NUBIAN
PROLOGO
PROLOGO
A Biancavilla, il cielo era terso e illuminato da un sole sorto poche ore prima. Quel due luglio, l’aria era quieta e silenziosa, la piccola cittadina di Kanto sembrava ferma nel tempo, come in una fotografia. Qualche bambino usciva fuori a giocare, scorrazzando a piedi scalzi sull’erba umida, due vicine chiacchieravano tra loro, una innaffiava i gerani, l’altra controllava la cassetta delle lettere.
«Hai visto alla televisione cos’è successo a Porto Alghepoli?»
«Sì, incredibile...»
Poco distante, nell’allevamento adiacente al laboratorio, Margi Oak portava la colazione ai Pokémon del giardino. La ragazza era turbata, quella notte erano giunte tante brutte notizie e lei era rimasta lì, impegnata ad occuparsi del laboratorio di suo nonno, senza poter fare nulla. Il professore Oak non era ancora uscito dal suo studio. Probabilmente aveva passato l’intera nottata lì dentro, dopo esser stato svegliato dalla chiamata di suo nipote Green. Margi sospirava, pensando a quanto tutto il mondo sembrasse vibrare in attesa di qualcosa.
Samuel Oak, invece, sapeva che quel qualcosa stava già accadendo. Pochi minuti prima, un volatile era atterrato nel suo terrazzo, senza che nessuno eccetto lui se ne rendesse conto. L’uomo era uscito dalla porta-finestra e lo aveva trovato impegnato a pulirsi le penne dopo quel lungo viaggio. Conosceva bene quello Xatu, era venuto altre volte portando con sé un messaggio. Oak aveva preso anche quella missiva, e il pennuto si era alzato in volo per una seconda volta, svolazzando via e sparendo tra le nuvole dopo pochi minuti. Il professore era rientrato in casa, aveva aperto la lettera e l’aveva letta con attenzione. Si era concesso gli istanti successivi per riprendere fiato e metabolizzare gli avvenimenti degli ultimi giorni. Aveva stretto il Cellulare tra le mani per un tempo interminabile.
Poi, finalmente trovò il coraggio di chiamare.
«Samuel» rispose Elm, dall’altra parte.
«In quanti hanno preso la decisione?» chiese, sapendo bene che il collega avrebbe sicuramente capito.
«Dopo la nostra telefonata di stanotte, ho parlato con tutti gli altri» disse Elm.
«E...?»
«Ho l’appoggio di Kukui, Aralia, Platan e Alma».
«Dannati ragazzini... invece, per quanto riguarda Rowan e Birch?» proseguì Oak.
«Rowan non è d’accordo e Birch... lo sai, si tratta di sua figlia...»
«Tu che cosa ne pensi?»
«Non lo so ancora, ma forse hanno ragione loro, Arbor Vitae potrebbe essere l’unica speranza» la voce di Elm era tremante e insicura.
«Ci serve più tempo...» si lamentò Samuel.
«Potremmo non averne affatto, ormai».
Il professor Oak fissava la lettera che aveva appena ricevuto. Nella sua testa, rileggeva continuamente le parole che vi erano state scritte da colui che l’aveva spedita. Non riusciva a pensare a quanto Elm, il quale non sapeva dell’esistenza di quella lettera, sembrasse quasi averla letta prima di lui.
«Hai presente il grattacielo che è crollato stanotte, la Torre Faces? Beh, loro hanno salvato gli ostaggi che erano bloccati all’interno» spiegava uno dei chirurghi dell’ospedale di Porto Alghepoli ad uno dei suoi specializzandi che aveva appena iniziato il turno.
«Davvero? Loro sono quei famosi Dexholder?» il medico osservava i ragazzi con gli sguardi cupi che occupavano una delle sale d’attesa a pochi corridoi di distanza.
«Erano in tre, oltre a Ruby, una è la castana... alcuni dicono fosse la sua ragazza, peraltro».
«E gli altri?»
«Uno è in reparto terapia intensiva, Silver, mi pare si chiami. Trauma cranico, è in coma, gli amici sperano che si rimetta ma mi sembra difficile. L’altra è in quella stanza lì. Si chiama Crystal, è una brava ragazza, mio nipote la conosceva, era stato mandato in un orfanotrofio a Johto, anni fa, lei lo gestiva praticamente da sola».
«Ammirevole...»
«Già».
«E a lei che è successo?»
«Lacerazione dell’arteria femorale, l’hanno operata d’urgenza ma... hanno dovuto amputarle la gamba destra».
