Gemini
Nella sala principale della Lega Pokémon di Holon, vigeva il silenzio più che totale. L’ampio salone centrale, da cui si dipartivano quattro strade che davano accesso alle sale dei Superquattro, era illuminato soltanto da alcune linee di neon blu. Al centro esatto della costruzione: un piccolo bacino d’acqua artificiale, nel quale si ergeva una grande riproduzione dell’emblema della regione di Holon in marmo zuccherino.
Zachary Roland passeggiava lentamente attorno alla statua, come se avesse paura di svegliare qualcuno. I suoi passi non emettevano alcun suono, così come il suo respiro, poteva sembrare solo un fantasma. Erano le quattro di notte, all’interno della sede della Lega non vi era anima viva a parte lui.
«Leonard Roland...» mormorava il Campione «Elizabeth Roland...»
I nomi della sua infanzia: suo padre, sua sorella. Ricordava alcuni stralci di quella che era la sua vecchia vita, come il sorriso di sua sorella, la piccola Ellie, quella ragazzina di cui lui aveva dovuto a prendersi cura. Sua madre era morta quando lui era ancora giovanissimo, suo padre era progressivamente decaduto in uno stato bestiale, divorato dal suo lavoro. Zack ricordava bene come fosse frustrante vivere in quella casa, cercando di proteggere sua sorella dalle violente reazioni dell’uomo. Poi, un giorno, Ellie era morta. Lui l’aveva vendicata, conficcando un coltello nel fianco di quell’assassino. E il mondo lo aveva punito, mandando a fuoco l’intera casa e facendogli rischiare la vita. Era scampato alla morte, privo di qualsiasi speranza, solo, senza un posto nel mondo. Era stato costretto a sopravvivere, dopo aver perso tutto.
Così, negli anni, aveva maturato un solo obiettivo: distruggere l’organizzazione per cui suo padre aveva lavorato, la Faces. Per farlo, aveva scelto di prendere il controllo della regione di Holon, divenendone il Campione, ruolo che avrebbe sfruttato per sradicare l’intera Faces dalla sua e dalle altre regioni. A tal proposito, era stato contattato dalla cosiddetta Resistenza, un gruppo eterogeneo e disorganizzato di scalmanati che condividevano il suo stesso sogno. Loro lo facevano perché è giusto, perché l’uomo non deve interferire, perché il rapporto tra umani e Pokémon deve essere armonico. Lui lo faceva perché non aveva altro nella vita: solo una serie di brutti ricordi, la voglia di rivalsa e la scritta Faces impressa nella mente come un marchio a fuoco.
E anche quelle simpatiche voci nella sua testa che avevano l’abitudine di gridare, dare ordini, farlo ragionare. All’inizio era strano, stare a sentire qualcuno che parla all’interno del tuo cervello e non esiste nella vita reale. Col tempo, iniziò a diventare importante, a volte quasi fondamentale. Zack aveva iniziato a pensare che, senza quelle voci, avrebbe potuto perdere la ragione.
“Luna, Luna, Luna...” percepì Zack.
Erano di nuovo loro, le voci. Non si facevano sentire da un po’, da quando lui aveva conquistato su loro ordine la Lega di Holon. Il ragazzo seguì le indicazioni e uscì fuori dalla balconata, scrutando il cupo cielo notturno, in cerca della luna.
«Zack» disse qualcuno, dietro di lui. Quella voce proveniva dal mondo reale, invece, non aveva quel suono cupo e acquoso che invece possedevano le voci del suo cervello.
Il Campione di voltò, trovandosi di fronte a... Luna, la Capopalestra di Costa Mirach, piccola cittadina di Sidera. Non si chiese come, quando e perché fosse arrivata lì. Era stata capace di coglierlo alle spalle, le voci lo avevano allertato con troppo ritardo della sua presenza. Nessuno lo coglieva alle spalle da anni, ormai.
«Luna» mormorò Zack.
La ragazza lo fissava, immobile, con i suoi occhi vuoti. Indossava una tenuta da cameriera con abbondanti merlettature chiazzate di inchiostro nero. Non aveva scarpe o altre calzature, stava a piedi scalzi sulle lastre di marmo come se fosse la cosa più normale del mondo. Al collo portava pendente d’argento a forma di crocifisso. L’inchiostro nero, dello stesso colore degli occhi e dei capelli, le macchiava anche il viso e le dita.
Aveva la fama di non essere esattamente una delle persone più sveglie al mondo, ma i più audaci insinuavano persino che le mancasse qualche rotella.
«E’ con te?» domandò la ragazza, con un filo di voce.
Zack non capì. Tacque, cercando una risposta di cui non era provvisto.
