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Chapter VI
All the Time in the World
All the Time in the World
« Perché? »
Immersi nella calma serale, i due si erano ritrovati a salire nel suo appartamento ma, giunti sul luogo, non ebbero a che dire per un lungo lasso di tempo. Hilda aveva posizionato una sedia di fronte alla porta finestra e sedeva osservando il tramonto, i suoi occhi che cercavano di ritagliarsi un piccolo spazio nel labirinto di grattacieli dello skyline, mentre N si era ritrovato a sistemare delle carte da gioco su un tavolo nella medesima stanza, ma poco più lontano dalla ragazza.
Le ordinò una ad una sul legno, seguendo in un modo piuttosto schematico le venature delle assi, a formare un rettangolo stretto e lungo. « Se volessimo usare un sistema di frasi criptate tramite le carte da gioco » disse, eludendo la domanda della giovane « dovremmo prima di tutto porre dei limiti all’intervallo di carte che prenderemmo in considerazione, considerando ovviamente di seguire l’ordine numerico. Dall’uno al re, e dopo il re l’ordine successivo di semi, cercando anche in esso un ordine. Prendiamo fiori, quadri, cuori e picche per esempio »
Hilda non rispose.
« Le lettere dell’alfabeto sono, in totale, 26 » continuò, mantenendo lo sguardo chino sulle carte « e così deve essere anche il nostro intervallo. Su cinquantadue carte, ventisei ne andrebbero escluse così, ma non è da intendersi che perderebbero il loro scopo. Affatto. Le carte sarebbero comunque utili come spazio fra una parola e l’altra, certamente »
Sistemò delle carte in fila indiana lungo il verso orizzontale, senza l’uso di spazi.
« Volendo potremmo scegliere di usare, diversamente, altre chiavi di lettura, come ad esempio i numeri pari o dispari, con le proprie eccezioni, o i multipli di un dato numero »
« Perché c’è qualcosa che hai intenzione di dirmi? »
Un sorriso abbozzato increspò le sue labbra. « C’è qualcosa che vuoi sapere? »
« In realtà sì » distolse lo sguardo dall’orizzonte, che ormai non presentava più il porpora crepuscolare ma un mero blu notte, e lo portò in direzione del ragazzo « molto »
N sorrise ancora. « Vai avanti »
Hilda appoggiò il mento sullo schienale della sedia, ingobbendosi, e prese fiato. Poco prima che si preparasse a parlare, qualcosa la fermò. « Qualsiasi cosa ti chieda mai, non riceverei mai una risposta »
« Cosa te lo fa pensare? »
La castana lo guardò di sottecchi « Mi prendi in giro? »
Il ragazzo dai capelli verdi non rispose, si limitò a continuare il suo gioco con le carte consapevole di avere gli occhi della giovane puntati su di lui.
« La nostra relazione, è ancora un gioco per te? »
N strinse gli occhi, fece scorrere il palmo della mano sulla superficie lisca del tavolo e raccolse a sé le carte. Con brevi e febbrili movimenti sistemò le carte nel mazzo originale, lo ruotò, ci girò attorno un piccolo spago e lo chiuse. Controllò che nulla fosse rimasto sul piano di gioco, e si alzò dalla sedia.
« A domani, Hilda » disse infine, cercando con lo sguardo la porta.
« Oh, ti accompagno fino al pianerottolo se vuoi »
« Non ve ne sarà bisogno, ma grazie lo stesso »
Hilda lo vide allontanarsi e, come i passi aumentavano, le pareva di sentirsi meno sola. La vicinanza con quel ragazzo, seppur avesse dell’assurdo, le dava un senso di solitudine che la solitudine stessa non era capace di eguagliare. Era questo ciò che provava, vuoto, non riusciva a spiegarsi il perché dei fatti precedenti e ciò l’avrebbe perseguitata sin a farle perdere il sonno.
Vide N afferrare la maniglia, ruotare la porta verso sé e portare un passo nell’oscurità al di là della stanza.
Si fermò. « Non so »
Sulle prime non capì cosa intendesse e impiegò qualche buon minuto di silenzio a recepire quanto detto.
