UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
19 Marzo 20XX
Forse era
la prima volta che Ruby camminava rilassato, per le strade di Austropoli. Non
era mai sceso in città di sera, e costeggiare il lungomare sulla zona del
porto, con le barche ormeggiate e i lampioni che inondavano di luce gialla i
marciapiedi, era assai stimolante.
Le
persone, di ogni razza ed etnia, la sera sembravano essere totalmente
differenti da quelle viste quel giorno a pranzo.
Sembravano
più rilassate.
Molte
sorridevano, e la cosa era strana, dato che, tralasciando le ragazze che
lavoravano nella hall dell’agenzia e White stessa, non aveva mai visto nessuno
farlo, lì. Sembravano tutti così rappresi, come se il tempo fosse sempre
insufficiente per essere gentili col prossimo, in maniera spontanea e
disinteressata.
Si trovava
davanti a una pizzeria con l’insegna rossa quando il cellulare squillò.
“Pronto?”
fece.
“Allora sei vivo. Che rivelazione!”.
“Hey,
Sapph…” sorrise Ruby, sospirando e maledicendosi per aver dimenticato di
telefonarla. “Ho un sacco di cose da raccontarti”.
“Già! Tipo perché oggi non ti sei fatto vivo!
Ho evitato di disturbarti coi messaggi e le chiamate, fino ad ora, perché avevo
paura d’interrompere qualche situazione di lavoro in particolare… Mica stai
lavorando?!” esclamò infine, preoccupata.
“No”
sorrise ancora il ragazzo. “No, sono per strada. Sto raggiungendo un posto in
periferia, qui ad Austropoli. White mi ha chiesto di accompagnarla, è un match
di boxe in cui lei dovrà parlare di lavoro”.
“… Sei serio?”.
Ruby
aggrottò la fronte. “Cosa?”.
“Hai un appuntamento col tuo capo, stasera?!
A te non piace neppure, boxe!”.
“Un
appuntamento di lavoro! E poi la boxe è una nobile arte!”.
“Fanculo la boxe! Stasera starete comunque da
soli e… cazzo, non mi piace fare la parte della gelosa!”.
“Infatti
non lo sei mai stata…” sospirò il ragazzo, grattandosi la nuca, con un grosso
punto interrogativo in faccia.
“Ma è logico!” urlò l’altra attraverso il
cellulare. “Sono sempre stata vicino a
te! Nessuno si sarebbe permessa di fare la stronza con me nei paraggi!”.
“Avrebbero
avuto paura, ovviamente…” sorrise l’altro, schernendola con quella strana
dolcezza che utilizzava solo con lei.
“… Smettila. Per favore. Per me è una
sofferenza…”.
“Lo so,
Sapph. Mi spiace molto… Ma sto per svoltare, finalmente!”.
“Che significa, che stai per svoltare? Vuoi saperlo da me?!
Te lo dico io! Significa che ti trasferirai lì in pianta stabile e che mi
costringerai ad abbandonare il mio lavoro per seguirti!”.
“No,
Sapphire, fermati. Non ho mai detto nulla del genere”.
“E che succederà se io non potrò seguirti?!
Vivremo in questo modo?! Non finirò per chiamarti tutti i giorni per tutto il
giorno!” urlava. “Questa è una
situazione orribile!”.
“Calmati!
Che cosa stai blaterando?!”.
“Ho paura!” gridò. Due parole che
raggiunsero la base del collo del ragazzo come una stilettata, stendendolo
immediatamente. “Mi manchi e ho bisogno
di averti qui!”. Respirò. “Quando tornerai?”.
“Io…
Tornerò il prima possibile, Sapph. Ma non devi aver paura… Io sono lontano, è
vero, ma sono sempre la persona che ti starà accanto per il resto della vita.
Ce lo siamo promessi”.
“Lo so…” sussurrò.
“E io
mantengo sempre le mie promesse, Sapph, lo sai”.
“Sì, lo so…”.
“Devi
stare tranquilla. Tra poco sarà Pasqua. Che ne dici di venire qui per un paio
di giorni? Saremo in un albergo lussuosissimo, tutto spesato dall’agenzia”.
Dall’altra
parte solo il silenzio.
“E come puoi permettertelo?”.
“Fino alla
prima sfilata White vuole che stia nell’Hotel Continental, e sinceramente non
ho avuto il coraggio di dirle di no troppe volte. Il buco dove stavo ora mi
ricorda il Dolphin Hotel di quel film
con John Cusack…”.
