- Adamanta, Timea, Uffici della Omecorp -
"Se vuole spiegarmi...".
Lionell guadava sott'occhi Linda, mentre Malva sorseggiava il suo tè, sorridendo. Spostò una ciocca di capelli arricciata sugli occhiali e sorrise.
"Ho detto che il cristallo non appartiene più ad Allegra Recket".
L'uomo sospirò, sistemando il colletto della camicia bianca, per poi passare una mano tra i capelli brizzolati.
"E…” sospirò, fissando gli occhi rossi di quella che aveva di fronte. "Lei come conosce Allegra Recket?".
"Perché so chi è Zackary Recket. E so anche chi era sua madre. O sua figlia, del resto sono la stessa persona".
Linda s'accomodò accanto a lei e accavallò le gambe. La guardò sorseggiare nuovamente la bevanda calda, poi incrociò i suoi occhi, scontrandosi con un muro infrangibile.
Aveva come l'impressione che Malva la reputasse inferiore.
"E come fai a saperlo?" domandò l'Ufficiale dell'Omega Group, accavallando le gambe.
Malva la guardò nuovamente, per poi rispondere soltanto dopo aver trascinato il proprio sguardo agli occhi di Lionell Weaves. Gli guardò le labbra e sospirò.
"Ho le prove... E sono disponibile a vendervi tutte le informazioni di sorta..." sorrise.
Lionell sospirò, inarcando le spalle e facendo cenno di no con la testa.
"E secondo lei, signorina...".
"Malva. Può chiamarmi Malva. È il mio nome...".
"E secondo lei, signorina Malva, io dovrei darle i miei soldi perché dice di avere le prove?".
Linda sorrise. "Illusa" fece.
Malva si voltò immediatamente.
"E lei è?".
Linda spalancò gli occhi.
"Sono l'Ufficiale Capo, comandante delle reclute e dei corpi d'azione, oltre al primo esecutivo dell'Omega Group, presidente della Omecorp e braccio destro dell'uomo che ha difronte. La vera domanda è: chi sei tu?".
"Mi dia del lei" ribatté l'ex Superquattro di Kalos.
"Non ti darò proprio nulla. Sei entrata nei nostri stabilimenti senza un minimo di professionalità, senza prendere un appuntamento e ti sei presentata davanti a noi durante una riunione importante per cercare di spillare dei s0ldi senz'alcuna prova che ciò che ci offri in cambio sia quello che cerchiamo".
Lionell guardò la donna dai capelli rossi, che intanto si sistemò sulla comoda poltroncina nera.
"Nella vita ho imparato che rischiare è il modo più diretto per vincere. Voi non vi fidate di me ma io..." sorrise ancora, sistemando gli occhiali sul naso. "... Io possiedo quello che vi serve".
Linda prese la mira e sparò. "Non ti credo".
L'altra si alzò in piedi e sorrise. "Circa quattro anni fa, l'intera Unione Lega Pokémon si è incontrata in un posto segreto, un bunker di massima sicurezza dove si sono incontrati tutti i corpi regionali più importanti...".
"Superquattro, Campioni e Capipalestra, quindi" osservò Lionell.
"E tu eri tra i Superquattro?" chiese invece Linda.
"Non sei stata cacciata, dopo lo scandalo del Team Flare?" domandò ancora il capo.
"Io non ero presente, ma lo era Narciso. E Narciso ha un debole per me... Non è stato difficile ottenere delle informazioni da lui, una volta entrata nel suo letto".
Sorrise maliziosa, seguita poi a ruota da Linda.
"Continua la tua storiella".
"È la verità. E una volta che tutti quei capoccioni col mantello e le medaglie si sono incontrati lì è entrato in sala Green Oak, con Zackary Recket".
"Recket, eh?" chiese Lionell, interessato. Si carezzava delicatamente il mento, cercando di carpire quante più informazioni possibili.