« Come scusa? »
N voltò gli occhi verso di lei « Mi hai chiesto se considerassi la nostra relazione ancora un gioco, e la risposta è: non so, ma voglio lavorarci e penso che sia questa la questione »
« È una risposta? »
Sorrise. « È un non so »
« Dovrei intenderla come una risposta? »
Ma N era già uscito.
Quando la ragazza controllò sul tavolo, una carta giaceva in bella vista sulla superficie del legno.
♦︎ ♦︎ ♦︎
Shauntal si trovava in un angusto corridoio assieme ad un altro uomo, al quale non avrebbe dato più di trentacinque anni, immersi in una discussione piuttosto particolare. La luce era soffusa, poco meno che buio, nessuna voce in lontananza.
« Ti sono molto grata di poter parlare in questo luogo piuttosto angusto — se posso darti del tu — ma non posso permettermi il lusso di avere strani movimenti »
L’uomo le restituì uno sguardo comprensivo « Non preoccuparti— e sì, va più che bene il tu — ti capisco perfettamente. Cos’era che avevi intenzione di dirmi? »
La corvina si spostò una ciocca di capelli dall’orecchio.
« È una questione abbastanza delicata. Penso che ci sia qualcuno che vuole mandare a capo della Lega un candidato, se posso permettermi, troppo inesperto e abbastanza controllabile, ma non ne capisco ancora i motivi »
Il bruno, Looker il suo nome, le restituì uno sguardo pensieroso « Hai delle prove? Fino a che rimangono solo supposizioni, temo di avere le mani legate »
« Pensi di poter rimanere in città per qualche giorno? »
« Sì, penso di rimanere ancora qualche giorno »
La corvina non si preoccupò a filtrare il suo entusiasmo, che risultò invero piuttosto controllato dalla necessità « Fantastico, perfetto, mi basteranno giusto du—»
Un rumore sommesso la interruppe. Ruotò il capo dietro di sé, alla ricerca del rumore, ma vi trovò il buio pesto che aveva lasciato pochi minuti prima.
« Devo andare » fece, muovendo dei passi all’indietro « ti farò avere mie notizie » per poi scomparire nel buio corridoio dietro a sé.
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Shauntal aveva trovato difficile riuscire a spiegare come mai si fosse assentata così lontano dai suoi luoghi di lavoro, e ancor di più quando dovette convincere Caitlin e Marsahl di dover urgentemente conversare con Grimsley, in quel momento alle prese con una sfida. Entrambi erano degli individui molto stupidi a suo parere — lo credeva anche Grimsley, in realtà — e facilmente manipolabili. É importante disse, senza nemmeno guardar loro negli occhi, Che tipo di importanza? ribatté Marshal ricevendo uno sguardo di ammirazione da parte di Caitlin, doveva aver pensato che quella frase fosse stata di particolare spicco o di particolare acume. É segreto arrangiò il discorso, e parve funzionare, tanto che sui visi dei due baluginò uno sguardo a metà fra l’ammirazione e la continua sensazione di non capir nulla. Era per quello più che altro che nessuno dei due ribatté vedendola scomparire dietro le scale che conducevano al complesso di stanze adibite all’Elite Buio con una certa fretta. Si scambiarono uno sguardo pregno di dabbenaggine e tornarono ai loro compiti.
Essendo i quattro complessi pressoché identici fra loro, non ci impiegò molto a raggiungere lo studio privato dell’uomo, alla ricerca delle informazioni a conferma della sua tesi, optò per il computer come punto d’inizio, ma la password le fu subito il primo ostacolo alla vittoria. Ripose il pc dove lo aveva trovato, e si mise alla ricerca di eventuali particolari che avrebbero potuto esserle utili, ma anche lì nulla le venne in soccorso. Lo studio, identico al suo in tutto e per tutto, presentava un ordine innaturale ed etereo, quasi intoccabile. Affascinante. Era così che avrebbe additato Grimsley, non propriamente affascinante, non l’avrebbe mai fatto, ma lo affascinava per molti versi. Era bello, non lo negava, tutto fuorché un personaggio positivo, asseriva anche quello, era la parte meno colta e interessante di sé stessa a volerlo, ma era anche l’unica alla quale interessava qualcosa al di fuori del suo lavoro.
