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Andy Black - Unravel Me - 2. Due (II)

UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).



Piccola nota;
Ho dimenticato di dirlo al capitolo precedente e non c'entra assolutamente una ceppa per la comprensione del testo, ma chi volesse può ascoltare la canzone da cui sono stato ispirato (e che ha accompagnato l'interoprocesso creativo di stesura della longhetta in questione), l'omonima Unravel Me, della meravigliosa Sabrina Claudio, chiamata anche mia moglie ma lei non lo sa. Non ancora almeno.
Mettetela in ripetizione, rilassatevi e provatevi a immergere nel mondo nel quale si muovono i miei personaggi.
Cioè, nei limiti del possibile.
Perdonatemi per qualche errore, colpa di Levyan, nel caso. A presto!
TSR poi torna...

 
15 Marzo 20XX, quella sera

"Buongiorno" gli sorrise Kimberly, con perfetta dentatura splendente.
Mario Biondi cantava passionale nella hall dell’agenzia, dove un paio di persone stavano tenendo un acceso dibattito per l’aspetto economico della prossima sfilata che sarebbe avvenuta a Sciroccopoli. Ruby aveva sentito di quell’evento, che si chiamava semplicemente S A B B I A  ed era interamente basato sullo stile dei viaggiatori Navarra, gli antichi abitanti del Deserto della Quiete.
Ma utilizzare Camelia come top model in un evento del genere era piuttosto sbagliata come scelta. Ci pensava, mentre camminava verso il banco sulla sinistra.
“Buongiorno” sorrise Layla, annuendo giovale. Il foulard attorno al suo collo era ben sistemato e il cappellino a barchetta sulla testa pendeva da un lato.
“Avrei un appuntamento con…”.
“La Presidentessa è in riunione, in questo momento, ma può accomodarsi sulle nostre comode poltroncine e ordinare qualcosa da bere”.
“Oh… Va bene, volentieri. Un succo di mango e pesca andrà più che bene. Con ghiaccio, per favore”.
“Subito” sorrise quella, abbassando poi la testa e scrivendo l’ordinazione su di un foglio. Ruby si voltò e raggiunse i divanetti.
Si accomodò nello stesso posto di qualche giorno prima, quando l’ansia era assai di più e la paura lo attanagliava totalmente.
Col senno di poi si sarebbe tranquillizzato moltissimo.
Tornò a pensare a Camelia e al perché non fosse adatta a un lavoro del genere. E il motivo, in sostanza, era uno solo: colori.
Camelia era di carnagione chiara, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri.
Una tipologia di persona nordica, che a Unima non era rara da incontrare ma che mal si accostava con quello che sarebbe stato il leitmotiv cromatico di quella sfilata.
Il beige, il giallo e il marrone sarebbero stati i colori principali, così come capì che avrebbero fatto contrasto spesso con pantaloni in tessuto verde, per richiamare in Cacturne.
Poi ritrattò: lì ad Unima vivevano i Maractus.
In ogni caso non cambiava molto.
Seta, tanta seta, vestiti larghi e a sbuffo e spesso visi coperti.
Quindi occhi chiari, per risaltare, e Camelia aveva gli occhi più azzurri che avesse mai visto.
Ma la pelle doveva essere scura.
La Campionessa Iris forse sarebbe stata perfetta, per una sfilata del genere.
Kimberly si avvicinò a lui e gli portò il succo di frutta, sorridendo sempre gioviale. La guardò, ne saggiò le proporzioni e la immaginò con addosso un suo vestito.
Pensò a Sapphire quasi automaticamente, ricordando del vestito che stava mettendo insieme per lei, e quindi prese il cellulare.



Hey piccola. Sono in agenzia che aspetto. Tu dormi ancora? Immagino di no, tu sei sempre la prima a svegliarsi tra i due … Allora forse starai lavorando. Beh, non voglio disturbarti. Fammi un messaggio quando hai finito. Ti amo.
Più di quanto potrei mai amare Kimberly.            08:58