«Uh, brutta storia. Si è svegliata?»
«Sì, era disperata, hanno dovuto aumentarle il dosaggio di morfina, se per caso le si fosse riaperta qualche ferita...»
«Ma tutti gli altri chi sono?» chiese di nuovo la matricola.
«Non li conosci? Il castano è Green Oak, Capopalestra di Smeraldopoli e nipote del famoso professore. La ragazza è Blue, un’altra dei Dexholder di Kanto. Quello seduto a terra è Gold, di Johto, pure lui Dexholder. E l’ultima, la biondina, è Yellow, è la ragazza di Red, il Campione dell’Altopiano Blu, anche lei è una Dexholder».
«Red ha dato le dimissioni pochi giorni fa» lo corresse lo specializzando.
«Sì, lo so... avvolto nel mistero, tutti strani questi personaggi famosi».
«Sono sempre in mezzo ai guai, raccontano certe storie su di loro, fanno rabbrividire solo a sentirle».
«Non so... potrebbero essere delle trovate pubblicitarie, un po’ come il Campione di Iridopoli, Ruby».
«Quei ragazzi hanno fermato Rayquaza a Vivalet, sono degli eroi, mio fratello era lì e si è salvato per miracolo grazie a loro».
«Oh, non... non lo sapevo».
Il ragazzo non ribatté.
«Che diavolo... draghi che attaccano città, palazzi che crollano, è tutto così assurdo, che sta succedendo al mondo?»
Pochi corridoi più là, Blue si alzò in piedi. Il suo bel viso era appesantito dai segni della mancanza di sonno, aveva gli occhi stanchi e i capelli disordinati.
«Dove vai?» le chiese Green.
«Voglio parlare con Crystal, appena si sveglia» rispose lei.
«E’ inutile, per ora, dobbiamo solo lasciare che si riprenda» disse lui.
«Non possiamo farla stare da sola...»
Green sbuffò «fa’ un po’ come ti pare...»
Tuttavia la ragazza aveva ormai perso motivazione, si rimise seduta accanto a Gold, che stava mangiando un tramezzino preso dalla macchinetta in corridoio. Anzi, tutt’al più stava nutrendosi, addentava quel pasto dal sapore di detersivo senza alzare gli occhi come fosse solo la necessità di sopravvivenza a guidarlo.
Da parte, sedevano vicini Ruby e Sapphire. Lei aveva deciso di riavvicinarsi a lui, di provare a perdonarlo, di fargli capire che provava empatia. Il resto del gruppo si era rivolto a lui soltanto in toni ostili, fin dal loro primo incontro a Vivalet, poi era arrivato il colpo di grazia: da quando tutti loro avevano deciso di schierarsi definitivamente contro la Faces, in quanto responsabile dell’attacco di Vivalet e intenzionata ad attuare un piano decisamente più grande, Ruby era divenuto nient’altro che una delle armi del nemico. La Faces stava infatti tramando per prendere il controllo di ognuna delle regioni, per Hoenn aveva scelto lo show business, tenendo Ruby al guinzaglio e facendolo diventare uno dei personaggi più eminenti in quanto Campione e Coordinatore Pokémon.
Tuttavia, solo loro e pochi altri conoscevano la verità: per i media e per il popolo il famoso terrorista altri non era che Zero, ex Campione di Holon, latitante e pericoloso.
Ad un certo punto squillò un Cellulare, era quello di Ruby. Il ragazzo si alzò e rispose, accostandosi ad un muro, lontano dagli altri.
«Sono Ruby» mormorò. «Porto Alghepoli, ospedale».
Sapphire lo seguì con gli occhi. Immaginò stesse parlando con un suo agente o qualcosa di simile, una di quelle figure professionali che seguono i personaggi famosi in ogni loro movimento e gestiscono la loro vita e i loro impegni.
«Ok... ok... hanno ragione. Sarò lì tra poco» e riagganciò.
Il ragazzo tornò accanto a Sapphire.
«Mi vogliono a Ciclamipoli, è importante» spiegò.
«Per la televisione?» chiese lei.
Ruby annuì, accingendosi a riprendere le sue cose per andarsene.
«Vengo con te» fece Sapphire, imitandolo.
Lui ebbe un attimo di esitazione, ma si convinse quasi immediatamente che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi.
«Dove andate?» chiese loro Green, notando il movimento. La domanda del Capopalestra attirò l’attenzione dell’intero gruppo.
