L’aeroporto
di
Ciclamipoli era un inferno. Il traffico di valige e persone soffocava
come
una cappa di aria consumata.
−
Siamo arrivati troppo tardi… −commentò Blue, abbassando il PokéGear con
aria
sconsolata.
−
Che succede? – chiese Green.
−
Dobbiamo raggiungere l’Ospedale Civile di Porto Alghepoli, subito –
ordinò lei.
−
E la sede? – domandò Gold, stranamente serissimo.
−
È un cumulo di macerie… − spiegò la ragazza.
−
Sapphire! – esclamò la castana abbracciando l’amica, al centro del
corridoio
dell’ospedale.
−
Dov’è Gold? – chiese la Dexholder di Hoenn, rispondendo all’abbraccio
con
riluttanza.
−
Che succede? Dove sono gli altri? – chiese Blue, terrorizzata all’idea
di una
risposta.
Gold
e
Green comparvero al seguito della ragazza.
−
Stai bene? Abbiamo visto che cos’è successo… − fece Green.
Sapphire
non
rispose. Guardava Gold.
−
Sono entrambi in sala operatoria – disse. – Sono gravi.
−
Rispondi, cazzo! – esclamò Ruby gettando il cellulare a terra.
Si
trovava
fuori, sotto le stelle oscurate dalle numerose luci dell’ospedale, come
unica compagnia un infermiere. Il numero chiamato a vuoto era quello di
Kalut.
−
Latios, trovalo – ordinò.
L’infermiere
mutò
la propria immagine e al suo posto apparve il drago bianco e azzurro.
−
Segui la traccia psichica di Kalut, dovresti riuscirci.
Il
Pokémon
acconsentì, volando via a velocità supersonica.
La
corsia
era in fibrillazione. Alcuni ostaggi, feriti da Zero nel confuso
susseguirsi degli eventi, erano stati ricoverati. Tuttavia, nessuno di
loro
aveva riportato lesioni gravi o mortali. Non era la condizione dei
pazienti ad
allarmare i medici, ma gli avvenimenti da cui essi erano reduci. Pochi
minuti
prima, tremando nei loro camici, avevano seguito la diretta delle
riprese condotte
nella zona del grattacielo FACES. L’azione eroica di quattro Dexholder
aveva
preceduto il crollo dell’intero palazzo. Nessun morto, dicevano i
reporter, gli
ostaggi erano stati tutti salvati grazie al provvidenziale intervento
dei
ragazzi, tuttavia l’immagine della torre di vetro e cemento che
collassava su
se stessa aveva impressionato fortemente tutti gli spettatori. Inoltre,
Zero
era fuggito, il pericolo era ancora vivido.
−
Andrà tutto bene… − si ripeteva Sapphire.
Blue
fissava
il vuoto, Green taceva immobile, Gold non trovava pace e continuava ad
alzarsi per cercare una posizione più comoda. Ogni medico che passava
nei
pressi dei quattro Dexholder era bersagliato dalle loro occhiate che
attendevano avidamente il responso di uno dei chirurghi. Le ore
passavano,
ormai fuori era notte inoltrata, eppure vi era ancora silenzio.
Ruby
riapparve,
rientrando in cerca dei suoi amici. Questi lo videro giungere tra
loro e lo guardarono per un brevissimo istante solo per verificare che
fosse
veramente lui. Tutti tranne Sapphire, che lo invitò a sedersi accanto a
lei.
Prima che il ragazzo potesse risponderle, un chirurgo si avvicinò al
gruppetto.
Ognuno si rivolse verso di lui con la massima attenzione, come bambini
attorno
ad un vassoio di biscotti.
−
Chi è qui per Silver? – chiese ingenuamente l’uomo in camice.
I
Dexholder scattarono in piedi come delle molle, accerchiando l’uomo.