Sovrappensiero continuò a cercare febbrilmente tra i cassetti della scrivania quando per poco non vide un foglietto accartocciato che destò la sua curiosità. Richiuse violentemente il cassetto, schiaffò il pezzo di carta sulla scrivania e lo stirò, cercando di decifrare il corsivo dell’uomo. Constatando, dentro di sé, che la cosa le avrebbe impiegato del tempo, decise di scattare una foto a telefono e sistemarlo dove l’aveva trovata, quando udì il trillo che segnava la fine della sfida. Da un momento all’altro sarebbe tornato nella scrivania, collegata direttamente all’arena tramite una porta che si apriva sul lato opposto della scrivania, e l’avrebbe scoperta. Azzardò qualche passo in direzione dell’altra porta, ma fu troppo lenta.
« Guarda guarda chi c’è qua! Shauntal Livingstone in tutto il suo splendore! »
La corvina ritrasse il suo sguardo verso Grimsley « Io—»
« Non c’è bisogno di dire nulla » continuò, fingendo nella voce un tono volutamente altezzoso e pomposo « posso comprendere molto bene i motivi che ti hanno spinta a curiosare nel mio ufficio »
Le si avventò, costringendola alla parete. La ragazza, in risposta, alzò le mani ruotando l’avambraccio sul gomito, un riflesso meccanico più che una difesa cosciente contro l’uomo. Portò la sua bocca all’orecchio destro della donna, giocando con una ciocca di capelli che cadeva dolcemente davanti ad esso. La rigirò sul suo dito qualche volta, per poi spostarla dietro il padiglione auricolare.
Assottigliò la voce, che assunse un tono più serpentino e malefico, i suoi occhi che la scrutavano dall’alto con ferocia « Cosa poteva farci uno stronzetta come te qua? Eh, Shan? » le afferrò il polso sinistro, stringendolo fra il pollice e l’indice a formare un arco. Poteva sentire il sangue scorrere sulla pelle, il battito della ragazza che andava accelerando, e come lo stringeva la giovane emetteva dei volubili sussulti.
« Ngh—»
« Eh, Shan? Lo senti? Il sangue che scorre nelle tue vene? » aumentò la presa « se hai interesse nel tenerlo, ti conviene restarmi lontano »
La donna non riuscì a reggere la forza dell’uomo, e crollò sulle sue ginocchia. La stretta al polso era ceduta, rannicchiata in posizione fetale, spalle al muro, e Grimsley che la fissava dall’alto soddisfatto.
Indicò la porta « Fuori »
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Era un’ordinaria mattina di ottobre ad Opelucid City. Come il freddo avanzava e l’inverno si faceva più vicino, il panorama cittadino si colorava di molteplici sfumature di rosso, coprendo le strade di caldi colori autunnali e lasciando i rami a rabbrividire, spogli del loro manto. Il gelo si infilava nelle case, penetrava nei cappotti e cristallizzava la rugiada che durante la notte aveva bagnato i palazzi, donando un suggestivo aspetto invernale alla metropoli.
Le prime luci del mattino illuminavano la città, filtrando attraverso le fessure di una griglia ed irraggiando il mantello di Zinzolin. Si trovava in un parcheggio sotterraneo, nonostante la presenza di una rada luce gli facesse credere che fosse facilmente esposta all’ambiente esterno. Per i suoi scopi, comunque, era ininfluente, e non badò a quel fatto.
A rompere il silenzio fu il sordo rumore di passi, brevi e coincisi, seguiti dall’arrivo di una figura in abiti simili a quelli dell’uomo. Non parevano sorpresi di essersi incontrati, era anzi il contrario.
« Buongiorno, Bronius »
« Non posso dire lo stesso per me, Zinzolin »
Mostrò un’espressione di disprezzo squadrando l’interlocutore. Si sentiva superiore e provava il bisogno di esternarlo, come se l’uomo di fronte a lui non ne fosse cosciente.
