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TSR - Secondo Interludio



Secondo Interludio


Adamanta, Piedi del Monte Trave, Accampamento dei Templari
 1000 anni prima

Marcello stava dormendo. O almeno, cercava di dormire.
Durante la notte non era riuscito a domare l’ansia dato che sapeva che sarebbero passati dal cuscino alla spada in poche ore. Ma si sforzava di riposare, di tenere chiusi gli occhi e di dormire, anche se dormire era utopia con l’odore della guerra che pervadeva la tenda dove dormivano.
Poi lo sentì.
Marcello lo sentì, quel rumore.
Aprì gli occhi lentamente, brandendo il pugnale che riposava accanto a lui, come una moglie fedele. Era buio, tutto troppo buio per mettere qualcosa a fuoco così velocemente, ma girò lo stesso la testa. La torcia che illuminava la grande tenda dove dormiva coi suoi commilitoni era abbastanza lontana ma riusciva chiaramente a vedere una figura davanti al letto di Timoteo, il capo dei Templari.
Era troppo distante per riuscire a scorgere il volto dell’aggressore, ma la sua figura era sottile. Pareva essere accompagnato da un Pokémon che fluttuava in una strana luce azzurra. Vide che era un Abra. Poi sentì le sue parole.
“Timoteo! Svegliati!” aveva fatto l’ombra misteriosa. Aveva voce di donna.
Marcello vide il Templare scattare all’in piedi, estremamente lucido.
Passò qualche secondo, poi lo sentì parlare.
“Prima! Cosa diamine ci fai qui?! Se gl’Ingiusti scoprissero che sei nel nostro accampamento sarebbe la fine!”.
“Timo…”
Marcello si rilassò immediatamente; aveva riconosciuto la voce di Prima, quindi lasciò la presa dal pugnale e tese l’udito.
Fu proprio lei a continuare a parlare.
“Dovete terminare questa guerra! Arceus ha maledetto le nostre terre!”.
“Cosa?!”
“Ho… ho avuto un contatto con lui…”.
Gli faceva strano: conosceva Timoteo da quando entrambi erano ragazzini, e con lui anche Prima, e sentirla parlare di contatti con Arceus, di predizioni e divinità gli pareva paradossale. Soprattutto perché, in maniera del tutto insana, tutto ciò che diceva Prima si manifestava con precisione assoluta. Sentire quelle parole ebbe soltanto l’effetto di riempirlo d’angoscia.
“E cosa diamine ti avrebbe detto?!” aveva ribattuto il capo dei Templari, afferrando Prima per le spalle. La fissava dritta, lui, e Marcello sentiva il respiro pesante della donna, mentre riempiva i polmoni. Il buio soffuso non gli permetteva di guardare lo sguardo di Prima, mentre appassiva a causa dello spavento che provava.
“Mi… mi ha detto chiaramente che il mondo che lui ha creato per noi non è stato ideato per diventare un campo di battaglia, dove riversare il nostro sangue a vicenda. Vuole che finiamo di combattere, Pokémon e uomini! Nessuno più dovrà morire per via di una guerra insulsa!”.
Che poi tanto insulsa non era, aveva subito ribattuto mentalmente, Marcello.
Lottavano per difendere Arceus stesso, e le vergini che vivevano al tempio.
Tra cui Prima stessa.
Non metteva in dubbio il fatto che la guerra, come elemento in sé, fosse stupida; tuttavia sapeva che se avessero posato le armi, per fare in modo che nessuno morisse, gli Ingiusti avrebbero compiuto una carneficina. Le parole dell’oracolo non si erano ancora sedimentate nella sua mente quando i concetti che quella aveva espresso risalirono a galla lentamente.
“Prima…” tuonò Timoteo. “Se finissimo di combattere, quei bruti prenderebbero il tempio e vi ucciderebbero tutte…”.
“Sì, lo so, lo so! È per questo che devo parlare subito col capo degli Ingiusti!”.
Marcello pensò che Prima fosse impazzita.
 “Adamo?!” aveva ribattuto Timoteo.
“Questa guerra inutile deve terminare!”.
“Non parlerai assolutamente con nessuno!” aveva esclamato il guerriero, alzando i toni e imponendo la propria voce sulla piccola donna. “Non posso permettere che tu rischi la vita! Quelle persone non hanno né scrupoli né coscienza!”.
Fu allora che Marcello alzò lo sguardo. Vide l’uomo allungare la mano verso quelle della donna. Un lieve silenzio cominciò a espandersi, riconsegnando quella notte ai guerrieri che dormivano.
Lo sguardo di Prima si contrì, le sue dita sottili stringevano quelle ruvide e piene di tagli dell’uomo.
“Devo parlare con Adamo, Timo… È l’unico modo per salvarci” aveva sussurrato lei.
L’altro sospirò.
“Non puoi farlo…” aveva risposto.
“Arceus ci ucciderà tutti, altrimenti!”.
L’eroe ridacchiò, facendo cenno di no con la testa.
