- Adamanta, Primaluce, Casa di Ryan –
Il freddo spariva sempre, quando lui la stringeva tra le sue braccia. Diventava un ricordo lontano e il calore del corpo di suo marito l’anestetizzava dal male del mondo.
Marianne era stesa sul suo letto, ancora imbrattata di sangue, col cuore che batteva forte nel petto. Ryan era steso accanto a lei, noncurante del fatto che si sarebbe sporcato tutto. La stringeva forte, le baciava la fronte, inalando il profumo dolciastro del sangue e dei capelli di sua moglie.
“T-ti ho chiamato… Ho… ho provato a farlo, t-ti giuro… Non volevo… u-ucciderli…” singhiozzava quella, con le lacrime sul volto distrutto dal pianto. Suo marito la stringeva mentre la sentiva tremare.
“Non avevo con me il cercapersone. So che hai provato a chiamarmi, Marianne” aveva risposto lui, baciandole la fronte. Quella s’era avvinghiata a lui per provare a calmare quella sensazione di vuoto che provava.
“Ho-o provato… ho-o prova-vato a chi-chiama-mare…”.
“Hai fatto ciò che avremmo fatto tutti…”.
“Ho-o ucciso delle persone… d-delle persone…” piangeva, cominciando a tremare ancor più forte. Lui la strinse, cercando di metterla quanto più a suo agio possibile, continuando a baciarle la fronte e tenendola vicina al suo corpo, vigorosamente.
“Anche io l’avrei fatto. Nessuno deve toccare la mia famiglia. Sei stata una madre che, nel momento del bisogno, ha mostrato i denti. E di questo ti ringrazio. La nostra famiglia è salva grazie a te”.
Quella non rispose. Calmò il pianto ma rimase tra le braccia del suo uomo, a tremare.
“Voglio solo che ti tranquillizzi. Poi ragioneremo con calma…”.
“Z-zack? L-l’hai sentito?” chiese.
“Non risponde. Che ne dice dici di mangiare qualcosa? Siamo qui da ore”.
Il respiro si era fatto più greve quando si era resa conto di aver dimenticato Leonard. Scattò come una molla, sfuggendo dall’abbraccio di Ryan e inciampando, cadendo dal letto.
“Lenny! Lenny!” fece poi, con gli occhi spalancati e i vestiti totalmente imbrattati di sangue. Suo marito si alzò e la fermò per le spalle.
“Sta benissimo, tranquilla. Ieri sera ha cenato con Isabella”.
“Deve stare con me, non possiamo perderlo d’occhio!” urlò poi, cercando di divincolarsi.
“È alla Lega, Marianne! È con una Superquattro! Non riuscirebbero a battere Isabella neppure in trenta!” esclamò lui, alzando la voce a sua volta.
Quella abbassò la testa.
“Noi dobbiamo raggiungerlo” continuò Ryan, cercando con pazienza di riportare sua moglie alla lucidità. “Ora vai di là, Ginger ti aiuterà a lavarti dal sangue e poi andremo tutti a Timea”.
Lei respirava con la bocca leggermente aperta, con un soffio d’aria che le carezzava le labbra e usciva fuori. Annuì lentamente e vide Ryan stringerla in un abbraccio accogliente.
Aprirono la porta della stanza e si trovarono davanti Kendrick, silenzioso come sempre, con una Marlboro accesa tra le dita.
“Ginger?” domandò il Campione, sapendo che quello non avrebbe risposto. “Ginger!” la chiamò subito dopo, sentendola scendere lentamente dal piano superiore. Non ebbe modo di constatare, Ryan, che i corpi erano spariti e che il sangue fosse stato lavato via, anche se un forte odore di prodotti chimici aleggiava nel piccolo corridoio.
Dopo qualche secondo la bella rossa si presentò davanti al padrone di casa.
“Fred dov’è?” chiese ancora, sospirando.
“Di sotto, credo. Ero su, a pattugliare dall’alto. Ho visto l’alba” sorrise poi, con quella finta dolcezza, che altro non era che una trappola.