« Perché mi hai chiamato, Zinzolin? Ti avevo avvisato di non tornare ad Opelucid »
« Ho dovuto rompere il patto »
« L’ho potuto notare » ribatté, con una nota di noia nella sua voce « e se posso, quale sarebbe la ragione? »
« Oh, è semplice ». Rise, per la prima volta nella sua vita si disse Bronius, e ciò lo vide come un cattivo segno. Fissò i suoi movimenti alla ricerca di qualche mossa che tradisse le sue intenzioni, ma longeva dall’aver scoperto le carte in tavola.
Estrasse la mano dalla tasca, e l’uomo notò con orrore come impugnasse fra le dita una pistola. Incrociatosi i loro sguardi, un sorriso balenò sulle labbra di Zinzolin. Alzò il braccio e puntò l’arma contro il suo nemico.
« Cosa pensi di fare, Zinzolin? ». La sua voce tremava, per la prima volta nella sua vita Bronius era spaventato. Il capo dei Sette Saggi che temeva per la propria vita, com’era divertente. « Uccidermi non risolverà le cose »
« Cosa dovrebbe risolvere? »
« Il… Il giornale, quel Castle, ci hanno sco—» deglutì « scoperto »
« Non devi ringraziarmi, l’ho fatto con piacere »
« Cosa?! »
« Ti stai scaldando troppo per i miei gusti, Bronius, rilassati, cercherò di farti meno male possibile »
« Co—»
L’incubo del quale era preda Bronius terminò nel momento in cui un rumore di passi giunse alle loro orecchie. Si guardarono attorno, nessuno pareva esserci oltre a loro due, ma senza che essi se ne accorsero dal vuoto apparvero tre figuri incappucciati. Indossavano degli abiti grigi ed una benda copriva loro il viso, in modo tale che non fossero riconosciuti.
Bastò la vista dei tre a fargli tirare un sospiro di sollievo.
« Cress, Cilan, Chili! Siete giusto in tempo »
I tre uomini rimasero in silenzio. Non guardarono Bronius, bensì rivolsero i loro sguardi a Zinzolin e l’uomo capì che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. Un brivido corse lungo la sua spina dorsale.
« Rispondetemi »
« Pensi che ti ascoltino ancora? Hai perso il diritto di essere ascoltato molto tempo fa, Bronius »
« Se ti vedesse Ghetsis… » digrignò i denti « se fosse ancora qua… »
« Oh, sarebbe molto divertente »
« Come ti perme—
« Hai finito di parlare, mi spiace »
Premette il grilletto e lo scoppio di un proiettile saturò l’aria. Un foro rosso vermiglio si era venuto a creare nel petto di Bronius, il suo sguardo stava lentamente venendo meno e le gambe cedettero. Il peso del corpo si concentrò sulle ginocchia, dopodiché un altro scoppio seguì, palesandosi sulla tempia del vecchio. Il cadavere dell’uomo, ormai privo di vita, si accasciò sul cemento, ed un lago di sangue inondò il pavimento dove giaceva.
« Come mai siete qui? Non vi avevo chiesto di venire »
« C’è stato un problema »
« Di che tipo? »
« Ieri abbiamo ricevuto una chiamata da parte di una ragazza, diversa da Hilda »
Un secondo ragazzo s’intromise. « Chiedeva di N »
« N, eh? »
Zinzolin scrutò soddisfatto la pozza di sangue sul quale pestava i piedi, ed incrociò lo sguardo ormai privo di vita di Bronius con particolare orgoglio.
« Eliminatela »
♦︎ ♦︎ ♦︎
16:04 AM
N
Ti ho organizzato un appuntamento ad un talk show per questa sera, dove potrai parlare di Zinzolin.
Non ringraziarmi
xx
N
Ti ho organizzato un appuntamento ad un talk show per questa sera, dove potrai parlare di Zinzolin.
Non ringraziarmi
xx
Grandioso, pensò.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno era essere intervistata ad un talk show al quale non aveva né intenzione di andare né le era stato permesso. Ricordava bene le parole di Francis, le era vietata ogni intervista.