«Mi vogliono alla HC One, i media devono occuparsi di quello che è successo» chiarì, alludendo al crollo del grattacielo Faces.
Green accennò di aver compreso.
«Continuerai a lavorare per loro?» chiese Gold, dalle retrovie.
Il ragazzo di Johto, due giorni prima, era stato informato da un membro della resistenza a proposito del pericolo che la Faces rappresentasse, lui aveva condiviso quel sapere con il resto del gruppo. E così, loro erano i pochi a sapere la verità dietro l’attacco di Rayquaza e la morte dei Superquattro di Holon. Se Ruby avesse continuato a parteggiare per la Lega di Iridopoli, avrebbe sostenuto la Faces stessa, che ormai si era profondamente radicata a Hoenn grazie ai suoi due anni da Campione.
«Non posso tradirli di punto in bianco» cominciò Ruby. «Continuerò ad assecondarli, ma allo stesso tempo aiuterò voi a distruggerla».
Il ragazzo si era scusato di aver nascosto ai suoi amici ciò che era stato costretto a fare negli ultimi due anni. Loro lo guardavano ancora con sospetto quando si avvicinava, li aveva abbandonati, li aveva dimenticati, poi aveva dimostrato di non avere fiducia in loro.
Gold annuì impercettibilmente. Ruby prese quel gesto come un via libera.
«A più tardi» salutò.
«Cosa intendi fare con le sfere che hai nel corpo? Hai detto tu stesso che corrodono gli organismi che le ospitano» chiese Sapphire non appena ebbero girato l’angolo.
«Non lo so, quando troverò il modo di estrarle, lo farò... è molto più difficile ora che sono due» rispose Ruby.
Sapphire rifletté su ciò che aveva appena compreso. Ruby aveva messo a rischio la propria vita senza nessuna sicurezza di salvarsi. Lavorare da solo, far ricadere il peso del mondo tutto sulle sue spalle.
«Fortunatamente, Groudon e Kyogre sono assopiti, in questo modo la forza delle sfere non è forte come quando le assorbirono Ivan e Max» sottolineò lui.
Sapphire sorrise, ripensando a sei anni prima. Aveva sentito dire che il passato, per quanto cupo, con il passare del tempo diventa sempre più luminoso. Forse era vero, oppure il mondo attorno a lei era solo peggiorato. Non voleva chiederselo, non voleva crearsi altre paranoie. Studiava i lineamenti del ragazzo notando soltanto un sottile accenno di serenità nei suoi occhi, niente di più.
I due Dexholder di Hoenn uscirono dall’ospedale, si accingevano a salire in groppa a Latios e Latias, quando avvenne qualcosa che cambiò la loro intera mattinata: una bambina che stava camminando a braccetto con la madre vide Ruby da lontano e gli corse incontro, saltando e abbracciandolo. Lui non capì, ma non fece in tempo a chiedere spiegazioni che la bimba lo mollò per cingere Sapphire allo stesso modo. La madre accorse preoccupata per le invadenti dimostrazioni di affetto della figlia, portava in mano due grossi mazzi di fiori.
«Oh, scusatela, dovete sapere... mio marito lavorava in quel grattacielo, era uno degli ostaggi» la signora era evidentemente scossa, le occhiaie profonde rendevano evidente che lei avesse passato la notte senza nemmeno un’ora di sonno, ma erano il solo particolare cupo della sua espressione serena.
«Il mio papà è salvo grazie a voi» esclamò la bambina sorridendo raggiante di gratitudine.
«Siete stati eroici e... ci dispiace molto per i vostri due amici, sappiamo quello che è successo» Ruby e Sapphire compresero che le condizioni di Silver e Crystal erano quindi di pubblico dominio. «Volevamo portare dei piccoli segni di gratitudine...» la donna mostrò i due mazzi di fiori che portava nelle mani.
Sapphire non sapeva come reagire, le sembrava tutto così strano. Poche ore prima, combattendo nella polvere, non immaginava che qualcuno avrebbe poi voluto ringraziarla per quel gesto. Ruby, dal canto suo, era più scafato e si trovava a suo agio in mezzo ai complimenti, dopo mesi di fama e incontri con i fan.
«E’ stato nostro dovere» ribatté carezzando i capelli alla bambina. «Come sta suo marito?»
«Bene, e non solo mio marito...» sorrise la donna.