“Odio quel film…”.
“Anche
io. Vieni qui, stiamo un po’ assieme, ti faccio conoscere le persone
dell’ambiente e almeno ti tranquillizzerai un po’”.
“Pasqua?”.
“Un paio
di settimane. Prenoto i biglietti”.
“Mi vieni a prendere all’aeroporto?”.
“Certo”.
“Va bene…”sbuffò. “Allora vedi per i biglietti…”.
“Va
bene. Sono arrivato. Ti faccio un messaggio più tardi. E stai tranquilla. Sai
che ti amo”.
“Anche io”.
Ripose il
telefono nella tasca interna della giacca nera che indossava, non prima di aver
tirato fuori l’angoscia che attanagliava il suo stomaco con un lungo sospiro.
“Gesù…”
disse tra sé e sé. Voltò l’angolo e si trovò davanti a una lunga fila di
persone. Tutti lì sembravano persone realizzate nella vita, sorridevano e
sembravano non avere grilli per la testa. Contrariamente a ciò che pensava
erano presenti molte donne, ingioiellate e avvolte in lunghe e costosissime
pellicce che ormai sapevano di pacchiano, che accompagnavano uomini grassi e
sudaticci chiusi nei loro completi Armani.
Stringeva
tra le mani il lasciapassare che White gli aveva dato poche ore prima. Superò a
destra la grande fila che lo guardava in cagnesco, fermandosi davanti al
buttafuori.
Era un
tizio di colore, alto e dai capelli rasati. Non sembrava che il freddo
circostante lo interessasse, dato che indossava semplicemente una maglietta
aderente nera.
I grossi
bicipiti parevano esplodere.
Ogni volta
che Russell, così c’era scritto sulla
targhetta sul suo petto, apriva la porta dell’arena una baraonda infernale
fatta di urla e musica ad alto volume si gettava sui volti dei prossimi che
sarebbero entrati, avvilendoli leggermente. Stupendoli.
Accrescendo
la loro impazienza.
“Prego”
fece quello. Non era una domanda. Ruby tirò fuori il piccolo cartellino di
plastica e vide l’adone nero annuire e fare un cenno con la testa a un secondo
buttafuori, sempre di colore ma più minuto, che lo avvicinò e lo accompagnò
dentro.
Non appena
varcata la soglia, le orecchie s’ovattarono. Stavano scendendo un lungo
corridoio fatto di scale, in cui la musica tecno veniva sparata ad alto volume.
Sulla destra e sulla sinistra vi erano diverse porte, tutte chiuse, meno che la
penultima.
La
superarono, fermandosi davanti all’ultima. Il buttafuori si voltò e ripercorse
le scale al contrario, lasciando il giovane di Hoenn da solo.
Per
intuito, capì che dovesse aprire la porta. E lo fece, trovando un ambiente
profondamente silenzioso. C’erano diverse poltroncine, ordinatamente distese
davanti a una balaustra.
Erano
vicinissimi al ring, ma erano in alto, e potevano vedere il match lontani dalla
gente che si accalcava sugli spalti inferiori.
“Queste
sono le tribune” sorrise White, accanto a lui. Ruby voltò la testa e la vide
alla sua destra, con indosso un abito da sera molto elegante, nero. Manteneva
un bicchiere di vino tra le mani.
Forse era
Chardonnay.
“Buonasera,
White”.
“Ciao, caro” sorrise quella, scambiando un paio di baci sulle guance con quello e sospirando. “Mr. Irishwound non ha la fama di persona puntuale”.
“Ciao, caro” sorrise quella, scambiando un paio di baci sulle guance con quello e sospirando. “Mr. Irishwound non ha la fama di persona puntuale”.
“Oh. Va bene”
annuì lui, facendole spazio per farla passare davanti. Si accomodò, White,
sulla penultima poltroncina. Era ovvio che Ruby dovesse sedersi su quella
successiva, per lasciarla conversare di lavoro col ritardatario con quel
cognome così particolare.
E lo fece,
rilassando forse per la prima volta i muscoli e guardando davanti a sé: il ring
era vuoto e la musica era forte ma meno aggressiva di quella incontrata in quel
corridoio. Tutt’intorno gli spalti erano pieni di gente. L’entourage dei
pugili, tali Micheal Blizzard Halliwell
e John The Punisher Fazland, era già
a bordo ring. Lo speaker incitava la folla ma, sinceramente, Ruby non riusciva
a capire cosa stesse dicendo. La campanella suonò una prima volta, con i pugili
che scendevano da due passerelle diverse, osannati dalla folla urlante.
