Bloodborne;
1. Paziente Zero
1. Paziente Zero
24 Dicembre.
Nevepoli, poco prima di mezzanotte.
Il calore e la
luce del camino ancora persistevano all’interno del salotto. Tutto era
sprofondato in un silenzio quasi tetro. Ogni tanto, uno scoppiettio improvviso
proveniva dalle braci, accompagnando il lancio, nell’aria, di una scintilla che
moriva ancor prima di toccare terra.
Il bambino,
appostato sulle scale, non smetteva di far scorrere lo sguardo fra il camino e
l’orologio, contando alla rovescia tutti e ventitré i minuti che lo dividevano
dalla mezzanotte.
Impaziente,
iniziò a scendere i gradini a due a due, col suo peluche di Bulbasaur. Superò
la porta che dava sulla cucina e si diresse verso il grosso albero addobbato
per l’occasione. S’inchinò sotto i rami sintetici e andò a scavare con le dita,
in cerca della ciabatta a cui erano collegate le luci.
Il clack gli diede conferma un attimo prima
dell’accensione: verdi, blu e rossi si iniziarono ad alternare, danzando sulle
pareti e sui mobili del salone.
Un attimo di
buio assoluto.
E il ciclo
riprese.
Lui guardò per
qualche momento, rapito, il gioco di colori che facevano le luci una volta
colpita la cristalliera di sua madre. Il colore, diviso, veniva rifratto
ovunque.
Si affrettò,
mancavano solo quindici minuti. I suoi piedi strusciarono sul grosso tappeto
che era sistemato fra i divani e il camino; gli piaceva sempre la sensazione
che provava quando lo faceva.
- Sue, che ci
fai qui? - chiese al piccolo fagotto raggomitolato davanti alle tenui fiamme.
- Aspetto Babbo
Natale. Che ore sono Tom…? - domandò la sua sorellina.
- Mancano
quindici minuti.
Tom allungò il
passo trovando il piccolo tavolino, situato di fianco la grossa poltrona di suo
padre, su cui appoggiò il bicchiere di latte con i biscotti sfornati la sera
stessa.
Si sedette fra
le coperte che Sue si era portata dal letto. Lei si mise a sedere solo per poi
appoggiarsi a lui.
Il fratello
raccolse la coperta da terra e la fece scivolare sulle sue spalle e quelle
della sorella. Dopodiché le diede un piccolo bacio sulla testa e l’abbracciò:
da quando era nata, quattro anni prima, lui non aveva smesso un solo istante di
prendersene cura. Lei, d’altronde, ricambiava per quanto possibile, come quella
volta che Tom ruppe il vaso della loro madre e Sue l’aiutò a far scomparire le
prove. Ordinaria amministrazione fra fratello e sorella.
- Credi che si
farà male? Prima a cena papà aveva detto che si sarebbe bruciato il culetto. Io
non voglio che si faccia male…
Tom sorrise - Certo
che no, papà ti stava prendendo in giro. Babbo Natale è magico, le fiamme si
spengono appena lui arriva sul tetto di casa. Poi si cala dal camino e ci porta
i regali. Mamma mi ha sempre detto che qui a Nevepoli, quando lui entra, porta
anche il caldo che ha preso dagli altri camini, così può scaldare i bambini che
lo stavano aspettando svegli.
- Menomale che
ci siamo trasferiti qui prima di Natale – commentò lei.
Suo fratello
gli fece eco col corpo, abbracciandola ancora più forte e scaldando il suo piccolo
corpicino. In confronto a lui, che aveva nove anni, la piccola era minuta.
Rimasero così,
a osservare la luce delle braci, mentre il tempo scorreva lentamente.
Quando furono
passati oltre venti minuti da mezzanotte, Sue iniziò a diventare irrequieta.
- Dovrà fare il
giro di tutte le case, dagli tempo – l’aveva rassicurata suo fratello.
E, in effetti,
poco dopo sentirono dei rumori provenienti dall’esterno: un piccolo tonfo si
fece eco fra la stanza e, quasi in sincrono, il camino si spense dopo una raffica
improvvisa di vento.
Però, a
differenza di quanto aveva detto la loro madre, nessuna magia portò del calore
dentro il salone. La temperatura calò d’improvviso in modo impressionante: piccole
nuvolette di vapore iniziarono ad accompagnare il respiro dei due.
Tom si allarmò
quando un brivido lo percorse dal cervelletto alla fine della schiena e la
pelle gli si accapponò. Strinse più forte la sorellina che, presa
dall’emozione, parve non notare nulla di strano.
La sola luce
era ormai quella proveniente dagli addobbi dell’albero di Natale che non
parevano più giocosi ma, al contrario, non fecero altro che aumentare il senso
di paura che si stava facendo strada nel cuore del bambino.
Stava pensando
di correre di sopra a chiamare sua madre e suo padre quando ci fu un nuovo
tonfo, stavolta proveniente dal camino. La cenere esplose tutto intorno,
rendendo i due bambini ciechi per qualche istante.
Il tempo parve
scorrere al rallentatore, mentre la cenere si dissipava o si poggiava sul
pavimento, andando a inzaccherare il tappeto nuovo della loro madre.
Sue si spinse
leggermente in avanti, soffiando. Il getto d’aria, per quanto debole, aiutò a
liberare più velocemente la zona, portando alla sua vista un grosso sacco
bianco comparso come per magia nel caminetto.
Lei si girò
immediatamente verso suo fratello e, sottovoce, fece esplodere la sua gioia.
- È Babbo
Natale! – la sua voce, per quanto flebile, era colma d’eccitazione.
Tom, però, andò
a scavare più a fondo nel camino: la sua vista superò il grosso sacco bianco e
individuò una strana figura nascosta nell’ombra.
D’improvviso,
due occhi blu come il ghiaccio si spalancarono, facendosi strada nelle tenebre.
Fissarono i suoi per un momento, furono l’ultima cosa che il bambino vide.
Poi, il gelo
colpì.