E poi una voce che lo chiamava si mise di traverso tra il cellulare e il suo sorriso divertito.
“La Presidentessa la sta aspettando. Questo è il suo succo” fece proprio Kimberly, sorridendo pacatamente.
Il volto era stanco e un ciuffo di capelli, rosso e arricciato fino alla radice, cadeva libertino dal cappellino a barchetta celeste.
“Aspetta” fece, prendendole il succo di frutta dalle mani e poggiandolo sul tavolino. Si alzò e le si piazzò alle spalle, rapidamente, staccando la forcina che aveva lasciato cadere il ciuffo e risistemandole la capigliatura.
Quella sorrise.
“Oh… La ringrazio molto”.
“Dammi del tu, Kimberly”.
Si limitò a sorridere, la donna, prima di voltarsi e tornare alla propria postazione. Una guardata lasciva ai suoi movimenti sinuosi e poi fu pronto per prendere il succo e tirare la valigia verso l’ascensore.
Attico, come l’altra volta. Il suo ufficio intanto non si era spostato.
Mano a mano che saliva sorseggiava il succo di frutta, prendendo il cellulare e guardando se Sapphire avesse almeno visualizzato il messaggio.
Ma niente.
Un campanello annunciò l’arrivo al piano, anticipando l’apertura delle porte.
Fu in quel momento che Ruby fu costretto a sentire le urla di qualcuno che inveiva con fervore.
Non può essere White, pensò. Lei era calma e pacata, entusiasta e sveglia.
White non si arrabbiava.

“SIETE DEGLI STUPIDI INCOMPETENTI!”

