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Linnea - BC - 4 - B e g i n t h e e n d

B e g i n t h e e n d

Aveva una particolare routine in cui ingranava ogni volta che aveva qualcosa per la testa. L’unica perla di quell’appartamento era la vista dalla cucina e dal salone, quindi si sedeva al bancone annerito che usava come tavola da pranzo con una bottiglia di quel vino da cento pyen con la bottiglia snob che cercava di non farlo passare per il vino scadente qual era ed il bicchiere in finto cristallo e beveva. Su iMessage la conversazione con Gold era ferma dalle due di pomeriggio, scriveva e ricancellava senza inviare. Alla fine decise di chiamarlo.
Oh, sto ancora lavorando”
Sì, scusa”
Eh”
Dovevo dirti una cosa” dall’altro capo della linea sotto al silenzio di Gold che rimaneva ad ascoltarlo c’era il fruscio tipico della pensione, lo vedeva quasi col telefono schiacciato tra orecchio e spalla mentre rassettava qualche stalla col suo stupido grembiule legato alla vita.
“Io venerdì non vengo” silenzio radio per un istante, lo vedeva mettere giù quello che aveva in mano ed afferrare il telefono raddrizzandosi, guardare il vuoto con aria scandalizzata e le sopracciglia arcate.
“E perché?”
Non mi va” tacque innaturalmente, Gold se lo immaginava con quell’espressione seria ma non prepotente, squadrava la mandibola e si mordeva una guancia; cercava di capire, falliva.
“Nessun motivo in particolare?” sei freddo e apatico e non è come me l’ero immaginato.
Silenzio statico, l’appartamento era vuoto e Gold non percepiva più neanche il suo respiro ma lo stesso sapeva che la linea non era caduta.
“Ho bisogno di pensare” Gold dall’altro lato bestemmiava, qualcosa di metallico rumoreggiava, maltrattato, e Silver si pentì di aver iniziato quella conversazione, non aveva la forza mentale per delle spiegazioni.
“Lo sapevo. Già era strano mi chiamassi a quest’ora. Che succede, Silver? Cosa?”
“Non usare questo tono, mi fai incazzare”; da settimane Gold era sull’orlo di una crisi nervosa, tra studio, lavoro e la sua vita personale uno sfogo sanguinolento si era presentato sul suo braccio sinistro per vendicare il maltrattamento di corpo e mente, i sonniferi per casi disperati prescritti dal medico non servivano e lui restava a fissare il soffitto finché da nero non veniva tinto di giallo dal sole che sorgeva. E Silver gli diceva di non usare quel tono con lui; ma che cazzo ne sapeva lui. Lo stesso forzò via quel tono aspro, perché lo amava immensamente.
“Scusami. Dimmi che succede”
“Gold”, amami di più! “Sono un cretino”, non riesco a dimenticare quello che m’hai fatto “io”, voglio solo stare in pace “...devo pensare. Ho tante cose nella testa, ho bisogno di tempo”.
Gold dall’altra parte aveva sicuramente quello sguardo ferito e confuso che sulla sua faccia da spaccone non avrebbe mai dovuto esserci.
Gold, l’altra volta mentre eravamo giù al pub un tipo e una tipa parlavano coi propri amici ed erano vicini e si vedeva che per loro era naturale esserlo e nessuno ci faceva caso e loro parlavano con tutti ma lo stesso si amavano. Gold, amami anche quando ci sono gli altri, perché non puoi farlo? Perché non puoi essere perfetto?
Parliamone, Silver?”
“No; giuro che è colpa mia, ci penso io. Non c’è niente di cui parlare” Non puoi essere perfetto; ho già deciso di lasciarti, è ingiusto per entrambi. Gold, non ho ancora il coraggio di dirtelo; forse… forse… tra poco. Ancora un po’ di tempo m’illuderò e poi risolverò tutto.
Devo andare, Gold. Ti richiamo” non lo avrebbe fatto. Il bicchiere di vino davanti a lui era vuoto, lo riempì e lo svuotò di nuovo, un ping! Del suo telefono lo avvisò di un messaggio. Era una foto: Brian era nello studio di Violapoli, davanti lo specchio della sala, i piedi fasciati, una patina di sudore che addolciva la sua pelle e la barbetta delle cinque sul suo ghigno. Bloccò lo schermo per un istante, fissò il bancone.
Su quel bancone c’avevano bevuto, c’avevano cenato, c’avevano scopato; più spesso, su quel bancone c’avevano litigato, sopra c’avevano rotto bicchieri e cuori. Brian era morboso, Silver odiava essere rimproverato a causa del fantasma di Gold che instancabile infestava la sua mente e i suoi sogni e i suoi pensieri ogni volta che si distraeva. Si chiese, con non poca amarezza, come si sentisse Brian adesso con la consapevolezza che Silver stesse interagendo con lui alle spalle di quella stessa persona che aveva inconsapevolmente provocato la loro rottura. Poggiò la testa sul bancone, nella foto i suoi occhi fissavano Brian attraverso il bicchiere, la bottiglia vuota accanto alla pozza di capelli rossi risplendeva vuota di fronte alla luce del sole invernale che tramontava alle sue spalle.




