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Andy Black - Unravel Me - 3. Tre (III)



UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).




19 Marzo 20XX
Forse era la prima volta che Ruby camminava rilassato, per le strade di Austropoli. Non era mai sceso in città di sera, e costeggiare il lungomare sulla zona del porto, con le barche ormeggiate e i lampioni che inondavano di luce gialla i marciapiedi, era assai stimolante.
Le persone, di ogni razza ed etnia, la sera sembravano essere totalmente differenti da quelle viste quel giorno a pranzo.
Sembravano più rilassate.
Molte sorridevano, e la cosa era strana, dato che, tralasciando le ragazze che lavoravano nella hall dell’agenzia e White stessa, non aveva mai visto nessuno farlo, lì. Sembravano tutti così rappresi, come se il tempo fosse sempre insufficiente per essere gentili col prossimo, in maniera spontanea e disinteressata.
Si trovava davanti a una pizzeria con l’insegna rossa quando il cellulare squillò.
“Pronto?” fece.
Allora sei vivo. Che rivelazione!”.
“Hey, Sapph…” sorrise Ruby, sospirando e maledicendosi per aver dimenticato di telefonarla. “Ho un sacco di cose da raccontarti”.
Già! Tipo perché oggi non ti sei fatto vivo! Ho evitato di disturbarti coi messaggi e le chiamate, fino ad ora, perché avevo paura d’interrompere qualche situazione di lavoro in particolare… Mica stai lavorando?!” esclamò infine, preoccupata.
No” sorrise ancora il ragazzo. “No, sono per strada. Sto raggiungendo un posto in periferia, qui ad Austropoli. White mi ha chiesto di accompagnarla, è un match di boxe in cui lei dovrà parlare di lavoro”.
… Sei serio?”.
Ruby aggrottò la fronte. “Cosa?”.
Hai un appuntamento col tuo capo, stasera?! A te non piace neppure, boxe!”.
“Un appuntamento di lavoro! E poi la boxe è una nobile arte!”.
Fanculo la boxe! Stasera starete comunque da soli e… cazzo, non mi piace fare la parte della gelosa!”.
“Infatti non lo sei mai stata…” sospirò il ragazzo, grattandosi la nuca, con un grosso punto interrogativo in faccia.
Ma è logico!” urlò l’altra attraverso il cellulare. “Sono sempre stata vicino a te! Nessuno si sarebbe permessa di fare la stronza con me nei paraggi!”.
“Avrebbero avuto paura, ovviamente…” sorrise l’altro, schernendola con quella strana dolcezza che utilizzava solo con lei.
… Smettila. Per favore. Per me è una sofferenza…”.
“Lo so, Sapph. Mi spiace molto… Ma sto per svoltare, finalmente!”.
“Che significa, che stai per svoltare? Vuoi saperlo da me?! Te lo dico io! Significa che ti trasferirai lì in pianta stabile e che mi costringerai ad abbandonare il mio lavoro per seguirti!”.
No, Sapphire, fermati. Non ho mai detto nulla del genere”.
E che succederà se io non potrò seguirti?! Vivremo in questo modo?! Non finirò per chiamarti tutti i giorni per tutto il giorno!” urlava. “Questa è una situazione orribile!”.
“Calmati! Che cosa stai blaterando?!”.
Ho paura!” gridò. Due parole che raggiunsero la base del collo del ragazzo come una stilettata, stendendolo immediatamente. “Mi manchi e ho bisogno di averti qui!”. Respirò. “Quando tornerai?”.
“Io… Tornerò il prima possibile, Sapph. Ma non devi aver paura… Io sono lontano, è vero, ma sono sempre la persona che ti starà accanto per il resto della vita. Ce lo siamo promessi”.
Lo so…” sussurrò.
“E io mantengo sempre le mie promesse, Sapph, lo sai”.
Sì, lo so…”.
“Devi stare tranquilla. Tra poco sarà Pasqua. Che ne dici di venire qui per un paio di giorni? Saremo in un albergo lussuosissimo, tutto spesato dall’agenzia”.
Dall’altra parte solo il silenzio.
E come puoi permettertelo?”.
“Fino alla prima sfilata White vuole che stia nell’Hotel Continental, e sinceramente non ho avuto il coraggio di dirle di no troppe volte. Il buco dove stavo ora mi ricorda il Dolphin Hotel di quel film con John Cusack…”.
Odio quel film…”.
Anche io. Vieni qui, stiamo un po’ assieme, ti faccio conoscere le persone dell’ambiente e almeno ti tranquillizzerai un po’”.
“Pasqua?”.
“Un paio di settimane. Prenoto i biglietti”.
Mi vieni a prendere all’aeroporto?”.
“Certo”.
Va bene…”sbuffò. “Allora vedi per i biglietti…”.
Va bene. Sono arrivato. Ti faccio un messaggio più tardi. E stai tranquilla. Sai che ti amo”.
Anche io”.
Ripose il telefono nella tasca interna della giacca nera che indossava, non prima di aver tirato fuori l’angoscia che attanagliava il suo stomaco con un lungo sospiro.
“Gesù…” disse tra sé e sé. Voltò l’angolo e si trovò davanti a una lunga fila di persone. Tutti lì sembravano persone realizzate nella vita, sorridevano e sembravano non avere grilli per la testa. Contrariamente a ciò che pensava erano presenti molte donne, ingioiellate e avvolte in lunghe e costosissime pellicce che ormai sapevano di pacchiano, che accompagnavano uomini grassi e sudaticci chiusi nei loro completi Armani.