Ruby si affacciò oltre la parete della sala ascensori, guardando nuovamente l'ufficio della Presidentessa e vedendo tre uomini in giacca e cravatta che la stessa donna , in piedi oltre la scrivania, stava usando come sacchi da boxe.
"Vi avrò ripetuto un miliardo di volte di contattare l'agente di Camelia per comunicare la variazione della data!" urlava, stretta in una camicetta bianca aperta fino al secondo bottone, lasciando intravedere il laccetto d'argento che si nascondeva nella scollatura.
I capelli, lucidi e perfettamente stirati, erano acconciati in una coda elegante.
Una regina, che manteneva per il collo tre uomini coi capelli impomatati e i visi perfettamente lisci.
"Presidentessa White, Presidentessa, noi..." provò a dire quello a sinistra, su cui gli occhi celesti della donna si fissarono, spegnendo ogni tentativo di giustificazione.
"Voi cosa?! Avevate un compito importante! E adesso non abbiamo più la top model principale! Davvero pensavate che la modella più importante di tutta Unima aspettasse voi?!".
"Potremmo contattare Anemone..." propose quello al centro, raggiunto subito dallo sguardo di quella, che sorrise quasi a mo' di sberleffo.
"Anemone?! Ma ti rendi conto delle puttanate che dici?! Anemone ha due tette giganti! Dovremo richiamare lo stilista e lavorare di nuovo sul davanti di quel vestito, e perderemmo troppo tempo! Inoltre Anemone non ha mai sfilato, e dovrai contare anche questo piccolo particolare, dato che  non ha il portamento di una modella! E seppure riuscissimo a fare tutto ciò dovremo convivere col fatto che Camelia deciderà, stronza com'è, di non lavorare più con noi, perché ovviamente si sentirà sostituita e di conseguenza meno importante di Anemone! E noi abbiamo bisogno di Camelia, perché è la donna più importante dell'intera regione!".
Il silenzio era interrotto a intermittenza dai respiri impauriti dei tre burattini. White alzò poi lo sguardo, vedendo Ruby che sorseggiava silenzioso il succo di frutta.
"Oh..." sbuffò poi, poggiando le mani sulla scrivania e abbassando il volto. "Ruby...".
Quei tre si voltarono quasi immediatamente, rimanendo in silenzio.
"Che brutta figura, Ruby..." disse la Presidentessa, con la faccia ancora rivolta verso la scrivania. "Mi spiace che tu abbia assistito a quest'orrido spettacolo".
Quello fece spallucce e annuì debolmente. "Immagino che spettacoli del genere capitino in tutte le grandi aziende".
White sorrise. "No. Nelle grandi aziende ci sono grandi dipendenti, che non rubano lo stipendio... Noi siamo una piccola agenzia dato che abbiamo piccoli dipendenti che fanno errori da principianti... Voi tre, per oggi non fatevi più vedere...".
"E per quanto riguarda Camelia?" domandò quello al centro.
"Me la vedrò da sola. Sparite".
I tre si alzarono e andarono via, lasciando Ruby in piedi davanti alla scrivania. Vide White sbuffare nuovamente e muoversi verso un piccolo tavolino sulla sinistra. Prese una bottiglia di liquore ambrato e se ne versò un bicchiere.
"Vuoi?" chiese, senza neppure guardarlo.
"No, ho già il mio drink".
Quella annuì e chiuse la bottiglia, voltandosi e tornando alla scrivania, affondando nella grossa poltrona di pelle nera.
"Dannazione. E non è neppure mezzogiorno..." disse, bevendo un sorso dal bicchiere. Lo poggiò accanto al cellulare, che vibrava insistentemente da un minuto. Lei non lo guardava neppure. "Certe volte rimpiango i momenti in cui facevo tutto io... Accomodati".
Ruby avanzò, trascinando la valigia blu coi campioni. Bevve un sorso e sospirò, cercando di focalizzare la propria attenzione su White e non sulla splendida vista che la donna aveva dalla grande finestra.
"Che succede?".
"La sfilata di giovedì, che doveva essere tenuta mercoledì a Sciroccopoli ma che per problemi di non so cosa è stata spostata".
"Camelia che c'entra?" domandò lui, sorseggiando il succo e guardando con sospetto quello che pareva essere whiskey, nel bicchiere della donna.
"Come credo tu abbia sentito, Camelia doveva indossare il capo più bello dell'intera collezione. Ma giovedì ha impegni in Palestra..." sbuffò quella. "Che diamine importa a noi dei suoi impegni in Palestra...".
"E immagino che non possiamo spostare la sfilata".
White alzò gli occhi verso lo stilista.
"Sai quanto costa fare ciò che dici?".
Ruby sorrise, alzando la mano destra. "Scusa. Non chiedo più".