Salirono sul ring, i loro allenatori erano accanto a loro, li caricavano come
molle impazzite, stringevano loro i guantoni, blu per Blizzard e neri per The
Punisher. E subito dopo White fu rapita dall’eleganza della ring-girl, che
passava elegantemente sul quadrato col cartellone del primo round in mano.
“Ruby…” lo
chiamò lei, quasi con un sussurro. “Guardala”.
Distratto,
lui, alzò lo sguardo e poi s’accigliò.
Era
bionda, quella, coi capelli legati in una lunga treccia selvaggia che arrivava
quasi alle natiche. Indossava una canottiera che metteva in risalto il corpo
elegante e slanciato, dei pantaloncini molto corti e un paio di alti tacchi su
cui sapeva camminare in maniera sopraffina, senza dimostrare la minima
difficoltà di sorta.
“Quella
ragazza è meravigliosa” sorrise la Presidentessa.
“Già…
Davvero. Quella ragazza è davvero meravigliosa”.
Pochi
secondi dopo Mr. Irishwound fece il proprio ingresso nel piccolo bussolotto,
accompagnato da Irina, una ragazza dell’est che tutto voleva, quella sera,
tranne che imbellettarsi e mostrare a tutti la glacialità siberiana di cui era
dotata. E fu così che dovette resistere per circa un paio d’ore, col brusio
costante del suo capo che parlava incessantemente di lavoro tra una pausa e
l’altra in cui il povero Irishwound voleva guardare il match, con la
fastidiosissima presenza della donna dell’est che tutto faceva tranne sentirsi
a proprio agio, con ripetuti e freddi sospiri, e la voglia di vedere il round
finire, per far passare nuovamente la ragazza col cartellone.
E quando
succedeva, anche White finiva di parlare.
Finì ai punti.
Dodici riprese, dodici uscite della donna e dodici volte che il battito
diventava irregolare. Vinse Blizzard.
La serata
terminò con White che, con un accordo di massima ottenuto col futuro cliente,
decise di fare un colpo di testa.
Prese Ruby
per mano e uscì fuori, immettendosi nel rumorosissimo corridoio e continuando a
scendere giù, verso gli spalti.
“DOVE
ANDIAMO?!” urlava Ruby, ma evidentemente White non lo sentiva per via del forte
frastuono, dato che non rispose. Arrivò verso i cancelli per gli spalti
inferiori.
Fu allora
che Ruby la fermò. Si voltò, quella, con un grosso punto interrogativo sul
volto.
“CHE
C’È?!” domandò.
“COSA STAI
FACENDO?!”.
“STO
CERCANDO DI SALVARE LA MIA SFILATA!”.
Il ragazzo
rimase in silenzio, vedendola parlare con un altro grosso omaccione, caucasico
stavolta, probabilmente russo o dell’est Europa. Quello fece cenno di no alla
domanda posta da White, che per tutta risposta cominciò a sbraitare qualcosa
d’incomprensibile.
L’uomo
puntò il grosso dito verso destra, White annuì e tornò indietro da lui,
avvicinandosi all’orecchio del ragazzo.
“NON CI FA
ENTRARE A PARLARE CON LEI, MA HA DETTO CHE POSSIAMO ASPETTARLA FUORI, NEI
PARCHEGGI! SI CHIAMA YVONNE!”.
“YVONNE?!”.
“SI. SARÀ
DI KALOS”.
“COME?!”.
“DI KALOS!
SARÀ DI KALOS!”.
“KALOS?! E
COSA DIAMINE CI FA QUI?!”.
“COSA?!”.
Ruby fece
un cenno con la mano e voltò la testa, seguendo la Presidentessa. Rientrarono
nel lungo corridoio e uscirono, trovandosi nella folla di chi aveva appena
finito di vedere il match.
“Eppure non avrei mai creduto che tu avessi potuto avere
occhi per un’altra donna. Anche solo per un istante”.
“Non sento
più nulla…” disse il ragazzo, continuando a seguire la più rapida White che,
sui tacchi alti, si faceva strada tra le persone. Lo stilista aumentò il passo
e l’affiancò, vedendola col mento alzato, mentre cercava qualcosa.
“Gate 18”
continuava a ripetere, ritornando sulla strada del lungomare e girando
praticamente attorno al grosso palazzo in cui erano entrati.
Sul lato
ovest, praticamente ai confini con la periferia, c’era un grosso cancello con
su affisso un cartello ingiallito. 18 c’era
scritto sopra, con vernice sbiadita dal tempo.
