UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
Unima, Austropoli, Autumn Theatre, 21 Marzo 20XX
Gli occhi
di White si alzarono dal cellulare giusto per un istante, guardando, nascosta
dal velluto del palcoscenico, la sala gremita di gente. Sbuffò, per tirare fuori
quell'angoscia che l'attanagliava, e poi sorrise.
Ruby era
dietro di lei, con una cartellina in mano, che scorreva una lista. Sul suo
volto non c'era nulla che lasciasse trapelare qualcosa di buono.
La
Presidentessa si mosse velocemente, mentre la musica in diffusione cambiava,
passando dalla tecno all'onnipresente raeggaeton.
"La
sala è piena" disse, avvicinandosi a lui.
Ruby alzò
lo sguardo e poi lo allungò alle spalle della donna, dove lo stilista di quella
sfilata, l'eccentrico Marlon Merlin, sbraitava qualcosa alle sue modelle.
Quello era
un omino assai strano: non molto alto, non aveva un singolo pelo sulla testa.
Le sopracciglia erano bionde, così come la foltissima barba.
"Marlon,
che succede?" domandò White, vedendolo profondamente alterato.
"Camelia
non viene! E la sua sostituta è chiusa in bagno e non vuole uscire!".
La donna
si voltò verso Ruby e fece spallucce.
"Sarà
un'abitudine..." sospirò l'altro, facendo segno a una ragazza dai capelli
neri e le lentiggini sul viso di voltarsi. Le sistemò meglio il vestito sui
fianchi stretti e le diede le scarpe.
"Ci
penso io" disse White a Merlin, che intanto aveva continuato a sbraitare
in maniera poco mascolina qualcosa. Fu in quel momento che la Presidentessa
aderì quasi totalmente al corpo di Ruby, e gli sussurrò una cosa nell'orecchio.
"Io
so che tu sei qui soltanto perché te l'ho chiesto io. So che non è la tua
sfilata è ho capito anche che Marlon ti sta sulle palle ma per favore: fai
uscire Yvonne dal bagno e preparala. Preparala tu personalmente, che a quanto
pare hai affinità con lei...".
Ruby
indietreggiò per poterla guardare negli occhi.
"Non
credo di averle mai sentito dire nulla, in questi giorni".
"È la
tua vicina di stanza! Di te si fiderà sicuramente!".
Ruby fece
cenno di no con la testa, sconfitto. Mise la cartellina tra le mani di White e
si voltò, superando una fila di truccatrici all'opera e di modelle pronte per
andare in scena.
I suoi
passi battevano sul pavimento di luminol, prima che le mattonelle lo
sostituissero, in corrispondenza del corridoio.
Il Salon
Rouge - Montaigner era il centro adatto per una sfilata di quella portata,
considerato che Camelia avrebbe dovuto calcare quella passerella.
E
Austropoli non ne aveva di migliori: luci soffuse davano spazio alle ombre
della sala, sterminate poi grossi fasci luminosi che illuminavano le modelle e
il loro cammino.
In quel
luogo c'era sempre profumo di rose.
Acquisito
da una coppia di stilisti di Kalos nei primi anni sessanta, François Rouge e
Amelie Montaigner per l'appunto, il vecchio Autumn Theatre era un gioiellino
dell'architettura d'inizio secolo. Più che un teatro sembrava bordello con una
sala centrale per le sfilate.
Col tempo
era stato rimodernato e i discendenti della coppia lo avevano trasformato in
uno dei posti più en vogue dell'intera
città.
Era
evocativo il fatto che lo stesso Ruby stesse percorrendo il corridoio che, più
di un lustro prima, avevano calcato modelle del calibro di Verushka e Jean
Shrimpton. Il bagno era la prima porta sulla sinistra.
E la porta
era di nuovo chiusa.
"Chi
è?" domandò Yvonne.
"Ruby,
lo stilista. Dobbiamo evitare questa brutta abitudine di parlare con le porte
di mezzo...".
La sentì
sorridere.
"C'è
qualche problema?" domandò poi il ragazzo. "Perché se vuoi possiamo
tranquillamente risolvere ogni cosa...".