Cacciò via questi pensieri e uscì dal palazzo del giornale, intenzionata a tornare a casa ed a non pensare ad altro. Ciò che non sapeva, Natalie anch’essa aveva deciso di prendere la medesima strada, stando a debita distanza da lei: la stava seguendo.
Non fu difficile per la ragazza farlo, si limitò a mescolarsi assieme alla gente ed a mantenere il contatto visivo con la schiena della giovane. Attraversarono la strada principale, scesero in metropolitana e risaliti Hilda si diresse verso un Centro Pokémon. Natalie ritenne opportuno non seguirla e decise di rimanere ad aspettarla seduta in un bar là fuori, fino a quando non notò qualcosa di strano.
Sin dal momento in cui era uscita a pedinare la collega, la figura di uno strano uomo, vestito in abiti grigi e neri, prese ad essere una presenza costante attorno a lei. Inizialmente non vi diede importanza, ma ora che si era fermata riconobbe come, con altrettanta stranezza, anche il medesimo figuro si era fermato.
Finché non ne arrivò un altro.
Un secondo uomo, dalle medesime vesti e parvenze del primo, era apparso nei pressi del Centro Pokémon. Sembrava esser giunto per una via secondaria, diametralmente opposta ala primo, e la ragazza commise l’errore di cercare il suo sguardo. Come vide i suoi occhi osservarla, capirono di esser stati scoperti.
Senza guardarsi indietro corse all’interno del bar ed entrò nel bagno femminile, con la speranza di esser al sicuro. Nonostante ciò, la sensazione di pericolo correva ancora sulla sua pelle, così prese uno sgabello e salitavi sopra si gettò fuori dalla finestra dei servizi igienici, atterrando sul duro cemento. Narrow Street, era finita a Narrow Street.
Fece per proseguire avanti, ma un terzo figuro apparve di fronte a lei, ad un centinaio di metri di distanza. In gabbia, si mise a correre nel verso opposto, in preda al panico. Il suo cuore aveva accelerato ed ora batteva come un forsennato, la scuoteva dall’interno ed ogni suo battito faceva così male da rendere anche il respirare doloroso.
Prese in considerazione l’idea di rallentare, anche solo chiedere aiuto a qualcuno, ma chi l’avrebbe ascoltata? Non poteva fermarsi, non doveva farlo, non avrebbe lasciato che la sua vita fosse finita così. Davanti ai suoi occhi le immagini della sua vita, i momenti vissuti che avevano avuto più impatto su di lei scorrevano uno ad uno, come un fiume in piena, ed erano l’unica speranza che aveva di non morire. Aggrapparsi a quello, aggrapparsi ai ricordi, al passato, per non cadere nel baratro del vuoto.
Corse ancora, per quanto altro tempo non lo seppe dire, e senza mai fermarsi: come raggiungeva uno spazio vuoto, ecco che apparivano, silenziosi come fantasmi ed altrettanto spettrali. Ma nulla è destinato a durare in eterno, ed il fiato le morì in gola.
Fece un altro passo in avanti, senza guardarsi indietro, per poi accasciarsi a terra.
« Forza! »
Una voce nella sua testa le diceva di continuare, una sottile e calda voce che non aveva mai sentito. Sono morta? pensò, è la fine?
Sentì una stretta far pressione sul suo braccio, e dopo che venne sollevata qualcuno o qualcosa la trascinò dentro un vicolo buio e stretto, inosservato dagli sguardi della gente.
Tentò di schiudere le palpebre, e vide una chioma verde coprirle la visuale.
« Forza! Non abbiamo molto tempo, dobbiamo fare in fretta! »
« … »
« Devi aiutarmi Natalie, svegliati! »
Come sai il mio nome? fu il primo pensiero che le balenò in testa. Ancor prima di assicurarsi circa la propria salute, voleva sapere come facesse uno straniero a conoscerla.
« Avremo tempo per riposarci dopo, ora devi ascoltarmi! »
Con molta fatica riuscì ad alzarsi, e si sorresse al braccio di N per continuare.
« Dobbiamo salire queste scale antincendio, pensi di potercela fare? »
Natalie asserì.
