22. Trucchi del Mestiere
Sinnoh,
Evopoli, Casa di Gardenia
“Hey... sei
tornato” sentì Marisio, non appena ritirò le chiavi dalla toppa. La musica in
diffusione era leggera, con note di pianoforte che si alternavano educatamente
ad assoli di sax.
Gardenia
apparve avvolta nella sua vestaglia, non appena l’uomo voltò l’angolo.
“Non ti
aspettavo più, per oggi. Temevo avessi perso il volo”.
“No” rispose
quello, guardandola fissa in quegli occhi ambrati. “Sono riuscito a prendere
l’ultimo”.
“Se lo avessi
saputo sarei venuta a prenderti all’aeroporto” disse, sorridente. Gli si
avvicinò e lo baciò con vigore, aderendo al suo corpo, e a lui piaceva. Da
morire, gli piaceva.
Adorava il
fatto che una donna così bella fosse innamorata di lui, che potesse tornare a
casa e trovarla lì, in attesa di un suo bacio, di un suo abbraccio. Adorava
sentire la necessità della sensazione di contatto dei loro corpi, e quella fame
quando non bastava più, perché i loro vestiti erano di troppo. Adorava sentirsi
dentro di lei e adorava quando lei lo lasciava poi uscire, soltanto per
stringersi al suo corpo, ancora caldo, quasi febbricitante.
“Come stai?”
domandò lei, baciandolo ancora.
“Bene...”
rispose Marisio, calando il volto.
“Bene?”
chiese ancora. Non sembrava parecchio convinta. “Non mi sembra l’espressione di
qualcuno che sta bene, la tua... Che succede?”.
La donna
fece un passo indietro e guardò il suo uomo, mentre smontava il cappotto e
levava il cappello. Sospirò e annuì, pronto a confessare.
“Lance mi ha
offerto il posto di Capopalestra di Violapoli”.
L’espressione
di Gardenia mutò: incuriosita com’era, dapprincipio, la sua faccia indossò una
maschera di confusione. “Beh...” fece, cercando di entrare nella testa del
bell’uomo dai capelli scuri. “Mi sembra una cosa bella, no?”.
“Certo,
sì...” disse lui, passando una mano nella chioma corvina. “Lo è. E vorrei tanto
provarci”.
“E allora?!”
esclamò sorridente lei, prendendogli il cappotto da mano e appendendolo. “Sarà
una cosa meravigliosa! Non ho mai visto un Allenatore di Pokémon forte come
te!”.
“Starei
lontano da Sinnoh...” sospirò lui, portato per mano sul divano.
Gardenia
divenne improvvisamente seria. Si sedette e tirò le gambe verso il petto,
mentre Marisio si abbandonò nei morbidi cuscini. Dalla sua espressione sconsolata
poteva riuscire a vedere l’effettivo dispiacere che provava per tutta quella
situazione.
“Potremmo
sempre trovare un modo per vederci, tesoro...”.
“Sì, lo so,
Lance me ne ha suggeriti già un paio ma...”.
La donna si
limitò ad annuire e a gettarsi su di lui. Gli sfilò le scarpe e poi lo tirò
sulle sue cosce, mentre gli accarezzava i capelli. “Com’era Johto?” gli
domandò.
Lui guardava
verso l’alto.
“Molto
carina. Mi spetterebbe la Palestra di Violapoli...”.
“Non ci sono
mai stata”.
“A me è
piaciuta davvero molto. C’è una strana monumentalità nell’aria e la gente è
profondamente legata alle tradizioni. L’aura è limpida e...”.
“E la
Palestra? Com’era la Palestra?”.
“Incredibile.
Più grande della tua, con un’enorme voliera e i Pokémon uccelli che vivevano
liberi...”.
“Immagino la
puzza di guano...”.
“E invece
no, sai? Inoltre...” fece, voltandosi e guardando negli occhi la donna. “C’è
anche una grande struttura in legno, rialzata di parecchi metri, su cui si
terrebbero le lotte...”.
Gardenia
poté vedere il sorriso felice di Marisio, quello spensierato, in uno di quei
rari momenti in cui esplodeva.
“Tu vuoi
andarci. Vacci” sussurrò la donna, abbassandosi su di lui e baciandogli la
fronte. Il suo corpo gli aderì sul volto.
Marisio
sospirò. “Non voglio lasciarti”.
“Non devi”
rispose. “Ci sono tanti modi per stare assieme”.
“Lo so, lo
so... ma mi mancherà... questo”.
