Better than me
Vatonageshipping
- Alex & Laura
Almia,
Accademia Ranger, ore undici e quindici del mattino.
Quando
Alex aveva aperto gli occhi, quel giorno, non era servito guardare il
calendario appeso al muro per sapere che era arrivato il Natale.
L'insolito
quanto incessante brusio che proveniva dalla sala aveva parlato da sè,
invitandolo ad alzare il culo dal letto e raggiungere Laura, Glenda e gli altri
in sala. Per quel motivo era balzato via dal materasso e si era infilato
affannosamente nella divisa, facendo schioccare gli scaldamuscoli neri sulle
cosce ben allenate che spesso e volentieri erano riuscite a tirarlo fuori dai
guai, e anche a mettercelo.
Dopodiché
si era recato a passo debole verso le voci che schiamazzavano in mensa, cosa
strana per uno come lui, un dormiglione, che tutte le mattine si svegliava con
un brontolio secco causa allenamento straziante e missioni non poco da
strapazzo. Missioni che da un po' di tempo a questa parte non riusciva a
portare mai a termine, non bene come una volta.
Non
dopo quella volta.
E
l'aveva visto non appena aveva svoltato l'angolo.
Il
Ranger quello vero, con lo styler che luccicava sul polso destro guantato di
nero, le gambe forti ben piantate contro il pavimento in legno che sembrava
distendersi sotto il suo peso, come un elegante tappeto messo solo per onorare
la sua mistica presenza.
Perché
non si sporcasse la suola delle scarpe del fango e del sudore che tutti i
Ranger perdevano.
L'aveva
visto, e il cuore gli si era raggrinzito nel petto.
Primo. Lo ricordava bene, quel tale, castano, occhi blu,
sciupafemmine con tanto di permesso ufficiale. Era venuto a trovarli già una
volta, per mostrarsi alle ragazze e raccontare la sua storia da fuoriclasse. Il
ranger si voltò verso di lui e gli sorrise, e in tutta risposta Alex prese
posto sul tavolo il più distante possibile da quella presenza e cominciò
consumare la colazione in silenzio.
I
ricordi di quel giorno ripresero vita all'interno della sua memoria congelata a
causa del freddo che entrava dai vetri sottili delle finestre.
Un
giorno come tanti, un fallimento come tanti. Diamine, ripensarci gli provocò
una tremenda voragine al centro dello stomaco, proprio lì, dove le farfalle si
scontravano sempre quando Laura gli passava davanti, o quando l'incendio
consumava il bosco in troppo poco tempo per poterlo arrestare, e i Pokémon
morivano, e lui rimaneva ad inalare ceneri mentre i getti di un Blastoise
catturato qualche minuto prima facevano del loro meglio per fermare il caos.
La
prima volta che Primo era giunto in Accademia a rendere tutti partecipi del suo
percorso come Ranger, Alex l'aveva accolto come un Dio asceso dai cieli. Tra
quella gabbia di matti probabilmente era l'unico che non vedeva l'ora di
diventare Ranger, e perciò Primo si era rivelato una preziosa fonte di
informazioni, un esempio e modello per lui e per tutti coloro che lo avevano circondato
quel giorno.
Solo
che poi Laura si era invaghita di Primo, come tante altre ragazze.
E se
Alex poteva definirsi folle per qualcuno, beh, quel qualcuno era proprio Laura,
la ragazza con cui aveva socializzato e con cui aveva stretto non una semplice
amicizia, molto di più.
Insomma,
la gelosia fu la goccia che fece traboccare il vaso, e per quel motivo scelse
di sfidarlo, contro i sospiri stupefatti di tutti.
Forse
per fare bella figura davanti a lei, forse per dimostrare a se stesso di non
essere un fallito, propose al ranger di impegnarsi al massimo nella prossima
urgenza che si sarebbe verificata.
E
gli promise che avrebbe dato l'anima pur di superarlo, sia in bravura che in
bellezza, che in tutto ciò in cui poteva essere battuto.
Peccato
che non ci riuscì.
Che
combinò solo un immenso disastro, in mezzo a quelle fiamme immense che uccisero
e falciarono sotto un ruggito di fuoco che non aveva avuto nessuna intenzione
di spegnersi. A nulla valsero gli attacchi di tipo terra ed acqua dei Pokémon,
a nulla servì portare in salvo quanta più vita possibile.
