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HNK - TIR - 17 - Il Credo Dei Puri

 
 
Il Credo Dei Puri


Il tempo trascorse lento e corrotto. I commensali dialogavano tra di loro e si inerpicavano in argomenti che ad Alice parvero completamente insignificanti e privi di alcun senso. Passarono dalla necessità di costruire nuovi luoghi di culto, ai loro stupidi e insignificanti capricci da ricchi e potenti, come il bisogno di ulteriori servi nelle proprie dimore. Mano a mano che il tempo avanzava, il numero e il volume delle voci aumentavano, creando un chaos controllato in cui Sua Santità spiccava in ogni istante.
Alice non aveva ancora toccato cibo; quella gente la disgustava. Aveva la nausea al solo guardare le frittelle o ad annusare l’odore della pancetta affumicata.
La sua mente cominciò a vagare mentre osservava un punto fisso nel vuoto, sulla parete di fronte a lei, color bianco. Tutto quel bianco iniziava a darle il voltastomaco. Non aveva mai visto tanto accanimento per un singolo colore. Lo si poteva trovare ovunque, dalle costruzioni ai vestiti di tutti i giorni. In quella sala in speciale. Soprattutto, lo erano i gioielli delle persone che Alice detestava più di quanto loro avessero timore e riverenza del suo patrigno.
- È tutto apposto, piccola mia? – gli chiese lui.
A quelle parole, la mente di Alice volò via dalla sala, salendo verso l’alto. Penetrò pavimenti e soffitti di un piano dopo l’altro, uscendo sulla vetta della Torre Bianca. Fuggì dalle sue grinfie e tornò a casa sua, nel villaggio di Memoride.
Rivisse il grande incendio che distrusse tutto e uccise quasi tutti gli abitanti del piccolo centro montano. Si rivide fra le macerie, intrappolata sotto tonnellate di pietre, collanti e legno ardente.
Rivide se stessa, in ginocchio, col capo chino verso i cadaveri incendiati dei suoi genitori e di suo fratello neonato. Sentì nuovamente il calore bruciarle i capelli e il dolore delle fiamme che cercavano di ghermirla. Era di nuovo lì, nell’attimo in cui il tutto cedette, inghiottendo i cadaveri. Lei urlò di nuovo con gli occhi chiusi, sicura di essere ormai morta. Improvvisamente il calore cessò per brevi istanti, portando calma e freschezza. Non sentiva neanche più il rumore delle fiamme divorare la sua casa. Pensò di essere finalmente morta e aver raggiunto Arceus o chiunque l’avesse chiamata a sé.
Poi la debole voce di un Pokémon la riportò alla realtà.
- Ri-Riolu…
Alice alzò lo sguardo, per quanto possibile, notando solo in quel momento di essere in compagnia di un Riolu. Il Pokémon stava sostenendo il peso dell’intere macerie con la forza della sua mente. Poteva vedere la bolla azzurra che si opponeva al fuoco e alla morte, vacillante ma presente.
Lei si avvicinò strisciando al piccolo Pokémon, cercando di essere il più possibile vicina a lui. Riolu cedette per un attimo, e le macerie si fecero più vicine. Adesso Alice era obbligata a stare quasi con la testa sul terreno, per evitare di entrare a contatto con le fiamme o la bolla di protezione che Riolu aveva innalzato.
Lo sentì gemere e poi, dopo un ultimo lamento, il Pokémon perse i sensi. Alice si lanciò su di lui, abbracciandolo e proteggendolo col suo stesso corpo. Ci fu un susseguirsi di rumori. E, poi, la sua voce giunse.
- È tutto apposto, piccola mia?
Per lei fu il suono più dolce al mondo, era il suono della salvezza. Alzò gli occhi verso colui che etichettò come il suo angelo custode. La lei futura che osservava la scena, biasimò quel comportamento, conscia che il suo angelo altro non era che un demone travestito.
Si rivide essere sollevata dall’uomo, mentre stringeva al petto il piccolo Riolu selvatico che si era gettato nel fuoco per cercare di salvarla. Rivide l’Haxorus cromatico e lo Slaking di Lui, che reggevano senza sforzo le macerie, per permettere al loro allenatore di entrare nella casa senza alcun pericolo.
- Alice, mi senti? – la sua voce la riportò bruscamente alla realtà.
- S-sì, mi scusi, padre.
- Devi essere sempre attenta quando ti trovi in pubblico, soprattutto in questo giorno. Ne va dell’onore e la rispettabilità della nostra famiglia.
- Ha ragione, padre, non ricapiterà – rispose Alice, col tono e l’automatismo di una macchina programmata.
Aveva imparato a sue spese cosa si riceveva nel caso in cui si dovesse trasgredire alle regole o rispondere col tono errato al suo patrigno. Erano mesi ormai che non aveva più un livido o un taglio sul suo corpo; ci teneva a restare in quella condizione. Inoltre, c’era Gallade con lei, sicuramente non avrebbe esitato un solo istante a mozzare di netto la testa di Sua Santità, e questo sarebbe significato morte per entrambi. Opzione che non le piaceva per nulla.
Perciò, ormai si limitava a parlare quando necessario, dicendo solo il necessario.
- So che non sei a tuo agio in queste situazioni – le sussurrò all’orecchio – Ma la tua presenza, come la mia, sono necessarie per tenere gli uomini uniti. Confido nella tua presenza nella cerimonia di oggi.
- Certo, padre, sarò presente al suo fianco.
Lui poggiò la mano su quella della figlia, Gallade nel vedere il gesto serrò la mascella, stringendo i pugni quasi fino a sanguinare.
- Ne sono sicuro.
Le diede un bacio sulla fronte, per poi tornare a concentrare la sua attenzione sui commensali.