Si resero presto conto che la signora e sua figlia erano solo le prime di una lunga processione di pellegrini che erano accorsi all’ospedale per portare fiori, lettere, doni per Silver, Crystal e loro due. Adulti, adolescenti, bambini accorrevano in massa a piccoli gruppetti felici di poter stringere loro la mano e di poter lasciare un tributo nei pressi delle stanze in cui riposavano i loro amici feriti. Quando era avvenuto il disastro di Vivalet, il gran numero di morti aveva concentrato l’attenzione del popolo sulla disgrazia e sul dolore, specialmente a Hoenn, dove la morte di Rayquaza aveva fortemente destabilizzato la popolazione. Con l’attacco al grattacielo, invece, erano stati capaci di evitare vittime, apparendo come eroi coraggiosi agli occhi dei civili.
«Anche Kalut meriterebbe questo» sussurrò Sapphire a Ruby mentre accompagnavano la bimba e sua madre a portare i fiori nelle stanze di Crystal e Silver.
Ruby non rispose, non annuì, non sorrise. Era cupo, approfittando di un momento in cui gli ammiratori non stavano guardandolo. Sapphire se ne rese conto. Attese di trovarsi sola con lui, di nuovo fuori dall’ospedale, per provare a rivolgergli una domanda.
«Ruby, perché sembri...» ma si interruppe. “...più triste di prima” avrebbe voluto continuare. Eppure, improvvisamente la risposta le era apparsa chiara: Ruby aveva visto morire quasi trecento persone a Vivalet, tra cui un suo amico, poi si era trovato con altri innocenti in pericolo da mettere in salvo e infine aveva visto altri due compagni in ospedale ridotti nel peggior modo possibile. Tutto questo era stato causato dall’organizzazione che lui stesso stava servendo da due anni, ormai. Ricevere la gratitudine di coloro che avevano vissuto i momenti più brutti della loro vita per colpa sua non era certamente benefico né tantomeno gradevole. «Niente...» si corresse.
«Sicura?» chiese il ragazzo, ormai incuriosito.
Sapphire annuì. «Sì, andiamo».
Intanto, in ospedale, in un momento di calma, Green aveva tentato di nuovo di avvicinarsi a Yellow. La ragazza, dopo essere scomparsa insieme a Red, qualche giorno prima, era tornata di nascosto dai suoi amici. Non aveva detto niente a proposito del proprio fidanzato, non rivelando a nessuno dove fosse e quale motivo l’avesse spinto a dimettersi dalla carica di Campione per poi sparire. Aveva supplicato gli altri di non andare avanti con le domande e si era scusata per essere scomparsa nel momento del bisogno.
«Come sta?» chiese Green.
«Avrebbe voluto darvi una mano» rispose lei.
«E perché non l’ha fatto?»
Yellow sospirò.
«E’ invischiato in qualcosa più grande di lui».
«E’ nei guai?»
«No» la ragazza si lasciò sfuggire un debole singulto.
Il giorno precedente alla sua sparizione, Red aveva appreso di avere il cancro, questo era stato il primo motivo a spingerlo a fare ciò che doveva, abbandonando i suoi amici senza un apparente motivo. Solo lei ne era a conoscenza, ma avrebbe voluto dimenticarsene. Sapere di andare incontro alla morte destabilizza il malato, ma corrode lentamente le persone a lui vicine in modo anche peggiore.
Green notò quella nota di tristezza nella voce dell’amica, ma fece finta di niente. Blue stava ascoltando e Gold era lì vicino, ma nessuno dei due volle intromettersi nella discussione.
Pochi minuti dopo, Green uscì a prendere un po’ d’aria e Blue andò a far visita alla stanza di Silver, lasciando Yellow e Gold soli. Il ragazzo dagli occhi d’oro si sedette vicino all’amica.
«Sta male, vero?» le chiese.
Yellow avvertì una goccia di sudore solcarle la tempia.
«Non vuole mostrarsi debole di fronte a noi» continuò Gold.
Il ragazzo conosceva Red troppo bene. Era stato suo allievo sul Monte Argento e, col tempo, i due avevano stretto un ottimo rapporto di amicizia.
«Allora è così...» il silenzio di Yellow era stato tradotto dalla mente di Gold come una risposta affermativa. Il ragazzo si portò le mani alla faccia come dovesse scrollarsi di dosso un brutto sogno. «Che cos’ha?»
Yellow non sapeva se rispondere o no. Quella domanda aveva un tono diverso dalle altre: era precisa, seria e determinata.
«Cancro».
Gold smise di respirare, si voltò, strinse le labbra. «Porca puttana...»