“Bene” sospirò. “Saresti così gentile da aiutare mia moglie a lavare via il sangue? Sai… Sarebbe meglio che te ne occupassi tu, mentre cerco di varare un piano d’azione. Dopo…” sbuffò, portando le mani ai fianchi e guardando Kendrick fumare davanti la sua camera da letto. “… Dopo mangeremo qualcosa e ci riposeremo…”.
“Perfetto” sorrise la Superquattro, prendendo per mano una Marianne tremante come una foglia.
Le videro entrare nel bagno e chiudere la porta, e un grosso macigno sembrò cominciare a sgretolarsi nell’animo del Campione. Prese poi la sigaretta dalle labbra di Kendrick e la spense con le dita, infilandola dietro l’orecchio dell’altro.
“Pensare di aver avuto il corridoio pieni di cadaveri m’infastidisce quasi quanto sapere che qualcuno stia fumando in casa mia…”.
- Adamanta, Timea, Sede della Omecorp –
“Male! Dannazione, male!” urlava quello, sentendo quella strana sensazione pervadergli il corpo. Quel cristallo bruciava dietro la schiena ogni qualvolta i nervi affiorassero a fior di pelle.
La scrivania era come sempre ordinatissima, coi plichi sulla sinistra e altri fogli slegati sulla destra. La sua Montblanc era perfettamente parallela al bordo superiore del planning, su cui erano segnati date e appuntamenti.
Quell’organizzazione perfetta faceva a cazzotti con lo stato d’animo di Lionell, così rabbioso.
Linda, davanti a lui, era in piedi e lo guardava coi grossi occhi verdi, vividi e accesi. I lunghi capelli scuri erano sciolti e cadevano sulle spalle, lasciando scoperta la scollatura. Si morse le labbra, guardando gli occhi di Lionell colmarsi di quella furia cieca.
L’uomo, infatti, colpì per l’ennesima volta la superficie della scrivania, spettinando i capelli ormai troppo lunghi. La barba sembrava esser cresciuta troppo, in quei giorni, dandogli un’aria estremamente interessante.
Non era un segreto che Linda fosse attratta dall’uomo che sedeva dall’altra parte della scrivania, ma quando lei se ne rese conto per la prima volta non era altro che una giovane donna in cerca di un lavoro con problemi edipici mai risolti. E Lionell era un ricco uomo coi capelli sale e pepe, sempre ben ordinato e con un portamento dal lord inglese.
Era inevitabile che quella avrebbe fatto di tutto per avvicinarglisi, riuscendoci quasi subito.
Fu bellissimo, per lei, sentirlo entrare dentro di sé.
Non ebbe mai il coraggio di dirgli che avrebbe voluto lasciare tutto, portarlo via con sé e avere la parvenza di una vita normale, quella che aveva sempre desiderato.
E fanculo se lui aveva quasi venticinque anni in più, Linda lo amava perché era la calma nei suoi occhi e quel sorriso ben tirato su quel volto sempre liscio e profumato. I capelli pettinati e il vestito gessato e quel portamento irresistibile.
Era attratta da quell’uomo e dalla sicurezza che i suoi coetanei non le davano. Passato il tempo, gli stette accanto anche quando quello scoprì le carte, col piano della cattura di Arceus e lo sfruttamento di sua figlia.
Tutto quello le pareva paradossale ma lei amava quell’uomo e sapeva che doveva sostenerlo, proprio per fargli capire quanto tenesse a lui. Ripensò a tutti i momenti che avevano passato assieme prima che tornassero indietro nel tempo, alla battaglia del plenilunio, quando sconfissero i Templari e gli Ingiusti, per poi salire sul tempio del Monte Trave.
Linda era lì, accanto a lui, e gli sarebbe rimasta accanto anche quando, nonostante la sconfitta, continuò a portare avanti i progetti di quell’uomo, innaffiando la pianta ormai secca che era diventata l’Omega Group. Viveva di speranza, sognando il ritorno dell’uomo che tanto amava.