−
Ecco, ha subito un grave trauma cranico dovuto alla caduta di alcune
macerie –
balbettò quello. − e abbiamo fatto il possibile per limitare i danni, ma
il
paziente è entrato in stato di coma. Non possiamo prevedere se e quando
ci sarà
una riabilitazione…
Blue
rimase
paralizzata, Gold lo stesso. Sapphire si voltò e si mise le mani tra i
capelli, non riuscendo a credere alla situazione, Green non riusciva a
staccare
gli occhi dal pavimento. Ruby era rimasto immobile fin dalla comparsa
del
chirurgo.
−
Ci dispiace molto – mormorò questo, andandosene.
Blue
rimase
fissa in posizione per un tempo indeterminato, Gold si voltò e,
imprecando, calciò una delle poltroncine scaraventandola contro il muro.
Tutta
la corsia tacque, fissandolo. Lui non se ne curò e si sedette a terra
con la
schiena al muro. Blue cominciò a piangere silenziosamente.
In
quelle
condizioni disumane, attesero ancora. Il sonno e la stanchezza non erano
più fattori destabilizzanti per loro. Green non spiccicava una parola da
ore,
Blue aveva ancora il volto rigato dalle lacrime e Sapphire fissava il
vuoto
seduta accanto a Ruby. Gold, invece, giaceva ancora seduto a terra, con
la
testa china e le braccia poggiate sulle ginocchia.
Il
chirurgo
si ripresentò a loro, chiedendo se volessero vedere Silver.
Acconsentirono tutti, tranne Gold e Blue. I due rimasero nelle loro
posizioni
senza parlare o muoversi. Per rispetto, i loro amici non misero bocca,
lasciandoli lì senza insistere.
Green,
Sapphire
e Ruby entrarono invece nella stanza del Dexholder dagli occhi
d’argento. Coraggiosamente, sostennero la visione: non era tumefatto o
malridotto, aveva solo delle fasciature e dei fissatori che
stabilizzavano la
posizione del suo collo. Giaceva immobile nel letto, pallido e spento. I
suoi
capelli rossi erano disposti ordinatamente, ma erano stati rasati in
maniera
rude sulla nuca per favorire le incisioni dei chirurghi. Era collegato a
qualche macchinario che probabilmente lo teneva in vita, risuonava nella
stanza
il costante bip
dell’elettrocardiogramma. Poteva sembrare addormentato, ma soltanto ad
un
occhio ingenuo. Silver era quel tipo di persona che dorme con un occhio
aperto,
attento al minimo suono pure nelle fasi di sonno più profondo. Quando
dormiva
sembrava concentrato in un’azione complicatissima.
In
quel
pietoso stato di coma, invece, la sua espressione era serafica e
tranquilla. Vi era un candore mai visto nel suo viso caratterizzato da
una
costante espressione di diffidenza e preoccupazione.
I
ragazzi entrarono nella stanza e subito si resero conto di voler uscire.
Nessuno parlò, nessuno fece movimenti eccessivi, nessuno respirò durante
gli
istanti che passarono lì dentro con quello che tanto sembrava il
cadavere del
loro amico. A salvarli da quella situazione fu la figura di un secondo
medico
che si affacciò sulla porta.
−
Si tratta di Crystal – disse questo, più perspicace del collega di
prima.
Ormai
pronti
a tutto, i Dexholder lo seguirono. Si aggregarono al gruppo pure Blue e
Gold che, conservando l’espressione nera e il silenzio tombale, avevano
abbattuto la loro dimora di solitudine per sapere qualcosa in più della
loro
amica.
−
Ha subito una grave emorragia a causa della recisione dell’arteria
femorale –
disse il chirurgo. – siamo riusciti a impedire il dissanguamento, adesso
è in
condizioni stabili – un sottile velo di positività tornò nei ragazzi. –
…ma la
gamba destra era ormai andata in necrosi.
Simili
ad
angeli custodi apparvero a Crystal i suoi amici. Due sedevano, uno era
crollato con la testa appoggiata al bordo del letto, altri due erano in
piedi
fissi e immobili. La ragazza riaprì gli occhi lentamente. Non lo sapeva,
ma i
suoi amici avevano atteso per ore quel momento. Dopo la chiamata del
medico,
avevano ottenuto il permesso di rimanere con lei fino al risveglio.