L'incendio
fu troppo grande, troppo rovente.
E la
sua incompetenza proruppe come acqua da una diga piena sino all'orlo,
riversandosi sui suoi progetti e il suo ottimismo quando le fiamme lo
separarono da Laura.
Ripensare
all'affanno e il tormento che aveva provato gli fecero passare la fame, e
spinse la tazza di latte in un angolo.
Il
sangue gli si era gelato nelle vene nel voltarsi e rendersi conto che lei non
era più lì. Che era sparita, in mezzo a quell'inferno che aveva il colore rosso
dei suoi capelli e il calore di una notte senza stelle.
L'aveva
cercata come un disperato.
Come
un pazzo, gridando il suo nome, piangendo, spostando arbusti distrutti con la sola
forza delle braccia. Rendendosi conto che se lei non sarebbe uscita viva da lì,
lui non meritava di salvarsi. Come coppia, sarebbero dovuti essere in due a
sopravvivere.
E in
due a morire.
Quando
l'aveva trovata, le grida si erano trasformate in sobbalzi di orrore che a
fatica gli erano usciti dalla gola a punta. Non ricordava l'espressione
sofferente di lei, con la gamba trafitta dal ramo affilato di un tronco,
ustionata e nera.
Ricordava
solo che aveva perso la testa nel vedere il suo sangue, e si era precipitato
verso l'amica che uggiolava di dolore, gli occhi vitrei e spenti.
Ma
Primo l'aveva anticipato, sorvolandogli sulla testa e atterrando a piedi pari
dinanzi alla ragazza. L'aveva aiutata a liberarsi del tronco, e l'aveva presa
in braccio tenendola salda contro il petto che respirava piano, delicato.
Tranquillo,
in mezzo all'inferno che continuava a nutrirsi intorno a loro.
Poi
lo aveva guardato con odio, facendo baluginare gli occhi blu oceano, e gli
aveva detto che chi metteva a rischio la vita del proprio partner, non era
degno di essere un Ranger.
E
Alex non aveva più dimenticato quella frase.
Laura
si era rimessa in fretta, per fortuna, ma aveva dovuto scontare un prezzo
parecchio alto; la perdita della gamba sinistra e la rottura del suo più grande
sogno, ovvero quello di diventare Ranger. E la colpa di chi era?
Sua,
ovviamente. Sua, che non era stato in grado di salvarla, di stringerle la mano
e ricordarle che sarebbero usciti in due da quel casino di fiamme, sempre.
Ancora
oggi la colpevolezza di quel tragico incidente lo uccideva non appena gli
riaffiorava alla mente. I sensi di colpa lo strizzarono come molle d'acciaio
tagliente, e smise di osservare la protesi di ferro che spuntava dai
pantaloncini della ragazza, nascondendosi nelle spalle ampie. Se avesse potuto
tagliarsi una gamba e diventare disabile come lei, lo avrebbe fatto.
Se
avesse potuto tornare indietro nel tempo ed evitare una simile tragedia, lo
avrebbe fatto. Ma non poteva, cazzo.
Non
poteva, e il fatto di non riuscire a cambiare le cose lo stava lentamente
consumando dentro, corrodendolo fino al midollo.
Se
lo meritava. Meritava di soffrire, di sentirsi in colpa nonostante lei gli
avesse perdonato la disattenzione più di mille volte. Alex ancora si chiedeva
con quale coraggio Laura fosse riuscita a sorridergli.
A
parlargli, senza ripensare al disastro che c'era stato tra di loro.
Aveva
perso la gamba, lui le aveva distrutto un obbiettivo, l'aveva privata del corpo
atletico che era stato. L'aveva costretta ad appoggiarsi ad un aggeggio che non
era fatto di carne, ma di ferro, l'aveva resa indecente e brutta agli occhi di
tutti.
Se
non fosse stato per l'intervento di Primo, Laura sarebbe morta dissanguata
cazzo. Alex aveva smesso di vivere da quando lei era in quelle condizioni
precarie, indecenti.
Aveva
smesso di credere in se, di sentirsi un eroe.
Era
un assassino.
Aveva
ucciso la ragazza che amava, solo per gelosia verso un tizio a caso che sì, era
diecimila volte meglio di lui.