“Ecco!”
fece, correndo come meglio poteva su quei tacchi. “Ecco il cancello”.
“Che hai
intenzione di fare?” domandò quello. “Abbiamo da fare e…”.
“Yvonne?”
domandò White a una persona che usciva dal cancello. Quello fece spallucce e si
dileguò nel buio. “L’hai vista, no? Ha classe e portamento, e sa sfilare”.
“Ha
camminato su di un ring con un cartello in mano, non alla Milano Fashion Week…”.
“Ecco
perché sono dove sono, Ruby. Io vedo il potenziale. Così come ho fatto con te,
anche in Yvonne vedo quel je ne sais
quois… Quella ragazza ha talento”.
“È
sicuramente una bellissima ragazza ma…”.
“Ho deciso
così” concluse quella. “Ora aspetta qui con me, che questa zona è pessima. Hai
Pokémon con te? Nel caso dovessimo difenderci”.
“Ehm… certo, ma…”.
“Ehm… certo, ma…”.
“Benissimo,
tesoro”.
Passarono
quasi venti minuti, costellati di Yvonne a
persone che non sapevano fare altro che alzare le spalle e sfilare via. Videro
anche la Maybach di Blizzard e la
Porsche di The Punisher.
E poi,
quasi per ultima, uscì lei, stretta in un finissimo cappottino di pelle beige,
coi capelli sciolti e il trucco sfatto sul volto.
White
sobbalzò e Ruby dovette effettivamente ammettere a se stesso che quella fosse
davvero, davvero bella.
“Yvonne!”
esclamò la Presidentessa, vedendola spalancare gli occhi.
“O-oui?”.
“Oh, parli
francese?! Non capisci la mia lingua?”.
Quella
annuì, sospettosa. Vide però davanti una coppia di persone ben vestite, e non i
soliti brutti ceffi che cercavano di portarsela a letto. “Capisco… Capisco…”
fece, con un marcato accento francofono. “Ma non voglio niente. Vado a casa a
dormire e basta”.
“Ma no, ma
no, stai tranquilla! Io mi chiamo White e lui è Ruby. Gestisco un’agenzia di
modelle e…”
“No. No,
no, no, no, niente modelle. Non voglio problemi”.
“Ma come?!
Ti pagherei! Contratto, vitto e alloggio! Che ne dici?!”.
“Vitto e
alloggio?” domandò confusa, guardando Ruby.
“Casa e
cibo” l’aiutò lui.
“Vitto e
alloggio” ripeté Yvonne, annuendo. “E soldi?”.
“Sì,
vitto, alloggio e soldi” annuì White, sorridente. “Lavoro alla BW Agency, ti
farò lavorare e uscirai da questo posto… non bello, ecco” fece, sforzandosi di
trovare una parola non volgare e porgendole il bigliettino da visita.
Yvonne
allora mostrò uno splendido sorriso.
“Aspetto
una tua chiamata” continuò White. E poi si voltò, lasciando la bionda nel vento
di quella sera.
“Che poi non ne hai mai avuto bisogno. Sono sincera quando
dico di aver fatto sempre il massimo per renderti felice, anche quando non
riuscivo proprio a farmi andare giù qualcosa.
Una di quelle rare volte in cui il nostro essere diversi
finiva non per completarci ma per dividerci.
Una di quelle rare volte in cui eravamo costretti a far
capolino a vicenda l’un verso l’altra.
Dato che non eravamo vicini.
E la cosa rara era appunto quella: che non fossimo vicini”.
21 Marzo 20XX
Il
cellulare vibrava sul comodino di Ruby quando lui aprì gli occhi, quella
domenica.
E non ne
aveva per nulla voglia.
Non era
per niente quel tipo di persona che si svegliava ed era già attivo e operativo.
No, per
nulla. Sapphire era così.
Lui si
svegliava e passava una decina di minuti nel letto, scorrendo velocemente la
bacheca di Facebook, leggendo le notifiche e indugiando sull’orologio che,
inesorabile, aggiungeva un numero ogni sessanta secondi e contribuiva ad
aumentargli l’angoscia.
Passati
quei dieci minuti si alzava, si lavava e affogava i dispiaceri in un
caffellatte, rigorosamente coperto di cacao magro.
Generalmente
non lasciava il cellulare acceso durante la notte, a maggior ragione di
domenica. Ma aveva lavorato fino a tardi al vestito color turchese che era
praticamente rovinato sul letto, rotolato nel pigiama accidentalmente e s’era
spento.