25 Dicembre.
Nevepoli, bar “Enigma”, ore sette e quarantotto.
Era seduto
nella caffetteria “Enigma” di Nevepoli, intento a gustarsi il suo ottimo thè al
sapore di arancia e cannella, con tanto di biscotti a tema natalizio e la
compagnia dell’unica cameriera. Erano solo loro due, in quel locale stranamente
aperto. Lei era intenta a raccontare la storia della sua vita a lui, l’unico
viaggiatore tanto stupido da stare in giro proprio la mattina di quel giorno.
La stava ascoltando con molta attenzione, senza lasciar perdere neanche il
minimo dettaglio.
Diede un morso
a un mostaccione.
- È stato a
quel momento che ho capito di non aver bisogno di lui… - stava continuando
Jennifer, la cameriera.
Lui osservò la
macchia, seppur invisibile, di caffè situata appena sotto il terzo bottone
della camicia bianca di lei, il primo ad essere abbottonato.
- Inoltre, non
aveva alcuna intenzione di venire dai miei… - Jennifer parlava e parlava.
Lui, invece,
ascoltava diligentemente, così come il suo lavoro gli aveva insegnato, col
tempo.
“Prima di
andare in cucina a prendere quei biscotti, c’era un solo bottone lasciato
libero. Ora sono due” pensò lui.
Poi sorrise,
Jennifer probabilmente non aveva capito del guaio che si sarebbe portata a
casa, se lui non fosse stato abbastanza intelligente da lasciar perdere a
priori.
I capelli rossi
di lei danzarono da una spalla all’altra quando si spostò, sedendosi al suo
fianco.
Stava per
sentirsi in imbarazzo quando squillò il suo telefono.
“Ti ringrazio,
chiunque tu sia” disse fra sé, controllando il numero della chiamata in arrivo.
- Strano… non
c’è chiamata – guardò il display del suo telefono, completamente morto.
Una seconda
vibrazione proveniente dalla tasca del cappotto che teneva ancora addosso lo
riportò alla realtà. Pieno di dubbi, andò a prendere il cellulare d’ordinanza e
lo portò all’orecchio.
- Bellocchio
che, come saprai, è in vacanza.
- La prossima volta che mi fai attendere così
tanto a telefono, ti ammazzo.
- Oh sei tu.
Come stai Matière, ti trovi bene alla Centrale?
- Sì, qui va
benissimo. Grazie per avermi procurato quel colloquio.
- Di nulla.
- So che sei in
vacanza ma… ho brutte notizie. Duplice omicidio, dai Parker. Si erano
trasferiti a Nevepoli qualche mese fa.
- Non c’è la
loro Polizia per queste cose? Sono un tantino impegnato con gli Ultravarchi,
proprio ieri ho controllato il Tempio di Nevepoli – la interruppe lui.
- Sì lo so. E
ti informo che noi riceviamo comunque tutte le segnalazioni e, come stavo
dicendo, hanno chiesto il nostro aiuto. Dicono che non sanno neanche da dove
iniziare a raccogliere i resti dei bambini.
- Hai detto
bambini? – si allarmò lui.
- Due… ho
chiamato subito te perché sei già sul posto e…
- E?
- Devi vedere
coi tuoi occhi, non riesco a spiegartelo. Mi viene da vomitare.
- Va bene,
dammi l’indirizzo.
Bellocchio si
alzò e posò sul tavolo i soldi necessari a coprire i suoi acquisti. Ripose il
cellulare in tasca e iniziò a chiudere il cappotto.
- Se sei ancora
qui, ci vediamo più tardi – salutò Jennifer e si incamminò.
Zona
residenziale di Nevepoli, villetta n°88-39, ore otto e ventisei.
Bellocchio era
immobile nel piccolo giardinetto antecedente la villa dei Parker. Quello che si
era presentato come il capo ispettore, un certo Hoffman, era intento a parlare
con i genitori dei bambini.
Il padre,
ancora in pigiama, stringeva fra le braccia sua moglie, avvolta in una lunga
vestaglia da notte.
Salutò con un
cenno del capo Hoffman, dopodiché si avviò verso la porta di casa. Si mise un
paio di occhiali neri, dal taglio aereodinamico e sportivo, presi dalla tasca
interna del suo cappotto. Non avevano marca o altri simboli. Abbassò la testa passando
di fianco i genitori delle vittime, non riuscendo a sostenere il dolore che spuntava
dagli occhi.
La porta era
rimasta aperta nonostante il gelido vento che spirava dal nord, per poter
permettere il passaggio della scientifica i cui uomini entravano e uscivano per
poter portare fuori tutte le prove e catalogarle. E, come Bellocchio notò quasi
subito, per poter vomitare lontano dalla scena del crimine. Nel breve lasso di
tempo in cui Hoffman lo ringraziò per la sua disponibilità, ben tre poliziotti
uscirono fuori per rilasciare la bile sul prato curato alla perfezione del
signor Parker.
Quattro,
contando quello incrociato mentre era intento a varcare la soglia di casa.
A differenza
della poca luce esterna, a causa del tempo nuvoloso, l’interno dell’abitazione
era illuminata da decine di riflettori, posti praticamente in ogni angolo.
Immediatamente,
Bellocchio passò in rassegna tutto ciò che vide: l’albero di natale e le sue
luci colorate posto sulla destra, la cristalliera che occupava il lato opposto,
le scale che portavano al piano di sopra, la porta della cucina che si trovava
subito prima della zona più illuminata.
Si fece passare
da uno dei poliziotti guanti e calzature, in modo da non intaccare la scena del
crimine.
Salì sulle
pedane posizionate su tutto il pavimento e iniziò ad avanzare verso i due
divani disposti a L che gli bloccavano la visuale. Camminando, diede uno
sguardo al soffitto e le pareti, trovandole bianche e immacolate. Le finestre
erano intatte e la porta non era stata scassinata, questo poteva implicare che
l’assassino fosse in possesso di un Pokémon in grado di teletrasportarsi, ma
questo avrebbe provocato troppo rumore perché non fosse sentito dai genitori
che dormivano al piano di sopra.