Stringeva tra le mani il lasciapassare che White gli aveva dato poche ore prima. Superò a destra la grande fila che lo guardava in cagnesco, fermandosi davanti al buttafuori.
Era un tizio di colore, alto e dai capelli rasati. Non sembrava che il freddo circostante lo interessasse, dato che indossava semplicemente una maglietta aderente nera.
I grossi bicipiti parevano esplodere.
Ogni volta che Russell, così c’era scritto sulla targhetta sul suo petto, apriva la porta dell’arena una baraonda infernale fatta di urla e musica ad alto volume si gettava sui volti dei prossimi che sarebbero entrati, avvilendoli leggermente. Stupendoli.
Accrescendo la loro impazienza.
“Prego” fece quello. Non era una domanda. Ruby tirò fuori il piccolo cartellino di plastica e vide l’adone nero annuire e fare un cenno con la testa a un secondo buttafuori, sempre di colore ma più minuto, che lo avvicinò e lo accompagnò dentro.
Non appena varcata la soglia, le orecchie s’ovattarono. Stavano scendendo un lungo corridoio fatto di scale, in cui la musica tecno veniva sparata ad alto volume. Sulla destra e sulla sinistra vi erano diverse porte, tutte chiuse, meno che la penultima.
La superarono, fermandosi davanti all’ultima. Il buttafuori si voltò e ripercorse le scale al contrario, lasciando il giovane di Hoenn da solo.
Per intuito, capì che dovesse aprire la porta. E lo fece, trovando un ambiente profondamente silenzioso. C’erano diverse poltroncine, ordinatamente distese davanti a una balaustra.
Erano vicinissimi al ring, ma erano in alto, e potevano vedere il match lontani dalla gente che si accalcava sugli spalti inferiori.
“Queste sono le tribune” sorrise White, accanto a lui. Ruby voltò la testa e la vide alla sua destra, con indosso un abito da sera molto elegante, nero. Manteneva un bicchiere di vino tra le mani.
Forse era Chardonnay.
“Buonasera, White”.
“Ciao, caro” sorrise quella, scambiando un paio di baci sulle guance con quello e sospirando. “Mr. Irishwound non ha la fama di persona puntuale”.
“Oh. Va bene” annuì lui, facendole spazio per farla passare davanti. Si accomodò, White, sulla penultima poltroncina. Era ovvio che Ruby dovesse sedersi su quella successiva, per lasciarla conversare di lavoro col ritardatario con quel cognome così particolare.
E lo fece, rilassando forse per la prima volta i muscoli e guardando davanti a sé: il ring era vuoto e la musica era forte ma meno aggressiva di quella incontrata in quel corridoio. Tutt’intorno gli spalti erano pieni di gente. L’entourage dei pugili, tali Micheal Blizzard Halliwell e John The Punisher Fazland, era già a bordo ring. Lo speaker incitava la folla ma, sinceramente, Ruby non riusciva a capire cosa stesse dicendo. La campanella suonò una prima volta, con i pugili che scendevano da due passerelle diverse, osannati dalla folla urlante. Salirono sul ring, i loro allenatori erano accanto a loro, li caricavano come molle impazzite, stringevano loro i guantoni, blu per Blizzard e neri per The Punisher. E subito dopo White fu rapita dall’eleganza della ring-girl, che passava elegantemente sul quadrato col cartellone del primo round in mano.
“Ruby…” lo chiamò lei, quasi con un sussurro. “Guardala”.
Distratto, lui, alzò lo sguardo e poi s’accigliò.
Era bionda, quella, coi capelli legati in una lunga treccia selvaggia che arrivava quasi alle natiche. Indossava una canottiera che metteva in risalto il corpo elegante e slanciato, dei pantaloncini molto corti e un paio di alti tacchi su cui sapeva camminare in maniera sopraffina, senza dimostrare la minima difficoltà di sorta.
“Quella ragazza è meravigliosa” sorrise la Presidentessa.
“Già… Davvero. Quella ragazza è davvero meravigliosa”.
Pochi secondi dopo Mr. Irishwound fece il proprio ingresso nel piccolo bussolotto, accompagnato da Irina, una ragazza dell’est che tutto voleva, quella sera, tranne che imbellettarsi e mostrare a tutti la glacialità siberiana di cui era dotata. E fu così che dovette resistere per circa un paio d’ore, col brusio costante del suo capo che parlava incessantemente di lavoro tra una pausa e l’altra in cui il povero Irishwound voleva guardare il match, con la fastidiosissima presenza della donna dell’est che tutto faceva tranne sentirsi a proprio agio, con ripetuti e freddi sospiri, e la voglia di vedere il round finire, per far passare nuovamente la ragazza col cartellone.
E quando succedeva, anche White finiva di parlare.