Brian lo aveva sollevato come se non pesasse quasi ottanta chili. L’ascensore attorno a loro scricchiolava con i loro movimenti bruschi, quei pochi millimetri sotto ai suoi piedi ed il suo corpo pressato contro quello di Brian lo facevano sentire leggero, o forse era l’impercettibile movimento della cabina, non importava davvero. La sua lingua cercava disordinatamente nella bocca, esplorava famelica; in quel bacio non c’era aspettativa né importanza, era un atto vile quanto fine a se stesso.
Brian lo sbatté dentro il suo appartamento, dentro al suo letto.
Il sesso con lui era sempre stato più che buono, non aveva le stesse grazie di Gold ma non era così importante, sapeva mantenere le cose interessanti anche senza un cazzo enorme; eppure quella volta nell’orgasmo non trovò soddisfazione, pulsava come se fosse in un altro corpo.
Brian era un ragazzo bellissimo in modo irritante, il suo aspetto da coglioncello viziato era ingiusto nei confronti della sua disciplina, della sua cultura, della sua dolcezza; Brian lo rubava agli amici al pub con lunghi baci pigri, sulla sua moto si accoccolava tra le sue scapole, per strada gli accarezzava il dorso della mano; Brian, anche, non era Gold. Era un maledetto circolo vizioso, quello in cui era costretto da una vita intera. Gold, nel suo semplicemente essere, gli creava problemi; ma anche gli altri, non essendo Gold, gli creavano problemi.
Brian nudo col suo corpo da ballerino ed il cazzo ancora gonfio sembrava leggergli nella testa; sdraiato sul fianco e la testa sorretta da una mano gli sorrideva sapendo esattamente cosa pensava, gli accarezzava gli addominali con disinteresse, le sue dita si rincorrevano sulla sua pelle senza ragione.
“Ah, Silver, guarirai mai da questa tua malattia?” e Silver gl’accarezzò il mento, i capelli neri, sorridendo.
“Non so proprio di cosa tu stia parlando”, e si alzò incurante della sua nudità. Dal buio della camera ripescò i propri vestiti, Brian guardava la luce dei lampioni in strada scintillare dalla finestra sulla sua pelle bianca e sulla curva scolpita del suo culo.
“Sei troppo bello per stare dietro a uno così” gli fece; Silver si voltò a guardarlo, sorrideva con rimorso.
“Penso la stessa cosa di te”, gli rispose, e Brian rimase in ascolto della moto che si accendeva con un ringhio, il suo gorgoglio che spariva in fondo alla via. Silver era una causa persa, ma lui amava le cose oggettivamente belle, come come Silver e la danza, amava delle cose dolorose.