−
Silver… − sussurrò la ragazza rientrando nel mondo reale.
−
Crys – si ridestò Gold. – Ci sei? Come ti senti?
Sapphire
e
Ruby sembravano accennare ad un sorriso patetico. Gli altri neanche si
lasciavano andare a tanto.
−
Che è successo? – chiese Crystal con un filo di voce.
−
Crys è… tutto finito, siamo vivi – cercò di rassicurarla Sapphire.
La
ragazza
riprendeva pian piano coscienza di ciò che aveva attorno. Un passo dopo
l’altro, la sua espressione si faceva sempre meno vacua. Accennò quasi
ad un
sorriso, quando un’orribile sensazione le gelò il sangue tutt’ad un
tratto.
I
ragazzi erano fuori dalla porta. Crystal, in preda ad un pianto
isterico, li
aveva cacciati via, supplicandoli e gridando di lasciarla sola.
Riuscivano a
sentire i suoi singhiozzi smorzati dalla morfina e il suo pianto
spezzato e
interminabile. Ognuno di loro aveva fissa in testa la sua espressione
talmente
incredula e scandalizzata da mettere paura. La ragazza aveva mosso la
mano e
alzato la testa quanto le era bastato. Sotto il lenzuolo del suo letto
d’ospedale, era riuscita a scorgere una singola forma, dove sarebbero
dovute
essere due le sagome visibili sotto il suo lenzuolo. Era scoppiata in
una
crisi, per quanto le sue scarse energie le permettessero e i medici
erano
dovuti intervenire con i sedativi, poi avevano rassicurato gli amici
affermando
di dover concedere a Crystal il tempo necessario.
Intanto,
i
ragazzi sostavano lì come degli stoccafissi. Non sapevano come agire,
non
sapevano cosa dire, non potevano non sentirsi in colpa per non essere
finiti al
loro posto.
Ad
un
certo punto, un infermiere passò davanti a Ruby, guardandolo
intensamente,
sparendo dietro l’angolo del corridoio. Il Campione di Hoenn si mosse,
avviandosi verso l’uscita. Sapphire, senza neanche pensarci, lo seguì.
Ruby
attraversò mezzo ospedale, seguendo il ragazzo, fino a giungere ad
un’uscita
nascosta posizionata sul retro, accanto ad uno sgabuzzino serrato. Il
ragazzo
mise piede fuori, Sapphire gli comparve alle spalle. Stava sorgendo il
sole, si
trovarono in un ombreggiato spiazzale abbandonato, circondati dal
complesso
ospedaliero. L’infermiere che avevano seguito era scomparso, ma un
Latios
volava via in lontananza. Ruby se lo aspettava, si guardò attorno e
intravide
Kalut seduto sul davanzale di una finestra, poco sopra le loro teste.
Il
ragazzo
dai capelli bianchi guardava con rammarico ai due Dexholder di Hoenn.
−
Ho saputo che cosa è successo ai vostri amici – disse loro, scendendo a
terra
con un salto. – Mi dispiace…
Sapphire
lo
fissava stupefatta, Ruby cercava di evitare il suo sguardo.
−
Dove lo hai portato? – chiese Ruby andando dritto al punto.
−
In un posto sicuro – rispose Kalut, stando al gioco.
−
Lo abbiamo inseguito, abbiamo rischiato la vita, perso degli amici e lo
abbiamo
fermato, meritiamo di sapere dove si trova – rivendicò il ragazzo.
−
A Sinnoh, con degli alleati – fece allora l’altro.
Sapphire
si
piazzò tra i due, entrando in gioco all’improvviso: − Parlate di Zero
come
se non si trattasse di un criminale! Che diavolo avete nel cervello?!
−
Sapphire… − tentò Ruby.