"Sì. E portava con sé il cristallo di Arceus" fece, poggiando sulla scrivania una fotografia di un cofanetto in legno con dentro ciò di cui parlava.
"È… è lui" sussurrò Linda, sospirando. Guardò gli occhi di Lionell e sorrise dolcemente.
"Sì, Linda. È proprio il Cristallo della Luce".
"Vi avevo detto che sapevo ciò di cui parlavo" sorrise Malva.
"Dov'è?".
"Chiedo cinquecento milioni di Pokédollari, per quest'informazione. In contanti".
Lionell fissò il volto diafano della bella truffatrice e sorrise.
"Dammi mezz'ora e avrai i tuoi soldi in una valigetta proprio qui, davanti ai tuoi occhi".
- Adamanta, Timea -
Ormai si erano abituati al vento che tagliava loro i volti. Volavano rapidi sui loro Pokémon, raggiungendo la capitale della grande regione adamantina, coi Superquattro tutti che seguivano il Campione, a fare d’apripista nella notte nera di Timea.
Il freddo era tanto ma il sangue nelle vene di Ryan ribolliva, con fissa nella mente l’immagine di suo figlio Leonard in pericolo e quella di sua moglie in lacrime, in un lago di sangue.
Accelerò, sulle ali del suo Flygon, stringendo i denti e continuando a sentire le tempie pulsare, nervose.
Isabella lo stringeva alla vita, cosciente dell’agguato che stavano per tendere.
Aggressività e potenza dovevano essere espressi nel minor tempo possibile, come una detonazione devastante che avrebbe distrutto tutto.
La Lega D’Adamanta si stava per riprendere tutto ciò che aveva perso in quei giorni, a partire dalla dignità per finire alla sicurezza.
Ryan non voleva più aver paura di Lionell Weaves. Aveva portato già via sua sorella Rachel, trascinando nella disperazione Zack e Allegra, spariti chissà dove.
Dietro di loro Fred e Ginger volavano l’uno accanto all’altro, rispettivamente su di un Togekiss e un Gliscor.
Infine vi era Kendrick, alle spalle, come sempre, sul suo Yanmega.
“Tra poco comincerà a piovere!” urlava Isabella. “Dovremmo sbrigarci ad arrivare lì!”.
“La pioggia ci nasconderà meglio!” aveva ribattuto Ryan, coi capelli biondi tirati indietro dal vento.
“Dovremmo entrare e uscire subito!” rispose l’altra, sentendo Ginger e Fred convenire sulla questione.
“Loro saranno molti di più! Non dovremmo mai fermarci!” aveva quindi detto l’ultimo. Ginger annuiva.
“Il piano l’ho studiato nei minimi termini, ragazzi!” faceva Ryan, sulla schiena possente del suo Pokémon.
L’acqua prese a cadere fredda dal cielo, nervosa e indisponente, bagnando i corpi dei giustizieri che si muovevano veloci e rapidi, come lame taglienti in quella notte, pronti a colpire chirurgiche la loro preda.
Il loro obiettivo.
Ryan era concentrato su Lionell. Avrebbe dovuto arrestarlo ma la rabbia che gli saliva ogni qualvolta ripensava al volto di quella recluta nella sua mansarda lo spingeva a rivalutare le proprie priorità e il concetto di giustizia.
Voleva ucciderlo.
“Siamo arrivati” fece Ginger, vedendo poi Kendrick virare lentamente verso destra.
“Il piano! Ragazzi, ricordate il piano!” urlò Isabella.
“Colpisci, Flygon!” urlò Ryan, vedendo il proprio Pokémon, in picchiata, attaccare il cortile davanti all’ingresso principale con un forte Fuocobomba.
Le fiamme divamparono, aggredendo le mura dell’edificio e le automobili presenti.
Le Reclute in vedetta presero a gridare, qualcuna sparò col proprio fucile.
“Fred!” urlò Ryan.
“Sì!” ribatté l’altro. “Salvaguardia, Togekiss!”.
