avuto più contatti con Rocco?
‒
No, non dopo la sua partenza per Holon.
‒
Sai qualcosa di Kalut?
‒
Mai sentito questo nome…
Rocco,
Kalut.
Sapphire aveva terminato gli spunti con cui estrarre qualche
informazione importante da Lino. Sembrava dovesse rinunciare.
‒
Che cosa ti ha detto Ruby allo stadio, proprio dopo la tua sconfitta al
torneo?
‒ domandò ricordando la discussione che lei aveva udito tra i due per le
scale,
il giorno prima della venuta di Rayquaza. Lino si era scusato con Ruby
per
qualcosa, ma lui lo aveva rassicurato affermando di poter riparare al
suo
errore.
Il
volto
del ragazzo allora riprese vita. Quella era una domanda alla quale
poteva
rispondere. ‒ Ruby aveva ricevuto l’avviso circa l’attacco che sarebbe
avvenuto
‒ disse sapendo bene che Sapphire ne era già a conoscenza. ‒ Fatto sta
che Ruby
mi aveva comunque chiesto di arrivare molto in alto in classifica, non
avrei
dovuto perdere contro Silver.
Sapphire
aveva
aggiunto un nuovo tassello al suo puzzle. Ruby aveva chiesto a Lino di
arrivare in una posizione alta nella classifica del torneo, nonostante
sapesse che
tutto sarebbe stato interrotto.
‒
Sembravi distrutto, Lino…
‒
Lui l’aveva presa come una questione di vita o di morte…
‒
Dimmi di più.
Lino
prese
un profondo respiro. ‒ Non posso ‒ sussurrò poi.
Sapphire
tacque.
‒ Che cosa sai dirmi della Faces? ‒ riprese poi.
La
reazione
del Capopalestra fu esattamente quella che Sapphire si aspettava: Lino
aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione insicura.
‒
Non… non so. Si occupano di sicurezza e quella roba lì ‒ rispose Lino
con falsa
ignoranza.
‒
Ah ‒ Sapphire era sicura che stesse mentendo.
‒
Ok, procediamo ‒ ordinò quindi la ragazza.
Lino
vide
comparire dalla porta il Capopaletra di Smeraldopoli seguito dal suo
Porygon-Z. Sapphire fece un cenno per intimargli di tacere. Porygon si
alzò in
volo e osservò attentamente la stanza, individuò un bersaglio e si gettò
a
capofitto su di esso. Scomparve smaterializzandosi proprio in prossimità
della
scrivania di Lino.
‒
Ok, è il momento ‒ pronunciò Green dopo alcuni secondi.
‒
Perfetto ‒ Sapphire fece la propria parte. ‒ Lino, abbiamo trenta
secondi e poi
si accorgeranno che il sistema di cimici è stato hackerato, spiegami
tutto,
velocemente, la Faces non può sentirti.
Quello
sembrò
perdere il fiato. Arrancava, ma sembrava essere dentro alla situazione.
‒
Ti prego! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
‒
Loro controllano le nostre azioni, Sapphire. La Faces sta sfruttando la
Lega di
Hoenn, indirizzano ogni movimento, danno indicazioni su quale azione
deve
essere compiuta e in che modo.
‒
Perché lo fanno?
‒
Non lo sappiamo, Ruby non ha mai potuto condividere certi segreti con
noi, lo
tengono per la gola.
‒
Lo hanno fatto diventare Campione?
‒
Sì, hanno bisogno di lui.
‒
Che cosa hanno cercato di fare?
‒
Tutto questo ‒ fece, agitando le braccia. ‒ Costruire un impero più
ricco e più
radicato, non so per quale motivo.
‒
Qualcuno che si è opposto dev’esserci.
‒
Sì, ma a fronteggiarli veramente è stato soltanto…
‒
Il tempo è finito ‒ proferì Green, interrompendoli.
‒
Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒
…soltanto chi se n’è andato ‒ concluse quello, con un’innocente
allusione.
‒
Grazie ‒ scandì Sapphire un pochino delusa.
I
due Dexholder lasciarono frettolosamente la stanza del Capopalestra.
La
ragazza
di Hoenn salutò Lino in maniera sommaria e uscì prima di tutti dalla
palestra. Quello non capì il motivo di tale reazione. Green si limitò a
promettere agli altri una sintesi circa l’accaduto e a congedarsi
insieme al
resto del gruppo. In pochi secondi erano di nuovo in aperta città
intenti ad
inseguire Sapphire.
Lei
non
voleva altro che sparire di lì. Aveva fatto un altro buco nell’acqua.
Tutto
era tornato a dati che già conosceva o che avrebbe potuto dedurre e il
cerchio
si era chiuso con un indirizzamento verso Rocco. “Chi se n’è andato”,
Rocco era
l’unica persona che si era ribellata alla politica della Faces. E
casualmente
anche l’unica persona che avevano già interpellato e che aveva già
rivelato
essersi una fonte di informazioni praticamente nulla. Non possedevano
altre
piste, non possedevano altre idee. Quando ciò fu chiarito pure con i
suoi
compagni, Sapphire non poté sopportare di leggere ulteriore delusione
nei loro
occhi.
Era
ormai
ora di trovare un posto in cui dormire. Ormai la luna era alta nel cielo
e le stelle trasformavano il chiarore in una vera e propria luce.
Ciclamipoli aveva
acceso i bracieri che delimitavano le strade, le uniche luci che non
sfigurassero in mezzo a quell’ambiente floreale e fiabesco. Privi di
speranza e
di energia, i Dexholder decisero di raggiungere il letto. Green poté
prendere
una stanza per tutti in un hotel situato poco lontano. Si salutarono
tutti, si
dissero senza crederci che il giorno dopo sarebbe andata diversamente, e
già
avevano la coscienza abbastanza leggera.