Finì ai punti. Dodici riprese, dodici uscite della donna e dodici volte che il battito diventava irregolare. Vinse Blizzard.
La serata terminò con White che, con un accordo di massima ottenuto col futuro cliente, decise di fare un colpo di testa.
Prese Ruby per mano e uscì fuori, immettendosi nel rumorosissimo corridoio e continuando a scendere giù, verso gli spalti.
“DOVE ANDIAMO?!” urlava Ruby, ma evidentemente White non lo sentiva per via del forte frastuono, dato che non rispose. Arrivò verso i cancelli per gli spalti inferiori.
Fu allora che Ruby la fermò. Si voltò, quella, con un grosso punto interrogativo sul volto.
“CHE C’È?!” domandò.
“COSA STAI FACENDO?!”.
“STO CERCANDO DI SALVARE LA MIA SFILATA!”.
Il ragazzo rimase in silenzio, vedendola parlare con un altro grosso omaccione, caucasico stavolta, probabilmente russo o dell’est Europa. Quello fece cenno di no alla domanda posta da White, che per tutta risposta cominciò a sbraitare qualcosa d’incomprensibile.
L’uomo puntò il grosso dito verso destra, White annuì e tornò indietro da lui, avvicinandosi all’orecchio del ragazzo.
“NON CI FA ENTRARE A PARLARE CON LEI, MA HA DETTO CHE POSSIAMO ASPETTARLA FUORI, NEI PARCHEGGI! SI CHIAMA YVONNE!”.
“YVONNE?!”.
“SI. SARÀ DI KALOS”.
“COME?!”.
“DI KALOS! SARÀ DI KALOS!”.
“KALOS?! E COSA DIAMINE CI FA QUI?!”.
“COSA?!”.
Ruby fece un cenno con la mano e voltò la testa, seguendo la Presidentessa. Rientrarono nel lungo corridoio e uscirono, trovandosi nella folla di chi aveva appena finito di vedere il match.


“Eppure non avrei mai creduto che tu avessi potuto avere occhi per un’altra donna. Anche solo per un istante”.