- Forse era in
possesso delle chiavi di casa. O magari… - i suoi pensieri si bloccarono di
getto quando superò il primo dei divani. Una delle pedane scricchiolò, in
dislivello fra il pavimento e il tappeto che si trovava fra i divani e il
camino. Ci fu un rumore acquoso di risucchio, come di fanghiglia, che lo
distrasse.
Bellocchio
abbassò lo sguardo sul tappeto. Il colore iniziale era svanito per lasciare il
posto al rosso scuro del sangue ormai secco. Tutta la superficie di lana ne era
satura, impregnata completamente. Diede una rapida occhiata attorno, non
concentrandosi troppo sul resto, notando che non una goccia di sangue era
finita sul pavimento. Sembrava quasi che il tappeto fosse stato portato lì
dalla scena di un film splatter, facendo attenzione maniacale a non far
sporcare altrove.
Poi li vide.
Una sensazione orribile gli riverberò in tutto il corpo non appena i suoi occhi
si posarono sui cadaveri, o meglio, il cadavere.
Il bambino,
nudo, era disteso sulla schiena nel centro esatto del quadrato costituito dal
tappeto. Le mani erano posizionate rigide lungo il corpo, dei grossi fori erano
situati sui palmi, mentre le gambe erano leggermente divaricate. Il piede
destro mancava e la gamba sinistra era stata scuoiata fino all’altezza del
ginocchio, lasciando muscoli e grasso all’aria aperta. Dalla testa mancavano i
bulbi oculari e le labbra.
Bellocchio
abbassò nuovamente lo sguardo, dirigendolo lì dove si apriva il petto del
bambino: un taglio preciso e sicuro era stato effettuato dalla gola fino al
pube. I due lembi di pelle così ricavati erano stati tirati fino al limite, sia
a destra che a sinistra del cadavere, e poi fissati al tappeto con dei grossi
pezzi di ghiaccio simili a pugnali. Le interiora del bambino erano scomparse e,
al loro posto, era stato sistemato il secondo cadavere.
- Cazzo… - si
lasciò sfuggire Bellocchio, registrando comunque il particolare dei pezzi di
ghiaccio.
I capelli di
lei erano completamente imbrattati di sangue. Era stata sistemata in posizione
fecale, con la testa rivolta verso i piedi di suo fratello maggiore. I piccoli
pugni stretti attorno al corpo. L’unica ferita che recava era un grosso foro
che la trapassava da parte a parte, lì dove ci sarebbe dovuto essere il cuore.
Per il resto, il suo corpo non era stato danneggiato.
Bellocchio si
abbassò, portandosi più vicino ai due cadaveri. Le ferite di lui e quella di
lei sembravano come ricoperte di una strana patina trasparente.
- Passatemi un
tampone – chiese.
I poliziotti lo
guardarono male ma Hoffman, che lo aveva raggiunto, annuì.
Col tampone fra
le mani, Bellocchio fece la massima attenzione, prelevando un campione di
tessuto.
- Vedete di
capire un po’ cos’è. Sembra quasi…
- Che la ferita
sia stata congelata, sì. È ghiaccio, così come quello che tiene aperta la pelle
del bambino. Non abbiamo idea di come sia possibile che non si sia ancora
sciolto – continuò Hoffman, al suo posto.
- La
scientifica ha fatto presto – commentò Bellocchio.
- Non siete gli
unici, voi Internazionali, ad avere buona attrezzatura.
- Il… resto dei
corpi. Lo avete trovato?
Un rumore sordo
precedette la risposta di Hoffman.
Bellocchio
portò lo sguardo verso il camino, dove le calze natalizie da riempire coi
regali gocciolavano sangue. Si alzò e, impassibile, si avvicinò a quella più
grossa. Allungò una mano per aprirla.
- Non lo farei,
se fossi in te. Chiunque ha vomitato, guardando lì dentro.
Ignorò il
commento di Hoffman e continuò il movimento.
Il lezzo che ne
fuoriuscì fu tanto nauseante da fargli risalire immediatamente in gola il
mostaccione che stava mangiando poche ore prima. Le interiora del bambino
avevano colmato lo spazio destinato ai regali, le mosche ci ronzavano attorno
emettendo un basso vibrare nell’aria. Il cuore della piccola, aperto sul lato
davanti e rivoltato al contrario, giaceva in cima alla pila di organi con una
parte delle arterie ancora fissate a esso, come se fosse stato strappato di
violenza dal petto della bambina.
- Non abbiamo
toccato nulla per poter farti vedere tutto così com’era… Tranne il piede di Tom.
Quello abbiamo dovuto toglierlo perché la madre stava impazzendo. Quel pazzo lo
aveva posizionato come puntale sull’albero - disse Hoffman.
Bellocchio
richiuse la calza e diede uno sguardo dalla sua posizione. Una coperta era
ammucchiata vicino la porta del bagno, alla destra del camino. Le tracce di
sangue che vi trovò erano minime e simili a dei tratti di penna.
Tornò vicino al
tappeto e si chinò su di esso. Tenendo i piedi ben fissi e leggermente divaricati,
si lasciò scivolare in avanti appoggiandosi con le mani al tappeto. Lentamente,
si portò con la faccia a pochi centimetri. Il suo sguardo zampillò da un punto
all’altro, fisso sul sangue secco. Ne smosse una parte con un dito e poi si
alzò. Soddisfatto, si lasciò sfuggire un brontolio di assenso.
- Quando sono
stati uccisi, erano posizionati lì - Bellocchio indicò la fine del tappeto,
davanti il camino.
- Gli schizzi
di sangue vanno verso la porta, in direzione opposta. Inoltre, sembrano esserci
più strati. Come se l’assassino l’abbia spalmato con cura sul tappeto, lasciato
asciugare in parte per poi spalmare un altro strato di sangue.
Bellocchio si
spostò, tornando sulla pedana vicino al camino.