Il banchetto durò fin troppo per Alice, che poté alzarsi solo quando furono ormai passate da tempo le undici del mattino. Si accomiatò da tutti, dovendoli salutare uno per uno. Uno dei consiglieri del suo patrigno le bisbigliava nell’orecchio, di volta in volta, i vari nomi accoppiati ai volti che gli si paravano davanti con così tanta finta gentilezza. Sapeva benissimo che quelle erano persone di cui non ci si poteva fidare. D’altronde, chiunque fosse rimasto in città dopo l’ascesa del Sacro Ordine, era non meno folle ed estremista del suo patrigno, figura in cui vedevano l’incarnazione stessa di Arceus.
Riuscì finalmente a liberarsi anche dell’ultima persona da cui doversi accomiatare. Ringraziò col falso sorriso stampato sul volto, come ogni volta che era obbligata a mostrarsi dolce e gentile con tutti, il consigliere del padre e si avviò verso la porta. Gallade le camminava ora vicino il fianco destro, silenzioso e maestoso come un re dei tempi passati.
Fuori la porta li aspettavano Kal e Kalin, sembrava non si fossero mossi di un solo passo. L’elmo bianco con i bordi in oro copriva quasi completamente i capelli corvini dei due. Una ciocca ribelle fuoriusciva dalla protezione di Kal, unico neo colorato, nel mare di bianco in cui vagavano gli occhi che si posavano sulle guardie personali.
Questa volta Alice non gli rivolse la parola, a stento li degnò di uno sguardo. Loro risposero di conseguenza, scattando immediatamente per mettersi al suo seguito. Erano d’accordo su questo, meglio non far notare a persone vicine al suo patrigno che le proprie guardie del corpo dialogavano tranquillamente con la loro protetta. Arrivarono in silenzio fin dentro la camera di Alice, dato che i corridoi erano colmi di preti vari e orecchie troppo indiscrete.
Prima di entrare in camera, Alice accennò un saluto con la mano. Kalin le fece l’occhiolino, prima di darle le spalle e restare a guardia del corridoio.
Alice si chiuse pesantemente la porta alle spalle. Controllò l’orologio, segnava le undici e cinquantatré. Aveva tre ore abbondanti prima di doversi recare nel cuore della Torre Bianca, dove si sarebbe tenuta la cerimonia tanto importante per il suo patrigno. Quel giorno, nella Prima Chiesa, Sua Santità avrebbe ascoltato le parole di Arceus in merito al futuro del loro popolo, per poi poter riferire il tutto agli uomini di Astoria. E lei, essendo la sua figlia adottiva, era obbligata a presenziare la cerimonia.
Trovò pronto sul letto il vestito che avrebbe dovuto indossare quel pomeriggio, una semplice gonna bianca, lunga fino ai piedi, con una camicia anch’essa bianca. Alice spostò gli abiti sulla sua poltrona vicino la scrivania, liberando il letto. Approfittò anche per mettere in ordine il grande tavolo in mogano che utilizzava come base per lo studio. Ripose i libri di storia e di teologia nella sua libreria, rispettando l’ordine alfabetico. Ripulì il ripiano dalla tempera con minuta accuratezza, gettando tutta la sporcizia all’interno del cestino. Dopodiché si andò a stendere sul letto, sbuffando. Prese il suo smartphone e aprì il lettore multimediale, in riproduzione c’era “I Left My Heart in San Francisco” di Mayer Hawthorne, lasciata in play dalla sera precedente. Scostò i capelli dalle orecchie, lasciandoli sparpagliare sul lenzuolo. Mise quindi le cuffie, per poi far partire la canzone.