Attesi alcuni istanti, Luna comprese che Zack era ignaro di tutto.
«Non lo hai percepito?» andò avanti lei, di nuovo senza specificare.
«Di cosa stai parlando?» la situazione si faceva seccante, una ragazza con cui non aveva forse mai parlato si era introdotta nella sua Lega e aveva iniziato a rivolgergli domande senza senso.
«Lui sta arrivando qui» fece lei, chiudendo gli occhi e sedendosi a terra, con le ginocchia al petto.
«Di chi parli?» domandò Zack, avvicinandosi a lei.
Luna non rispondeva, teneva gli occhi chiusi e i muscoli paralizzati. Zack la prese per un braccio, cercando di forzarla a rispondere.
«Di cosa stai parlando?» ripeté.
Luna continuava a non rispondere.
«Niente, è inutile» Zack gettò la spugna, voltando le spalle alla ragazza.
Il Campione aveva il controllo della situazione, aveva la piena sicurezza che non sarebbe andato fuori di testa, liberando l’altra sua personalità. Eppure, il comportamento lunatico della ragazza lo stava mettendo a dura prova.
«Zack» lo chiamò di nuovo lei, svegliandosi da quel silenzio «apri gli occhi» sussurrò.
Di colpo, il mondo smise di muoversi.
La fontana era scomparsa, la Lega era scomparsa, Holon, la terra, il mare e il cielo, erano tutti scomparsi.
Zack vide solo il buio attorno a sé, si sentiva leggero, etereo. Percepiva di essere solo una minuscola particella all’interno dell’atmosfera. Davanti a lui scorrevano dei ricordi. Non sembravano diapositive proiettate né video messi in riproduzione, erano più dei flussi di informazioni che scorrevano nell’aria circostante. Ogni tanto, qualche immagine riusciva a materializzarsi, apparendo più chiara. Zack vide la sua recente vittoria alla Lega Pokémon di Holon, il suo Allenamento precedente, la decisione di intraprendere una nuova strada.
I ricordi sembravano andare a ritroso nel tempo.
I suoi accordi con la malavita per potersi procurare un’identità falsa, la sua crescita e maturazione nell’oscurità, le sue prime esperienze con i Pokémon. Poi, i ricordi cominciavano a diventare sempre più lontani, visioni difficili da collocare in un preciso momento della sua vita.
Zack vide le fiamme, la sua casa andare a fuoco, i documenti degli studi di suo padre marchiati Faces e sporchi di sangue, il suo sangue e il sangue di sua sorella. La sua vecchia camera, la sua vecchia vita, sua madre, la sua infanzia e poi niente, solo una candida immensità, luce bianca, neutra, gelida.
«Test Abraham, esemplare numero 4, Zachary Edward Roland, età: cinque anni, tentativo di innesto di codice genetico del Pokémon Novaspecie su DNA umano in fase embrionale avvenuto cinque anni fa» disse suo padre.
Zack riconobbe quella voce immediatamente. Si trovavano in un laboratorio, lui era un bambino, era stato sdraiato su un lettino e farcito con diversi sensori collegati ad altrettanti macchinari.
Suo padre, Leonard, lo stava studiando, lui era la sua cavia da esperimento.
L’uomo prendeva appunti su un taccuino, mettendosi gli occhiali solamente per leggere le scritte sui display. Per il resoconto, parlava rivolgendosi ad un registratore che aveva messo nel taschino.
«L’esemplare sembra non manifestare alcun cambiamento dovuto all’innesto dei geni, lo sviluppo potrebbe aver sopito i caratteri, il fenotipo è nella norma, non vi è traccia di mutazione. L’eventualità di manifestazioni, ormai, richiede attesa fino al pieno sviluppo dell’individuo» disse, sconsolato «tentativo 4, fallito...» e spense la registrazione.
Tutto sparì, poi, un secondo flash, ma stavolta non lo riportava alla stanza bianca, ma a casa sua, una delle rare volte in cui si era azzardato a origliare alla porta dello studio di suo padre: «Test Abraham, esemplare numero 3, Luna Blackwell, età: sette anni, tentativo di innesto di codice genetico del Pokémon Novaspecie su DNA umano in fase puerile avvenuto sei anni fa» diceva, sempre suo padre.
«L’esemplare ha iniziato a manifestare i sintomi delle mutazioni innestate... tuttavia, gli effetti collaterali hanno intaccato le funzionalità cerebrali. Le sinapsi di Luna erano troppo sviluppate al momento della mutazione per poter accogliere i nuovi tratti genetici. Lo squilibrio ha determinato uno scompenso cognitivo e un deficit delle potenzialità» aveva di nuovo quel tono di voce afflitto «tentativo 3, fallito...»