Suscitò il sorriso anche nella Presidentessa, che fece cenno di no con la testa. "Figurati. Ma è una cosa da pazzi. Una volta spostata la sfilata avrebbero dovuto comunicarlo immediatamente a Camelia, ma hanno lasciato passare tre giorni prima di ricordarsi che la superstar fosse effettivamente una superstar. E quindi lei ha preso altri impegni e noi non abbiamo la Playmate del paginone centrale".
Ruby annuì. "Non potevi definirla in maniera più azzeccata, secondo me. Beh, se posso fare qualcosa...".
"Ma no, ma no... Anzi, ti ho fatto perdere un sacco di tempo e ti ho lasciato sulle spine... Scusami ma..." sorrise, divertita "... beh, come vedi qui c'è sempre da fare...".
"Ti ho maledetta solo un paio di volte, stai tranquilla".
White sorrise ancora, poi sorseggiò il whiskey. "Spero che la valigia sia piena di materiale, e non di roba tua. Non stai tornando a Hoenn, vero?".
Lui fece cenno di no con la testa. "Vestiti che ho messo insieme nella camera d'albergo".
Il cellulare vibrò nella sua tasca, ma si guardò bene dal prenderlo.
White, in ogni caso, allargò il sorriso solamente sul lato destro della bocca. Aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori un grosso plico, con su scritto a penna RUBY, con elegante calligrafia.
“Quelli della sezione contratti fanno sempre un ottimo lavoro… Allora” disse, alzando i mezzi stivaletti che indossava sulla scrivania e leggendo la prima pagina.
“Il presente contratto, bla bla bla, bla bla bla, tra me e Ruby Normanson, nato a Olivinopoli… Sei di Johto?” chiese poi, allungando gli occhi oltre i fogli.
Ruby si limitò ad annuire.
“Credevo che fossi nato a Hoenn”.
“No. Mio padre è diventato Capopalestra lì quasi vent’anni fa, e noi lo abbiamo seguito. Avrebbe dovuto ricoprire la posizione di Chiara, a Fiordoropoli, ma è successo un casino che non ti vado a spiegare…”.
“Meglio, così non perdiamo tempo… Quindi…” disse, porgendo cordialmente all’altro la sua copia. “Controlla che tutti i dati siano corretti, quindi possiamo passare ai termini economici…”.
“Sì…” fece lui, posando il bicchiere ormai vuoto di succo di frutta sulla scrivania e spulciando col dito le lettere stampate ordinatamente sulla carta pregiata di quel contratto.
“Vuoi un altro succo?” domandò quella.
“No. In ogni caso i dati sono corretti…”.
“Meraviglioso. Ora, a pagina tre, ti spieghiamo che il tuo guadagno, per le prime dieci sfilate, è fisso. Non ti aspettare niente di molto alto, dobbiamo vedere che impatto avrai sull’ambiente. Dopo le dieci, guadagnerai in proporzione agli ordini che riceverai”.
“Riceverò?!” sorrise Ruby, divertito. “Non possiedo mica un atelier, White”.
Quella alzò gli occhi. “Ci arriveremo subito dopo”. Li riabbassò, nascondendosi ancora dietro il contratto. “Naturalmente sei vincolato per tutta la durata del contratto, e io spero anche oltre, ad assumere le nostre ragazze e i nostri ragazzi”.
“Io non possiedo un atelier” ripeté quello.
White abbassò i piedi e poggiò il contratto sulla scrivania.
“Lo so”.
Gli occhi rubini del ragazzo si spalancarono. Gli mancava qualche elemento che, evidentemente, la Presidentessa aveva già fatto suo. Rilesse qualche riga del contratto, cercando la parola atelier ma non riuscì a trovare nulla.
“Vorrei saperlo anche io”.
Quella inarcò un sopracciglio, sorridendo gentile. Svuotò il bicchiere e lo poggiò accanto al contratto.
“Fammi vedere cos’hai portato oggi”.
Ruby annuì, alzandosi e sollevando il trolley sulla sedia.
“Aspetta” disse lei. “Voglio vederlo indossato da una delle ragazze”.
Il ragazzo sorrise. “Chiama Kimberly”.
E quello strano divertimento sul volto dello stilista contagiò anche la Presidentessa. “Ti piacciono le rosse?”.
“È una ragazza meravigliosa. Sicuramente valorizzerà i miei vestiti”.
White rimase a guardarlo per qualche secondo, nel silenzio più che totale, poi inarcò entrambe le sopraccigli per un impercettibile secondo e sospirò.
“E Kimberly sia…”. Alzò la cornetta e premette il tasto 7, attendendo che qualcuno rispondesse. “Però non mi hai risposto…”.
“Sono fidanzatissimo, White” disse il ragazzo, distogliendo lo sguardo.
“Sì. Fatemi salire Kimberly. Grazie” disse la donna, attaccando poi il cordless sulla base.
“Ora sverrà dalla paura” osservò invece il ragazzo, suscitando nuovamente il sorriso.
“Ma no. Non sono quel tipo di capo”.
Ruby sorrise educatamente, evitando di contraddirla. Quei tre qualche minuto prima non li aveva certamente trattati con i guanti.
Rimasero in silenzio per un minuto buono, in cui Ruby aveva guardato White rispondere a una mail.
Ricordò poi di Sapphire e prese il cellulare.
 