Un velo d’energia ricoprì il plotone d’esecuzione, lasciando al di furi soltanto Kendrick, che intanto s’era defilato e stava attaccando le vedette utilizzando Eterelama e Nottesferza.
“Dentro saranno in centinaia…” sussurrò a Fred la Superquattro dai capelli rossi.
“Di più!” ribatté Ryan. “Migliaia! E se dovete scegliere tra la nostra vita e la loro non sussultate neppure per un momento! Sono tutti criminali e siamo autorizzati a rispondere al fuoco!”.
S’avvicinarono al cortile in fiamme e Ginger e Isabella scesero rapidamente.
“Pronta?” domandò la prima, vedendo la bionda annuire. Questa mise mano alla cintura e prese la sfera del suo Aggron, facendolo uscire davanti al grosso portone blindato.
“Vai” fece Ginger, ordinando a Isabella di dare il via alle danze.
“Riduttore!” urlò euforica e sorridente quest’ultima, vedendo il proprio Pokémon attaccare l’ingresso d’acciaio rinforzato e aprirlo in due, giusto al centro.
“Sono all’ingresso! I Superquattro sono all’ingresso!”.
Era questo ciò che urlavano gli scagnozzi dell’Omega Group.
Molti erano fuggiti ma altri erano pronti a contrattaccare.
E fu allora che la seconda parte del piano andò in porto.
“Carica, Aggron!” aveva urlato poi Isabella, vedendo il grosso Pokémon partire verso l’ingresso dell’edificio. Le due donne si stesero subito per terra, pronte a scattare in avanti.
“Rapidi!” urlò Fred, facendo una grossa giravolta e scendendo in picchiata col proprio Togekiss; fu lui il primo a entrare nell’edificio, seguito subito dopo da Ryan e poi da Kendrick.
Toccava alle signore fare da fanteria, nonostante l’attacco lampo fosse portato avanti dai tre signori sui Pokémon volanti.
Quelli percorsero il grosso androne d’ingresso e si divisero nei tre corridoi più stretti nel quale la via centrale si divideva.
Isabella e Ginger si sollevarono quasi un secondo dopo che Kendrick fosse passato sulle loro teste, correndo all’interno e raggiungendo Aggron.
“Sfondamento effettuato” sorrise la rossa, guardando negli occhi Isabella. I mercenari s’affossarono davanti a loro, accerchiando il grosso Aggron e avvicinandosi minacciosi.
Le loro divise bianche quasi consentivano loro di mimetizzarsi nel candore di quella base operativa spacciata per azienda di videosorveglianza.
Le Superquattro indietreggiarono lentamente, vedendo la gran parte degli scagnozzi dell’Omega Group avvicinarsi a loro, come a volerle attaccare fisicamente.
Isabella guardò Ginger e sospirò.
“Rossa, dovrai pensare a immunizzare quanti più avversari possibile”.
La donna annuì. “Ho Espeon, per questo”.
Il Pokémon di tipo Psichico scese in campo, e veloce si pose tra le due.
“Piccolo mio dolce e bel Pokémon” sorrise Ginger. “Riesci a intrappolare tutti questi cattivoni nelle tue bolle psichiche?”.
Isabella sbuffò, spostando un ciuffo biondo dalla fronte. “Ordinale di usare Psichico e basta…”.
“Così fa più effetto” sorrise l’altra, vedendo arrivare l’orda di mercenari, pronti ad afferrarle.
“Aggron, usa Metalscoppio!” aveva urlato poi l’altra. I Pokémon avversari furono colpiti da forti detonazioni mentre i loro Allenatori si videro sollevati dal pavimento dalle forze psichiche di Espeon.
“Mi sembra sia stato troppo semplice” disse Ginger, guardando la collega: avevano liberato quell’area in meno di due minuti. Stranite, decisero di dividersi, dove già Kendrick e Fred erano passati.