Chiuse gli occhi e lasciò che la musica facesse il resto.  Il tempo parve fermarsi, mentre la mente iniziò a vagare via, lontano da quella città. Pensò a tutti i posti che avrebbe voluto vedere, dalla Torre bruciata al Tempio di Solgaleo, ad Alola. Si immaginò sulle sue spiagge, a osservare i Pokémon esotici abitanti di quei luoghi, con l’acqua marina che le bagnava i piedi, dandole una sensazione di freschezza nonostante il caldo e il clima molto più torrido rispetto a quello a cui era abituata. Immaginò le imponenti Isole Vorticose, dimora di Lugia, circondate da eterni mulinelli e vortici d’acqua così potenti da poter trascinare un’intera nave transcontinentale nelle viscere del mare. Si fiondò all’interno di uno di quei mulinelli, affondando sempre più all’interno del mare. S’insinuò in una grotta marina, in prossimità delle isole, andando sempre più a fondo. Percorse i suoi tunnel, svoltando all’improvviso da una parte e dall’altra, ora salendo, ora scendendo. Accelerò sempre più, con le bolle che le turbinavano intorno al viso. Trovò rapidamente l’uscita dal lato opposto e l’imboccò voltando un’ultima volta a destra. Quando uscì dalla grotta si trovò nuovamente nell’oceano aperto, poteva sentire il calore del Sole raggiungerla debolmente attraverso le molte acque che la sovrastavano. Continuò a nuotare libera, riprendendo una velocità consona a un essere umano sott’acqua. Un gruppo di enormi Wailord la raggiunse, per poi nuotare assieme. Lentamente, finì col ritrovarsi nel mezzo dell’imponente branco, galleggiando nell’acqua di fianco alle creature più grandi del mare. I suoi occhi si riempirono del blu del mare, mentre la salsedine le provocava prurito alle narici. Risalì lentamente verso le creste delle onde, cullata dal canto dei Wailord e dalle varie correnti marine d’acqua fredda che le sfrecciavano velocemente ai lati, trasportando senza fatica alcuna il suo corpo. Finalmente respirò di nuovo aria pulita giovando delle boccate d’ossigeno che immetteva nei propri polmoni. Alzò lo sguardo al cielo, limpido e privo di ogni traccia di nuvole. La luce del Sole le diede fastidio, troppo abituata alle scure acque profonde. Restò abbagliata e si portò una mano al viso, per coprire gli occhi. D’un tratto le nubi si addensarono in ogni parte del cielo, scure e minacciose. Una violenta tempesta si scatenò all’improvviso, portando copiose piogge e terribili raffiche di vento.
Alice abbassò lo sguardo sul mare, ancora calmo e placido come prima, neanche una variazione nell’altezza delle onde. Un grosso zampillo la investì in pieno, facendola affondare. Quando risalì a galla, Alice vide l’enorme occhio del dio del mare che la fissava. Kyogre si trovava d’innanzi a lei e nuotava lentamente in sua direzione. Lei allungò una mano, muovendo frettolosamente i piedi per poter restare a galla, avvicinandola al corpo del dio. Sfiorò la pelle di Kyogre, sentendone il calore emanato.
In quel preciso istante, suonò l’allarme della sua sveglia. Erano le quattordici e un quarto, aveva il tempo necessario per prepararsi. Con un occhio ancora chiuso e l’altro pure, spense la musica, tolse le cuffie e iniziò a spogliarsi. Finito di abbottonare l’ultimo bottone della camicia, si diresse poi in bagno per potersi pettinare e sistemare i capelli. Uscì poco dopo, si diresse quindi verso la scrivania, da cui prese il suo taccuino e la piccola matita. Infilò tutto nella tasca posteriore della gonna e uscì dalla stanza, scortata da Gallade e i gemelli, diretta verso la Prima Chiesa di Astoria.