 
Hey piccola. Sono in agenzia che aspetto. Tu dormi ancora? Immagino di no, tu sei sempre la prima a svegliarsi tra i due … Allora forse starai lavorando. Beh, non voglio disturbarti. Fammi un messaggio quando hai finito. Ti amo.
Più di quanto potrei mai amare Kimberly.            08:58

Sono a fare ricerche sul campo, perdonami. Qui oggi diluvia e i Lotad stanno uscendo dai nidi. È un occasione ottima per studiarli        09:36
 

Meraviglioso. Studiali bene allora. Qui si parla di atelier               09:48
 

Il campanello dell’ascensore annunciò l’arrivo di Kimberly negli uffici del suo capo. Si sporse dall’antisala mostrando un paio d’occhi preoccupati sul volto finemente truccato.
“Signora, buongiorno”.
“Signora è mia madre” sorrise lei. “E rilassati, non ti voglio licenziare”.
Quella si liberò di un macigno e sospirò.
“Meno male…” disse, sollevata. “Stavo cercando di capire cosa avessi fatto di male per esser convocata da lei”.
“Non si viene convocati dal capo soltanto quando si fa qualcosa di male, tesoro” sorrise poi la Presidentessa. “Lui è Ruby”.
“Ciao” fece un cenno col capo il diretto interessato.
“Salve”.
“Quelli sulla valigia sono i suoi vestiti e tu li devi provare per me”.
Kimberly spalancò gli occhi, sorpresa. “Oh… Certo”.
“Andate nei bagni del mio ufficio. Ruby, preparala”.
“I-io?” chiese quello. “Certo” ribatté subito dopo. Chiuse il trolley e seguì la modella nei bagni.
Gli ambienti, anche lì, erano fini ed eleganti.
Minimali, con nessun accessorio alle pareti non essenziale. Fissò la proprio attenzione, Ruby, prettamente sul lavandino, dove l’acqua scendeva in una scanalatura scavata nel marmo nero.
“Ok…” disse lei, levando il cappellino e le scarpe. Si stava spogliando senza alcun problema lì davanti a lui, e la cosa per lei era normale.
Levò i guanti e li ripose ben piegati sul piano del lavabo, sbottonando poi la giacca e rimanendo con la camicetta bianca.
“Mi può aiutare coi bottoni sui polsi” fece.
Ruby la guardò negli occhi prendendole la mano destra e vedendo la sinistra che continuava a liberare le asole dai bottoni della camicia.
“Dammi del tu”.
Quella annuì, levò anche la camicetta e rimase con un body bianco che terminava dietro il bordo della gonna. Abbassò la zip sul lato e la sfilò, mostrando le lunghe gambe.
“Devo levare anche questo?” chiese.
Lui annuì, come se la cosa fosse ovvia, ripiegando tra le mani la gonna e poggiandola sul bancone.
“ E le calze?”.
Ruby abbassò lo sguardo, sporgendosi sul lato della coscia per vedere se fosse smagliata in qualche punto.
“Forse possiamo adattarle per qualche abito, ma per ora dovresti levarle. Scusami”.
“Figurati” rispose quella, sfilandole rapidamente. Sbottonò il body e rimase in intimo.
Quella ragazza era una statua, era mezza nuda e non sembrava per niente imbarazzata.
Ruby capì la dimensione professionale in cui si trovava solo grazie a quel dettaglio; lui, che aveva visto nuda soltanto la sua donna, ora si trovava davanti a un’indossatrice professionista che non aveva problemi a stare in mutandine e reggiseno davanti a lui.
“Fa freddo, lo so” disse lui, guardandola solo negli occhi e allungandole un bellissimo abito verde. La zip, coperta da volant di tulle, scendeva a spirale lungo tutta la lunghezza del vestito, terminando sul fianco sinistro.
Ruby lo lasciò cadere e vide Kimberly sorridere.
“Oh…” fece.
“Piace?”.
Lei sorrise, arrossendo e annuendo subito dopo.
“Questi colori risalteranno i tuoi occhi”.
“Aiutami”.

Pochi secondi dopo White vide uscire dal bagno una donna bellissima e dai lunghi capelli rossi, ben pettinati, che camminò con passo sostenuto ed elegante davanti a lei. Kimberly si fermò davanti alla scrivania, guardando la Presidentessa come se fosse una telecamera.
“Correggi la postura” le diceva il capo, continuando a fissarla attentamente. “Più attenta sul passo”.
Si voltò, Kimberly, ancheggiando lentamente e ritornando sui suoi passi. Si voltò, con le mani ai fianchi e il collo alto, e si fermò.
“Il vestito è meraviglioso” annuì White, alzandosi. “E a Kimberly sta benissimo, hai ragione”.
Raggiunse la modella e la prese per mano, facendola voltare.
“Sì, davvero. È meraviglioso… amo il particolare della cerniera, e il merletto delicato sotto il seno. Veramente ben fatto”.
E la risposta fu simile.

Per tutte e sette le volte che Kimberly sfilò per il suo capo davanti agli occhi compiaciuti di Ruby.