Gardenia lo
guardò, vestendo il suo viso di un sorriso gentile e bonario.
“Io ti amo e
so che tu ami me. Non succederà nulla di male, perché supereremo ogni
avversità”.
Lui si
sollevò, tornando seduto. Guardò il suo sorriso dolce, poi fissò le labbra
morbide della donna, e la bontà nell’ambra dei suoi occhi. Amava lei, amava il
suo profumo.
Le sorrise.
“Sei
straordinaria”.
“Lo so. E
ora andiamo di là, ti cucino qualcosa, sarai affamato”.
Adamanta,
Timea, Uffici della Omecorp
Erano
passati ormai sei ore da quando Lionell s’era seduto davanti al suo computer.
Prima, il sole illuminava l’intero ufficio ma poi, lentamente, la sera era
tornata a riprendersi ciò che aveva lasciato lì prima di lasciar posto al
giorno e, senz’accorgersene, l’uomo era rimasto con le luci spente. Se ne rese
conto quando gli occhi cominciarono a bruciare, che l’orologio già segnava le
diciannove. Sbuffò, abbassò le mani dalla tastiera e si alzò in piedi. Si voltò
in direzione della finestra, aveva bisogno di aria, tutta quella storia lo
stava consumando. Avrebbe voluto prendere il primo aereo per un posto caldo,
dove la sabbia era chiara e il mare gli avrebbe sussurrato parole gentili
durante la siesta.
E invece no.
Invece
doveva rimanere chiuso nella sua armatura fatta di polsini inamidati e cravatte
doppie, accessori in oro e scarpe lucide. Il dopobarba aveva un profumo
pungente, non a tutti piaceva ma a lui sì. Lasciava il suo odore nelle stanze,
era segno di personalità.
Pensò che
avesse voglia di un sigaro.
Sì, si
sarebbe abbandonato al piacere momentaneo di un sigaro. Quindi fece per
voltarsi e aprire il cassetto della scrivania dove conservava la scatolina
scura. Prese un lungo cubano, ne mozzò l’apice e lo mise in bocca. Quando il dito
premette sull’accendisigari, lentamente, le note fruttate gli riempirono la
bocca. Si abbandonò poi nella sua poltroncina. Tutta la meticolosità di quei
giorni richiedeva ampi periodi di ripresa mentale, e soltanto in quel modo
riusciva a ritrovare se stesso, Lionell.
Poi suonò
l’interfono.
Guardò
l’apparecchio sulla scrivania e dopo il suo sigaro. Decise di soprassedere e di
alzarsi, si sarebbe rilassato un’altra volta.
“Sì”.
“Dottor
Weaves, c’è in linea la signorina Malva, la Superquattro di Kalos... Che le
dico?”.
“Che sono in
riunione e che sarà richiamata non appena sarò disponibile”.
“Va bene,
Dottor Weaves...”.
Gli occhi
azzurri dell’uomo lasciarono la presa dall’interfono e tornarono sullo schermo
del computer, dove i suoi conti offshore erano aperti in diverse finestre. La
calcolatrice davanti segnava chiaramente sette cifre da sommare; sette conti in
banca, con sette totali, che sostanzialmente rappresentavano i parziali del suo
patrimonio.
Messi l’uno
dietro l’altro, quei parziali avevano fatto di Lionell un uomo profondamente
ricco.
Di nuovo. Calcolava,
lui, freddo, il da farsi, lentamente, senza farsi prendere dal panico, mentre
la testa del sigaro bruciava ogni volta che lui aspirava. Prima di sospirare
però lo levò dalle labbra e lo poggiò nella ceneriera. Si voltò nuovamente
verso l’interfono e premette il pulsante sette.
“Linda.
Vieni nel mio ufficio”.
Rilasciò e
riguardò la cifra che la calcolatrice gli consegnava.
Ripassò
mentalmente il piano per la milionesima volta, prima che la donna varcasse la
sua soglia. Sempre incredibilmente ordinata, in quel tailleur nero gessato, coi
capelli legati e tenuti alti sulla testa e gli occhi verdi finemente truccati.
Lo sguardo dell’uomo le carezzò il collo e si tuffò nella scollatura, prima che
quella, compiaciuta, lo salutasse con un cenno della testa.
“Chiudi la porta” fece quello, lasciando
sedimentare la sua voce. Quella si voltò ed eseguì, avvicinandosi alla
scrivania e accomodandosi di fronte a lui.
“Che
succede?”
“I mosaici
quando saranno venduti?”.
La donna
sorrise e annuì. “Il compratore effettuerà il pagamento nella giornata di oggi.