- Alzatelo.
Un gruppo di
poliziotti si posizionò ai quattro lati e, con i cadaveri ancora sul tappeto,
alzarono quest’ultimo, facendo la massima attenzione a non smuovere i corpi
dalla loro posizione.
Bellocchio
estrasse uno strano gadget dalla forma di una grossa penna a sfera. Lo accese e
un ampio raggio di luce investì il pavimento, come scansionandolo. Fece
abbassare il tappeto e lesse il risultato a schermo. Dopodiché ripeté il
procedimento, facendo spostare di volta in volta delle porzioni di pedane.
Quando ebbe finito, scansionò anche il camino, mentre gli altri poliziotti lo
guardavano curiosi.
- Trova le
tracce termiche e stabilisce la temperatura degli oggetti – spiegò lui,
mostrando i risultati a Hoffman.
- Sotto il
tappeto, abbiamo uno sbalzo termico: dai ventitré fino ai meno tredici gradi. È
durata circa tre ore, poi si è alzata leggermente, fino ai meno dieci,
temperatura a cui è tutt’ora. Altrove, invece, la temperatura è sempre stata di
ventitré gradi. Tranne qui – Bellocchio indicò la piccola porzione di pavimento
che congiungeva il camino con il tappeto.
- Infine, il
camino è arrivato a toccare i meno trenta. Credo che il nostro assassino sia
entrato dal camino, prendendo i bambini di sorpresa mentre aspettavano Babbo
Natale.
- Dal camino? È
impossibile, troppo stretto. E poi cosa ne sai che i bambini aspettavano Babbo
Natale? – chiese Hoffman.
Bellocchio
indicò il bicchiere di latte coi biscotti, riposto con minuziosa precisione sul
centrotavola del tavolino da soggiorno, posto di fianco la grossa poltrona.
- Volevano
farlo riposare un attimo dal consegnare i regali, probabilmente – commentò
Bellocchio.
- Non
meritavano questa… questa fine – Hoffman si voltò per non essere visto, mentre
asciugava gli occhi.
Bellocchio
tornò vicino il camino. Si chinò e mise la testa all’interno. Estrasse la
torcia e la puntò verso l’alto, nella canna fumaria. Dove le pareti si
restringevano, individuò alcuni graffi molto profondi. Presse un pulsante alla
base della torcia allo xenon e quella scansionò in automatico la superficie.
Uscì dal
camino, sporco di polvere e fuliggine. Prese fra le mani il cellulare e aprì
l’app collegata alla sua torcia. La scansione non aveva rivelato tracce di
materiali estranei alla pietra utilizzata per costruire la canna fumaria,
esclusi residui di legno e cenere.
- Ci sono segni
di un qualcosa di affilato che ha scavato nelle pareti, dentro la canna
fumaria. Però non c’è nessun residuo, cosa che una lama avrebbe dovuto lasciare
per forza. Probabilmente l’assassino ha preso tutte le precauzioni per non lasciare
tracce che siano seguibili.
- Bellocchio,
lei crede davvero che qualcuno sia passato di lì? Allora doveva essere un nano,
o un altro bambino – Hoffman era piuttosto sospettoso su quelle farneticazioni.
- Chiunque sia
stato, è passato di qui. Mi serve una scala, salgo sul tetto – disse
Bellocchio, ostinato.
Sull’uscio
rimosse le protezioni da piedi e mani.
Uscì fuori e il
vento gelido allontanò in un attimo il lezzo di morte che gli si era impregnato
addosso. Evitò nuovamente lo sguardo della madre dei due bambini che si
rifiutava di salire sull’ambulanza e andare via di casa.
“Non lascio i
miei piccoli da soli, potrebbero avere bisogno di me” continuava a ripetere al
marito e ai paramedici, fin troppo calma.
Bellocchio si
scrollò ogni pensiero negativo dalla testa e si diresse sul retro della casa. Entrò
nel capanno degli attrezzi e prese in prestito una scala del signor Parker,
sicuro che quest’ultimo non avrebbe avuto nulla da dire al riguardo.
Il tetto era leggermente
inclinato, in modo da permettere alla neve di non accumularsi. Non
esageratamente, però. Ci si poteva tranquillamente camminare sopra.
La cosa lo
incuriosì dato che, da quella posizione, vide che tutte le altre villette
avevano il tetto a V rovesciata. Si abbassò e appoggiò la mano sinistra alla
superficie del tetto; invece che rabbrividire per il gelo, si sentì
attraversare da un piacevole torpore.
- Tetto
riscaldato. Ottima idea, qui a Nevepoli – commentò a voce altra, fra sé e sé.
Premette un
pulsante praticamente invisibile sul lato destro delle lenti e ci fu un debole
segnale elettrico proveniente dal suo auricolare.
Le lenti
s’illuminarono, accecandolo per un momento. Dopodiché in alto a destra
apparirono diverse scritte in blu chiaro, rendendo il visore operativo. Il
resto della visuale era perfettamente nitida, grazie alle lenti polimerizzate
che si adattavano alle varie luci.
- Salve,
Bellocchio – una voce femminile, calda e suadente, parlava tramite
l’altoparlante.
- Buon giorno, Ellie
– rispose Bellocchio alla sua assistente virtuale.
- Cosa posso
fare per te, oggi?
- Carica in
memoria i dati visivi e i file audio, dall’ingresso sulla scena del crimine
fino a questo momento.
Aspettò un paio
di secondi.
- Fatto. Vuoi
rivedere qualche momento in particolare?
- No, piuttosto
mi serve un tuo parere. Osserva i dati termici che ho caricato. Voglio sapere
tutte le possibili cause di una cosa del genere.
- Dammi solo un
attimo.
In rapida
frequenza, lampi di immagini balenarono sulle lenti.
- Nessuna
abilità umana è in grado di realizzare qualcosa di simile. Inoltre, ho pensato
ti sarebbe tornata utile una scansione termica del tetto. Vuoi dargli
un’occhiata?