“Puoi cambiarti e tornare giù, Kimberly, grazie” fece White, sorridendole gioviale. Ruby l’accompagnò in bagno e chiuse la porta, vedendo Kimberly tirare un sospiro di sollievo. Poggiò le mani sul bordo marmoreo del lavandino, con Ruby che le scivolò alle spalle e le abbassò la zip.
“Finalmente è finita…” disse, suscitando il sorriso nel ragazzo, che l’aiutò a sfilare quel tubino nero aderentissimo. “Quella donna mi mette paura” continuò.
“È sicuramente un tipo particolare…”.
“Avevo paura mi riprendesse, e l’ha fatto”.
“Solo un paio di volte, non sarà mica la fine del mondo…”.
Quella alzò lo sguardo, guardando l’uomo nello specchio alle sue spalle che piegava il vestito e subito dopo le porgeva il body. Lei lo infilò e si vestì.
“Spero di poter contare di nuovo su di te, in futuro” disse Ruby, chiudendo la valigia.
“E io spero di averti portato fortuna” disse, chiudendo l’ultimo bottone della giacca. Infilò i guanti e prese tra le mani il cappello a barchetta.
“Aiutami solo coi capelli” fece poi, poggiandosi sul lavandino e vedendo lo stilista acconciarle i capelli in maniera educata ed elegante. Le prese il cappello e glielo poggiò delicatamente sul capo, sorridendole.
“Sei perfetta. Ora puoi tornare a lavoro”.
“Grazie Ruby” fece, ricambiando il sorriso e sparendo oltre la porta. Ruby rimase un secondo con se stesso, con una pesantezza nell’animo che non riusciva a spiegarsi.
Forse era la mancanza di Sapphire.
Uscì dal bagno e raggiunse White, che intanto era poggiata alla finestra, col telefono tra l’orecchio e la spalla destra e due fogli tra le mani.
“Sì, signor Brooke, sono profondamente interessata all’affitto di uno dei due locali al di sopra della Palestra di Artemisio… Uso atelier… No, per quel prezzo non ci siamo proprio. Il mio cliente diventerà una delle personalità più famose del mondo e lei mi conosce…” sorrise poi. “... Conosce le persone con cui lavoro, sa in che circuito girano e sa pure di che tipo di fama godono, quindi se ci punto sa dove arriveranno”.
Ruby avanzò, incrociando lo sguardo con lei, che gli fece cenno di mettersi a sedere. Lui annuì e poi eseguì le direttive, vedendola avvicinarsi a lui e porgergli quei fogli che teneva tra le mani. Prese poi il telefono tra le mani e cominciò a camminare, gesticolando vistosamente e cominciando a parlare di soldi.
L’unica cosa che in quel momento Ruby sapeva era che aveva due grosse fotografie del posto in cui sarebbe diventato famoso.
Era incredulo. Eccitatissimo.
“Ci risentiremo, ma sappiate che la convincerò a scendere di un altro dieci percento” sorrise White, ritornando alla scrivania e attaccando. “Bene, e questa è quasi fatta”.
Si sedette e mosse il mouse, guardando il monitor del pc. “Kevin Brooke è un ricco medico che possiede un paio di palazzine lungo la via principale di Austropoli, che io chiamo Via della Moda, Ruby. E devi esserci anche tu”.
“Io?”.
“Il tuo atelier, intendo” fece, guardandolo per un secondo. Tornò poi a fissare lo schermo. “Quante mail, dannazione, non posso sparire per dieci minuti che mi ritrovo mezzo mondo in cerca di qualcosa. Allora, che dicevamo?”.
“Parlavi di atelier, White. E ti ho detto, per l’appunto, che io non possiedo un atelier”.
“Ma io sto prendendo in fitto un locale perfetto per questo, ed entrerò come tua socia in affari. Divideremo il compenso equamente”.
“Non era scritto nel contratto, questo” ribatté confuso il ragazzo.
“Ovviamente, dato che non c’è scritto. È su quest’altro contratto” fece, aprendo il cassetto alla sua sinistra senza neppure guardarlo e tirando fuori un nuovo plico.
Atelier BW/Ruby Normanson, c’era scritto.
“Aprilo pure” gli fece, controllando poi il cellulare. “Uff…” sbuffò poi, alzando la cornetta del telefono fisso e premendo il tasto sette. “Vuoi un caffè?”.
“Sì, grazie” rispose l’altro, che intanto leggeva attentamente una delle tre copie di quei fogli.
“Due caffè in attico, Layla” fece poi. Poggiò la cornetta, posò il cellulare e tirò fuori un po’ d’angoscia con un lungo respiro.
“Ok” disse, sfilando dalle mani del ragazzo una delle tre copie. “Non è molto difficile. Il tuo contratto con la nostra agenzia è quello che hai visto prima. Noi organizzeremo per te dieci eventi compresi in un budget che determineremo in seguito, da cui tu trarrai un fisso che, indipendentemente dalla richiesta degli abiti, sarà quello e basta. Insomma, sei bravissimo e a me piace il modo in cui disegni i tuoi modelli ma  non abbiamo la certezza che la cosa vada bene. Sei una scommessa, per me”.
Ruby sospirò.
“Dopo le dieci sfilate, come già detto, il tuo stipendio sarà una percentuale dell’incasso complessivo. Il tutto per un totale di trenta sfilate in cui tu sei obbligato a utilizzare le mie modelle. Tutto chiaro?”.
Il ragazzo annuì.
“Per quanto riguarda il secondo contratto, dato che non hai un atelier io te ne ho procurato uno. Voglio diventare tua socia negli affari, finanziando la spesa che avresti con noi, seppur minima, il fitto dello stabile, gli stipendi ai ragazzi che lavoreranno con noi, la fornitura dei materiali e tutto ciò che gravita intorno a quel mondo. Tu, dal canto tuo, non avresti spese e avresti un posto dove lavorare tranquillamente e far conoscere a tutti il tuo nome. Tutto chiaro?”.
Ruby annuì nuovamente.
“In cambio ti chiedo la metà dei guadagni dopo l’undicesima sfilata. Mi pare equo”.