“Non sento più nulla…” disse il ragazzo, continuando a seguire la più rapida White che, sui tacchi alti, si faceva strada tra le persone. Lo stilista aumentò il passo e l’affiancò, vedendola col mento alzato, mentre cercava qualcosa.
“Gate 18” continuava a ripetere, ritornando sulla strada del lungomare e girando praticamente attorno al grosso palazzo in cui erano entrati.
Sul lato ovest, praticamente ai confini con la periferia, c’era un grosso cancello con su affisso un cartello ingiallito. 18 c’era scritto sopra, con vernice sbiadita dal tempo.
“Ecco!” fece, correndo come meglio poteva su quei tacchi. “Ecco il cancello”.
“Che hai intenzione di fare?” domandò quello. “Abbiamo da fare e…”.
“Yvonne?” domandò White a una persona che usciva dal cancello. Quello fece spallucce e si dileguò nel buio. “L’hai vista, no? Ha classe e portamento, e sa sfilare”.
“Ha camminato su di un ring con un cartello in mano, non alla Milano Fashion Week…”.
“Ecco perché sono dove sono, Ruby. Io vedo il potenziale. Così come ho fatto con te, anche in Yvonne vedo quel je ne sais quois… Quella ragazza ha talento”.
“È sicuramente una bellissima ragazza ma…”.
“Ho deciso così” concluse quella. “Ora aspetta qui con me, che questa zona è pessima. Hai Pokémon con te? Nel caso dovessimo difenderci”.
“Ehm… certo, ma…”.
“Benissimo, tesoro”.

Passarono quasi venti minuti, costellati di Yvonne a persone che non sapevano fare altro che alzare le spalle e sfilare via. Videro anche la Maybach di Blizzard e la Porsche di The Punisher.
E poi, quasi per ultima, uscì lei, stretta in un finissimo cappottino di pelle beige, coi capelli sciolti e il trucco sfatto sul volto.
White sobbalzò e Ruby dovette effettivamente ammettere a se stesso che quella fosse davvero, davvero bella.
“Yvonne!” esclamò la Presidentessa, vedendola spalancare gli occhi.
“O-oui?”.
“Oh, parli francese?! Non capisci la mia lingua?”.
Quella annuì, sospettosa. Vide però davanti una coppia di persone ben vestite, e non i soliti brutti ceffi che cercavano di portarsela a letto. “Capisco… Capisco…” fece, con un marcato accento francofono. “Ma non voglio niente. Vado a casa a dormire e basta”.
“Ma no, ma no, stai tranquilla! Io mi chiamo White e lui è Ruby. Gestisco un’agenzia di modelle e…”
“No. No, no, no, no, niente modelle. Non voglio problemi”.
“Ma come?! Ti pagherei! Contratto, vitto e alloggio! Che ne dici?!”.
“Vitto e alloggio?” domandò confusa, guardando Ruby.
“Casa e cibo” l’aiutò lui.
“Vitto e alloggio” ripeté Yvonne, annuendo. “E soldi?”.
“Sì, vitto, alloggio e soldi” annuì White, sorridente. “Lavoro alla BW Agency, ti farò lavorare e uscirai da questo posto… non bello, ecco” fece, sforzandosi di trovare una parola non volgare e porgendole il bigliettino da visita.
Yvonne allora mostrò uno splendido sorriso.
“Aspetto una tua chiamata” continuò White. E poi si voltò, lasciando la bionda nel vento di quella sera.


“Che poi non ne hai mai avuto bisogno. Sono sincera quando dico di aver fatto sempre il massimo per renderti felice, anche quando non riuscivo proprio a farmi andare giù qualcosa.
Una di quelle rare volte in cui il nostro essere diversi finiva non per completarci ma per dividerci.
Una di quelle rare volte in cui eravamo costretti a far capolino a vicenda l’un verso l’altra.
Dato che non eravamo vicini.
E la cosa rara era appunto quella: che non fossimo vicini”.