Lui, non
il telefono.
Telefono
che era rimasto in stand-by.
“P-pront-to…”
bofonchiò, con la guancia destra totalmente affondata nel cuscino.
“Ha accettato. Scendi nella hall, ti aspetto, che andiamo a
prenderla”.
“Ma chi
è?” chiese, voltandosi di schiena e piazzando la testa tra i due comodissimi
guanciali.
“Il tuo capo, White, la tua socia. Chi altri? Yvonne sta
aspettando te”.
“Beh, che
aspetti… devo farmi una doccia e…”.
“E nulla, scendi e fai presto”.
“…”.
“… Insomma?”.
“…”.
“…”.
“… Tra
quanto tempo devo essere pronto?”.
“Due
minuti fa”.
Mezz’ora
dopo Ruby scese nella hall dell’albergo, con indosso una caldissima giacca di
tweed e il solito borsalino sulla testa. Uscì dall’ascensore e si guardò
intorno.
L'ambiente
era fine ed elegante, ben diverso da quello dell'agenzia di White. Corcovado fluiva dagli altoparlanti
denso e piacevole, caldo, immergendo tutti in un mood positivo.
Camminò in
avanti, calpestando i costosissimi marmi di Carrara che rivestivano il
pavimento. Sui divanetti davanti la reception vi era seduta la Presidentessa,
con le gambe accavallate, auricolare all'orecchio e mani libere di gesticolare.
"Sì,
Black, ma ti prego! Ti prego, ti prego, ti prego! Pensaci! So che hai fatto un
viaggio all'inferno, andata e ritorno, ma pensaci. Dopo tutto quello che
abbiamo passato assieme sarebbe anche un bel modo di rivederci! Da quando il
lavoro mi pressa così tanto io non...".
Poi
incontrò lo sguardo rubino del ragazzo di Hoenn, spalancò gli occhi e contrì le
belle labbra carnose. "Ora devo andare... Lo so, lo so. Anche io... Fatti
sentire".
Cliccò il
tasto sull'auricolare e sbuffò, alzandosi in piedi.
Ruby la
squadrò, apprezzando particolarmente i knickerbockers bianchi alla caviglia.
Quella
destra era impreziosita da una cavigliera d'argento.
Loboutin di
pelle, bianche come la camicetta, e giacca nera da sopra.
"Sei
elegantissima, Presidentessa. Stai davvero bene".
"Ti ringrazio, mio caro" sorrise cordialmente quella. Smontò l'auricolare dall'orecchio e salutò con una coppia di baci lo stilista. "Non è cavalleresco far aspettare una signorina come me per tutto questo tempo".
"Ti ringrazio, mio caro" sorrise cordialmente quella. Smontò l'auricolare dall'orecchio e salutò con una coppia di baci lo stilista. "Non è cavalleresco far aspettare una signorina come me per tutto questo tempo".
"Pardon"
disse, staccandosi e prendendo il cellulare tra le mani. C'erano due messaggi
di Sapphire; li aprì.
Buongiorno dormiglione! Sto adnando a Petalipoli
da tuo padre! Uno degli Slaking sta per deporre un uovo e sappiamo entrambi
quanto sia difficile questa fase. 08:23
*andando 08.24
Sì, mamma mi aveva detto che
Lona fosse incinta. Mio padre ha voluto lasciarla accoppiare per allevare
qualche Slakoth. Non lo capisco proprio, li lascia evolvere e gli Slaking sono
Pokémon rozzi e pigri. Puzzano e sporcano e... Non mi piacciono insomma, credo
che siano Pokémon poco adatti al mio modo di vedere le cose. Ho una sorpresa in
serbo per te, comunque. 11:10
"È la
tua signora?" domandò White, mentre entrava sul taxi giallo. Scivolò di
lato, facendo spazio a Ruby.
"Ehm...
sì".
Quella lo
fissò per qualche secondo, parecchio a disagio.
"Se
t'infastidisce non faccio domande. Forse è un periodo un po' particolare e non
ti va di parlarne..."
"No,
ma che, ma che... no, no, no, non è questo. È che è la prima volta che siamo
così distanti per così tanto tempo e qualche giorno fa, diciamo, abbiamo avuto
una sorta di discussione...".
Poi il
telefono di White squillò.
"Scusa
un minuto..." fece, indossando nuovamente l'auricolare e cominciando a
parlare.