Entrambe si trovarono davanti a strane scene in cui la metà degli avversari che si trovavano davanti, che uscivano dalle porte dei corridoio, s’inginocchiavano con le mani alzate.
L’altra metà combatteva con tutta se stessa e finiva sconfitta, ferita e talvolta uccisa quando minacciava la vita delle due autorità.
Si rincontrarono una decina di minuti dopo, alla fine dei corridoi. Le loro divise erano sporche di sangue.
“Qualcuno scappava…” osservò Ginger, spostando i capelli dal volto con le braccia, dato che le mani erano sporche.
“Erano mercenari. Qualcosa non funziona. Aggron, spianaci la strada” rispose Isabella, mantenendo il sangue freddo. Alzarono gli sguardi ma non riuscirono a vedere gli altri due Superquattro, assieme al Campione, che ormai avevano proseguito in maniera piuttosto rapida.
Difatti, quelli si erano rincontrati alla fine dei rispettivi corridoi, convergendo in una triplice punta d’attacco che vedeva Ryan come perno centrale.
Il corridoio che il Campione aveva attraversato bruciava, come tutte le persone che gli si erano poste davanti.
Non aveva guardato negli occhi di nessuno, si era semplicemente limitato a far fuoco, senz’alcuna distinzione di razza, sesso e religione.
“Spediti, dobbiamo scendere!” urlò lui, saltando dal Flygon e aprendo una grossa botola che conduceva ai sotterranei della Omecorp, dove i progetti più biechi di Lionell Weaves venivano ideati e messi in moto. E lui lo sapeva, perché ne aveva fatto parte, appena qualche anno prima.
Avrebbe volentieri cancellato quella parte della sua vita, se non avesse conosciuto in quei frangenti sua moglie.
Tutt’intorno era molto buio e soltanto i neon d’emergenza che ronzavano regalavano un po’ di luce a quel lungo dedalo di corridoi.
“Puzza di muffa” disse Fred, beccandosi una spallata da Kendrick, che avanzò veloce sul suo Yanmega.
“Dove sta andando?!” chiese poi il Superquattro che parlava, al Campione.
“Avanscoperta. Seguiamolo”.
Il Togekiss di Fred e quel grosso Flygon si spalleggiavano per l’intera lunghezza del corridoio, e Ryan fremeva soltanto nell’immaginare le proprie mani attorno al collo di Lionell.
Davanti a loro Kendrick continuava ad accelerare, attaccando qualche sporadica Recluta che si presentava davanti ai loro occhi. E accelerava, accelerava sempre di più.
“Dove scappa?!” chiedeva Fred, più a se stesso che a Ryan.
“Ho un timore…” rispose in un sussurro quello. “Vai!” urlò a Flygon, lasciando Fred qualche metro più indietro, prima che anche lui s’appiattisse sul proprio Pokémon e lo raggiungesse.
Virarono a destra e poi ancora dritto.
“Timore?!” chiese ancora Fred, urlando.
“Sì”.
La porta dell’ufficio di Lionell Weaves era aperta e le luci al suo interno erano ancora accese. Kendrick era sul suo Yanmega e vide Ryan scendere rocambolescamente dal suo Pokémon, cadere e rimettersi in piedi. Poi entrò lì dentro, nelle mani la sfera di Gallade.
Ma al suo arrivo c’era soltanto una lampada accesa, un computer spento su di una scrivania ordinata e una sedia rovesciata per terra.
La rabbia cieca s’impossessò del corpo del Campione, fluendo agli arti e costringendolo a sfogarsi, colpendo con un pugno la parete.
“È scappato, porca puttana! È scappato!”. E le sue urla raggiunsero le poco lontane Ginger e Isabella.
- Kanto, Aranciopoli, Ospedale Civile -
“Sembra dentro da un secolo…” sussurrava Marina, stanca di quella faccenda. Camminava nervosamente sul pavimento lucido dell’ospedale, facendo avanti e indietro senza allontanarsi mai veramente dalla porta dove il medico che aveva in cura Gold stava facendo tutti gli esami e gli accertamenti.