La porta
del bagno si aprì, mostrando lo spettro di quella bella ragazza che viveva a
pochi metri da lui: aveva i capelli e il trucco in ordine, ed era pronta per
sfilare. Tuttavia indossava un top e un pantaloncino.
"Si
gela, qui dentro..." sospirò lui, entrando nel bagno e chiudendo la porta.
"Allora?".
Lei spostò
gli occhi grigi verso il vestito e sospirò.
"L'abito
è brutto. Bruttissimo... E lo stilista mi sta addosso come se fossi la
protagonista di un film".
Ruby
sorrise. "Oh, ma lo sei" disse quello, prendendola per mano e
facendola spostare leggermente. "Stai sostituendo Camelia. Questo è il tuo
lavoro, camminare con volto serio e sensuale. Ricordi negli scorsi giorni cosa
abbiamo fatto?".
Quella
pronunciò le labbra e si poggiò sul lavandino.
"Mi
hai insegnato a sfilare. A tenere il collo alto e a guardare un punto
indefinito davanti a me".
"Questo è ciò che fanno le modelle. Sfilano col collo alto e guardano un punto indefinito. Il cinquanta percento del loro lavoro è questo".
"Questo è ciò che fanno le modelle. Sfilano col collo alto e guardano un punto indefinito. Il cinquanta percento del loro lavoro è questo".
Yvonne
sbuffò, portando le mani ai fianchi. "L'altro cinquanta è non mangiare più
niente".
E lì Ruby
sorrise, contagiandola e divertendo anche lei. Le prese entrambe le mani,
stringendole. "Nonostante quel vestito sia orribile e Marlon Merlin sia
uno stronzo il valore aggiunto devi essere tu. Hai tutto ciò che serve"
sorrise lui, guardandola con delicatezza in viso, evitando di abbassare lo
sguardo verso la scollatura.
Era
lavoro, Yvonne era un manichino che respirava e niente più.
"Quindi
ora levati i vestiti e ti do una mano a entrare in quell'abito. Poi uscirai lì
fuori, sfilerai e ti prenderai un bello stipendio. E diventerai famosa come la
modella che ha sostituito Camelia".
Yvonne
addolcì lo sguardo e sorrise leggermente. Poi arrossì quando abbassò i
pantaloncini, rimanendo in slip. Ruby s'era girato dall'altra parte e aveva
preso il vestito, ritrovandola col braccio a coprire entrambi quei seni
perfetti.
Al
contrario di Kimberly, Yvonne non era abituata a stare nuda davanti a persone
qualunque.
"Stai
tranquilla, per me è solo lavoro" sorrise lui, voltandola e perdendosi per
un secondo di troppo lungo quella schiena nuda.
Prese tra
le dita la zip e l'abbassò.
Era
effettivamente un vestito difficile da indossare, col velo puntato sul corpo
dell'abito e la modella che doveva entrarci senza strapparlo.
Ci voleva
l'aiuto di qualcuno.
"Perfetto,
ora devi mettere prima una gamba e poi l'altra qui dentro..." fece il
ragazzo dagli occhi rossi, sorridendole dolcemente e mantenendo lo sguardo sul
suo, per evitare che s'imbarazzasse.
E lei lo
fece, scoprendo il seno e impegnandosi ad essere più delicata possibile per non
rompere nulla, e alla fine ci riuscì; era davanti allo specchio, con indosso
l'abito e lo shesh poggiato sulla spalla. Ruby le tirava addosso il vestito,
che cadeva morbido sul busto e si stringeva in corrispondenza dei fianchi della
bionda.
"È
stretto" fece lei.
"Non
rimarrai col sedere da fuori, se è questo che temi" disse lui, lisciando
il tessuto sulla pancia con la mano e poi afferrando il lembo superiore del
corpetto, proprio vicino al seno. E tirò su, lasciando che quello calzasse alla
perfezione.
Yvonne
sorrise, annuendo. "Ora va meglio".
"Sei
splendida" sorrise il ragazzo, senza neppure guardarla.