- Va bene.
Le lenti
diventarono per un istante nere, dopodiché passarono alla visione termica.
Prevalevano i colori del freddo. Stando all’aperto, d’inverno, a Nevepoli, era
più che normale.
- Guarda il
tetto sopra il quale stai camminando. C’è un’anomalia in concomitanza della
canna fumaria.
Bellocchio
seguì le indicazioni: il calore sprigionato dalle serpentine sottostanti il
tetto lo aveva reso, ai suoi occhi, di un tenue arancione tendente al giallo.
Spostando lo sguardo verso la canna fumaria, invece, il colore si trasformava
nettamente in un blu scuro, quasi viola.
Gli si avvicinò
e guardò all’interno: una specie di ragnatela fatta da schegge e cunei di
ghiaccio era disseminata lungo tutta la lunghezza della canna.
- Analizza le
temperature.
- Si aggirano
attorno ai meno trenta gradi. Il fenomeno è circoscritto in una sfera di raggio
tre metri, con centro quell’angolo del comignolo – Ellie gli indicò sullo
schermo l’angolo inferiore destro, dal suo punto di vista.
- Modalità Ispezione
Ravvicinata.
Ellie obbedì e
le lenti zoomarono sull’angolo. Bellocchio poté così notare lo stesso genere di
solchi ritrovati alla base del camino. Stavolta, però, così superficiali da
essere praticamente invisibili a un occhio non allenato.
- Confrontali,
Ellie.
A schermo le
due immagini vennero rese in 3D e affiancate.
- Sono
identici, stessa lunghezza, larghezza e distanza le une dalle altre. Sembrano
quasi artigli…
Bellocchio si
alzò, portò la mano destra al mento e si appoggiò col gomito al braccio
sinistro, meditabondo.
- Attivo la
Modalità Traccia? – chiese Ellie, destandolo e riportandolo nel mondo dei vivi.
- Cosa? Ah sì,
buona idea.
Bellocchio
iniziò a spaziare con la vista, lentamente, a destra e sinistra, cercando di
focalizzare ovunque lo sguardo. Dopo un giro completo che durò diversi minuti,
ritornò nella posizione iniziale. Solo allora i mirini oleografici di Ellie
smisero di comparire e svanire, con esito positivo, dalle lenti.
- Ho trovato
ben otto corrispondenze: una sul tetto, vicino il lato destro, due fra le
strade di Nevepoli, e cinque dai due agli otto chilometri di distanza nei
boschi che si trova a sud della città, fra le montagne. Sembrano seguire un
tragitto ben delineato. Traccio un possibile percorso? – chiese Ellie
- Credi di
poter ricreare la strada percorsa dal possibile killer?
- Certo. Ecco
fatto – una piccola linea verde andò ad apparire sulle lenti, passante per i
punti in cui erano state ritrovate le tracce, contrassegnati da grossi punti
interrogativi rossi.
Il percorso si
estendeva anche oltre, sui calcoli del precedente tragitto intrapreso
dall’omicida.
- Lascerò tutti
i miei sensori operativi, comprese le telecamere laterali ed esterne, nel caso
ci sia qualche altra traccia da ritrovare.
- Grazie mille.
Ti devo un caffè.
- Peccato io
non possa berlo. Vuoi che ti tenga compagnia nel frattempo o entro in standby?
- No, resta pure.
Mi aiuterai a rimettere in ordine tutto quello che abbiamo trovato.
Bellocchio
scese dal tetto e si diresse nuovamente sul lato principale della casa, dove
Hoffman era intento a dare ordini ai suoi sottoposti.
Appena lo vide,
gli si avvicinò.
- Trovato
nulla? – chiese lui, sarcastico.
- Sì, delle
tracce che sembrano portare nella steppa e poi fra gli alberi. Inizierò a
cercare da lì, quanti uomini può darmi?
Hoffman esplose
in una sonora risata.
- Uomini?
Questi sono tutti stati inviati da stazioni di polizia di altre zone. Qui a
Nevepoli siamo in quattro, non succede mai nulla. Non posso sprecare degli
uomini per cercare un fantasma fra i boschi. Nemmeno lei dovrebbe andarci.
- Il colpevole
è entrato e uscito dal camino, poi si è spostato a sud.
- Non ha
intenzione di darmi ascolto? Vuole davvero andare lì fuori, con questo gelo?
Nessuno può sopravvivere di notte, fra quei boschi.
- Sì – rispose
Bellocchio, ostinatamente.
- Come vuole.
Voi dell’Internazionale siete gente troppo strana. Vi credete i padreterni
quando parlate. Affari suoi.
Hoffman si girò
e se ne andò senza altre parole.
- Simpatico –
commentò Ellie, glaciale quanto una bufera del nord.
Bellocchio
sorrise.
- Andiamo, c’è
molta strada da fare.
- Vuoi che ti
accenda il riscaldamento negli stivali e nei guanti?
- Sì, grazie
mille.
Bellocchio si
alzò il colletto del cappotto e si sistemò meglio in testa il cappello. Lo
stesso da ormai una vita. Indossò i guanti e li strinse per bene sui polsi
utilizzando l’apposito velcro.
Chiuse e aprì
un paio di volte i pugni, attivando il riscaldamento termico.
- Spero che
stavolta questo gadget funzioni per bene. Ho proprio voglia di provare i guanti.
Controllò la
Poké Ball fissata all’interno del cappotto, di fianco la tasca per gli occhiali,
dopodiché si avviò per le strade di Nevepoli.
Si lasciò la
città alle spalle e iniziò ad affondare sempre di più nella neve, mano a mano
che gli alberi si avvicinavano.
Sei
chilometri a sud di Nevepoli, nella radura selvaggia, ore dodici e trenta.
Bellocchio avanzava
fra gli alberi, diretto in alto, sul fianco della montagna. Aveva trovato
numerose tracce, praticamente invisibili se non grazie all’aiuto di Ellie, mano
a mano che si inoltrava nel bosco. Si abbassò per l’ennesima volta, cercando di
capire ciò che vedeva.