Il ragazzo portò l’arto sinistro di Natalie attorno il suo collo, la issò sulla sua spalla e salì il primo gradino, al quale seguirlo molto alti. Il suo passo era lento, appesantito dalla ragazza, ancora scossa e indebolita, ma infine riuscì a raggiungere il tetto del palazzo, sul quale finalmente poterono tirare un sospiro di sollievo. Nonostante ciò, il pericolo era lungi dall’esser scampato.
« Cosa—» fece un grande respiro « cosa è successo? Chi erano quei tipi? Come hai fatt—»
« È una situazione molto complicat—»
Una luce balenò negli occhi della ragazza. Rivide quel ragazzo assieme ad Hilda, il ragazzo che aveva collegato al nome di N e improvvisamente il quadro le fu chiaro: N, il misterioso N che aveva tentato di chiamare, era la persona che l’aveva salvata. La sua mente fu investita da una serie di domande al quale, ne era certa, non avrebbe ottenuto risposta.
« TU SEI N! »
« Io—»
« Aspetta, ammetti di essere N? »
« Non c’è tempo da perdere, dobbiamo scappare! »
Il ragazzo la strattonò, indicandole la strada da percorrere, ma Natalie desistette. Strappò il suo braccio dalla mano di N e fece un passo indietro, passandosi una mano fra i capelli.
« Oh no, non farò nulla senza prima aver ottenuto una risposta »
« Non capisci! Dobbiamo scappare da qua! »
« A-ha, scappa pure se vuoi »
« Natalie, devi—» lasciò la frase senza conclusione. Il comportamento della donna non le lasciava scelta, o le avrebbe concesso una domanda o sarebbero morti entrambi. « Ok, ok, una domanda e basta »
Natalie sorrise « Qual è il tuo piano? »
« Pensi di avere tutto questo tempo? »
« Abbiamo tutto il tempo del mondo, N »
« Ti sbagli, Natalie »
Estrasse una pistola dalla giacca, e la puntò verso Natalie. « Dopo che avrò premuto il grilletto, penserai ancora di avere tutto il tempo del mondo? »
Come un acquazzone d’estate, allo stesso modo l’attitudine della ragazza cambiò precipitosamente. Nel suo viso un’espressione d’orrore sostituì la sensazione di appagamento che trovare N le aveva dato, il respiro si fece più veloce e le parole che aveva intenzione di dire le morirono ancor prima di concretizzarsi in suoni.
Alzò le mani. « Ok, ok, stai calmo, sono sicu—»
« Stai zitta. Non ho tempo da perdere con te, ora farai esattamente quello che ti dico o non esiterò a premere il grilletto »
Natalie asserì, e continuò a parlare. « Bene. Vedi quell’edificio là? A forma di scheggia? »
Indicò un palazzo di vetro, a destra della ragazza, e lei asserì nuovamente.
« Vai in quella direzione, voglio vederti sul ciglio del tetto »
« Morirò! »
« Cadrai, semmai » la corresse, muovendo la canna della pistola in direzione del palazzo « ma questo è un tuo problema. Fallo, ora »
Silenziosamente, Natalie si allontanò da N per seguire il percorso da lui stabilito. Giunta sul ciglio del tetto, il ragazzo riprese a parlare.
« Salta »
« Morirò, razza di cretino! »
« Ho detto che mi interessa? No » sbottò « salta, o non esiterò a premere il grilletto »
« Ma—»
« Non sono solito sbagliare mira, Natalie. Un colpo e ti mando al creatore »
Natalie osservò la trafficata strada che giaceva sotto di lei, qualche decine di metri più sotto. Una leggera brezza soffiava dal mare, le scompigliava i capelli e pareva sentirla dire “Salta, Natalie!”. Un brivido corse lungo la sua schiena, un tremolio che si espanse lungo tutto il suo corpo. Portò un braccio in avanti, le sue dita a sfiorare l’ebbrezza del vuoto, e lo ritrasse poco dopo. I rumori della strada saturavano l’aria e le urlavano nei timpani, la paura l’aveva assalita ed il nero cemento si faceva sempre più vicino ai suoi occhi.