Ruby
riprese il cellulare e guardò la conversazione con Sapphire.
Sì, mamma mi aveva detto che
Lona fosse incinta. Mio padre ha voluto lasciarla accoppiare per allevare
qualche Slakoth. Non lo capisco proprio, li lascia evolvere e gli Slaking sono
Pokémon rozzi e pigri. Puzzano e sporcano e... Non mi piacciono insomma, credo
che siano Pokémon poco adatti al mio modo di vedere le cose. Ho una sorpresa in
serbo per te, comunque. 11:50
Tu dormi troppo. 11.52
Sorpresa? Che sorpresa? 11.52
Che sorpresa sarebbe se te
lo dicessi? 11:52
Non puoi mettermi la pulce nell'orecchio in
questo modo e poi tirarti indietro! Forza! Dimmelo! 11.52
Non ti dico proprio niente.
Ora accompagno White a prendere una modella
11:53
Sempre con questa? Che qualifica hai per
scegliere una modella? 11.53
La qualifica del senso del
bello, io. Ti devo ricordare che quando ti ho rivista eri vestita con le foglie
e avevi il fango in faccia e tra i capelli? 11:53
Zitto, ero sexy 11.53
Ruby non
riuscì a non sorridere.
Zitto, ero sexy 11.53
Non posso assolutamente
negarlo 11:54
Certo che non puoi! 11.55
Comunque non mi fa così tanto piacere che tu vada
con la tua bellissima capa a prendere una modella. Non vorrei che in mezzo a
tutte queste donne incredibili e meravigliose ti dimenticassi come sono fatte
le donne vere e normali. Cioè me. 11.57
Tu sei incredibile e
meravigliosa. Non mi sconvolgono questi quattro mucchietti d'ossa. 11:57
Ruffiano del cazzo. Ora torno al lavoro. Ti amo. 11.57
Pure io. A dopo. 11:57
E ripose
il cellulare nella giacca. Gli mancavano quei battibecchi tragicomici, assieme
alle scenate di gelosia velate di minaccia e umorismo.
Sapphire
era il suo mondo.
E il suo
mondo gli mancava in maniera incommensurabile. White parlava ancora col suo
interlocutore, mentre il tassista, pakistano d'origine ma figlio di
quell'Austropoli globalizzata li stava portando nella periferia della città, a
Bellevie Avenue, uno dei luoghi meno gettonati dell'intera megalopoli.
Ruby si
sistemò meglio in quel taxi, infastidito da quell'odore di curry che aleggiava
nell'abitacolo. Si guardò le mani, passò poi a quelle di White, ben curate, con
lo smalto passato da poco, quindi poggiò lo sguardo sulle gambe della donna, avvolte
nel morbido tessuto dei pantaloni alla zuava.
Rialzò gli
occhi, incontrando lo sguardo sfuggevole di quella, che poi poggiò la fronte su
quel vetro gelido.
Lui fece
altrettanto, ma dall'altra parte.
Forse
quando Sapphire si sarebbe presentata lì quella malinconia che tanto lo
dilaniava nel petto sarebbe finita.
Arrivarono
dieci minuti dopo.
White
aveva terminato la telefonata, mostrando a Ruby i vestiti che avrebbero
indossato le modelle e notando ogni singola espressione del volto,
d'apprezzamento o di disappunto che fosse.
"Questo
è quello che doveva indossare Camelia" disse poi, facendogli vedere la
fotografia d'un abito lungo, color sabbia, con uno shesh che partiva dalla
testa e, a spirale, girava intorno e scendeva, fino a terminare alla caviglia
destra.
Elegante e
d'avanguardia, ma eccessivo.
Il corpo
d'Yvonne ben si adattava a quel tipo d'abito, essendo la ragazza alta e tonica
nei punti in cui l'abito cadeva più stretto.
"Bellevie
Avenue 47, siamo arrivati" aveva annunciato il tassista, voltandosi verso
White, capendo che fosse lei quella che prendeva le decisioni. Ruby si voltò
verso destra, vedendo un grosso albero dai rami spogli, probabilmente morto,
all'interno d'un giardino in cui le assi delle staccionate lasciavano
intravedere l'erba secca e qualche pneumatico tagliato in due.
"Dieci
minuti e torniamo indietro con una terza persona... Aspetti qui" disse
White, aprendo la portiera e uscendo con garbo per strada.
"Vieni"
disse poi a Ruby, chiudendo lo sportello e girando attorno alla macchina.