−
Sapphire un cazzo! Silver è in
coma e
Crystal ha perso una gamba, è stato lui a far crollare quel palazzo
sopra di
loro! Lo capisci che continuare a fidarci di questo qui – e indicò Kalut
– ci
porta solo guai?!
−
Calmati – le intimò Kalut con voce tranquillissima.
−
No! Mi avete parlato della FACES ma state trattando tutta questa vicenda
come
se non ci fossi dentro anche io ormai… e così tutti gli altri! –
esclamò,
furente. – Voglio sapere tutto, anche quello a cui ha accennato Zero su
di te,
Ruby! Avete la minima idea di quello che è successo… Emerald, Silver… −
il suo
tono di voce si abbassava progressivamente, spezzandosi ogni tanto a
causa dei
singhiozzi.
I
maschi rimasero in silenzio, lasciando che continuasse a sfogare lo
stress
accumulato.
−
Sapphire – ritentò Ruby, rimuginando su ciò che lei aveva richiesto
loro, si
accorse di non sapere cosa dire.
−
Va bene – acconsentì allora Kalut, stupendo entrambi.
Il
trio
si accampò sul tetto dell’ospedale che era illuminato dal sole nascente.
Era tradizione, ormai, sedersi sui tetti per raccontarsi le storie.
−
Zero vi ha già spiegato qualcosa sulla FACES – esordì Kalut. − lei si
innesta
all’interno del sistema, controlla le persone, giostra il mondo a
proprio
vantaggio. Lui ha voluto provare a distruggerla, prendendo il potere
massimo,
ma la FACES ha giocato d’anticipo, contrastandolo tramite i
Superquattro, che
si sono finti suoi alleati fin dall’inizio del suo mandato. Poi sapete
come si
sono svolti i fatti: Rayquaza e Vivalet, Zero scopre ciò che nascondono
i suoi
alleati, li fa fuori uno per uno, ma credo che non servano altri
dettagli,
conoscete molto bene i fatti.
Sapphire
sbuffò,
sprezzante, rievocando le immagini fisse nella sua testa della villa di
Olivinopoli che crollava sotto le esplosioni e della morte atroce di
Axel e
Tiana, ammazzati a sangue freddo dal Deoxys di Zero.
−
Zero si trovava in un periodo difficile. Lui ha un concetto molto
particolare
della giustizia, ma è anche perfettamente razionale. Ero sicuro che
fosse in
preda ad una crisi a causa di un litigio avuto con me – rivelò, stupendo
entrambi gli ascoltatori. – Non mi sbagliavo, ha agito in maniera audace
e
impulsiva. Poi vi ha spiegato su cosa ha iniziato a basare la propria
strategia:
l’attacco alla sede FACES avrebbe dovuto attrarre l’attenzione di tutto
il
mondo, qualcuno avrebbe indagato sul movente di tale gesto, portando
alla luce
tutti gli intricati segreti della Federazione – proseguì Kalut.
−
Avrebbe ucciso quelle persone? Gli impiegati, intendo – chiese Sapphire.
−
Era sicuro che avremmo tentato di fermarlo, tant’è che ci ha anche
anticipati
con quello Zoroark a Zafferanopoli, inoltre lo avete trovato privo di
armi, no?
– spiegò il ragazzo.
−
Aveva previsto anche che avremmo avuto due amici in condizioni gravi in
ospedale? – sibilò Sapphire, arrabbiata.
−
Si trovava all’apice della sua crisi, ripeto, vi ha permesso di fermarlo
ostacolandovi comunque con i suoi Pokémon, il suo cervello continuava a
litigare con se stesso… − chiarì Kalut.
−
Questa non è una scusante – ribadì lei.
−
Lo so, ma lasciatemi spiegare, Zack è un’arma potentissima da rivolgere
contro
la FACES, io e lui siamo… legati, diciamo, abbiamo bisogno di lui. Ha
gli
stessi nostri obiettivi, dovrà solamente capire dove si trova il limite
da non
superare.
−
Parli di un noi – notò Ruby.
– Di chi
si tratta?
Kalut
sospirò.