21 Marzo 20XX

Il cellulare vibrava sul comodino di Ruby quando lui aprì gli occhi, quella domenica.
E non ne aveva per nulla voglia.
Non era per niente quel tipo di persona che si svegliava ed era già attivo e operativo.
No, per nulla. Sapphire era così.
Lui si svegliava e passava una decina di minuti nel letto, scorrendo velocemente la bacheca di Facebook, leggendo le notifiche e indugiando sull’orologio che, inesorabile, aggiungeva un numero ogni sessanta secondi e contribuiva ad aumentargli l’angoscia.
Passati quei dieci minuti si alzava, si lavava e affogava i dispiaceri in un caffellatte, rigorosamente coperto di cacao magro.
Generalmente non lasciava il cellulare acceso durante la notte, a maggior ragione di domenica. Ma aveva lavorato fino a tardi al vestito color turchese che era praticamente rovinato sul letto, rotolato nel pigiama accidentalmente e s’era spento.
Lui, non il telefono.
Telefono che era rimasto in stand-by.
“P-pront-to…” bofonchiò, con la guancia destra totalmente affondata nel cuscino.
“Ha accettato. Scendi nella hall, ti aspetto, che andiamo a prenderla”.
“Ma chi è?” chiese, voltandosi di schiena e piazzando la testa tra i due comodissimi guanciali.
“Il tuo capo, White, la tua socia. Chi altri? Yvonne sta aspettando te”.
“Beh, che aspetti… devo farmi una doccia e…”.
“E nulla, scendi e fai presto”.
“…”.
“… Insomma?”.
“…”.
“…”.
“… Tra quanto tempo devo essere pronto?”.
“Due minuti fa”.

Mezz’ora dopo Ruby scese nella hall dell’albergo, con indosso una caldissima giacca di tweed e il solito borsalino sulla testa. Uscì dall’ascensore e si guardò intorno.
L'ambiente era fine ed elegante, ben diverso da quello dell'agenzia di White. Corcovado fluiva dagli altoparlanti denso e piacevole, caldo, immergendo tutti in un mood positivo.
Camminò in avanti, calpestando i costosissimi marmi di Carrara che rivestivano il pavimento. Sui divanetti davanti la reception vi era seduta la Presidentessa, con le gambe accavallate, auricolare all'orecchio e mani libere di gesticolare.
"Sì, Black, ma ti prego! Ti prego, ti prego, ti prego! Pensaci! So che hai fatto un viaggio all'inferno, andata e ritorno, ma pensaci. Dopo tutto quello che abbiamo passato assieme sarebbe anche un bel modo di rivederci! Da quando il lavoro mi pressa così tanto io non...".
Poi incontrò lo sguardo rubino del ragazzo di Hoenn, spalancò gli occhi e contrì le belle labbra carnose. "Ora devo andare... Lo so, lo so. Anche io... Fatti sentire".
Cliccò il tasto sull'auricolare e sbuffò, alzandosi in piedi.
Ruby la squadrò, apprezzando particolarmente i knickerbockers bianchi alla caviglia.
Quella destra era impreziosita da una cavigliera d'argento.
Loboutin di pelle, bianche come la camicetta, e giacca nera da sopra.
"Sei elegantissima, Presidentessa. Stai davvero bene".
"Ti ringrazio, mio caro" sorrise cordialmente quella. Smontò l'auricolare dall'orecchio e salutò con una coppia di baci lo stilista. "Non è cavalleresco far aspettare una signorina come me per tutto questo tempo".
"Pardon" disse, staccandosi e prendendo il cellulare tra le mani. C'erano due messaggi di Sapphire; li aprì.

Buongiorno dormiglione! Sto adnando a Petalipoli da tuo padre! Uno degli Slaking sta per deporre un uovo e sappiamo entrambi quanto sia difficile questa fase.         08:23

*andando          08.24

Sì, mamma mi aveva detto che Lona fosse incinta. Mio padre ha voluto lasciarla accoppiare per allevare qualche Slakoth. Non lo capisco proprio, li lascia evolvere e gli Slaking sono Pokémon rozzi e pigri. Puzzano e sporcano e... Non mi piacciono insomma, credo che siano Pokémon poco adatti al mio modo di vedere le cose. Ho una sorpresa in serbo per te, comunque.           11:10

"È la tua signora?" domandò White, mentre entrava sul taxi giallo. Scivolò di lato, facendo spazio a Ruby.
"Ehm... sì".
Quella lo fissò per qualche secondo, parecchio a disagio.
"Se t'infastidisce non faccio domande. Forse è un periodo un po' particolare e non ti va di parlarne..."
"No, ma che, ma che... no, no, no, non è questo. È che è la prima volta che siamo così distanti per così tanto tempo e qualche giorno fa, diciamo, abbiamo avuto una sorta di discussione...".
Poi il telefono di White squillò.
"Scusa un minuto..." fece, indossando nuovamente l'auricolare e cominciando a parlare.
Ruby riprese il cellulare e guardò la conversazione con Sapphire.