Il debole fruscio dell’acqua della fontana tornò a suonare nelle orecchie di Zack. Dall’esterno, un coro di cicale notturne vibrava tra le chiome degli alberi. Il Campione riprese conoscenza, si rese conto di essere in piedi nello stesso punto, al centro del salone principale. Forse erano trascorsi pochi secondi, ma a lui erano sembrati anni interi. Luna era scomparsa, no, si trovava dietro di lui. Zero non se ne era accorto. Perché non riusciva a percepirla come con tutti gli altri esseri viventi? La ragazza bisbigliava qualcosa, stava parlando con qualcuno.
«Dovrebbe aver ricordato...» stava dicendo.
Zack si voltò.
«Chi sei? Chi siete?» chiese, minaccioso.
Accanto a Luna, era comparsa una seconda figura: un ragazzo dai capelli bianchi, giovane, con un fisico molto simile a quella di Zack: atletico e non altissimo. Portava dei pantaloni di felpa neri e una giacca dello stesso colore, con il bavero alto. Anche lui era riuscito a coglierlo alle spalle senza essere percepito, il Campione iniziò quasi a pensare di aver perso la sua estesa capacità di cognizione di ciò che lo circondava.
«Scusa per l’intrusione, Zack» fece il ragazzo dai capelli bianchi.
«Che cosa volete da me?» domandò lui, portando la mano alle Ball che aveva alla cintura, pronto a combattere.
«Da te, niente» tentò di rassicurarlo il ragazzo «siamo dalla stessa parte» gli disse.
«Chi sei?» ringhiò il campione di Holon.
«Mi chiamo Kalut» rispose lui, con voce profonda «sono l’esemplare numero 5» aggiunse.
Zack sembrò avere un piccolo mancamento, le memorie che lui aveva appena riacquisito bruciavano come una ferita appena aperta, ma le parole di Kalut sembravano doverlo pungere nel profondo, come una vecchia cicatrice.
«Dovresti aver ricordato, ormai» disse Luna.
«Lascia che il tuo cervello realizzi quando ha appena riportato alla luce.
«Ho già realizzato!» esclamò lui.
Zack sembrava far fatica, il suo sguardo si offuscava, la sua voce era tremante. Come aveva potuto dimenticare degli eventi tanto importanti della sua infanzia? Come aveva potuto annegare delle esperienze simili? Non riusciva a rendersi conto della gravità della situazione. Gli esperimenti di cui suo padre era divenuto schiavo, gli studi che quel folle stava conducendo, le manipolazioni dei suoi figli.
Leonard Roland era morto, ma aveva lasciato una terrificante eredità: le sue orride creature, i mostri che aveva creato.
Luna stava inseguendo una farfalla immaginaria che soltanto lei vedeva, Kalut sembrava interessatissimo ai processi mentali che Zack lasciava trasparire dal suo sguardo spiritato. Quella sera avrebbe potuto decidere di far scoppiare una guerra, se solo la sua vita non fosse stata sconvolta e ogni sua fede sradicata.
«Sono qui per collaborare, Zack» gli disse Kalut, sovrastando con la sua voce i rumori di tutto il resto del mondo.
Sotto di loro, la terra si muoveva sempre più lentamente.
«E’ stata la Resistenza a mandarmi qui, hanno chiesto il nostro aiuto per vincere la Faces, io ho deciso di acconsentire» continuò Kalut.
«Sono dei poveri stronzi, non vogliono veramente salvare questo mondo» ribatté Zack «io posso distruggere la Faces da solo» affermò, sicuro.
«Ci sono degli innocenti che non meritano di essere fatti colpevoli di questa guerra. Io sono per la vita, la tua furia porterà solamente distruzione» lo ammonì Kalut.
«Allora anche tu sei destinato a venire sconfitto...»
«Non la pensi davvero così, è solo una delle tue voci a dirti questo».
«Le mie voci sono parte di me».
«Le tue voci possono essere dominate» lo corresse il ragazzo dai capelli bianchi.
Zack impiegò qualche secondo per controbattere.
«Non posso...» mormorò.
«Non vuoi» fece Kalut.
Zack si rese conto di aver ascoltato quella conversazione all’interno della propria testa. Nessuno aveva proferito parola, nessuno aveva aperto bocca. Luna stava intingendo le dita nell’acqua della fontana come fosse vernice, tentando poi si scrivere a terra, era soddisfatta del suo lavoro, forse quel disegno era visibile solamente ai suoi occhi.
«Apri gli occhi, Zack» gli disse Kalut.
«Dimmi ciò che sai» lo supplicò il ragazzo.
«Qualsiasi cosa?»
«Qualsiasi cosa».
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