Tacque, lasciando qualche secondo di silenzio.
−
Dei tuoi avversari – esclamò Gold apparendo dietro di loro.
Kalut
accennò
un sorriso, si voltò seguendo l’esempio di Ruby e Sapphire. Si
trovarono faccia a faccia con Gold, Blue e Green. Avevano un’espressione
cupa
in volto. Tutti quanti.
−
Che succede? – chiese il Campione di Hoenn percependo l’aria di
ostilità.
−
Raccontaci tu che cosa succede, Ruby – gli chiese Gold.
Il
ragazzo
corresse i propri sensori. Non percepiva ostilità, ma rassegnazione. La
sua voce sembrava quella di una madre rivolta ad un figlio appena colto
con i
buchi sulle braccia.
−
Sei stato informato? – domandò Kalut.
−
Aurora, lo sai bene – annuì Gold.
−
Sì, lo ammetto, lo sapevo già.
−
Quindi cosa sapete? – domandò Ruby rivolto sia a Kalut che a Gold.
−
Loro erano certi che la FACES ti avesse reclutato… − spiegò Gold. – Ma
quando
noi siamo venuti a cercarti, abbiamo notato qualcos’altro… o no?
Ci
fu
il silenzio.
−
Ruby, di che parlano? – chiese Sapphire, sentendo un brivido salire
lentamente
lungo la sua spina dorsale.
−
La FACES mi ha obbligato – chiarì Ruby.
Il
mondo
si zittì, in ascolto del ragazzo. A Sapphire smise anche di battere il
cuore.
−
Mi hanno spianato la strada, mi hanno chiesto di diventare Capopalestra
e poi
Campione, di diventare il leader di Hoenn – la sua espressione era
indefinibile, sembrava star confessando i propri peccati ad una folla di
giudici. – Altrimenti, avrebbero fatto a voi… ciò che hanno fatto ai
miei
genitori.
Si
levò
un mugolio generale. Solo Kalut rimase impassibile.
−
Ti hanno ricattato? – precisò Gold. – E noi eravamo la merce?
Ruby
guardava
a terra, rivolgendo ogni tanto gli occhi al suo interrogatore. Non
aveva però il coraggio di alzare lo sguardo verso la sua destra,
incrociando
quello di Sapphire.
−
Cristo… − commentò Blue, scuotendo la testa.
−
Ho in mano il controllo di Hoenn, sono il Campione e il primo
Coordinatore, ero
il volto perfetto per apparire ovunque e gestire ogni canale di mercato,
propaganda e informazione della mia regione. Grazie a me, sono riusciti
a
diffondersi a Hoenn, prendendone il controllo – concluse. – Non ho avuto
la
forza di oppormi…
Ci
fu
un secondo momento di stallo.
−
Loro ti ordinano cosa fare? – chiese Gold.
−
Mi hanno chiesto di agire per loro conto più e più volte… sono costretto
a
farlo.
−
Sei un loro burattino… sei nostro nemico – concluse Gold.
−
Nessun componente della Resistenza pensava fosse andata così, nel tuo
caso –
precisò Kalut. – Di solito la FACES corrompe e compra le persone, non le
ricatta.
−
Ma era tutto credibile, ho sempre cercato la fama… − proseguì Ruby. –
Sarebbe
stata la solita storia del ragazzo che diventa famoso e abbandona gli
amici,
tutto poteva essere partito dal trauma subito alla morte dei miei
genitori.
Neanche voi avete indagato o sospettato… ero la persona perfetta per
quel ruolo
– chiarì.
−
La FACES ha messo su una gigantesca messinscena – mormorò Blue.
−
Mi dispiace… − commentò Ruby. – Sono stati due anni terribili.
−
Ruby… − sussurrò Sapphire.
I
due riuscirono a guardarsi negli occhi. Lei era a metà tra la paura e la
commozione. Si fissarono per un lasso di tempo interminabile. Nessuno
parlò,
nessuno si mosse.