Sì, mamma mi aveva detto che Lona fosse incinta. Mio padre ha voluto lasciarla accoppiare per allevare qualche Slakoth. Non lo capisco proprio, li lascia evolvere e gli Slaking sono Pokémon rozzi e pigri. Puzzano e sporcano e... Non mi piacciono insomma, credo che siano Pokémon poco adatti al mio modo di vedere le cose. Ho una sorpresa in serbo per te, comunque.           11:50
Tu dormi troppo.            11.52

Sorpresa? Che sorpresa?          11.52

Che sorpresa sarebbe se te lo dicessi?              11:52

Non puoi mettermi la pulce nell'orecchio in questo modo e poi tirarti indietro! Forza! Dimmelo!      11.52

Non ti dico proprio niente. Ora accompagno White a prendere una modella           11:53

Sempre con questa? Che qualifica hai per scegliere una modella?           11.53

La qualifica del senso del bello, io. Ti devo ricordare che quando ti ho rivista eri vestita con le foglie e avevi il fango in faccia e tra i capelli?      11:53

Zitto, ero sexy   11.53

Ruby non riuscì a non sorridere.

Zitto, ero sexy   11.53

Non posso assolutamente negarlo         11:54

Certo che non puoi!       11.55

Comunque non mi fa così tanto piacere che tu vada con la tua bellissima capa a prendere una modella. Non vorrei che in mezzo a tutte queste donne incredibili e meravigliose ti dimenticassi come sono fatte le donne vere e normali. Cioè me.  11.57

Tu sei incredibile e meravigliosa. Non mi sconvolgono questi quattro mucchietti d'ossa.   11:57

Ruffiano del cazzo. Ora torno al lavoro. Ti amo.  11.57

Pure io. A dopo.            11:57

E ripose il cellulare nella giacca. Gli mancavano quei battibecchi tragicomici, assieme alle scenate di gelosia velate di minaccia e umorismo.
Sapphire era il suo mondo.
E il suo mondo gli mancava in maniera incommensurabile. White parlava ancora col suo interlocutore, mentre il tassista, pakistano d'origine ma figlio di quell'Austropoli globalizzata li stava portando nella periferia della città, a Bellevie Avenue, uno dei luoghi meno gettonati dell'intera megalopoli.
Ruby si sistemò meglio in quel taxi, infastidito da quell'odore di curry che aleggiava nell'abitacolo. Si guardò le mani, passò poi a quelle di White, ben curate, con lo smalto passato da poco, quindi poggiò lo sguardo sulle gambe della donna, avvolte nel morbido tessuto dei pantaloni alla zuava.
Rialzò gli occhi, incontrando lo sguardo sfuggevole di quella, che poi poggiò la fronte su quel vetro gelido.
Lui fece altrettanto, ma dall'altra parte.
Forse quando Sapphire si sarebbe presentata lì quella malinconia che tanto lo dilaniava nel petto sarebbe finita.