Era ormai cresciuta, era diventata una donna, scolpita dal martello del dolore e della consapevolezza che, nonostante tutto, non sempre si vinceva.
E poi lui si presentò alla porta del suo ufficio, coi capelli ben pettinati e la barba rasata.
Tre anni dopo che il suo cuore fu gettato in una cella di mille anni prima.
Fu quasi un sogno, per lei, che si tramutò improvvisamente in incubo quando quella grossa lama affilata squarciò in due il petto di Rachel, la figlia di quell’uomo, sangue del suo sangue.
E proprio di quel sangue s’era macchiato, Lionell, tuffandovi dentro le mani e le braccia, fino ai gomiti, cercando qualcosa di più importante della bambina nata da un amore passato.
Lì tentennò, Linda. Lì si chiese dove fosse realmente andato a finire quell’uomo di cui si era innamorata.
“Linda!” la chiamò lui, spostando una ciocca di capelli un po’ bianca e un po’ bionda dallo sguardo spento. Il sangue pulsava nelle sue tempie rossastre, irrorate di sangue bollente, impaziente.
“Lionell” rispose lei, guardandogli le labbra, assottigliate per via del tempo.
“Devi trovare Allegra Recket! Lei non è più a Primaluce!”.
“Credo che…” gli occhi della donna s’abbassarono ancor di più, su quelle mani nodose. Non portava anelli alle dita, nessuna fede. Non l’aveva mai portata, da quando lo conosceva.
“Cosa credi?!” urlò.
“Dovremmo andare a chiederlo a Marianne e Ryan…”.
“E allora andate!”.
Linda sorrise, col volto diafano di una principessa delle fiabe, senza mai alzare il volto.
“Non credo sia semplice entrare nella Lega Pokémon di Adamanta e minacciare la moglie del Campione per ottenere informazioni”.
Lionell si sollevò in piedi immediatamente e circumnavigò rapido la scrivania, andandole in contro.
Linda ebbe paura, e la situazione non diminuì quando quello l’afferrò per i polsi. Nei suoi occhi c’era la pazzia e la donna la riusciva a vedere mentre fluiva ovunque nel suo corpo. Aveva il volto dell’uomo a pochi centimetri e sentiva il suo respiro furioso infrangersi contro le sue labbra e le sue guance.
Lei schiuse la bocca, respirò il suo respiro e lo costrinse a fare altrettanto.
“Noi possiamo fare tutto!” urlò lui, vedendola chiudere gli occhi intimoriti. “Tutto!”.
“Io… Io…” tentennò quella, con le labbra che presero a tremare.
“Tu devi andare di là e scegliere gli uomini migliori per questa missione! E dovrete portarla a termine! Dobbiamo prendere quel fottuto cristallo, Linda!” urlò infine, lasciando i polsi e spingendola. Quella inciampò, cadendo dritta per terra.
Fu proprio quello il momento in cui la donna ebbe il quadro più chiaro.
“Cosa stai facendo?” gli domandò, lasciandolo interdetto giusto per un secondo. Quello fissò i suoi occhi chiari per un secondo, prima che la porta del suo ufficio si spalancasse.
E vi entrò una donna alta, su di un paio di tacchi funambolici. Li portava con molta eleganza, e li aveva abbinati a un leggins nero, che serviva a mettere in risalto le cosce toniche e il sedere rotondo. La vita sottile e la pancia piatta erano coperti da un maglioncino color panna, molto aderente e a collo alto. Indossava un paio di lenti graduate, che negli uffici si erano schiarite e avevano mostrato a tutti gli occhi color cremisi della giovane donna, dai lunghi capelli rossi legati in alto sulla testa.
“Malva. E lei deve essere il Signor Weaves” si presentò quella, sorridente. Sia lui che Linda rimasero un attimo interdetti; la seconda si rialzò in piedi, poco prima che la segretaria entrasse tutta trapelata nell’ufficio.
“Mi scusi!” esclamò quella. “Mi scusi signor Weaves! Ma non sono riuscito a fermarla! Le avevo detto che era in riunione”.