Andrò personalmente a ritirare i centocinquanta milioni e li porterò al nostro
consulente per gli affari. Apriremo qualche conto in una banca offshore e faremo girare i soldi, come
abbiamo fatto fin ad ora”.
“La vendita
dei mosaici finanzierà la fase finale del progetto”.
“I soldi
saranno girati automaticamente ai nostri uomini di fiducia. Avremo a
disposizione un migliaio di mercenari pronti a combattere per noi”.
“E sarà
allora che potremmo mettere le mani sul Cristallo
della Luce” sorrise quello.
Linda lo
emulò, annuendo. “Spero che i tuoi piani ci porteranno dove vogliamo arrivare”.
“Già.
Solomon vuole che io gli ceda il cristallo ma non sono sicuro di volerlo fare.
Catturerò Arceus e comanderò su tutti” rise.
Adamanta, Primaluce, Casa Recket
“Forza,
piccola! Dobbiamo fare presto!” urlò Zack, fremente.
“Papà! Sto
scegliendo una bambola da portare!”.
L’uomo
sorrise e abbassò il volto verso le scarpe: le punte erano belle lucide. Guardò
poi Arcanine e gli si avvicinò.
“Cucciolone...
rimarrai tu a casa, fin quando non saremo di ritorno”
Il Pokémon
sembrò capire e si stese davanti al camino, godendo del calore che emanava. I
piccoli passi di Allegra risuonarono lungo la scalinata, accumulandosi
lentamente l’uno dietro l’altro fino a quando la bimba si ritrovò davanti all’uomo.
“Eccomi,
sono pronta” disse, stringendo una bambola di Stella, la Capopalestra di Timea.
Era tutta agghindata, con un vestitino azzurro e la frangetta ben pettinata
sulla fronte. Gli occhi azzurri spalancati, curiosi come sempre, fissavano il vestito
elegante di suo padre.
“È un
maschietto o una femminuccia?” chiese poi.
“Non lo
sappiamo” rispose sorridente Zack, sistemandosi il colletto della camicia sotto
il pullover. “Ma sappiamo che ha la pelle scura, come quella di zio Trevor e di
zia Alma”.
“E come si
chiama?”.
“Non
sappiamo neppure questo”.
Batté le
punte delle ballerine laccate a terra, Allegra, quindi guardò la sua bambola.
“Ma tu davvero
la conosci, Stella?”.
Zack annuì e
sorrise ancora. “Certo. Lei è la Capopalestra di Timea”.
“E tu hai
detto che alcuni anni fa eri il Campione del mondo”.
“Non del
mondo…” ridacchiò. “Prima dello zio Ryan c’ero io”.
“Lui ti ha
battuto?”.
“È diventato
Campione perché mi ha battuto, sì… Rachel!” la chiamò poi. “Aspetti che nasca
anche il secondo prima di uscire dal bagno?!”.
“E questo
vuol dire che lo zio Ryan è più forte di te, vero?” continuava Allegra,
catturando immediatamente l’attenzione di suo padre.
“No...”
sorrise quello. “Vuol dire soltanto che ha vinto una battaglia contro di me.
L’ho sconfitto tante volte”.
“Però se è
il Campione vuol dire che è l’Allenatore più forte di tutti. Quindi anche di
te”.
“Rachel, fai
presto!”.
“Sto
venendo!” replicò quella, irritata, uscendo dal bagno elegante e ben preparata.
Allegra si
voltò e fissò meravigliata sua madre, che indossava un tailleur beige che ben
s’accostava al colore scuro dei suoi capelli.
“Sei
bellissima, mamma!” esclamò sorridente la piccola, avvicinandosi a lei.
“Grazie,
amore. Dobbiamo proprio andare con Braviary?” chiese poi, assumendo una smorfia
di sconforto e disappunto sul volto.
“Sì!”
cominciò a urlare festosa Allegra.
Rachel vide
poi suo marito fare spallucce. “Decide la più grande...”.
“I
capelli...” sbuffò l’altra, rassegnata.
E così
salirono in groppa al grosso Pokémon, con la bambina stretta tra la schiena del
padre e l’abbraccio di sua madre. E si divertì, volando sulle case, quasi tra
le nuvole. Ogni battito d’ali di Braviary schioccava accanto alla sua testa,
celandole il mondo in cui viveva in corrispondenza del movimento del Pokémon,
per rimostrarglielo un attimo dopo. Il tramonto su Primaluce era arrivato un
po’ più tardi quel giorno, segno che le giornate stavano cominciando ad
allungarsi, tuttavia le luci gialle riempivano le strade e le case, come tante
piccole candele.