Nell’enorme sala c’era un continuo e crescente brusio. Dalla forma circolare, le porte d’ingresso si trovavano su tutta la lunghezza del lato curvo. Quel piano della Torre era completamente occupato dalla grande chiesa e ci si poteva accedere da diverse scale sparpagliate su tutta la circonferenza, terminanti nelle porte d’ingresso. L’altare era collocato in fondo, vicino alla parete, circondato da tende e piccole stanze riservate a Sua Santità e i suoi sacerdoti più vicini. L’enorme altare era completamente bianco, composto di marmo bianco senza la minima imperfezione, levigato in ogni suo punto. Nel davanti vi era raffigurata in bassorilievo la figura di Kyurem, circondato da ogni lato da ghiaccio e diamanti. Ai due lati troneggiava Arceus, dal cui corpo veniva irradiata una luce stilizzata. Dall’altare partivano poi delle sequenze di colonne finemente intagliate, raffiguranti le varie battaglie fra le potenze dell’universo: Arceus e Giratina, Groudon e Kyogre, Lugia, Ho-Oh, tutti erano presenti sul bianco, puro, resi vivi dai colori delle pitture. E così, mano a mano che i semicerchi di colonne si allontanavano e diradavano dall’altare, si passava dai più potenti e temuti, ai Pokémon comuni ma pur sempre nobili, fra cui Arcanine e Absol. Tutto lo spazio era stato utilizzato per sistemare panche per i fedeli, unite ad alti seggi per i Sacerdoti e i nobili più importanti. Tutti avevano già preso il proprio posto e, dall’esterno, l’intera città si era ritirata in prossimità della Torre Bianca, per poter vedere tramite gli oloschermi la celebrazione in atto.
Il palco era interamente dedicato a Sua Santità e i suoi adepti. Alice prese posto alle spalle di Sua Santità, seduta comodamente su una poltrona, alla sinistra del trono del suo patrigno. Distolse quasi immediatamente l’attenzione dalle parole dette dalla gente, in quella sala. Non sentì parlare Sua Santità dell’importanza di quel giorno, dei sacrifici fatti, e delle azioni fatte in relazione alla parola degli dei.
Quando Alice finì di contare i cappelli a punta presenti nella sala, la sua attenzione venne nuovamente attirata dalla voce del patrigno.
- Questo, è un giorno molto importante per il nostro popolo: festa, celebrazioni, e nessun tipo di lavoro. Quest’oggi, parlerò con il nostro grande Arceus, chiedendo il potere e la conoscenza necessari a concludere il nostro compito. L’espiazione dei peccati, l’eliminazione delle impurità della razza umana, la distruzione di ogni vizio e corruzione, e, infine, la rinascita delle nostre vite.
Prese un istante di pausa, ammirando la gloria e la devozione che aveva creato attorno a sé, vedendo tutte le persone che era riuscito a salvare. Tutti loro, puri e meritevoli, erano stati scelti da Arceus e messi sulla sua strada affinché lui potesse salvarli e donargli una vita pura e libera da ogni male.
Tutte quelle persone che adesso si trovavano in quella sala, o nelle strade cittadine, o in ogni luogo del mondo, erano i devoti al Sacro Ordine. La loro fiducia era riposta nella forza sua e dei suoi seguaci. Loro erano il fuoco che purificava e liberava dalle torture della carne.
E adesso, in quel preciso istante, tutto ciò a cui avesse rinunciato per loro, sarebbe stato ricambiato con qualcosa di unico e inestimabile: la salvezza e la gloria della razza pura.
Sua Santità chiuse gli occhi e portò le braccia al cielo. Venne colpito da una tremenda scarica di energia pura, simile a una tempesta di fulmini. Tutti in sala rabbrividirono. Tutti tranne Alice.
Lui venne sollevato al cielo, gli occhi gli si riversarono, mostrando due biglie bianche come il latte. Una sfera di energia gli circondò il corpo, mentre altri fasci si aggrappavano al terreno e le colonne più vicine. Ci fu un boato assordante, dopodiché l’energia parve scomparire e Sua Santità ricadde sul grosso altare con un singolo tonfo secco.
Nessuno era in grado di muoversi e non osavano farlo, colti da improvvisa paura e panico. Sua Santità sembrava morto.
Alice, invece, storse il labbro, sicura che si trattasse di un effetto speciale creato con le tecnologie esistenti. Erano ormai cosa comune i generatori di fasci di elettroni talmente potenti da sembrare un laser sparato dall’armatura di Iron Man. Con i giusti calcoli, potevano sollevare case sfruttando i campi magnetici, senza arrecare nessun danno all’oggettistica. Inoltre, c’erano i Pokémon.
Praticamente un trucco da quattro soldi da predicatore di strada.
Lei incrociò le braccia, notando che Gallade, che si trovava alla sua sinistra, sorrideva compiaciuto.
Le guardie personali di Sua Santità lo raggiunsero lentamente e cercarono di alzargli il viso. Lui, però, rivenne poco prima che il più vicino riuscisse ad avvicinarlo.
- Adesso lo so – disse a bassa voce.
Poi urlò, rivolto a tutti, entusiasta.
- Miei figli, Arceus mi ha mostrato la via. Kyurem è la nostra via di salvezza, il Drago Della Distruzione porterà le fredde fiamme della vita!
Ci fu un istante di silenzio, poi la folla proruppe in un immenso boato, esultando e lodando Sua Santità.
Alice approfittò del chaos generato e sgattaiolò via, evitando così di venir travolta dall’orda che circondò in poco tempo Sua Santità, chiedendo la grazia divina e misericordia.
Raggiunse Kal e Kalin che l’aspettavano vicino la porta da cui sarebbe uscita e con la loro scorta si diresse verso le stanze di Madame Carol.

 
- Hancock

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