Yellow avrebbe voluto chiedere a Gold di non dirlo agli altri, ma sapeva che non ce ne fosse bisogno, non lo avrebbe mai fatto senza il suo permesso.
Poco tempo dopo, Ruby e Sapphire avevano già raggiunto Ciclamipoli. Il Campione era entrato alla HC One insieme ad un ospite, Sapphire aveva visto le persone scostarsi con riverenza al passaggio di Ruby. Tutti lì dentro rispettavano molto la figura del Campione, oppure avevano solo bisogno di farsi vedere gentili ed educati nei suoi confronti per fare i ruffiani. Presero l’ascensore e salirono fino al tredicesimo piano, dove invece Ruby fu accolto con molta più freddezza. Si ritrovarono in un ambiente molto diverso dal resto del palazzo, in mezzo a piastrelle nere e corridoi scuri illuminati soltanto da neon.
«Questi sono della Faces» spiegò il ragazzo, quando nessuno poteva sentirli. «Si occupano di monitorare il lavoro».
Sapphire si aspettava qualcosa tipo “non parlare con loro” o “non guardarli negli occhi”, era circondata dagli uomini del nemico. Invece non vide altro che un gruppo di lavoratori concentrati sul loro lavoro. Due di loro erano in pausa e scherzavano a proposito di qualcosa riguardante la cognata di uno dei due davanti ad una macchinetta del caffè, uno la urtò per errore girando un angolo e fece cadere alcuni fogli che portava in mano, si scusò immediatamente e raccolse tutto in fretta, a testa china. Sapphire si rese conto che nella Faces, organizzazione che in pochi giorni avevano imparato a temere e detestare, lavoravano per la maggior parte uomini del tutto normali che sarebbero potuti essere suoi vicini di casa.
«Metti il badge, da qui in poi, altrimenti ti guarderanno male» le intimò Ruby porgendole un cartellino con la scritta VISITATORE da appendere al top.
Lei obbedì ed insieme entrarono in una zona più scura e meno trafficata rispetto alla precedente.
«Se te lo stai chiedendo, no, loro non sanno che dietro tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni ci sia l’organizzazione per cui lavorano» aggiunse il ragazzo.
Sapphire se lo era effettivamente domandato ed era pure giunta a tale conclusione in autonomia. «Ci ero arrivata... come fa la Faces a nascondere certe cose ai propri operatori?» chiese.
«Settorializza le operazioni, permette a pochi di conoscere il quadro completo. Ad esempio, quelli che lavorano qui si occupano soltanto dell’immagine della Lega di Iridopoli, non conoscono il lavoro dei loro colleghi a Johto o a Unima» spiegò lui. «Inoltre, gli affari sporchi sono gestiti solo dai piani alti».
«Come il tuo ricatto?»
Ruby annuì. Due anni prima la Faces lo aveva costretto a lavorare per loro affermandosi come astro e idolo di Hoenn, tenendo sotto tiro i suoi amici e rivendicando l’assassinio dei suoi genitori come avvertimento. Sapphire lo aveva saputo quello stesso giorno, ancora doveva abituarsi all’idea.
Ruby raggiunse alcune sale in cui del personale lavorava nell’oscurità a progetti digitali su un numero immenso di schermi contemporaneamente, si chiuse dentro uno dei laboratori, chiedendo a Sapphire di attendere qualche minuto. La ragazza notò la minuzia in tutto ciò che veniva creato lì dentro: due designer si stavano occupando della revisione del formato delle medaglie di Hoenn e le sembrò davvero esagerata l’elaborazione dietro ogni singolo, piccolo particolare.
Sapphire attese per qualche minuto, finché una terza presenza esterna non raggiunse quel luogo. Una ragazza dai capelli tinti di verde e vestita con un costoso abitino turchese apparve in quei corridoi scuri e tetri come un fiore tra l’asfalto. Sembrava attentamente truccata e la sua pelle era talmente curata da farla somigliare ad una bambola. Si trattava di Orthilla, famosissima stella delle gare di Hoenn, seconda per fama soltanto a Ruby. Sapphire l’aveva vista più volte nelle sue comparsate televisive e anche nella prima fase della sua carriera, quando ancora accettava di andare a vedere le esibizioni del suo ragazzo, e lei era sempre presente, in veste di astro nascente.
Orthilla le passò accanto squadrandola senza salutarla. Nei suoi occhi, Sapphire lesse un lampo di rispetto, ma fu evidente che la ragazza tentò appositamente di ignorarla. Ruby uscì dalla stanza in cui era entrato, trovandosi faccia a faccia con lei.