« Addio, Natalie »
N portò la mano sinistra al cane della pistola e lo spinse in avanti con un movimento meccanico, dopodiché premette il grilletto. Uno scoppio si liberò nell’aria, bruciando nelle orecchie di Natalie, ed il piombo corse nell’aria sino a raggiungere la ragazza.
Era ora o mai più.
Lanciò le sue gambe in avanti, lasciandosi cadere nel vuoto. Una scarica di adrenalina la pervase, gridando nelle sue vene e facendola sentire più viva che mai. Nonostante la caduta, stava provando una sensazione unica nel suo genere ed irripetibile, una scossa di vita che trovò paradossale alla sua situazione.
La caduta continuava, il vento le accarezzava i capelli ed i rumori si facevano ovattati, come in una bolla destinata a scoppiare al contatto con il terreno. Si chiese se qualcuno la stesse guardando, se qualcuno si fosse accorto di come una ragazza, lanciatasi dal tetto di un edificio di quaranta piani, stesse irrimediabilmente cadendo per trovare la morte in strada. Non si rispose, e chiuse gli occhi.
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Il talk show che Hilda si era ritrovata ad attendere era un siparietto domenicale nel quale le personalità più famose di un determinato periodo rilasciavano interviste e rivelazioni, che la ragazza considerava ridicole, ma alle quale dava un certo peso mediatico. Per la ragazza era un’esperienza piuttosto nuova, ma non sentiva di essere spaventata, bensì curiosa, la curiosità del nuovo che sopprime la paura, e sotto certi aspetti eccitata. Se la ritenevano così importante da farla apparire nel talk-show più famoso della regione, pensò Hilda, il suo scopo l’aveva raggiunto completamente, e da lì in poi sarebbe stata una strada in discesa per la giovane, ed era stato ciò a convincerla a venir meno ai patti con Francis. D’altronde, cosa sarebbe potuto andar male?
Dopo un buon quarto d’ora che aspettava dietro le quinte, una signorina alta e bionda le venne incontro, indicandole di entrare non appena fosse partita la sigla dello show. Fece con la mano il segno del cinque, poi del quattro, poi del tre, cosicché Hilda capisse che sarebbe cominciato a momenti, e dopo che ebbe terminato di fare segno col pollice partirono i violini. Una cascata di applausi seguì la castana dalle quinte alla postazione dove sarebbe dovuta sedersi, dritta di fronte alla leggendaria poltrona del conduttore della serata, William Hoescher. Era un uomo di circa sessant’anni, portati discretamente bene, e dal portamento pomposo, come si addiceva ad ogni presentatore. La pelle era abbronzata, i capelli brizzolati e gli occhi scuri come la notte.. Erano spenti e trasparivano uno sguardo privo di espressione, in netto contrasto con l’ampio sorriso che solcava il suo volto.
« Cara Unova, ho il piacere di presentarti… Hilda Baskerville! »
Accolse la giovane giornalista con una calorosa stretta di mano, ammiccando di tanto in tanto verso la telecamera, e sedutosi cominciò a parlare.
« Direi di saltare i convenevoli, non ti sembra? »
Hilda non rispose, si limitò a sorridergli, coprendosi con il dorso della mano dai flash delle fotocamere.
« Da giornalista semi sconosciuta, questa ragazza ha in breve scalato le testate giornalistiche più importanti con i suoi burrascosi e chiacchierati articoli, ma conosciamola più a fondo! »
Ora si rivolse alla ragazza « Benvenuti ad un’altra puntata del William Hoescher Show, Dietro la maschera, assieme a Hilda Baskerville »
La giovane si rabbuiò « Dietro… la che? »
« Dietro la maschera, è il nome della puntata di oggi! » fece segno con le mani di continuare a rispondere alle domande, ma Hilda non volle glissare sulla faccenda.
« Cosa vuole significare questo titolo? » ma non riuscì a finire la frase che lo stacchetto musicale aveva ripreso ad aleggiare nell’aria. Un’equipe di truccatrici, capitanate dalla donna con la quale aveva parlato prima, accorsero in sala, mentre vide la sua immagine scomparire da tutti gli schermi televisivi che la circondavano.
