25. Un Pezzo, Due Pezzi, Un Penny E Un Decino...
Adamanta, Primaluce -
Ormai nevicava fitto.
Zack lo sapeva; sapeva che Braviary stava soffrendo enormemente, con le piume impregnate dall’acqua gelata, un tempo neve ormai sciolta.
Primaluce non era lontana, e Zack sapeva anche che il suo corpo non avrebbe retto molto tempo, in quelle condizioni psicofisiche; dall’alto, poco più sotto delle nuvole, guardava in basso.
Zack sapeva che se si fosse buttato quel dolore si sarebbe estinto, sarebbe volato via dal suo corpo. Forse sarebbe entrato in quello dei suoi cari ma poco importava.
Zack sapeva di avere delle responsabilità più grandi di lui.
Zack sapeva pure di essere un padre, di avere una bambina ad attenderlo a casa.
In fin dei conti Zack sapeva un sacco di cose, quella situazione era ben chiara ai suoi occhi: il padre di Rachel era un uomo di merda.
L’unica cosa che non sapeva, lui, era come dire ad Allegra che sua madre era stata uccisa dal nonno che non aveva mai visto e di cui chiedeva in continuazione.
Sospirò, l’acqua che aveva sul viso non era neve sciolta.
Prese il coraggio necessario per emettere un altro respiro, con le mani congelate che tremavano e la mente che giocava con lui in modo subdolo e perverso.
Carezzò il piumaggio bagnato di Braviary prima di capire che la sua famiglia, la sua idea di famiglia, quella dove un padre e una madre crescono una bambina forte e sana, era stata distrutta.
C’erano solo due pezzi su tre, perché Rachel era sparita.
Rachel era morta.
E lui piangeva, più ci pensava e più il suo cuore batteva all’infinito, cercando d’uscire dal petto con rabbia immane.
Anche Zack era arrabbiato; era dispiaciuto, mortificato e si sentiva impotente davanti a tutta quella situazione, costretto da sua figlia a utilizzare la testa invece che la spada.
Ma la sua voglia era quella di staccare la testa a quell’uomo e sfogare la sua rabbia pugnalando quel corpo.
Non era neve sciolta, quella che colava dal suo mento.
Zack sapeva che la parte più razionale di sé ormai non esisteva più e la cosa lo annichiliva; era diventato un cumulo di rabbia senza via d’uscita, con le mani che fremevano e il sangue che bolliva.
Rabbia, quella fa diventare ciechi. Perché Zack ormai non vedeva nient’altro che la scena in cui aveva convertito la sua vita da pochi attimi a quella parte: lui che strappava il cuore di Lionell Weaves a mani nude.
Poi però vedeva gli occhi di Allegra che lo fissavano, che guardavano il volto di suo padre sporco di sangue e qualcosa si muoveva.
Era giusto diventare il carnefice del proprio carnefice?
Era giusto farsi giustizia contro una persona che non riconosce giustizia sovrana?
Etica o convenienza?
Cuore o testa?
Le domande turbinavano nella mente del giovane padre mentre il freddolacerava le sue carni.
Aveva bisogno di lavarsi, immergersi in una botte d’acqua bollente e stare in silenzio.
Sì, aveva bisogno del silenzio, perché tutto, perfino il sibilo del vento, aveva la voce di Rachel.
Doveva programmare, crearsi un piano d’azione e agire come avrebbe fatto una persona piena di senno.
Perché Zack sapeva di non averne più a disposizione.
Solo rabbia, solo disperazione e quel senso di smarrimento che non riusciva a mandare giù. Davvero la sola presenza di Rachel gli permetteva di vedere tutto con occhi più liberi dalla polvere che il mondo gettava sul volto un po’ di tutti?
Doveva recuperare il respiro ma l’aria era fredda e bruciava nei polmoni.
E sulle piume di Braviary non c’era solo neve sciolta, ma anche lacrime di fuoco che bruciavano due volte, perché non sarebbero mai dovute scendere dai suoi occhi.
Rachel non sarebbe mai dovuta morire.
“Scendi” disse poi al suo Pokémon, con la voce distrutta dal pianto, non appena avvistata Primaluce. Fu pizzicato in quel momento dalle prime luci dell’alba.
Era bagnato fradicio, con le labbra spaccate per il freddo e il colorito pallido. Soltanto gli occhi gli donavano luce, ancora verdi come smeraldi nonostante il velo di lacrime a celarli dal mondo malvagio.
“Grazie, Brav...” sussurrò, carezzando il becco del Pokémon e facendolo rientrare nella sfera.
Aveva freddo e paura.
Era solo.
Bussò alla porta e il cuore batteva, quasi esplodeva. La notte era finita e lui era ancora nel buio più che totale. Guardò il cielo, con quelle nuvole cariche di neve che continuavano a lavorare inesorabili. E poi la porta si aprì.