Arrivarono dieci minuti dopo.
White aveva terminato la telefonata, mostrando a Ruby i vestiti che avrebbero indossato le modelle e notando ogni singola espressione del volto, d'apprezzamento o di disappunto che fosse.
"Questo è quello che doveva indossare Camelia" disse poi, facendogli vedere la fotografia d'un abito lungo, color sabbia, con uno shesh che partiva dalla testa e, a spirale, girava intorno e scendeva, fino a terminare alla caviglia destra.
Elegante e d'avanguardia, ma eccessivo.
Il corpo d'Yvonne ben si adattava a quel tipo d'abito, essendo la ragazza alta e tonica nei punti in cui l'abito cadeva più stretto.
"Bellevie Avenue 47, siamo arrivati" aveva annunciato il tassista, voltandosi verso White, capendo che fosse lei quella che prendeva le decisioni. Ruby si voltò verso destra, vedendo un grosso albero dai rami spogli, probabilmente morto, all'interno d'un giardino in cui le assi delle staccionate lasciavano intravedere l'erba secca e qualche pneumatico tagliato in due.
"Dieci minuti e torniamo indietro con una terza persona... Aspetti qui" disse White, aprendo la portiera e uscendo con garbo per strada.
"Vieni" disse poi a Ruby, chiudendo lo sportello e girando attorno alla macchina. Assieme allo stilista raggiunse il cancello al centro della staccionata sdentata e attraversò il vialetto che tagliava in due il cadavere di quel giardino. Le mattonelle che avrebbero dovuto calpestare erano state totalmente divelte dal sentiero di terra battuta che era rimasto lì.
Salirono un paio di scalini e si trovarono davanti la porta.
COMMUNITY HOUSE OF BELLEVIE AVENUE c'era scritto sulla targhetta. La Presidentessa premette il campanello, facendo un passo indietro.
Ma la porta era semichiusa.
Ruby poggiò la mano sul legno di rivestimento su cui qualcuno aveva inciso la scritta PLASMA SUCKS, sentendo poi i cardini cigolare rumorosamente. Guardò White, inquietato.
Dentro non c'erano luci accese; nonostante non fosse primo mattino, tutte le finestre erano chiuse, lì.
"È permesso?" domandò White, avanzando piano. Ruby la seguì, le afferrò il polso, con quel senso d'inquietudine che continuava a crescere e la sorpassò.
L'atrio di quella comune non era composto da altro che un piccolo tavolino su cui vi era poggiato un candelabro interamente ricoperto di cera rossa, accanto a un paio di chiavi e un paio di monete di qualche altra nazione che lì non avevano alcun valore, ricoperte da una patina nerastra, propria dei soldi vecchi.
"Yvonne!" la chiamò lo stilista, uscendo dall'atrio e immettendosi nel salotto. Aveva un grande divano davanti, su cui una ragazza col piercing all'ombelico dormiva beatamente. Aveva i capelli biondi spettinati e un grosso tatuaggio che fuoriusciva dal bordo dei pantacollant.
Forse un tribale, forse una scritta, non lo riusciva a capire da lì.
Il tavolino davanti a lei era coperto da libri universitari, da un grinder che aveva impestato la stanza di odore di marijuana e da mozziconi di sigarette mai accese e filtri consumati dal fuoco di canne ammazzate da qualcuno. La tv era accesa senza volume, dove Tea di HChannel stava dando le notizie sportive.
Si parlava di Blizzard vs The Punisher. Ruby allungò l'occhio oltre il divano, vedendo la schiena nuda di un ragazzo alto e fuori forma che, di spalle, stava riempiendo con dell'acqua qualcosa.
Non s'era accorto di nulla.
"Ehm... Scusa" lo chiamò White, ancora stretta al polso da Ruby. Gli si fermò accanto, aspettando i biblici tempi di reazione di quello.
"Scusa!" ribatté Ruby, alzando la voce.
Non ottenne l'effetto sperato, ma fece svegliare la ragazza sul divano. Un grosso paio d'occhi verdi divenne protagonisti del suo volto.
"Chi... chi cazzo sareste voi?" domandò, con voce compressa.
"Cerchiamo Yvonne" rispose White.
"Se Sergei non l'ha già ammazzata dovrebbe..." poi sbadigliò "... dovrebbe essere al piano di sopra...".
"E chi cazzo sarebbe Sergei?" urlò la Presidentessa. Poi il ragazzo che era in cucina si voltò, con un enorme spinello in bocca, gli occhi arrossati che originariamente dovevano essere d'un delicatissimo color nocciola e i capelli biondi arruffati. Aveva un drago tatuato sul pettorale sinistro e un mandala tribale su quello sinistro, dove non aveva un capezzolo: una grossa cicatrice, difatti, partiva dal centro del muscolo a sinistra e attraversava l'intero fianco, fino a raggiungere la zona dell'anca.
Il grasso corporeo dell'uomo era tanto. Radi peli biondi gli coprivano la pancia.