Silver dal suo canto lasciava che il rombo assordante del motore spazzasse via i suoi pensieri, il casco penzolava inutilmente dal collo e i capelli frustavano impazziti il vento. Lui stesso era una bestia agonizzante che scalciava furiosa. Nel suo dolore aveva trascinato anche Brian e Gold; con cadenza annuale la sua vita andava a puttane.


Un anno prima; la porta di casa era fottutamente difettosa e l’avrebbe volentieri distrutta a calci. Non s’apriva. Invece di inveire e scalciare più verosimilmente prese un respiro e domò la furia che aspettava il momento per attaccare fulminea come un serpente. Blue gli aprì la porta quando dall’altra parte lui si arrese e decise che si sarebbe dovuto accontentare dello zerbino per ospitare il suo crollo nervoso.
Spinse oltre sua sorella che il petto già gli si gonfiava come se volesse esplodere per terminare la sua miseria. Lei lo chiamava imperterrita ma a lui neanche fregava, aveva finito di sembrare patetico di fronte a lei; Blue aveva smesso di essere la sua ancora di salvezza molti anni prima, lo stesso lei gli strinse le mani e lo guardò mentre i suoi occhi lacrimavano contro la sua volontà, il respiro si assottigliava nella sua gola e si mozzava lasciandolo ad agonizzare. Nella sua mente voleva solo Gold, Gold, Gold. Gold avrebbe potuto porre fine ad ogni suo dolore, di nuovo ciò che poteva guarirlo lo respingeva, ciò era la costante nella sua vita: L’Uomo Mascherato si serviva di lui, Blue lo abbandonava, la priorità di suo padre era un’associazione a delinquere, Gold non lo amava. Gold non lo amava. Gold non lo amava. Per Gold lui non era abbastanza. Gold era perfetto per lui, ma lui era più che imperfetto per Gold. Inamabile, ripugnante, indegno. Il suo cervello si spense e riaccese con fatica come se un calo di tensione avesse fermato le macchine, di colpo era di nuovo quel bambino con una gamba ferita che piangeva sotto alla pioggia, di colpo tutto quello che non aveva mai meritato gli era stato chiaramente negato; Silver aveva fatto davvero del suo meglio, davvero aveva provato ad assecondare Gold, eppure era proprio il suo essere ad essere sbagliato. Mai come quella volta aveva desiderato morire.

Il secondo punto di rottura arrivò quella volta nel bagno del bar. Gold gli disse che non voleva essere gay; Silver aveva cercato di riempire il vuoto da lui lasciato come poteva, voleva andare all’università, col suo lavoro come commesso ci pagava non con pochi sforzi un abbonamento in palestra. Il sacco da boxe venne annichilito dai suoi pugni e dai suoi calci, sotto la sua forza sovrumana il sacco era una volta Gold, omofobo; se stesso, maschio; suo padre, criminale; sua sorella, non realmente sua sorella. Scaricò la sua violenza, corse lungo i fiordi per chilometri interi, la sua rabbia non sembrava placarsi. Alla fine lo fece.