- Le tracce
sono tutte uguali: non potrebbero essere un’impronta? – commentò Ellie.
- È proprio
quello che temo. Controlla la banca dati del Pokédex, vedi se c’è qualche
corrispondenza.
- Sono
informazioni riservate, devi mandare una richiesta formale alla Polizia
Internazionale e poi…
- Non mi
interessa, fallo e basta – tagliò corto Bellocchio.
- Sai che mi
stai chiedendo di hackerare i protocolli di difesa installati da Bill?
- Sì, lo so.
Puoi farlo?
Il silenzio
divenne sovrano per una decina di secondi, accompagnato dal gelido e
implacabile ululare del vento.
- Ecco fatto.
C’è una possibile corrispondenza. Un allenatore ha trovato tracce simili nella
tana di un Pokémon di montagna, senza però riuscirne a catalogare anche la
specie.
- Quindi avevo
ragione, l’assassino deve essersi fatto aiutare da un Pokémon. Grazie, Ellie.
- Di nulla.
Vuoi che ti calcoli un nuovo percorso? C’è una brusca inversione, puntano oltre
quello sperone di roccia a 247 metri di distanza.
- Ovviamente,
andiamo a prendere quel bastardo.
Bellocchio si
rimise in marcia, seguendo la nuova direzione fornita dalla sua assistente
virtuale. Oltrepassò lo sperone di roccia e continuò a salire. Poco dopo, piccoli
fiocchi di neve iniziarono a piovere dal cielo. Uno di questi andò a ostruire
la visuale, finendo sulle lenti.
Infastidito,
Bellocchio le tolse e fece per pulire, quando notò che c’era qualcosa di
sbagliato.
Altra neve
cadde su di lui, in fiocchi dalle dimensioni diverse fra di loro. La manica del
cappotto iniziò a inzupparsi e ad assumere una strana sfumatura. Un brivido gli
percorse la schiena, quando riconobbe quel colore.
Rosso.
Bellocchio alzò
lo sguardo il più lentamente possibile, registrando tutti i particolari.
E poi, sugli
alberi, li vide. Due immensi tronchi s’innalzavano per almeno una quarantina di
metri, interamente coperti di neve. In alcuni punti, però, il manto bianco era
caduto o stato spostato appositamente per fare spazio a quel macabro lavoro.
Qua e là erano
visibili i resti dei crani di piccoli Snover, uniti a carapaci di Zubat e
Murkrow a cui erano state strappate le ali, ritrovate qualche ramo più in
sopra, infilzate nel legno. Lì dove dovevano trovarsi gli occhi, c’erano dei
grossi e strani vuoti, dove la carne marcia penzolava e i vermi banchettavano
coi cadaveri. Lunghi pezzi di intestino si annidavano fra le punte dei rami,
addobbandoli come delle luci natalizie, intervallati da organi più grossi, come
fegato e polmoni, infilzati a forza con i rami più resistenti. La leggera neve
si ricopriva del loro sangue e lo trasportava giù, verso il suolo, in una lenta
danza guidata dal gelido vento del nord.
A quella vista,
Bellocchio ebbe la tetra certezza di star seguendo la strada giusta.
- Ci sono
decine di orme che conducono in quella grotta, ma nessuna che ne venga fuori –
Ellie lo distrasse.
- Co… cosa?
Bellocchio era
ancora stupito dallo spettacolo macabro.
- Quei resti
sono un avviso per i Pokémon. Guarda verso il basso, tre metri a sud-est.
Lui seguì il
consiglio: effettivamente, poco più in là, numerose tracce di Pokémon più o
meno grandi entravano in una grossa grotta che si apriva sul fianco della
montagna. I due alberi colmi di organi sembravano due totem posti lì a
sorvegliare il passaggio.
Bellocchio si
avvicinò all’ingresso, nero come la pece, e venne investito da un malsano tanfo
di morte e decomposizione.
- Non fa troppo
freddo perché un cadavere puzzi in questo modo?
-
Evidentemente, qualcosa ha influenzato l’odore che tu percepisci. Intendi
entrare? – la calda voce di Ellie lo raggiunse.
- Mi tocca,
altri bambini e Pokémon potrebbero morire.
- Permettimi di
suggerirti di prepararti a un imminente combattimento: le tracce del nostro
Pokémon sono in maggioranza verso l’ingresso, potrebbe essere ancora lì.
- Ottima idea.
Luce.
Da entrambi gli
angoli superiori degli occhiali si aprirono due fori minuscoli, da cui venne
esplosa la potente luce di torce a led. Bellocchio controllò i guanti,
dopodiché estrasse la sua Glock d’ordinanza dalla fondina e controllò che il
proiettile fosse in canna. Diede una rapida occhiata al caricatore e rimosse la
sicura. Portò l’arma nella mano destra e con la sinistra prese la Pokéball dal
suo fodero e diede un debole colpetto al pulsante d’apertura. Il suo Croagunk
apparve di fronte, stiracchiandosi la schiena.
- Dormito bene?
– chiese Bellocchio.
Croagunk asserì
vigorosamente col capo e poi iniziò a guardarsi attorno.
- Il nostro
obiettivo si trova qui dentro, con molta probabilità. Fa attenzione e ricorda
quello che hai imparato durante l’addestramento.
Guardò il suo
Pokémon fisso negli occhi.
- Non
allontanarti per nessuna ragione da me, intesi? – aggiunse.
Croagunk annuì
di nuovo e si portò al suo fianco, in posizione da combattimento.
- Attivo la
modalità uccisione istantanea? – chiese Ellie.
- Cosa? No, non
voglio uccidere nessuno!
- Niente guanti
quindi?
- No, Ellie,
niente guanti. Arceus, ma hai un feticismo verso di loro. Ogni scusa è buona
per usarli.
Scrollando il
capo, Bellocchio e Croagunk si avviarono all’interno della grotta.