“Camminerà di nuovo, stai tranquilla” sorrise dolcemente Crystal, seduta composta sulla sua sedia. Osservò il volto della Ranger, composto in una smorfia a metà tra la gratitudine e la preoccupazione, prima che il cuore riprendesse a battere con forza.
"Sono preoccupata, Crys...".
"È comprensibile" rispose l'altra. "Ma devi essere forte, in questo momento. Niente andrà male ma, se anche fosse, Gold troverà ad aiutarlo una ragazza che lo ama e una coppia di amici fraterni" sorrise ancora.
Marina fece rapidamente cenno di no con la testa. "Non voglio neppure pensare a un Gold senza l'uso delle gambe...".
Cyrstal si voltò verso la finestra alla fine del corridoio, dove Silver aspettava in silenzio il verdetto.
"Non sembra" disse la Catcher "ma è molto nervoso per questa cosa... Nonostante tutto, vuole un gran bene, a Gold".
Marina annuì, guardandolo: era stretto nelle spalle, avvolto nel suo lungo giubbino di pelle, coi capelli sciolti e spettinati. Il volto cereo era provato dalla notte agitata che aveva passato. Gold s'era portato al centro dei suoi pensieri anche quella volta, come faceva sempre con la sua grande dose d'egocentrismo.
Di certo preferiva quando erano i suoi capricci e le sue bizze a trasportare gli sguardi.
Crystal e Marina continuavano a parlare quando il cellulare del rosso vibrò.
La suoneria era quasi perennemente staccata, non adorava la schiavitù che quell'aggeggio infernale stava distribuendo a tutti, nessuno escluso, motivo per cui cercava di farne a meno.
Però si rendeva conto che era uno dei mezzi migliori per tenersi in contatto con le persone lontane.
Tipo Blue, che lo stava chiamando in quel momento.
"Pronto, Sil" esordì lei, prontamente.
"Hey...” rispose il ragazzo. “Come va?".
Un attimo di pausa, in cui la donna si rigirò lentamente sul letto.
"Potrebbe andare meglio... Avevo bisogno di sentirti".
Il fulvo si voltò, dando le spalle al mare di Aranciopoli, dietro la finestra. "Che è successo?".
Cystal lo guardò, lui le fece segno con la mano di aspettare.
"Green...".
La voce della donna vacillò verso un baratro che mai aveva toccato.
"Avete litigato?".
"No. In realtà no. Ma io non voglio stare con lui...".
Silver portò una mano alla fronte, sbuffando. Trascinò le dita sul volto, come a volerlo lavare da quelle parole, poi spalancò nuovamente gli occhi, vedendo Crystal avvicinarsi lentamente.
“Di nuovo?”.
Dall’altra parte della cornetta la Dexholder sospirava grevemente.
“Non avevo mai detto una cosa del genere, prima d’ora…”.
Silver pronunciò con la bocca la parola “B-L-U-E” senza emettere un fiato, in modo da tranquillizzare la sua donna, che ormai era a un paio di metri da lui.
“Va tutto bene?” sussurrò lei, preoccupata.
Lui si limitò ad annuire e fare cenno col dito di attendere a dopo per le domande.
“Gli hai già detto qualcosa?”.
“No. Ma ho perso la testa per qualcun altro e…”.
“Non dirmi che è Red, per favore…”.
Il tono di Silver pareva biasimarla. E lei, dal canto suo, si sentiva colpevole di quei sentimenti che provava.
“Non… non è proprio…”.
Silver sbuffò. “Ti conosco da vent’anni, non mentirmi…”.
“Uff…”. Blue era in difficoltà. La gatta nera che cadeva sempre in piedi era scivolata.
“Hai intenzione di rovinare di nuovo quella coppia?! Dopo tutto quello che hanno passato, quei due, per ritrovarsi?!”.