Lesse più e più volte tutte le righe di quei contratti, fino ad annuire un’ultima volta, quando poi prese una penna e decise di mettere per iscritto il suo impegno con la donna che aveva davanti.
Non sapeva perché, ma si fidava ciecamente di lei.
“Ora andiamo a pranzo”.


“Però avrei dovuto immaginarlo. Alla fine la distanza non aiuta mai, in nessun modo. Allontana soltanto i cuori. E la cosa strana è appunto questa: io e te non siamo mai stati lontani.
Mai.
Fin da quando ci siamo conosciuti siamo sempre stati pezzi indissolubili di un puzzle di soli due elementi, di due colori ben distinti e opposti.
Siamo sempre stati il bianco e il nero, il cielo e la terra.
Il rubino e lo zaffiro.
E abbiamo giocato coi ruoli, dato che da bambino eri tu quello insopportabilmente iperreattivo e io quella delicata e posata. Tu eri coraggioso e sapevi sempre come agire, usando spesso la pancia prima della testa.
Io mi bloccavo, e la cicatrice che hai sulla fronte me lo ricorda costantemente.
Mi ricorda costantemente di quanto io sia debole.
Sì, perché nonostante tutto, nonostante la volontà che ho impiegato nel tempo per cambiare, per diventare una persona più forte, che non deve chiedere aiuto a nessuno, e nonostante il tuo modo di vedere le cose si sia addolcito, beh... nessuno dei due è cambiato.
Alla fine tu sei rimasto il cavaliere errante e io una povera stupida.”


Ruby entrò per primo nel Marsilius, il ristorante che spacciava la sua cucina per italiana sulla via principale di Austropoli. Un signore di mezza età, dai pochi capelli sale e pepe sulla fronte ma tutto sommato di bella presenza, li fece accomodare.
"Buongiorno, Salvatore" disse White, accompagnando il tutto con cortese cenno del capo.
"Buongiorno signorina. Il solito tavolo è pronto".
"Grazie" sorrise lei, stringendogli entrambe le mani. "Oggi ho un ospite con me".
"Oh, salve" disse lui, chinando leggermente il capo e sorridendo giovialmente. "E benvenuto al Marsilius".
"Ruby. Piacere mio".
"Sentirà presto parlare di lui" aggiunse White, avanzando poi rapidamente verso il tavolo accanto alla lunga finestrata che dava sulla strada.
Si accomodarono, e entrambi tirarono fuori i cellulari dalle tasche.
Sapphire aveva risposto.
 

Meraviglioso. Studiali bene allora. Qui si parla di atelier               09:48

Atelier?! Devi aver fatto veramente colpo! Aggiornami!           09:54

Allora?         10:44

E rispondimi!            12:06



Ruby alzò per un momento gli occhi dal cellulare, pensando che un locale come quello non sarebbe per nulla piaciuto a una tipa come Sapphire.
Certo, non era quel genere di persona che privilegiava le trattorie ma si sentiva ampiamente fuori luogo nei locali di classe.
Il Marsilius, in effetti, l'avrebbe fatta sentire come un pesce fuor d'acqua, con quell'arredamento minimale che privilegiava molto colori come il grigio e il nero, con qualche punta di rosso qua e là.
Anche la gente che pranzava lì, in quel momento, sembrava essere appena uscita da un ritiro per aristocratici e uomini d'affari; rispettavano un silenzio religioso o quasi, lasciando che il jazz che suonava in sottofondo fluisse liscio e senza interruzioni di sorta.
Guardò gli orari, quello dagli occhi rossi, rendendosi conto della smania con cui Sapphire viveva quella situazione di distacco.
Si sentiva uno stronzo per aver fatto passare quasi cinque ore prima di rispondere.

E rispondimi!            12:06
 

Scusami se scrivo solo ora, ma abbiamo avuto una mattinata davvero pienissima! In pratica mi aspettavo che mi facesse firmare il contratto e invece ha chiamato una modella e le ha fatto provare in miei abiti, in una sfilata privata nel suo ufficio! È stato elettrizzante! Poi mi ha fatto firmare un contratto di collaborazione e uno di partnership! Apriremo un atelier qui ad Austropoli! White sarà la mia socia, e finanzierà tutto, dai materiali alla manodopera! Sto vivendo un sogno!         15:10

Contenta per te...                 15.11

Era arrabbiata.
E aveva persino ragione.