Malva sorrise e sospirò. “Fossero tutte così, le riunioni”.
“Che diamine cerca?” ringhiò il capo di quell’ufficio, profondamente indisposto.
“Volevo dirle che è inutile cercare quella bambina. Il cristallo non le appartiene più”.
Linda ricevette uno sguardo da Lionell parecchio torvo.
“Lei che ne sa?” chiese poi, calmatosi all’improvviso.
La donna sorrise, stirando soltanto un angolo della bocca, prima sospirare nuovamente.
“Che ne dice di parlarne davanti a un bel tè caldo?”.
- Adamanta, Timea, Lega Pokémon –
Quel corridoio non era molto lungo ma a Ryan sembrava di percorrerlo da settimane. Stringeva la mano di sua moglie mentre, con gli occhi azzurri come il mare, cercava la porta che avrebbe dato ai dormitori. Alma era davanti a lui, stringeva Manuel; il bimbo dormiva.
Leonard invece era sereno, davanti a tutti, con Isabella, e le chiedeva per quale motivo Kendrick non proferisse parola. Nessuno lo sapeva.
Si voltò per un attimo, scrutando il volto rigido di sua moglie; le labbra, le grosse labbra ambrate di Marianne si erano trasformate in linee sottili e pallide. Gli occhi erano stanchi e si poggiavano su due grossi solchi, ma erano coperti dai voluminosissimi capelli, neri e ricci, e celavano qualsiasi sua espressione.
“Amore” l’aveva chiamata il Campione, col cuore che ancora batteva forte e le immagini di suo figlio sotto il tiro di quello scagnozzo.
Marianne però non si girava.
“Marianne”.
“Ryan” rispose poi quella, senza neppure voltarsi. Guardava la nuca di Thomas, proprio davanti al suo volto, col fare di chi non sapeva la propria collocazione nello spazio e nel tempo. La sua espressione, effettivamente, era quella di una donna senza emozioni e senza curiosità, senza paura e senz’amore.
Nei suoi occhi solo il sangue, nelle sue orecchie soltanto le urla.
Nei suoi pensieri solo Leonard.
“L’hai protetto. Sei stata perfetta”.
“Ho ucciso degli uomini, Ryan. Non sono stata perfetta ma un’assassina”.
Quello rimase colpito da quelle parole.
“Lo avrei fatto anche io, se può consolarti”.
“Non mi consola. La vita è un dono troppo prezioso e io non sono nessuno per rubarlo. Anche la feccia umana non merita di morire come l’ho uccisa io”.
“Tu e Lenny siete la cosa più preziosa che ho” ribatté Ryan, coi capelli biondi ben pettinati sulla testa. “E se qualcuno minaccia la vostra sicurezza io minaccio la loro. Io e te siamo i genitori di quel ragazzino” disse ancora, mentre i passi s’accumulavano uno sull’altro. “Ed è nostro dovere proteggerlo. Sempre e comunque, e in qualsiasi modo. Se ora fosse morto te lo saresti mai perdonato?”.
Fu quello il momento in cui Marianne spostò lo sguardo e guardò suo marito. Guardò le sue labbra, screpolate per il freddo, e la pelle già diafana che d’inverno diventava ancor più pallida. L’accenno di barba sul suo volto era così insolito da essere quasi una novità.
“Non ho protetto io, nostro figlio. Sei stato tu, che sei arrivato all’improvviso. Se non ci fossi stato tu non saremmo qui, ora, ma al suo funerale”.
Ryan abbassò il volto, cercando d’allontanare quell’immagine così buia dalla sua mente, chiuse gli occhi e guardò la punta delle proprie scarpe.
“L’importante è che ora stia bene. Non conta più nulla. E tu hai fatto quello che avrebbe fatto chiunque… Hai fronteggiato diversi uomini e Pokémon, più forti e grossi di te. Li hai messi tutti al tappeto, come una mamma ninja” sorrise, suscitando la stessa cosa in sua moglie. “E hai trattenuto la minaccia finché non arrivassi. Io e te abbiamo fatto un grande lavoro di squadra. Anzi, il mio merito è fin troppo più piccolo rispetto al tuo”.