−
La Resistenza è attualmente l’unico corpo con l’obiettivo di sovvertire
il
dominio della FACES, prima che sia troppo tardi. Aurora, un membro, come
me, ha
spiegato tutta la situazione a Gold, due giorni fa, perché lui la
spiegasse anche
a loro – aggiunse Kalut, riferendosi a Green e Blue.
−
Noi prenderemo parte a questa causa, ci hanno spiegato che cosa ha in
mente la
FACES, vogliamo aiutare – mise in chiaro Green, parlando per Gold, Blue
e sé. –
Tu saresti un aiutante fondamentale, avere dalla nostra parte uno dei
membri
fondamentali dei progetti della FACES… potrebbe garantire degli ottimi
vantaggi.
Ruby
rifletté
su tutta la situazione. Mettersi tanto a rischio con la FACES alle
costole poteva risultare pericoloso, quasi suicida, ma era sciocco
continuare a
eseguire i loro ordini. Ora che tra le fila nemiche si erano annoverati
anche i
suoi più cari amici, sarebbe stato inutile combattere sperando di non
dover mai
affrontare nessuno di loro.
−
Potete darmi del tempo da solo? – chiese il ragazzo.
Gold
e
Green annuirono, Blue non lo guardò. Vide una sorta di pentimento in
loro, la
coscienza di aver commesso degli errori di valutazione. Lo avevano
dimenticato,
dopo due anni. Ingannati, erano caduti nella trappola.
−
Ruby, aspetta – lo fermò Sapphire, mentre lui accingeva già ad
andarsene.
Quello
si
voltò, all’ascolto.
−
Perché te ne sei andato? Perché non hai continuato a fare quello che la
FACES
ti richiedeva mantenendo i contatti con noi? – gli domandò, con gli
occhi
lucidi.
Lui
era
mesto, in volto.
−
Ho trasformato la mia Lega in una schifezza, i Superquattro sono
personaggi da
copertina, vado a trasmissioni per idioti su una televisione che
diffonde merda
che serve da distrazione per le masse… − mormorò, con gli occhi fissi a
terra.
– Io non riesco ancora a guardarvi in faccia – rise, con espressione
distrutta.
Ruby
si
voltò e abbandonò il tetto, lasciando Kalut e i quattro Dexholder da
soli.
Sapphire
aveva
ripreso a respirare, lentamente, passo passo.
−
Devo lasciarvi – annunciò Kalut, chiamando Latios che si trovava in
lontananza.
I Dexholder si stupirono del fatto che avesse la capacità di comunicare
con
quei Pokémon senza Flauto Eone, solo Emerald ne era capace. − Se
entrerete
anche voi nella Resistenza, avrete un bel po’ di cose da imparare.
Dovrete
rivolgervi ad Aurora.
Quelli
annuirono,
vacui.
−
Mi dispiace per i vostri amici… Zack non riesce a dormire per questo.
I
Dexholder rimasero stupiti.
−
Non scherzo, è così.
−
Kalut – lo chiamò Blue. – Zack è tuo fratello?
Nessuno
seppe
mai da dove fosse uscita tale intuizione: forse era l’istinto femminile
di Blue che aveva notato quel forte legame, forse la sua mente aveva
collegato
l’abilità inumana di Zero alla mente superiore di Kalut, forse invece
lei stava
rivedendo in Kalut e Zero ciò che erano una volta lei e Silver.
−
Una specie – annuì Kalut. − È complicato – e fece il primo vero sorriso
che i
Dexholder gli videro fare dal giorno in cui si erano incontrati. – Ci
rivedremo
– disse, con sicurezza.
I
Dexholder lo guardarono volare via sul rapidissimo Latios.
Ormai
il
sole era sorto, un nuovo giorno era iniziato.
−
Mi dispiace, Sil… − mormorò Yellow.
La
ragazza
stringeva la mano al corpo in stato comatoso del Dexholder. Ai piedi
del letto, c’era invece un Red la cui immagine sembrava esser stata
stropicciata
come un foglio di carta. Era pallido e mesto, con gli occhi stanchi e le
occhiaie. Vestiva completamente in nero, non riusciva a guardare colui
che era
sdraiato sul lettino.