E dopo quelle parole cadde il silenzio. Blue, stesa sul suo letto, decise di attaccare il cellulare.
Silver era stato per tanti anni ciò che più rasentasse il significato di fratello per lei, e non aveva mai utilizzato simili parole. In pratica la stava colpevolizzando.
Era davvero colpa sua?
Era davvero colpa sua se non amava più l’uomo che aveva già fatto soffrire?
Era davvero colpa sua se era di nuovo attratta dalla persona sbagliata?
Sbuffò, voltandosi nelle coperte e disfacendo il letto. Era stanca di quel tran tran, e di certo tutti quegli attentati non stavano aiutando la sua mente a trovare un equilibrio.
“Ha attaccato…” sussurrò Silver, più a se stesso che a Crystal, che gli sostava in religioso silenzio davanti.
“Che ha combinato, stavolta?” domandò quella, preoccupata.
“Niente di che, problemi di cuore e voleva confidarsi un po’…”.
La donna dapprima spalancò gli occhi e poi li batté tre o quattro volte, sospirando.
“Temevo avesse aperto il vaso di Pandora…”.
Suscitò il sorriso nell’uomo, che poi fece cenno di no con la testa.
“È terribilmente complicata per me. Non le capisco, le donne…”.
Crystal sorrise addolcita e gli si avvicinò, lasciandogli un casto bacio sulle labbra.
“Una la capisci benissimo. Non vuole consigli, vuole solo sfogarsi della sua situazione con Green. Richiamala e lasciala parlare…”.
Il rosso annuì confuso e tirò di nuovo fuori il cellulare dalla tasca.
Suonava di nuovo.
Blue era ormai in lacrime, in religioso silenzio perché nessuno doveva sapere che lei potesse farlo. Nessuno doveva vederla piangere.
Si voltò, con gli occhi come il mare in burrasca, e guardò lo schermo del cellulare avvisarla che fosse suo fratello Silver a chiamare.
Prese un profondo respiro e riempì i polmoni, strinse le dita intorpidite dal freddo e gettò fuori quell’aria inquinata d’angoscia che il suo corpo conteneva.
“Pronto” rispose poi, cercando di rimangiarsi tutto quello stato d’animo e tornare a essere la solita stronza di sempre, col sorriso sulle labbra e l’abilità innata di vedere sempre oro nella merda.
“Perché hai attaccato?” domandò serio il figlio di Giovanni, attendendo con pazienza che quello rispondesse.
“È caduta la linea, Sil, non ho attaccato”.
“Se prima ti conoscevo da vent’anni ora ti conosco da vent’anni e due minuti… Non mentirmi. Hai pianto?”.
Blue sorrise. “Sai anche di che colore porto il reggiseno, per caso?” fece, sussultando un po’ troppo e tirando su col naso. “Non riesco a nasconderti nulla”.
“Non lo porti, il reggiseno…”.
Quella annuì, sorridente.
“Ci si arriva, pensandoci” aggiunse il fulvo. “Ora mi spieghi perché piangi?”.
Blue si sollevò, sedendosi su quel letto pieno di rimpianti. “Delle volte non so perché faccio ciò che faccio. Delle volte vorrei solo…”.
“Vogliamo vederci?”.
Quella spalancò gli occhi.
“Quando?”.
“Sono ad Aranciopoli, Gold si è svegliato da poco... Lo stano visitando”.
“Oh, sono contenta. Camminerà?” chiese, tirando ancora su col naso.
“Lo stanno visitando” ripeté l’altro, guardando Marina alzare improvvisamente la testa.
“Vi raggiungo io. Il tempo di una doccia”.
“Va bene”.
“Sil” fece quella, prima che il rosso attaccasse.
“Che c’è?”.
Blue s’alzò dal letto e s’avvicinò alla finestra, vedendo riflessa nel vetro una donna bellissima ricoperta da un velo di domande.
“Grazie”.
Commenti
Posta un commento