La
presenza di Primo gli stava dando un enorme fastidio.
-
Allora, Alex? - gli fece, e l'interpellato sollevò i gelidi occhi scuri, l'aria
scocciata.
Devastata
e martoriata da un passato di cui non riusciva a liberarsi, e da un perdono che
non riusciva ad accettare, ad ingoiare senza che gli corrodesse il tubo
digerente.
-
Come stai? -
-
Bene. -
Primo
gli si sedette accanto, e Alex si fece più in là, il respiro affannato. Non
voleva averlo lì, così vicino da sentire il suo odore forte, i ricordi facevano
ancora troppo male perché fosse in grado di prenderli di petto e affrontarli.
L'immagine
del castano che portava a termine quel salvataggio al posto suo era
allucinante.
-
Vedo che la tua amica è in fase di miglioramento, per fortuna. -
L'umiliazione
calò sulle sue spalle come una pesante lama di sangue. Fece un dolore assurdo,
ma rimase in silenzio mentre i pugni si stringevano delicati sul tavolo e gli
occhi correvano a Laura.
Primo
continuò a parlare, imitandone la direzione dello sguardo. - E tu? Che ci fai
ancora qui? -
- Il
Ranger. Sai, sono in un'Accademia per i Ranger. -
- E
ti danno il permesso di rimanere, dopo quello che hai fatto? -
-
Certo. -
- Ti
hanno cambiato di coppia? -
- Non
vado più in missione, non ho più il permesso. Esattamente come Laura. -
-
Lei può andare. -
-
Come... -
-
Con me, può andare. E' per questo che sono qui. Per salvarla ancora. -
Silenzio,
un silenzio che fece male come uno schiaffo di ferro a ripetizione. Alex sapeva
di non avere nemmeno il diritto di chiamare per nome la ragazza, sapeva che
Primo la meritava molto più di lui, e quando lo vide sorridere si sentì un
misero verme, incapace di accogliere quella notizia come buona. Lui non
l'avrebbe mai più messa a rischio, si sarebbe preso cura di lei, l'avrebbe
accarezzata, baciata e protetta col suo corpo mentre le insegnava a non
arrestarsi mai dinanzi a nessuna difficoltà. L'avrebbe fatta sentire ancora
valida, nonostante la mancanza di buona parte di una gamba.
Come
un vero Ranger.
Alex
guardò in basso, nascondendo l'espressione affranta sotto la frangia che gli
percorreva la fronte ampia. Pensò, pensò a quanto fosse diventato inutile lui
in quell'Accademia, a quanto quell'incidente avesse cambiato la sua vita e
quella preziosa di Laura, rendendole un inferno psicologico e fisico troppo
grande da sopportare.
Uno
dei due doveva andarsene, e Primo gli aveva fatto chiaramente intendere a chi
spettava di sparire. In effetti, che ci faceva un assassino all'interno di un
rinomato posto come quello?
Perché
portava ancora l'etichetta del Ranger, se l'unica cosa che era stato in grado
di fare era stato privare la compagna amata di una gamba?
Non
si soffermò più di tanto sui suoi sentimenti, sul fatto che non volesse
abbandonare Laura. Che l'amasse e che il pensiero di averle fatto del male
ancora lo tormentava tutte le notti, impregnando le lenzuola di lacrime.
Si
convinse invece che era meglio così, per lei, lui, Primo e tutti quanti.
Che
forse avrebbero smesso di soffrire.
Partì
quella notte stessa, senza salutare nessuno, seguendo il suggerimento del
ranger castano dagli occhi blu.
Del
salvatore, quando lui aveva quasi perso la partner.
Non
si voltò indietro, nemmeno quando Laura lo chiamò.
Cominciò
a correre sotto le note delicate della sua voce, corse fino a quando il cielo
nero non divenne un tutt'uno con la terra.
Corse
fino a quando le cosce non cominciarono a tremare, i vestiti a pesare sulla
schiena allenata che non era stata in grado di rendersi utile in nessun modo.
Corse,
corse fino a quando le lacrime gli appannarono la vista, e la gola liberò un
grido di rabbia che gli fece vibrare le vene.
Corse
sperando di seminare il dolore, senza rendersi conto che più scappava e più questo
gli veniva incontro a braccia aperte.
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