"Il suo ragazzo" rispose quella sul divano. Voltò poi il capo, sentendo il biondo arrivare.
"Lui" aggiunse. "Lui è Sergei, ma è strafattissimo e non credo riuscirà a rispondere".
Ruby guardò White e aggrottò la fronte.
"Lui è il ragazzo d'Yvonne?!" domandò lo stilista, sconcertato.
Alla parola Yvonne quello sembrò rinsavire.
"Ivonn - gryaznaya shlyukha!" urlò, immensamente adirato.
White guardò immediatamente la ragazza. "Che diamine ha detto?".
"Che Yvonne è una lurida troia. Gde seychas?" fece poi, concludendo con una domanda.
"Ona ubezhala i zaperlas' v vannoy! Kak tol'ko on vyydet, ya klyanus', chto on plachet nozhom vo vlagalishche!" rispose quello, urlando come un forsennato. Si voltò, sedendosi lentamente sul divano accanto all'altra e prendendo una grossa boccata dalla sigaretta simpatica che aveva tra le dita.
"Che ha detto?" domandò invece Ruby.
"Niente di bello. Vuole ucciderla ma lei si è chiusa nel bagno. E ha detto anche altre cose che non sono belle da dire...".
"Lui non uccide proprio nessuno!" esclamò quella, voltandosi e tornando nell'ingresso, prendendo la scalinata che portava al piano di sopra.
"White!" la seguì il ragazzo. "Dobbiamo stare attenti!".
"Devo portare Yvonne fuori da questo cesso!" esclamò a sua volta la Presidentessa, con la coda di cavallo che seguiva il movimento delle anche di quella.
Salirono dodici scricchiolanti scale e si trovarono al piano superiore della comune.
"E ora dove cazzo è il bagno! Yvonne!" chiamò alterata la donna, seguita sempre dal fido Ruby. Aprì tutte le porte, una delle quali occupata da due ragazze intente a praticarsi del sesso orale a vicenda. L'ultima porta sulla destra era invece chiusa a chiave.
"È qui dentro! Ruby, sono White!".
"Vai via!" urlò l'altra, da dietro la porta. "Non voglio uscire!".
"Sono davvero io! Sono qui con Ruby! Siamo venuti a prenderti e a portarti via da qui!".
La donna in bianco batteva i pugni sulla porta, cercando in Ruby una risoluzione rapida al problema. Il solo pensiero che Sergei potesse salire da un momento all'altro la immergeva in una tinozza di panico da cui non riusciva a uscire.
"Ti prego, Yvonne! Dobbiamo andare velocemente via da qui!".
"Andatevene! Je veux m'éloigner de cette ville de merde!".
White impallidì. "E ora che cazzo ha detto..." sospirava, mentre poggiava la fronte sulla porta.
"Ha detto che vuole andare via da questa città di merda".
"Parli francese?" chiese l'altra, voltando il viso.
"Un po'... Yvonne" la chiamò. "Yvonne, sono Ruby. Ricordi? Ero con White".
"Andate via!" urlò ancora.
"Quando abbiamo parcheggiato qui avanti mi sono sorpreso di come una ragazza bella come te possa vivere in un luogo del genere. Dammi pure del superficiale..." sorrise lui, mettendo una mano sulla spalla di White "... ma credo che quelli come te siano diversi da tutti gli altri. E ciò che è certo è che non meritano di vivere col terrore di poter morire per mano di un drogato, che vive con lei".
Il silenzio fu rotto soltanto da un gemito di piacere proveniente dalla camera con le due donne.
"Sei venuta qui a Unima per vivere un sogno. Datti una possibilità" fece ancora il ragazzo.
Pochi secondi dopo la serratura scattò.
White sorrise, indietreggiando assieme all'altro e vedendo apparire la figura di Yvonne dietro la porta che si apriva.
Aveva il volto basso, i lunghi capelli biondi raccolti in una coda spettinata e il trucco sciolto sulle guance. Indossava una lunga maglietta, probabilmente di Sergei, sporca di mascara.
"Scusate. Grazie per quest'opportunità".
Ruby sorrise, vedendo White prenderla per mano e uscire fuori.
Dieci minuti dopo lei aveva chiuso un borsone con la sua roba e, assieme agli altri due, stava lasciando per sempre la comune.
Passarono davanti a Sergei, collassato sul divano, e all'altra ragazza dagli occhi verdi, che dormiva nuda su di lui.
Il taxi era ancora lì. Vi entrarono e ritornarono verso il centro di Austropoli. Per tutto il viaggio Yvonne non aveva pronunciato parola, mentre White continuava una discussione telefonica con un certo Black, che Ruby non aveva alcuna idea di chi fosse.
White la sistemò nell'albergo dove soggiornava Ruby.
Proprio la porta accanto alla sua.


"Il problema, ora, credo che stia nella mia testa. Perché ciò che ho visto, ciò che mi hai detto, ha creato un nodo nella mia mente che non riesco a sciogliere.
Ruby, riesci a sbrogliare il groviglio che ho qui dentro?"

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