Assieme allo stilista raggiunse il cancello al centro della staccionata
sdentata e attraversò il vialetto che tagliava in due il cadavere di quel
giardino. Le mattonelle che avrebbero dovuto calpestare erano state totalmente
divelte dal sentiero di terra battuta che era rimasto lì.
Salirono
un paio di scalini e si trovarono davanti la porta.
COMMUNITY HOUSE OF BELLEVIE AVENUE c'era scritto sulla targhetta. La
Presidentessa premette il campanello, facendo un passo indietro.
Ma la
porta era semichiusa.
Ruby
poggiò la mano sul legno di rivestimento su cui qualcuno aveva inciso la
scritta PLASMA SUCKS, sentendo poi i
cardini cigolare rumorosamente. Guardò White, inquietato.
Dentro non
c'erano luci accese; nonostante non fosse primo mattino, tutte le finestre
erano chiuse, lì.
"È
permesso?" domandò White, avanzando piano. Ruby la seguì, le afferrò il
polso, con quel senso d'inquietudine che continuava a crescere e la sorpassò.
L'atrio di
quella comune non era composto da altro che un piccolo tavolino su cui vi era
poggiato un candelabro interamente ricoperto di cera rossa, accanto a un paio
di chiavi e un paio di monete di qualche altra nazione che lì non avevano alcun
valore, ricoperte da una patina nerastra, propria dei soldi vecchi.
"Yvonne!"
la chiamò lo stilista, uscendo dall'atrio e immettendosi nel salotto. Aveva un
grande divano davanti, su cui una ragazza col piercing all'ombelico dormiva
beatamente. Aveva i capelli biondi spettinati e un grosso tatuaggio che
fuoriusciva dal bordo dei pantacollant.
Forse un
tribale, forse una scritta, non lo riusciva a capire da lì.
Il
tavolino davanti a lei era coperto da libri universitari, da un grinder che
aveva impestato la stanza di odore di marijuana e da mozziconi di sigarette mai
accese e filtri consumati dal fuoco di canne ammazzate da qualcuno. La tv era
accesa senza volume, dove Tea di HChannel stava dando le notizie sportive.
Si parlava
di Blizzard vs The Punisher. Ruby allungò l'occhio oltre il divano, vedendo la
schiena nuda di un ragazzo alto e fuori forma che, di spalle, stava riempiendo
con dell'acqua qualcosa.
Non s'era
accorto di nulla.
"Ehm...
Scusa" lo chiamò White, ancora stretta al polso da Ruby. Gli si fermò
accanto, aspettando i biblici tempi di reazione di quello.
"Scusa!"
ribatté Ruby, alzando la voce.
Non
ottenne l'effetto sperato, ma fece svegliare la ragazza sul divano. Un grosso
paio d'occhi verdi divenne protagonisti del suo volto.
"Chi...
chi cazzo sareste voi?" domandò, con voce compressa.
"Cerchiamo
Yvonne" rispose White.
"Se
Sergei non l'ha già ammazzata dovrebbe..." poi sbadigliò "...
dovrebbe essere al piano di sopra...".
"E
chi cazzo sarebbe Sergei?" urlò la Presidentessa. Poi il ragazzo che era
in cucina si voltò, con un enorme spinello in bocca, gli occhi arrossati che
originariamente dovevano essere d'un delicatissimo color nocciola e i capelli
biondi arruffati. Aveva un drago tatuato sul pettorale sinistro e un mandala
tribale su quello sinistro, dove non aveva un capezzolo: una grossa cicatrice,
difatti, partiva dal centro del muscolo a sinistra e attraversava l'intero
fianco, fino a raggiungere la zona dell'anca.
Il grasso
corporeo dell'uomo era tanto. Radi peli biondi gli coprivano la pancia.
"Il
suo ragazzo" rispose quella sul divano. Voltò poi il capo, sentendo il
biondo arrivare.
"Lui"
aggiunse. "Lui è Sergei, ma è strafattissimo e non credo riuscirà a
rispondere".
Ruby guardò White e aggrottò la fronte.
Ruby guardò White e aggrottò la fronte.
"Lui
è il ragazzo d'Yvonne?!" domandò lo stilista, sconcertato.
Alla
parola Yvonne quello sembrò
rinsavire.
"Ivonn - gryaznaya shlyukha!" urlò, immensamente adirato.
White
guardò immediatamente la ragazza. "Che diamine ha detto?".
"Che
Yvonne è una lurida troia. Gde seychas?"
fece poi, concludendo con una domanda.