Due
ore
dopo, Sapphire era in piena fase di dormiveglia. Non riusciva a trovare
il
sonno, non sapeva come dimenticare quell’ennesimo fallimento. Si sentiva
sola.
‒
Sei inquieta ‒ disse qualcuno dalla penombra.
Lei
si
prese uno spavento clamoroso.
‒
Che cosa ci fai nella mia stanza?! ‒ gridò nei confronti del Ruby che si
era
piazzato davanti alla porta della camera. Le aveva fatto prendere un
colpo.
‒
Ho qualcosa da dirti.
‒
E per farlo entri nella mia stanza di soppiatto a notte fonda come un
ladro?
‒
Veramente questo hotel è mio ‒ ribatté lui, arrogante.
‒
Sei ancora più odioso le poche volte che ti fai vivo.
‒
E tu sei ancora più stupida le poche volte che decidi di fare di testa
tua.
Sapphire
si
alzò dal letto. Aveva una maglia di tre taglie più grossa a mo’ di
vestito e
gli slip, ma tanto quel ragazzo aveva avuto modo di vederla in una mise
ben più
intima. Camminò verso di lui con fare minaccioso, puntò i piedi a pochi
centimetri dalla sua faccia.
‒
Tu non hai il diritto di giudicarmi, sei l’ultima persona che si merita
di
parlare di me così a questo mondo ‒ gli sibilò.
‒
Non sono qui per parlare di questo, comunque ‒ la evitò lui, spostandosi
da
quella posizione scomoda.
‒
E che cosa vuoi dirmi?
‒
Rimani fuori dalla vicenda ‒ le ordinò Ruby.
‒
Scordatelo ‒ rise Sapphire.
La
scena
era tragicomica. Lei aveva in volto i segni di giorni affrontati con
poche ore di sonno. Lui sembrava uscito ora dal set per le riprese di
uno spot
televisivo. E forse era così. Nella stanza buia filtrava la luce della
luna
tagliata a fettine dalle serrande a pannelli. Il silenzio era la quiete
urbana,
con suoni di clacson in lontananza, cantilene di ubriachi e guaiti di
cani
randagi che provenivano dall’esterno.
‒
Se fossi entrato qui dentro per ucciderti, come la prenderesti? ‒
domandò Ruby
senza paura alcuna.
‒
Ti farei uscire a calci nel culo ‒ rispose pronta lei.
‒
Invece sto cercando di aiutarti, Sapphire.
‒
Io sto cercando di aiutare gli altri.
‒
Non capisci.
‒
Allora fammi capire.
Ruby
aveva
notato il repentino cambio di tono nella voce della ragazza. La rabbia
era scomparsa, lasciando il posto all’esasperazione.
‒
Cerchi di salvare la situazione a Vivalet, sei criptico e non lasci
capire a
nessuno cosa ti succede, scompari all’improvviso e poi riappari due anni
dopo
nella mia stanza. Racconti che ti hanno costretto, che sai che avverrà
una
catastrofe, ma non riveli nient’altro.
‒
È complicato.
‒
Abbiamo mai affrontato insieme qualcosa di semplice?
Ruby
tacque.
‒
Dimmi soltanto una cosa ‒ riprese Sapphire ormai al limite della sua
sopportazione. ‒ se mai deciderai di svelarmi i tuoi segreti, di farmi
capire
che cosa è successo in questi due anni, riuscirei mai a perdonarti?
Era
buio,
per cui Ruby dubitò persino delle sue lenti a contatto, ma gli parve di
vedere una lacrima scendere lungo la guancia di Sapphire. Passarono
secondi
eterni. Lei credette quasi di vederlo sparire senza ricevere una
risposta. La
verità era che Ruby stava pensando a cosa rispondere. E mai una domanda
lo
aveva colto tanto alla sprovvista.
‒
Sei ancora la ragazza che conoscevo e di cui ero innamorato, quindi sì.
Saresti
capace di perdonarmi.
Sapphire
sospirò,
allungò le mani verso il ragazzo e si lasciò avvolgere dal suo tenero
abbraccio. Non percepiva il suo odore, la sua pelle e il suo corpo da
così
tanto tempo da temere di averlo ormai dimenticato.
‒
Mi manchi… ‒ mormorò lei.
Era
una
ragazza, aveva imparato a percepire certe cose: nella sua stretta, il
ritmo
delle pulsazioni di Ruby si era moltiplicato. Il suo cuore aveva preso a
battere più forte. Senza volerlo e senza rendersene conto, si
ritrovarono a
letto insieme. Fecero di nuovo l’amore dopo due lunghi anni, tornarono a
ad
assaporarsi reciprocamente come due ragazzini, godettero di ogni odore,
di ogni
bacio, di ogni punto di contatto dei loro corpi. Ruby sapeva come farla
impazzire, lei sapeva cosa concedergli. Entrambi erano consci che ciò
non
avrebbe rimesso a posto niente, tantomeno ricostruito qualcosa. Lei
sapeva bene
di dover tornare a detestarlo, lui di dover riprendere a nasconderle la
verità,
non appena entrambi avrebbero raggiunto l’orgasmo. Si stavano sfogando e
allo
stesso tempo stavano impedendo ai propri conflitti di generare altro
dolore. Si
unirono al di fuori di Hoenn, al di fuori di Zero e della Faces, al di
fuori di
Vivalet e al di fuori di tutto ciò che stava succedendo al mondo.
L’universo
sarebbe potuto esplodere, loro non se ne sarebbero accorti.
Erano
tornati
bambini, insieme. Fuori dal mondo, fuori dal mondo dei grandi.
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