 

Sapph... stavo lavorando! Non volevo snobbarti! 15:11

Lo so... Non è semplice sentirti distante e pieno di cose da fare...                  15.11
 

Purtroppo non posso farci nulla. Non è di certo perché non ti rispondo a un messaggio che il nostro amore finirà. Anzi. Più tardi vedrò per una buona offerta aerea. Ti aspetto a braccia aperte in questa città meravigliosa!          15:12

Fammi sapere          15.12



Rialzò gli occhi, con White che scriveva sul cellulare qualcosa, molto velocemente.
"Uff... ora esplodo" sbuffò.
"Che succede?".
La donna puntò gli occhi cerulei su di lui, battendo ripetutamente le palpebre e annuendo.
"Stavo quasi per dimenticare che mi manca la playmate per il centerfold, come l'hai definita tu...".
"Ah, già. La storia di Camelia" sospirò lui. "Beh, non possiamo scegliere qualcuna delle ragazze che sono associate alla tua agenzia? Sono tutte bellissime".
"No" ribatté subito. "Nonostante siano bellissime mancano tutte del fattore wow di cui ho bisogno. Camelia è una superstar, le mie ragazze sono invece delle totali sconosciute".
"Quindi dobbiamo domandare a qualcuno di famoso e che sappia sfilare" disse Ruby, pronunciando le labbra e perdendo lo sguardo oltre la testa di White, dove la fiumana passava indifferente. Erano soltanto tante, tante persone, ognuna coi propri problemi, che se ne fregavano altamente di tutto ciò che li circondava. Usavano la vita in maniera asettica, come si fa con una puttana che, una volta pagata, ritornava sulla strada.
"Esattamente" annuì lei.
Sospirò, Ruby, White fece lo stesso e alzò la mano, cercando con lo sguardo un cameriere. Ci riuscì, tre o quattro tentativi dopo, quando un giovane cameriere dai lucidissimi capelli neri si avvicinò loro.
Ordinarono due piatti di spaghetti alla marinara con polpette, quindi tornarono nuovamente a guardarsi.
"Posso essere brutalmente sincero?" chiese Ruby, sorridendo.
"Più che puoi, per favore".
"Non credo che riuscirai a rimpiazzare Camelia. Dovrai spostare nuovamente l'evento, se vuoi che presenzi nella sfilata per la presentazione dei modelli Navarra".
White ruotò gli occhi e sospirò ancora, storcendo le labbra.
"Purtroppo lo temevo. Ma posso chiederti una cortesia?".
Quello annuì.
"Smettiamo di parlare di lavoro per un'oretta".
"Totalmente d'accordo. È che è tutto così... dannatamente nuovo e non so come muovermi...".
"Com'è l'albergo?".
"Beh..." sorrise Ruby. "Diciamo che è più una stamberga. Ma comunque, per quel che mi è servita va più che benone”.
White fece cenno di no con la testa. “Non va assolutamente bene. Non puoi avere quest’immagine così negativa di Unima!”.
“Beh, è l’unica immagine che le mie finanze al momento possano mettere davanti ai miei occhi”.
La donna sorrise. “Hotel Continental. Sei mio ospite fino a quando non faremo la prima sfilata. Poi coi ricavi potrai affittare qualcosa di carino”.
Ruby spalancò gli occhi. “Ma sei matta?! Non pensarci neppure, White, è già abbastanza il fatto che tu mi abbia dato fiducia!”.
“Non transigo” murò lei. “Lavorerai meglio”.
Il ragazzo abbassò prima lo sguardo e poi la testa. “Grazie mille. Non so che dire…”.
“Dimmi che in cambio mi accompagnerai a un noiosissimo incontro di boxe, questa sera. Devo incontrare un cliente importante e mi sembrava brutto dire scusa ma no, scusa, odio la boxe”.
“Beh, accetto volentieri. Sono obbligato. Da piccolo guardavo molta boxe. A mio padre piace”.
White fece spallucce.
“La reputo solo violenza inutile”.


Ricordo che addirittura ti persi di vista… Non avrei mai avuto l’ardire di ricordare, in principio, che tu fossi il ragazzino che mi aveva protetto durante quella brutta avventura. Eri così diverso.
Così cambiato.
Ma il tuo cuore era sempre lo stesso.
Il tuo cuore è sempre rimasto limpido”.

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