−
Dobbiamo andarcene – mormorò Red, parlando alla sua ragazza.
−
Vorrei passare da Crystal – si oppose lei.
−
Non possiamo, è sveglia, nessuno deve sapere che siamo stati qui.
−
Red, ti prego…
Quello
si
coprì il volto con la mano e girò le spalle.
−
Posso capire che cosa provi… − mormorò lei.
−
No, non puoi capirlo affatto – la accusò. – Io non ero lì. Sono stato un
amico
di merda.
−
Non puoi darti la colpa per tutto, lo sai com’è la situazione… − provò a
consolarlo lei.
−
Sì, e so che il mio lavoro non è ancora finito.
−
Mi dispiace tanto, Red.
Quello
tacque
per alcuni secondi. − Resta – le disse poi. − Torna da loro, non sei
obbligata a seguirmi.
Yellow
cominciò
a scuotere la testa.
−
Non posso farti questo, non posso trascinarti con me, fammi l’ultimo
favore e
torna con gli altri.
−
Non voglio abbandonarti…
−
Yellow – la fissò negli occhi. – te lo sto chiedendo io. Avranno bisogno
del
tuo aiuto.
La
ragazza
non poté trattenere le lacrime.
−
Quindi è un addio? – domandò. – Vogliamo lasciarci così?
−
Mi dispiace… − mormorò Red.
−
Andrà tutto bene? – chiese lei, ormai ridotta ad un cencio.
−
Sì, te lo prometto.
Non
aveva
il coraggio di abbracciarlo. Non le riusciva praticamente alcun
movimento. Rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, gli unici
suoni
erano i bip dell’elettrocardiogramma.
Crystal
era
sotto sedativi, sdraiata nel suo letto. Blue, Green e Gold sapevano che
avrebbe impiegato tanto tempo a svegliarsi, ma ne avrebbe impiegato
molto di
più per accettare ciò che era accaduto a lei e a Silver. Entrarono nella
stanza, sincerandosi che la ragazza fosse addormentata, fissarono
sorpresi la
figura esile che stava accanto al letto della loro amica.
−
Yellow… − mormorò Blue.
−
Ehi – saluto quella, con gli occhi gonfi dal pianto.
Ruby
sedeva
su una panchina e percepiva la brezza del mare con la pelle. A dieci
metri di distanza da lui, c’era una ringhiera che precedeva il vuoto. La
salsedine impregnava l’aria e, dal fondo del promontorio, si udiva lo
scrosciante suono dell’acqua che sbatteva sugli scogli.
Poi
il
ragazzo udì uno sbattere di ali. Giunse accanto a lui un grosso Tropius
che
portava in groppa una ragazza. Questa ragazza si sedette accanto a lui
sulla
panchina e, arrossendo come un peperone, poggiò la testa sulla sua
spalla.
−
Buon compleanno – gli sussurrò la ragazza. Sapphire aveva seriamente
rischiato
di dimenticare che fosse arrivato il due luglio.
Lui
non
rispose, ma accennò un sorriso.
−
Mi dispiace per tutto… − mormorò lei.
−
No, sono stato un’idiota, non ho fatto nulla per oppormi a loro.
−
Che cosa potevi fare?
−
Avere fiducia in voi, farmi aiutare e combattere il problema al
principio. Ho
voluto agire da solo, come al solito. È per questo che gli altri mi
detestano
ora.
−
Non ti detestano…
−
Sapphire, ti prego…
La
ragazza
non ribatté.
−
Mi sei mancato, Ruby.
−
Anche tu.
−
Significa che sei tornato?
−
Non so cosa significa.
−
C’è ancora tanta strada da fare… non andartene, non più.
Per
qualche
istante si udì solo il mare sbattere sulla roccia.
−
Non me ne andrò – rispose Ruby.
Ceneri
e Piume
Fine
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