Un fantasma nelle vesti di sua cognata Marianne aprì la porta. I lunghi capelli ricci erano totalmente spettinati, gli occhi parevano piccole fessure con dentro due zirconi neri.
“Sta dormendo. Hai notizie di Ryan?” chiese quella.
Zack sospirò, colpevolizzandosi ulteriormente per non aver avuto a mente Ryan e il fatto che stesse fronteggiando una rapina in banca organizzata da Lionell Weaves stesso.
Il piano era chiaro, anche Zack lo aveva capito. La grossa rapina era soltanto un modo per spostare l’attenzione mediatica e far guardare agli altri ciò che lui voleva vedessero.
Nessuno doveva capire che Rachel fosse l’obiettivo, partendo da Zack e finendo con i Superquattro di Adamanta, passando per il Campione della Lega.
“No. Devo prendere Allegra” ribatté l’uomo.
Marianne fissò meglio il suo volto.
Cereo.
“Tutto bene, Zack?”.
“Dov’è Allegra?” disse subito, noncurante della domanda appena ricevuta. Avanzò passi stentati, spostando Marianne, che si spaventò.
“Zack! Che diamine succede?!”.
“Cercano Allegra, Marianne. E verranno qui! Allegra dov’è?!” fece, prendendo la donna per le spalle.
“È...è di là...” sussultò quella.
Zack pareva non toccare neppure il pavimento, negli occhi aveva soltanto Allegra, e poi il volto di Rachel, le sue labbra che mimavano il nome di sua figlia.
Poi il dolore, aveva perso Rachel.
L’aveva vista andare via come aveva fatto con Emily.
“Zack!” urlava Marianne, correndogli dietro. Lo vide entrare nella cameretta di Leonard e accese la luce. Il piccolo stava dormendo nel proprio lettino, sotto un pesante piumone. Spalancò immediatamente gli occhi, tramortito dal sonno e confuso.
“Non è qui! È di là!” esclamò la donna alle sue spalle.
“Che succede?” domandò il bambino, con voce compressa.
“Niente, piccolo. Continua a dormire” fece sua madre, spegnendo la luce e correndo ancora verso Zack. “E fermati!” gli aveva urlato contro. Lo afferrò per le spalle e lo sbatté contro il muro, osservando il viso sconvolto che indossava.
Si guardarono negli occhi per qualche istante, Zack sentiva il cuore scoppiare nel petto e le lacrime scendere calde sulle guance congelate.
“Mi spieghi che sta succedendo?”.
E fu lì che l’adrenalina perse d’efficacia, facendolo sentire immediatamente stanco. S’accasciò lentamente, disperato nel suo pianto, spingendo la schiena contro il muro e scivolando per terra.
“Rachel è andata…” sussurrò, portando le mani sugli occhi. La disperazione era tale da non permettergli di controllarsi. Doveva andare via da lì, sapeva che Allegra fosse in pericolo e con lei anche tutti i suoi amici.
Lionell sarebbe andato a cercare sua nipote ovunque Zack avesse messo radici.
Alle parole dell’uomo, gli occhi di Marianne si spalancarono.
“Che cosa… che cosa significa che è andata, Zack?”.
Lui abbassò la testa, non riuscendo a trattenere il pianto. Come avrebbe fatto a vivere quella vita senza Rachel che gli disegnava le linee da seguire?
“Zack!” continuò quella, cercando di contenere il volume. “Che cosa stai dicendo?!”.
“Lionell l’ha presa…” sospirò quello, con le parole che rasentavano la delicatezza d’un soffio di vento.
“Mamma…” sentirono poi entrambi alle spalle. Marianne si voltò rapida, vedendo Leonard con un peluche di Teddiursa tra le mani e i piedi scalzi sul pavimento in marmo. “Che succede? Perché lo zio Zack sta piangendo?”.
“Ehm… Si è fatto male…” mentì la moretta dai lunghi capelli ricci. Riguardò Zack che piangeva come un bambino e si accovacciò nuovamente davanti a lui. Gli mise le mani sulle spalle e cercò di rincuorarlo, stringendo quel corpo ormai febbricitante e morto dentro, ma paradossalmente ancora brulicante di calda e vendicativa vita.
“Potremmo dargli un cerotto” aveva ribattuto il più piccolo”, raggiungendo la madre e guardandola negli occhi.
Marianne sospirò.
“Lo zio Zack è un uomo grande e forte. Sa benissimo che qualsiasi… qualsiasi sia la ferita che ha colpito il suo corpo, grande o piccola, riuscirà a trovare sempre la forza per andare avanti”.