«Eccoti» le sorrise.
«Come stai?» chiese lei con aria preoccupata, allungando le mani verso il corpo del ragazzo, come per sincerarsi che non fosse ferito. «Mi hanno detto cos’hai fatto».
«Va tutto bene, a me è andata bene» rispose Ruby, non evitando il suo contatto, ma neanche ricambiandolo.
«Buon compleanno» fece Othilla, dolcemente. «Ti ho portato un regalo, l’ho lasciato nel tuo appartamento».
«Grazie» rispose Ruby stringendo i denti.
La ragazza gli stampò un bacio sulla guancia. Poi il suo volto divenne più cupo.
«E’ orribile... quello che sta accadendo» mormorò lei.
Ruby distolse lo sguardo, senza ribattere. Quella frase fece comprendere a Sapphire che neanche Orthilla era a conoscenza della verità a proposito della Faces.
«Sono d’accordo con la mia idea, comunque» cambiò argomento Ruby. «se apparissi io in pubblico si percepirebbe meno la mia presenza sul luogo del disastro, sarebbe più indicata la tua presenza negli interventi televisivi dedicati agli incidenti» spiegò.
«Ok, vogliono che inizi subito?»
«Credo di sì, hanno già qualche idea, ti aspettano in studio» Ruby fece per congedarsi.
«Aspetta» lo intercettò Orthilla. «Non mi presenti la ragazza?» chiese sfoderando un sorriso privo di insicurezze.
«Lei è Sapphire, una Dexholder» fece Ruby, chiaramente seccato. «Orthilla, Coordinatrice» proseguì, invertendo i ruoli.
Le due si strinsero la mano.
«Molto piacere» si sforzò Sapphire.
«Vi conoscete da molto tempo» disse Orthilla. «Come mai non ci siamo mai incontrate? Ruby mi ha presentato tutti i suoi amici» l’aria di sfida era evidente nella sua voce.
«Neanche tu mi hai mai parlato di lei, in effetti» ribatté Sapphire, rivolta a Ruby.
Il ragazzo era davvero a disagio, i suoi occhi oscillavano tra le due femmine con forte insicurezza.
«Bene, abbiamo tutti da fare, adesso» le separò bruscamente, portando Sapphire via.
Orthilla rimase nella sua posizione, salutando i due. «Fa’ attenzione» disse a Ruby, senza nascondere la luce nel suo sguardo.
I Dexholder ripresero l’ascensore in un silenzio imbarazzante, Sapphire non proferì parola fino al piano terra.
«Siete grandi amici?» chiese poi, acidamente.
«Lei è una collega...» rispose Ruby, elusivo.
«Sono tutte così le tue colleghe?»
«Sapphire, che succede?»
I due uscirono dal palazzo. Il cielo si era tristemente rannuvolato e il grigiore sembrava star diventando sempre più scuro.
«Niente, figurati...» si interruppe bruscamente. Si era resa conto che le parole uscivano dalla sua bocca sotto forma di morbide nuvolette. «Oh merda...» commentò, stringendo le braccia all’addome.
«Che c’è?» chiese Ruby, senza capire.
«E’ gelido» rispose Sapphire.
«Come?» Sapphire si ricordò che le gemme nel corpo del ragazzo avevano un effetto termoregolatore sul suo organismo, il che gli impediva di percepire la temperatura e gli sbalzi termici.
«Guarda» fece lei, alludendo al vapore che fuoriusciva dalle loro bocche quando respiravano e alla sua pelle d’oca. «A Hoenn non è così freddo neanche d’inverno, ci saranno tipo dieci gradi» la sua voce era stupefatta.
In quel momento, mentre Ruby iniziava a comprendere e a stupirsi, il Cellulare di Sapphire squillò all’improvviso.
«Platinum, che c’è?» rispose lei, ancora scossa per l’improvvisa escursione termica.
Aveva conosciuto la Dexholder di Sinnoh al torneo di Vivalet. Lei aveva dato una mano nella lotta contro Rayquaza, poi aveva accettato di tornare a casa ad indagare nella propria regione, Sapphire non poteva accettare che una tredicenne venisse con loro a rischiare la vita. Platinum aveva accettato, compiendo un atto di umiltà, si sarebbe resa utile da lontano poiché comprendeva le motivazioni dell’amica.
«Sapphire» dalla voce, sembrava quasi in pericolo, era fortemente allarmata. «E’ successo qualcosa».
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