Dopo pochi
attimi, vennero inghiottiti dall’oscurità. La luce dei suoi occhiali la fendeva
come la spada d’argento di un nobile cavaliere che s’insinuava fra le placche
pettorali di un demone del passato. I suoi passi e quelli del suo Pokémon risuonavano
come ovattati dalla pesante presenza delle tenebre che avvolgevano tutto. Mano
a mano che avanzavano, le pareti e il terreno iniziarono a diventare sudici e
maleodoranti, ricoperti di una platina ghiacciata che aderiva alle suole degli
stivali di Bellocchio e si staccava quando avanzava, con un sonoro rumore di
risucchio.
Proseguirono
per un po’ con il pavimento leggermente inclinato verso il basso: stavano
scendendo sempre più in profondità, diretti nel cuore della montagna.
I minuti
passarono inesorabili, senza la benché minima variazione nel paesaggio. Non una
galleria secondaria, non una nicchia laterale. Solo il continuo, inesorabile,
continuare di quel tunnel.
- Ellie, riesci
a fare una scansione?
- Utilizzando
le onde sonore prodotte dai tuoi passi, posso dedurre che a circa trecento
metri ci sia un ingrossamento della galleria, si direbbe una caverna. Siamo
troppo lontani però affinché io riesca a vedere altro. Inoltre c’è qualcosa che
interferisce coi miei sistemi.
- La cosa non
mi piace…
Nonostante
tutti i sensi gli stessero urlando di fuggire via da quel posto, Bellocchio
continuò a scendere.
Duecento metri.
Centocinquanta.
Il tanfo di
decomposizione iniziò a prevalere su qualsiasi altro odore, impregnandosi sugli
abiti di Bellocchio.
Settantacinque.
Dei lamenti
provennero da lontano, portati da un debole alito di vento.
- Trenta metri
– annunciò Ellie.
In quel
momento, una flebile luce parve apparire poco più avanti, dove la galleria si
apriva su una stanza più ampia.
Bellocchio ci
si avvicinò con cautela, misurando velocità e lunghezza dei passi. Una volta in
prossimità dell’apertura, vi infilò la testa all’interno, spaziando in ogni
direzione: c’erano dei fuochi sparsi, a intervalli regolari, su tutta
l’ampiezza del muro della grotta. Aveva circa cinquanta metri di diametro,
misurata a occhio nudo. Alzò lo sguardo verso l’alto, incontrando dopo circa
quattro metri e mezzo il soffitto da cui pendevano delle stalattiti.
L’umidità lì
dentro era impressionante.
Iniziò a
ispezionare l’area, illuminando una a una tutte le zone in cui la luce dei
fuochi non arrivava. Il numero di carcasse di Pokémon, quasi tutte consumate
fino all’osso, era oltre l’immaginabile. L’intero terreno ne pareva ricoperto.
Scricchiolii accompagnavano ogni movimento, per quanto minimo, di Bellocchio.
Stava camminando su ossa e carne in putrefazione.
Ci fu un
leggero crack proveniente da una
parte indefinita della caverna. Croagunk balzò e placcò il suo allenatore
all’altezza del ventre, capitolando entrambi fra i resti. Una macchia saettò
sopra di loro.
Bellocchio non
perse tempo e si tirò su, puntando la Glock nella direzione in cui si era
diretto il loro assalitore.
La luce
generata dai suoi occhiali andò a colpire un grosso Delibird. Quello aprì il
becco in loro direzione, emettendo un acuto così potente da far impazzire
Bellocchio.
Dovette premere
con forza i palmi delle mani contro le orecchie, cercando di minimizzare la
cosa, senza riuscirci. Il Pokémon aveva iniziato ad avvicinarsi, continuando a
emettere quell’orribile verso.
Un impulso
elettrico andò a generarsi dagli auricolari di Bellocchio, colpendogli le
orecchie. Il suono cessò all’istante, così come ogni altro suono.
Scrollò il
capo, non potendo udire neanche il suo respiro: Ellie l’aveva reso
momentaneamente sordo.
Urlò con quanto
fiato aveva in gola, mentre delle schegge di ghiaccio partivano dal becco del
Delibird, dirette verso di loro. Croagunk le intercettò tutte in aria,
abbattendole con colpi delle sue ghiandole velenose poste ai lati del collo.
- Scusa per il
disagio, ho pensato che sarebbe stato più utile perdere l’udito – Ellie
l’avvisò del ritorno del suo senso.
- Ottima mossa.
Croagunk, mettilo fuori gioco.
Il suo Pokémon
partì all’attacco, lanciando grossi colpi di Pantanobomba come diversivo. Delibird
riuscì a intercettarli tutti, creando però una spessa coltre di fumo e fango
che gli bloccò la vista. Approfittandone, Croagunk fece un grosso balzo verso
l’alto e, ancora immerso nella foschia, si diede un ulteriore slancio facendo
leva con le zampe contro una delle stalattiti, lanciandosi poi verso il basso,
colpendo le spalle di Delibird. Con gli artigli sfoderati, andò a colpire la
schiena del suo rivale. Quello emise un gelido urlo di dolore, mentre Croagunk
continuava a colpirlo alla schiena e al volto, sparando raffiche di veleno.
Lentamente, la tossina avrebbe indebolito il Pokémon.
Delibird lasciò
la presa sulla sua coda e afferrò per il collo il suo avversario,
scaraventandolo a terra, davanti a sé. Alzò la testa verso l’alto, pronto a
colpire con il becco, diretto al collo di Croagunk.
In quel
momento, terra e fango si allontanarono via dal campo visivo di Bellocchio,
dandogli modo di osservare la scena.
Rivide gli
ultimi momenti di vita del suo primo compagno, il Croagunk che aveva tanti anni
fa. Matière ci aveva messo molto tempo a convincerlo ad adottare un altro
Pokémon, presentandosi a casa con quel cucciolo senza madre che era diventato
il suo partner. Delibird stava per colpire e portarglielo via. Non avrebbe
potuto resistere, non di nuovo.