La donna si limitò ad abbassare il capo e a sospirare, inalando aria fresca e gettando fuori ansia e veleno.
Isabella si voltò, sorridente e gioviale come sempre, aprendo la porta alla sua sinistra. “Alma e Thomas potranno stare qui a sinistra, mentre Marianne e Leonard andranno nelle camere di Ryan”.
“Saresti perfetta in un ostello” ribatté Ginger. Fred e Kendrick sorrisero e la bionda indossò una smorfia divertita.
“E tu in un bordello”.
Altre risate.
Ryan sospirò e aprì la porta sulla destra, prendendo per mano suo figlio e permettendo a sua moglie di passare prima di lui. L’ambiente era accogliente, col parquet sui pavimenti e le pareti rivestite di mattoni rossi. C’era un letto singolo accanto alla porta del bagno e una televisione che lui però non utilizzava mai.
Sul comodino vi era un libro di Glenn Cooper e un bicchiere d’acqua vuoto.
“Farò portare un altro paio di brande. Magari potremmo crearci un letto matrimoniale” sorrise il Campione. “Ora, Leonard, la mamma è stanca e ha bisogno di riposare. Tu dovrai fare il bravo, qui e non creare problemi. Intesi?”.
“Ma non c’è nulla da fare, qui! Voglio stare con Isabella”.
“Isabella deve stare col papà e gli altri Superquattro, Lenny” rispose Marianne, ancora scossa.
Ryan sospirò e si guardò intorno. Aprì poi il cassetto del comodino e prese una Pokéball.
“Tieni. Questo è tuo”.
Leonard spalancò gli occhi.
“È un Pokémon?!”.
Marianne guardò stranita il suo uomo.
“So che avremmo dovuto parlarne, Marianne, ma lo faremo più tardi”.
Quando il bambino aprì la sfera vi trovò uno Squirtle. Sorrise felice e guardò sua madre stendersi sul letto.
Ryan invece si voltò rapido e raggiunse i suoi uffici. I Superquattro erano già seduti ordinatamente attorno alla scrivania, silenziosi e in attesa di direttive.
Quando il Campione si sedette tutti e quattro i presenti avevano già intuito che la tensione fosse eccessiva.
“Hai bisogno di riposare” aveva cominciato Fred, guardando gli occhi scavati di Ryan, che ormai aveva raggiunto quasi le ventiquattr’ore senza chiudere occhio.
Isabella rimbeccò. “Odio dovergli dare ragione… ma ha ragione”.
“Che frase ridondante” ribatté l’altro.
“Devi riposare. Non sei lucido, adesso” continuò la bionda.
Ryan sospirò e accese il portatile.
“Ginger” disse poi il biondo, digitando qualcosa in maniera molto rapida. “Hai da dire anche tu qualche puttanata che non ascolterò?”.
Fred e Isabella si guardarono, repentini.
“Credo che abbiano ragione” rispose la rossa, inclinando la testa. “Ma il capo sei tu, e della nostra opinione, se vuoi, te ne fai ben poco… Ora aspettiamo soltanto le direttive”.
“Per una volta Kendrick non è l’unico a non darmi fastidio… Allora” sospirò quello, alzandosi in piedi. Spense la luce e accese il proiettore; sulla parete apparve la piantina d’un edificio.
“Questo è il complesso degli edifici dove l’Omega Group si è stabilito vent’anni fa. Saremmo potuti entrare tranquillamente dagli impianti d’areazione, come ha fatto qualche giorno fa mio cognato Zack, ma sicuramente le telecamere di sorveglianza lo avranno visto e quindi gli addetti alla sicurezza avranno tamponato quella falla”.
“E cosa suggerisci?” domandò Isabella.
“Io sono il Campione e voi siete i Superquattro” sorrise poi, incrociando le braccia sotto al petto. “E la porta principale è questa qui”.
Commenti
Posta un commento