« Abbiamo mandato la pubblicità, signor Hoescher »
« Cristo, chi ha avuto l’idea di chiamare una giornalista, per dio! Tra cinquantacinque secondi si riprende, ah e tu Allison parla alla ragazza »
La squadra di trucco e parrucca circondò l’uomo, mentre la donna, che pareva chiamarsi Allison, venne incontro alla castana seguita da due assistenti, o almeno ne avevano tutta l’aria.
« Non so come tu pensi siano questo tipo di talk-show, ma non funziona così. Il signor Hoescher parla, tu rispondi, e fine » spiegò le labbra in un ampio sorriso che nascondeva malamente i suoi veri sentimenti « al prossimo stacco pubblicitario sei fuori »
Uno dei due ragazzi al suo fianco le sussurrò una cosa all’orecchio, che la costrinse a far marcia indietro e ritirarsi nei camerini, mentre un uomo corpulento dava segno di riprendere a parlare.
« Bentornati, signori e signore, al William Hoescher Show! Io sono William Hoescher, ed oggi con noi abbiamo la carismatica signorina Hilda Baskerville! »
La giovane fece un cenno col capo, sorridendo nell’inquadratura della telecamera.
« Allora, Hilda, raccontaci più di te. Sappiamo che eri un’allenatrice, hai mai partecipato ad una Lega? »
« Alla Lega di Unova, sì, ma è durato poco »
William fece una giravolta sulla sua sedia « E com’è nato il tuo amore per il giornalismo? »
« Beh, è una relazione abbastanza complicata, non mi considero—
« Avete sentito, gente? La modestia è una qualità importante per una giornalista che si rispetti, e pare che Hilda Baskerville possa sfoggiarsene! »
Non capì il perché di troncare una frase sul nascere, ma si limitò a sorridere all’uomo e continuare il teatrino che pareva aver intenzione di mettere in piedi.
« Parlando di questioni più… piccanti » la sala si fece buia, e due grandi fasci luminosi si misero a volteggiare nell’etere, per poi cadere sui due, intenti a parlare « in diretta nazionale, un certo Zin… zo… li… lin » inarcò il sopracciglio « un certo Zinzolin smentì il tuo articolo, definendolo come falso. Cosa ti senti di dire? »
Si spostò una ciocca di capelli.
« Sono sicura che Zinzolin avesse le migliori intenzioni di salvaguardare la propria integrità morale, ma lo considero segreto professionale e non posso parlarne oltre »
Lioth ammiccò alla telecamera « Uuuh, la situazione si fa seria! E del suo più recente articolo, riguardante Iris, cosa ci può dire? »
« Vorrei potervi dire qualcosa in più, ma la verità è che so tanto quanto sa lei. Appena saprò qualcosa di più, ve lo farò sapere »
« Capisco, capisco, anch’io sono un giornalista e comprende—»
Hilda colse la palla al balzo.
« Ah, davvero? »
L’uomo fece un blando sorriso, scoprendo nuove rughe che non era ancora arrivata a notare « Come scusi? »
« Mi stavo solo chiedendo se il gossip di cui si occupa la potesse elevare a giornalista »
L’uomo si mostrò imbarazzato, ed abbozzò un sorriso per mascherare le sue emozioni. « La signorina Hilda è stanca, forse è megl—»
« Oh no, continuiamo a parlare, caro Bill »
Dopodiché il buio.
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La corvina e l’uomo si trovavano ai piedi di un importante palazzo di Opelucid. Salirono attraverso il sontuoso ascensore, e giunti in camera si buttarono sul letto. Grimsley si sbottonò la giacca, mentre lei, meno disinibita, dovette aspettare che l’uomo la obbligasse.
E le luci si spensero.
You beat death, but you couldn't beat me.
Il titolo di oggi è una citazione (!!! gli altri lo erano anche !!!), stavolta ad Alias. Perché Alias è bello.
E sì, sono veramente veloce a postare i capitoli ma praticamente metà episodio era scritta, l'altra era veloce da scrivere e ultimamente ho molto tempo. You'll thank me later
herr
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