"Ona ubezhala i zaperlas' v vannoy! Kak
tol'ko on vyydet, ya klyanus', chto on plachet nozhom vo vlagalishche!"
rispose quello, urlando come un forsennato. Si voltò, sedendosi lentamente sul
divano accanto all'altra e prendendo una grossa boccata dalla sigaretta
simpatica che aveva tra le dita.
"Che
ha detto?" domandò invece Ruby.
"Niente
di bello. Vuole ucciderla ma lei si è chiusa nel bagno. E ha detto anche altre
cose che non sono belle da dire...".
"Lui
non uccide proprio nessuno!" esclamò quella, voltandosi e tornando
nell'ingresso, prendendo la scalinata che portava al piano di sopra.
"White!"
la seguì il ragazzo. "Dobbiamo stare attenti!".
"Devo
portare Yvonne fuori da questo cesso!" esclamò a sua volta la
Presidentessa, con la coda di cavallo che seguiva il movimento delle anche di
quella.
Salirono
dodici scricchiolanti scale e si trovarono al piano superiore della comune.
"E
ora dove cazzo è il bagno! Yvonne!" chiamò alterata la donna, seguita
sempre dal fido Ruby. Aprì tutte le porte, una delle quali occupata da due
ragazze intente a praticarsi del sesso orale a vicenda. L'ultima porta sulla
destra era invece chiusa a chiave.
"È
qui dentro! Ruby, sono White!".
"Vai via!" urlò l'altra, da dietro
la porta. "Non voglio uscire!".
"Sono
davvero io! Sono qui con Ruby! Siamo venuti a prenderti e a portarti via da
qui!".
La donna
in bianco batteva i pugni sulla porta, cercando in Ruby una risoluzione rapida
al problema. Il solo pensiero che Sergei potesse salire da un momento all'altro
la immergeva in una tinozza di panico da cui non riusciva a uscire.
"Ti
prego, Yvonne! Dobbiamo andare velocemente via da qui!".
"Andatevene! Je veux m'éloigner de cette
ville de merde!".
White
impallidì. "E ora che cazzo ha detto..." sospirava, mentre poggiava
la fronte sulla porta.
"Ha
detto che vuole andare via da questa città di merda".
"Parli
francese?" chiese l'altra, voltando il viso.
"Un
po'... Yvonne" la chiamò. "Yvonne, sono Ruby. Ricordi? Ero con
White".
"Andate via!" urlò ancora.
"Quando
abbiamo parcheggiato qui avanti mi sono sorpreso di come una ragazza bella come
te possa vivere in un luogo del genere. Dammi pure del superficiale..."
sorrise lui, mettendo una mano sulla spalla di White "... ma credo che
quelli come te siano diversi da tutti gli altri. E ciò che è certo è che non
meritano di vivere col terrore di poter morire per mano di un drogato, che vive
con lei".
Il
silenzio fu rotto soltanto da un gemito di piacere proveniente dalla camera con
le due donne.
"Sei
venuta qui a Unima per vivere un sogno. Datti una possibilità" fece ancora
il ragazzo.
Pochi
secondi dopo la serratura scattò.
White
sorrise, indietreggiando assieme all'altro e vedendo apparire la figura di
Yvonne dietro la porta che si apriva.
Aveva il
volto basso, i lunghi capelli biondi raccolti in una coda spettinata e il
trucco sciolto sulle guance. Indossava una lunga maglietta, probabilmente di
Sergei, sporca di mascara.
"Scusate.
Grazie per quest'opportunità".
Ruby
sorrise, vedendo White prenderla per mano e uscire fuori.
Dieci
minuti dopo lei aveva chiuso un borsone con la sua roba e, assieme agli altri
due, stava lasciando per sempre la comune.
Passarono
davanti a Sergei, collassato sul divano, e all'altra ragazza dagli occhi verdi,
che dormiva nuda su di lui.
Il taxi
era ancora lì. Vi entrarono e ritornarono verso il centro di Austropoli. Per
tutto il viaggio Yvonne non aveva pronunciato parola, mentre White continuava
una discussione telefonica con un certo Black, che Ruby non aveva alcuna idea
di chi fosse.
White la
sistemò nell'albergo dove soggiornava Ruby.
Proprio la
porta accanto alla sua.
"Il problema, ora, credo che stia nella mia testa.
Perché ciò che ho visto, ciò che mi hai detto, ha creato un nodo nella mia
mente che non riesco a sciogliere.
Ruby, riesci a sbrogliare il groviglio che ho qui
dentro?"
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