L’uomo alzò lo sguardo, con le lacrime che trasbordavano dalle rime degli occhi verdi.
“Lo zio Zack sa che deve essere forte per Allegra. E sa che, anche quando le cose saranno sempre più dure, noi saremo accanto a lui”.
“Zio” ribatté quello, quasi subito. Zack spostò gli occhi sul bimbo col pigiamino rosso. “Se vuoi puoi tenere il mio pupazzo per un po’… Quando la notte ho paura lo stringo e tutto mi passa”.
Glielo porse e vide l’uomo sorridere dolcemente. Afferrò il pupazzo e poi accolse nel suo abbraccio il bambino, che gli si accoccolò addosso.
“Grazie, Lenny. Sei un bravo bambino” gli disse.
Marianne s’appoggiò accanto a lui, poggiando la testa sulla sua spalla, e Zack riuscì a rivivere per un secondo quel calore che ormai era stato condannato a perdere per sempre.
Era forse quello il modo per il destino di fargli capire che, nonostante tutto, c’era un po’ della sua famiglia in ogni persona che amava?
Tutto ciò che rimaneva di quel sogno che aveva costruito fino al giorno precedente dormiva dietro la porta che aveva davanti.
Tuttavia si beò del calore di Marianne per qualche istante, assieme a quello di suo nipote Leonard, che qualche minuto dopo finì per addormentarsi.
E anche il respiro della donna s’appesantì.
Altri pensieri s’avvicendavano nella sua mente, dove quelle cruente immagini continuavano a dilungarsi, quasi costrette dalla coscienza a rimanere lì, a tormentare l’animo colpevole dell’uomo, che intanto aveva capito di non essere solo.
Marianne e Leonard dormivano ma il suo unico pensiero era Allegra, davanti a lui, dietro quella porta chiusa.
Doveva trovare la forza e il coraggio di andare avanti.
E lo fece. Almeno cominciò col risollevarsi.
Marianne aprì lentamente gli occhi, sospirando profondamente; vide Zack poggiare Leonard nel suo lettino e rimboccargli le coperte. Gli pose tra le braccia il suo peluche di Teddiursa e uscì dalla camera. Dopodiché aiutò la donna a rialzarsi da terra.
“Scusami… sono stanca e mi sono addormentata…”.
“Non preoccuparti, Marianne”.
“Ti senti un po’ meglio?” chiese poi. Carezzò il viso dell’uomo, sul quale la barba stava cominciando a rispuntare. Zack le guardò le labbra e poi il naso. Infino poggiò lo sguardo sugli occhi di quella, vividi e contemporaneamente stanchi.
Preoccupati ma pieni di speranza.
“Dovresti chiamare Ryan. Dirgli che deve tornare rapidamente e spiegargli quello che è successo. Dovreste allontanarvi da qui, magari portare con voi anche Alma e Thomas…”.
“Non so se è il momento adatto per chiamarlo… Sta lavorando per quella rapina a Timea e…”.
“La rapina a Timea era soltanto un diversivo… Era Rachel quello che volevano, Marianne”.
“Conoscendolo, il suo istinto sarà quello di mettersi subito contro l’Omega Group”.
Zack abbassò il volto e sospirò.
“Lionell Weaves è cambiato, è un altro uomo. Più cattivo, più sicuro di sé… Non sembra avere limiti. Ha scoperto che Rachel ha avuto una bambina e ora è alla ricerca di Allegra…”.
La donna annuì, sistemando i voluminosi capelli, poi sospirò.
“Ora dove andrai? Se vuoi potresti trasferirti qui da noi e…”.
“No. No, Marianne, no. Devo tenervi fuori da questa faccenda. Andremo lontano e lavorerò a un modo per concludere questo clima di terrore…”.
“Che vorresti fare?”.
“Catturare Lionell Weaves”.
Il silenzio s’espanse a macchia d’olio, denso e prepotente, quando quella abbassò il volto. In cuor suo non riusciva a credere d’essersi fatta convincere a lavorare per un uomo spregevole come quello.
Aveva bisogno di soldi, quando suo padre era morto tutto era andato a farsi benedire, con sua madre in preda alla depressione e suo fratello minore che spingeva per andare in conservatorio.
Artista lui, amante del sassofono.
Amava sentirlo suonare.
Fu anche per loro che decise di accettare quel posto come factotum all’interno di quella società di videosorveglianza, che poi si rivelò essere il covo del male.
Fu circuita da Linda, selezionata per la sua fedeltà e le fu fatto il lavaggio del cervello sulle priorità personali.
Poi stipendio leggermente più alto della norma, una divisa nuova e dei Pokémon d’ordinanza, e scese a pattugliare Adamanta alla ricerca di non sapeva cosa. Lei doveva essere soltanto pronta nell’eventualità che l’ufficiale di grado con il quale era d’istanza le ordinasse di lottare.