“E come farebbe, di preciso?”.
 Marcello vide l’oracolo fare spallucce, mentre il piccolo Abra continuava a fluttuarle attorno.
 “Riprenderà tutto ciò che ci ha dato. La terra, il cielo, il sole. La vita. Rinchiuderà l’universo nell’uovo della vita…”.
“Non so cosa diamine sia, Prima. So solo che se non ucciderò Adamo lui ucciderà me. E te”.
L’altra strattonò l’uomo, liberando le spalle dalla sua presa.
“Beh, a me non interessa! Devo andare a parlare con lui! Non si tratta più di una stupida guerra, qui, tutta l’umanità ne pagherà le conseguenze! Se voi combatterete dopo...”.
Marcello guardò le ombre sui loro volti diventare paura.
“Dopo non ci sarà più nulla...” sospirò Timoteo.
L’altra si limitò ad annuire, abbassò lo sguardo e sospirò. “Allora mi hai capita…”.
 E lì fu paradossale, sentendo il grido disperato di Prima, la voglia di Marcello di scendere sul campo di battaglia per finire quella storia. Sapeva che quella fosse la battaglia finale e sapeva anche che l’esercito degli Ingiusti fosse più numeroso del loro.
Certo, i Templari non erano mercenari e vivevano per difendere Arceus e il tempio. E anche Prima. Erano ormai sette anni che si combatteva quella guerra inutile e uomini e Pokémon erano sicuramente provati da tutto ciò che era successo. Marcello aveva davvero voglia di prendere una giornata di licenza e andare a trovare sua sorella a Nuovaluce, il paesino dov’era nato.
Si rigirò un attimo nel letto, sentendo poi Prima e Timoteo zittirsi, ricordando il volto di sua madre e le risate che da bambino si levavano al cielo quando, poco prima di mezzogiorno, lui e Timoteo s’incontravano davanti al Bosco Memoria.
Davanti, non dentro. Non ci entravano, nessun bambino doveva entrare nel bosco.
C’era quella vecchia storia che lo faceva rabbrividire, ma quando riuscivano a rubare una pagnotta dal fornaio andavano a sedersi in riva al fiume Astro, se la raccontavano sempre.
E poi ricordava Prima, così piccola e dagli occhi perennemente spalancati, azzurri, pieni di vita; e il suo sorriso; Marcello non avrebbe mai potuto dimenticare il suo sorriso.
Così come non avrebbe mai potuto dimenticare il dolore che aveva provato, assieme a Timoteo, quando una meno anziana Olimpia l’aveva presa per mano e portata in cima al tempio.
Tutti lo sapevano; tutti sapevano che sarebbe stato meglio per lei, che si sarebbe salvata dal diventare la moglie umile d’un uomo violento, che avrebbe rovinato il proprio corpo e il proprio spirito dietro decine di figli che sarebbero morti per la febbre, nella migliore delle ipotesi.
Quello era il destino d’una madre del volgo.
Invece avevano deciso di seguirla, e i due amici di sempre finirono per arruolarsi nell’esercito dei Templari, affiancando il giovane oracolo e difendendola con scudo e spada.
 “Lasciami andare a parlare con lui, Timo... Ti prego...” aveva detto poi la ragazza, con la voce che a ogni frase s’addolciva sempre più.
La sagoma di Timoteo lasciò cadere il volto verso il basso, sconfitto.
“E sia. Ma verrò anch’io con te. Per sicurezza...”.
“Grazie!” aveva esclamato lei, alzando un po’ troppo la voce e gettandosi al collo del guerriero.
Marcello lo vide poi avvicinarsi al suo letto.
Timoteo lo trovò con gli occhi aperti; la luce della torcia veniva riflessa sull’argento lucido dell’armatura dell’uomo valoroso, che aveva appena infilato il grosso spadone nel fodero.
“Marcello, amico mio” fece quello, inginocchiandosi alla sua branda. “Sei sveglio?”.
“Ho sentito tutto, Timoteo”.
“Allora non ti devo ulteriori spiegazioni” fece quello, spostando un ciuffo castano dal volto. La mano passò poi nella barba, dello stesso colore, fino a poggiarsi sulle coperte del giaciglio. “Hai tu la responsabilità dell’accampamento e delle truppe fino al mio ritorno. Le vedette sono ancora in postazione”.
L’altro annuì.
“Se sentirò qualcosa lo urlerò fino al cielo, sveglierò i nostri fratelli soldati e difenderemo il tempio. Tu stai attento a Prima” fece, allungando lo sguardo all’oracolo, che sorrise dolcemente. Si avvicinò a quello steso e gli lasciò un debole bacio sulla guancia.
Un debole bacio che lui aveva desiderato per tutta la vita.
“Grazie, Marcello” aveva detto quella, annuendo.
“Di nulla. Ora andate”.
“Bene!” esclamò Timoteo, lasciando volutamente l’elmo sul letto del soldato dai capelli ricci. “Abra, andiamo da Adamo”.
E sparirono.

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