Atterrarono
proprio nel giardino, dove alcune persone ben vestite conversavano con un
bicchiere di spumante tra le mani. Zack fu il primo a scendere, aiutando poi
sua figlia e sua moglie a poggiare i piedi sul prato bruciato dal freddo. Rachel
diede una sistemata veloce ai capelli e vide Braviary rientrare velocemente
nella propria sfera
“Allegra, mi
raccomando...” le disse poi la donna, sospirando.
“Stai buona”
rincarò Zack.
Quella
rispose annuendo, guardando meglio la bambola di Stella e poi alzando lo
sguardo verso la porta.
“Una festa
per una nascita è una cosa un po’ insolita...” osservò Rachel, raggiungendo con
difficoltà il selciato, dove i suoi tacchi non affondavano. S’aggrappò al braccio
di Zack e guardò una donna sorridente con una borsa di pelle rossa. Vistosa.
“Beh,
considerando la storia di Alma e Thomas è un miracolo...”.
Entrarono in
casa, con Allegra che li aveva ampiamente anticipati, chiedendo a destra e a
manca dove fosse il neonato. Salì le scale velocemente, proprio quando i suoi
genitori incontrarono Ryan e Marianne.
“Ragazzi”
sorrise il Campione, in veste ufficiale della Lega di Adamanta, con annesso il
lungo mantello argentato. “È un bambino”.
“Che bello”
rispose sua sorella Rachel, stringendolo in un caldo abbraccio.
“Sei un
incanto” fece invece Marianne.
“Non l’avrei
sposata, altrimenti...” ribatté Zack. “Con permesso, vado a vedere il
mostriciattolo, Allegra sarà sicuramente passata davanti a tutti”.
“Alma è
ancora nel letto” sorrise la donna. “Ha partorito in casa, d’improvviso. Non è
riuscita a raggiungere l’ospedale”.
“A dopo”
chiosò Rachel, seguendo suo marito lungo il corridoio e poi sulle scale.
L’ultima porta sulla destra era aperta e vedeva, oltre a un paio di familiari
di Thomas, tutti con dentatura da oscar e
capelli perfettamente ordinati, la sagoma di Leonard al di fuori della
porta.
“Piccolo”
disse Zack, una volta raggiunto.
Quello
spalancò gli enormi occhi azzurri e sospirò. “Zio...”.
“Che
succede, campione?” fece quello, prendendolo in braccio. La pelle ambrata del
bambino era ancor più scura, immersa nelle ombre fioche di quel corridoio.
“Voglio un
fratellino anche io… glielo dici a mamma?”.
Zack rise,
baciando la fronte del nipote. “Certo. Ora salutiamo il nuovo arrivato però”.
Entrarono
nella camera così, con Leonard in braccio all’uomo e Rachel a seguirli in
religioso silenzio.
Non appena
varcata la soglia un velo di tranquillità li rivestì totalmente. Allegra era
davanti ad Alma, tutta sorridente, forse più della neomadre, stringendo la sua
bambola come avrebbe fatto se avesse avuto il piccolo in braccio. Thomas
sorrise, non appena li vide.
“Manuel. Si
chiama Manuel” disse, vedendo d’improvviso Rachel piangere per la commozione.
La donna aderì a suo marito, abbracciata poi anche dal nipote, asciugando
velocemente le lacrime.
“È una
meraviglia, Alma. Un bambino meraviglioso” piangeva quella, abbassandosi poi
per baciare il volto della madre, commossa per l’ennesima volta mentre
stringeva quella meraviglia tra le braccia.
“Grazie,
ragazzi. Grazie a tutti di essere qui”.
Il piccolo
Manuel dormiva beatamente tra i seni della Professoressa, sotto lo sguardo
vigile e commosso dei presenti.
“La vostra
avventura è appena cominciata” sorrideva Zack. “Gioco di squadra, mi
raccomando”.
“Certo”
annuì Thomas. “Alma ha già fatto tanto”.
“Posso
prenderlo in braccio?” domandò poi Allegra, con gli occhi sognanti.
“Sta
dormendo” le rispose Leonard, repentino.
Quella alzò
gli occhi e lo bruciò con lo sguardo. “Fatti i fatti tuoi. Sei anche in braccio
al mio papà, quindi dovresti essere gentile con me!”.
Alma sorrise
e mise una mano sul capo di Allegra.
“Non
litigate” fece. “Manuel dorme”.
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