Poche settimane conobbe Ryan, coinvolto in quella che sarebbe stata la sua sfida personale più grande: ritrovare sua sorella dispersa in quelle terre febbricitanti.
Si rese conto della bontà effettiva di quell’uomo soltanto quando capì che Lionell avesse traviato anche la sua mente.
Marianne in fondo era buona, proprio come Ryan.
Proprio come Zack.
Proprio come Rachel.
Proprio come Allegra.
“Vai. Chiamalo e spiegagli la situazione”.
“Dubito che riuscirò a contattarlo, se sta combattendo la vedo assai dura”.
Zack fece cenno di no con la testa. “Ti ripeto, era tutto un diversivo. A quelli, del caveau, non importava nulla”.
“Io...” disse quella, confusa. “Io lo chiamerò subito...”.
L’uomo annuì e lentamente aprì la porta della camera dove dormiva sua figlia. La luce del corridoio entrava docile e illuminava il lettino della bambina.
Si sentì sollevato nel vederla dormire lì. Sì, perché c’era. Allegra era lì, Lionell non gliel’aveva portata via.
Le si avvicinò e si gettò su di lei, prendendola tra le proprie braccia e stringendola in un abbraccio. I capelli neri della bimba erano spettinati sul cuscino bianco. Il suo volto era disteso e rilassato e lei era felicemente all’oscuro dell’inferno che stava per vivere.
Zack era felice di sentire il suo respiro.
“Papà...” disse lei, appena svegliatasi. “Hai fatto tardi... Zia Marianne ha detto che dovevo dormire qui...”.
“Sì, gliel’ho detto io...”.
“La mamma è a casa?” ripeté la bambina.
“...”.
Tirò le coperte dal letto e avvolse sua figlia in quell’abbraccio di lana.
“La mamma è casa?” ripeté.
“Sì. Noi però adesso andiamo in vacanza”.
Quella poggiò la testa sulla spalla di Zack e gli cinse le mani al collo.
“Non è ancora estate”.
“Lo so” disse l’altro, uscendo dalla stanza e scendendo le scale.
“Le vacanze si fanno in estate, quando la scuola finisce”.
“Oggi non andrai a scuola”.
“Perché?” chiese quella, proprio quando Zack mise piede nel salotto di casa. Marianne era seduta sul divano, col telefono all’orecchio.
“Marianne, noi andiamo” fece il papà, sostando davanti alla porta.
“Perché?” ripeté Allegra.
“Perché andiamo in vacanza”.
Marianne aspettava in linea, chiedendo a Zack di prendere le scarpine della bimba accanto alla porta.
La fece sedere sulla poltrona e le infilò le scarpine, ancora sporche di fango, quindi si voltò nuovamente verso la padrona di casa. Quella sembrava sconsolata.
“Non risponde, Zack...” si lamentò.
“Sarà ancora lì. Continua a telefonarlo, capirà che è un’emergenza”.
La donna poggiò il telefono sul divano e sospirò, storcendo le labbra in una smorfia dispiaciuta.
“Zack... io... mi spiace molto...” disse, abbracciandolo con calore.
Lo guardò negli occhi verdi, gonfi e rossi per il pianto ma ancora verdi come smeraldi. I capelli castani gl’incorniciavano il volto, lunghi quasi fino alle spalle, anche se nascosti dal cappello bianco che indossava.
“Che cosa, zia? Cosa ti spiace?” chiedeva Allegra.
Zack e Marianne la snobbarono.
“State attenti e cercate di contattare Alma e Thomas. Col bambino appena nato è importante che stiate tutti vicini e pronti per ogni evenienza”.
“E voi che farete adesso?” chiese la donna.
Zack guardò sua figlia sobbalzare dalla poltrona.
“In vacanza! Papà ha detto che andremo in vacanza!”.
L’uomo trovò lo sguardo complice della donna, che annuì.
“State attenti, allora”.
Si avvicinò ai due, dando un forte abbraccio all’uomo e chinandosi poi ai piedi della nipote.
“E tu fai la brava”.
“Quando tornerò ti porterò un regalino” ribatté Allegra.
“Grazie...” sorrise debolmente l’altra, mentre una lacrima le bagnò il viso. “Sei una... sei una bambina bravissima”.
“Lo so” sorrise felice. “Perché piangi?”.
Marianne non riuscì più a trattenersi, inginocchiata per terra. Si perse nella disperazione, affondando il viso nel bracciolo del divano.
“È meglio se andiamo. La zia è stanca e deve dormire” chiuse Zack, avvolgendo nuovamente Allegra nella calda coperta e uscendo all’esterno dell’abitazione.
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