Brian si sedette di fronte a lui in biblioteca una volta e a Silver non importava, non era una persona socievole. Non conosceva nessuno, viveva in un microscopico monolocale e faceva i turni di notte al konbini per mantenersi; lo stesso Brian perseverava e gli si sedeva accanto a mensa, in biblioteca, sulle scale; gli sorrideva serafico e con due parole ben calcolate si metteva a suo agio.
“Sai, sono un ballerino, Silver”
“Io ho sempre preferito i Pokémon all’arte”
“Sono cresciuto spaventato dai Pokémon, mia madre era sempre ansiosa”
“La maggior parte dei Pokémon hanno paura di te”
“...”
“E quindi cosa balli?”
“Professionalmente, classica. Ultimamente sperimento” Silver lo aveva guardato con lo sguardo bianco di colui che non ha opinione, Brian non se ne fece per niente, lui stesso sembrava indifferente a tutto.
“E fai l’università?”
“Senza cultura l’arte è solo superbia” Silver suo malgrado ghignò, non capiva proprio quello che diceva. Brian veniva da un contesto totalmente differente, e tutto in lui era atipico e poco stereotipato. Un’altra volta gl’aveva detto:
“Dove vivi, Silver?”
“In un monolocale”
“E non è caro, un monolocale, per uno studente autosufficiente?”
“Le tasse scolastiche me le paga lo stato”
“Io stavo cercando dei coinquilini” prima di allora Brian lo aveva invitato a studiare insieme nonostante i due corsi totalmente diversi, lui filosofia e Silver medicina veterinaria, si era forzato nel suo cuore, si era seduto in quel posto facendosi spazio tra le cianfrusaglie che lo riempivano ed era rimasto lì fiero. Nell’appartamento che condividevano passavano ore a studiare insieme, Silver si era trovato un lavoro migliore, aveva persino preso accordi per un’internship, Brian passava le giornate allo studio di danza e tornava la sera stanco ed appagato.
Brian del suo passato ci capiva poco o niente, si aggirava attorno alla questione punzecchiandola come se avesse paura ella potesse attaccarlo come una bestia feroce. I genitori e la famiglia in generale erano fuori discussione, se n’era fatto una ragione; messosi l’anima in pace a lasciare quel buco nel suo puzzle aveva iniziato a mettere insieme altri pezzi: Blue era per lui come una sorella, Crystal era la sua migliore amica, Lance era un tale che lo aveva allenato da piccolo; era cresciuto a Mogania, a Johto, era stato adottato? Non ne era sicuro. Passate esperienze, aveva avuto un paio di ragazzi a quattordici, quindici anni, nulla di serio. Statico della televisione vecchio stile in quel campo fino a se stesso. Col tempo aveva ritratto una persona che riempiva perfettamente quel vuoto, poi gl’aveva dato un nome, aveva iniziato ad odiarlo da morire. Così Silver glielo aveva spiegato, e la cosa lo aveva fatto soffrire; il semplice parlarne creava in lui una smorfia di dolore che cercava con tutto se stesso di camuffare. Era riuscito a tirare fuori un lato di Brian che non era più carismatico, bello come la sua danza, divertente con il suo sorriso strafottente. E Silver non era bravo a gestire le colpe, le crisi. E quindi non erano durati più di qualche mese.

Poi una sera mentre studiava Gold era apparso dal nulla e s’era ritrovato nuovamente in quella tempesta, e le cose andavano apparentemente bene; poi Gold gl’aveva dovuto dire che era bellissimo, e Silver s’era sentito fremere di quello sconforto che provava quando non poteva avere quello che di più bramava. Solo che questa volta sembrava poterlo avere; non aveva fatto i conti con il bisogno che ruggiva nella sua testa.


Gold lo notò solo a pochi passi dal portone, immediatamente la sua faccia si imperlò di sudori freddi, lui lo guardava e sapeva anche senza dire niente, lo giudicava con disgusto, sapeva esattamente cos’era: una puttana disposta a vendersi a chiunque accettava di dimostrargli un minimo d’interesse. A Brian non fregava niente di lui ormai, il suo orgoglio malato lo aveva spinto a togliergli il casco e a baciarlo. Non aveva cosa dire, a Gold, non aveva come dire; lui voleva tantissimo, odiava il suo stesso vittimismo ma non aveva come combatterlo. Voleva che Gold capisse tutto senza parlare, non sapeva che per mesi Gold aveva chiesto di lui la stessa cosa. Ma non c’è comprensione senza comunicazione.
Quella mattina Gold gli ruppe un labbro con un pugno, strinse le mani attorno al suo collo con violenza, Silver ugualmente si sentiva coccolato da quelle mani che coprivano la sua pelle, ugualmente si chiedeva se avrebbe dovuto presto difendersi.
Invece Gold aveva reagito atipicamente, si era preso del tempo per sbollire, aveva cercato di ragionare. In quel particolare frangente Gold non aveva del tutto capito i problemi di Silver, ma Silver aveva capito quelli di Gold, e ciò bastava, per il momento.

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