Senza pensarci
due volte, si costrinse a fare qualcosa che era per lui intollerabile e
meschino.
- No! – urlò,
abbandonato al triste ricordo della perdita del suo amico.
Puntò la Glock
contro di Delibird e sparò.
I colpi lo
raggiunsero alla schiena, sangue iniziò a sgorgare sul suo piumaggio rosso.
Il Pokémon si
girò, furente. Urlò nuovamente ma stavolta parve non sorbire alcun effetto su
di Bellocchio. La coda di Delibird si aprì, lasciando fuoriuscire le teste
mozzate di diversi Pokémon e brandelli di ciò che sembrava pelle umana.
Probabilmente la gamba di Tom.
Ancora
fischiando, si lanciò verso di lui con un solo balzo.
- Guanti! –
urlò Bellocchio.
Lasciò cadere
la pistola, spingendo le braccia in avanti, con i palmi delle mani aperti.
Un movimento impercettibile
nell’aria tradì la presenza dello scudo generato, poco prima che Delibird
andasse a impattarci contro col becco. Riuscì a perforarlo e a giungere a poco
più di un paio di centimetri dall’occhio destro dell’investigatore.
- Scudo
cinetico al trentotto percento – avvertì Ellie.
Con un
movimento reso fluido e rapido dal continuo allenamento, Bellocchio roteò su se
stesso, interrompendo il flusso di energia nei guanti. Delibird si ritrovò
libero un istante prima di venir colpito da un calcio alla schiena. Capitolò
per un paio di metri, scomparendo dal campo visivo.
Bellocchio si
obbligò a rallentare il respiro e a riprendere il controllo del proprio corpo.
Inspirò ed espirò lentamente.
Delibird avanzò
fra due fuochi, con gli occhi iniettati di sangue e il becco schiuso.
- Carico tutta
l’energia rimanente? – chiese Ellie, proprio mentre Delibird tornava
all’attacco.
- Sì, sì,
sbrigati!
Bellocchio
scartò a destra, evitando per un pelo il becco affilato del Pokémon.
Stava per
essere attaccato nuovamente, quando udì il rassicurante avviso sonoro che stava
aspettando.
- Destro –
ordinò, ed Ellie eseguì.
Bellocchio
sentì il guanto destro infiammarsi mentre la corrente l’attraversava.
S’inchinò, scartando a sinistra, lasciando che Delibird balzasse oltre la sua
spalla destra, dopodiché caricò un montante col braccio sinistro. Lo colpì
dritto in pieno petto.
Il Pokémon
cadde boccheggiante, senza più aria nei polmoni. Bellocchio lo sovrastò con la
sua mole e, con un calcio, lo girò sulla schiena. Gli mise un piede sul petto,
per tenerlo fermo.
Non avrebbe mai
voluto farlo, ma c’era qualcosa di strano in quel Pokémon: i suoi occhi, gelidi
come il ghiaccio, erano innaturali, quasi appartenenti a una creatura oscura e
non a un essere vivente.
Delibird urlò
di rabbia proprio mentre il calore all’interno del guanto diventava
insopportabile.
Bellocchio
inspirò a fondo e poi colpì con un destro micidiale, rilasciando tutta
l’energia cinetica accumulata fino a quel momento. Colpì il viso del Delibird,
fracassandogli il cranio e ponendo fine ai suoi lamenti.
Rimosse con
cura il pugno dall’interno della carne, cercando di contenere i coniati di
vomito. Ripulì il guanto sul piumaggio rosso e tornò ad alzarsi. Croagunk stava
zoppicando verso di lui.
- Allora, come
ti sembra il mio ultimo upgrade? – chiese Ellie.
- Meraviglioso.
Non avrei potuto fermare questa cosa, altrimenti.
- Ho
approfittato del contatto con i suoi fluidi per farne una rapida analisi: il
suo DNA è al novantotto per cento sconosciuto, non sembra neanche appartenere a
un Pokémon.
- Davvero?
- Sì. Se non mi
credi, posso mandarti a video le differenze.
- Non c’è
bisogno. Invia una richiesta di rinforzi a Hoffman. E chiama Matière, voglio
una squadra di cervelloni che si occupino del corpo e lo trasportino alla base.
Alberta deve sapere quello che abbiamo trovato qui.
- Già fatto. Ho
chiamato i rinforzi appena iniziato il combattimento, Matière è in attesa sulla
linea uno.
- Grazie mille.
Ottimo lavoro, compagno – Bellocchio diede un paio di pacche amichevoli sulla
testa di Croagunk, dopodiché lo fece ritornare nella sfera, non volendo
affaticare troppo le sue ferite.
Andò a
recuperare la sua pistola. Avrebbe aspettato i rinforzi fuori da quel luogo
macabro.
- Bellocchio? –
chiamò Ellie.
- Sì?
- Ho
individuato una fonte energetica all’interno del corpo di Delibird, poco dietro
l’orecchio destro.
Incuriosito,
Bellocchio si avvicinò al cadavere, il quale aveva iniziato a puzzare ancor di
più dell’intera grotta. Lo riversò sul lato e si avvicinò all’orecchio del
Pokémon, trovando una strana protuberanza. C’era una cicatrice.
Incuriosito,
estrasse dalla tasca dei pantaloni il suo coltellino e lo utilizzò per incidere
sui punti, che sembravano ancora freschi. Fra la carne marcia, c’era uno strano
aggeggio che emetteva ritmicamente una luce rossa.
Lo estrasse,
facendo leva con la punta della lama. Dalla forma rettangolare, un piccolo
dispositivo cadde fra le sue mani, continuando a emettere la sua luce rossa
intermittente, accompagnati da un bip acustico
quasi impercettibile.
Bellocchio se
lo passò fra le dita, girandolo e rigirandolo. Lo studiò a fondo, cercando un
qualche indizio sulla sua struttura nera, eccezion fatta per la piccola luce
rossa.
- Credo sia…
- Un
segnalatore di posizione – concluse la frase Ellie.
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