"Fortunatamente non hai i tacchi, altrimenti non riuscirei a metterti lo
shesh. Allora" fece, prendendole il velo sulla spalla e rimanendo un
attimo a guardarla.
Era
davvero bella. Voleva capire come risaltarle gli occhi e poi annuì.
"Che
fai?" domandò quella.
"Niente,
niente. Valuto" le rispose, avvolgendo il copricapo di seta inizialmente
attorno al collo. Poi qualcuno bussò forte alla porta.
"E
allora?! Manchi solo tu, dannata sgualdrina di Kalos!".
Era Marlon
Merlin.
Ed era
isterico.
Yvonne
guardò Ruby attraverso lo specchio del bagno e lo vide annuire.
Andò ad
aprire la porta, senza lasciargli intravedere la ragazza, uscì e se la richiuse
alle spalle.
"Qual
è il problema?" fece, ponendosi davanti a lui con le braccia incrociate.
"La
tua amica deve essere pronta tra quattro secondi! Non può andare sempre tutto
così male, durante le mie sfilate!" urlava quello, girandosi attorno senza
controllo.
Ruby lo
bloccò per le spalle e lo strinse.
"Prima
cosa, non sei tu la superstar di questa sfilata, lo sono i tuoi vestiti. Quindi
calmati. In secondo luogo, la sgualdrina
di Kalos qui dentro sta indossando un vestito impossibile e senza
proporzioni. Non hai avuto neppure l'accortezza di adattarlo alle sue
misure".
"E
lasciami!" aveva urlato quell'altro, dando una manata alle braccia di
Ruby. "Se al posto di Camelia c'è questa troia è colpa solamente di White
e della sua agenzia!".
"Calmo
con le parole...".
"Siete
degli incompetenti!" urlava ancora quello, indietreggiando. "Ma state
tranquilli, non avrete mai più a che fare con me! Io sono uno stilista serio e
pretendo...".
E poi Ruby
lo colpì con un ceffone violento, che lo zittì.
"Hai
finito?" gli domandò, mentre del fuoco impetuoso gli usciva dagli occhi.
Yvonne
aprì immediatamente la porta, mostrandosi agli occhi di Merlin. Quello fissò
Ruby, poi guardò la figura perfetta della modella alle sue spalle e constatò
che, effettivamente, il vestito le andasse davvero bene.
"E
ora fammi finire di lavorare" concluse l'altro, voltandosi e spingendo
delicatamente la bionda all'interno del bagno.
La sfilata
andò in maniera grandiosa.
Yvonne
camminò a testa alta avvolta in un vestito non semplice da gestire,
semplicemente con lo sguardo scoperto. Il trucco attorno agli occhi era
pesante, in modo da farli risaltare, e anche il volto era stato appesantito dal
phard. Due ciuffi biondi tagliavano in diagonale il viso della bella e uscivano
verso l'esterno.
La donna
tornò indietro ancheggiando vistosamente e poi fermandosi, abbassando lo shesh,
come le aveva consigliato Ruby e aveva sorriso, facendo un occhiolino.
Marlon
Merlin fu osannato dalla critica nei giorni a seguire ed evitò lo sguardo di
Ruby per quasi un mese, quando lo incontrava in agenzia.
Già,
perché la sgualdrina di Kalos era
stata la chiave del suo successo.
Tornarono
in albergo quando il sole stava per sorgere. Il concierge diede a Ruby e Yvonne
le chiavi delle loro stanze e passarono i due minuti in cui aspettarono
l'ascensore e arrivarono al piano in totale silenzio.
Lei poi
abbassò lo sguardo, nel corridoio, sorridendo.
"Grazie,
Ruby".
Lui si
voltò verso di lei e fece spallucce. "E di cosa? È il mio lavoro".
"Sì, lo so, lo so, ma davvero... grazie di tutto" fece, con quell'accento marcato cha tanto gli piaceva. "Sei stato davvero gentile con me, mi hai aiutata col vestito, mi hai messa a mio agio per via del... nudo e... e poi con Merlin. Mi hai difesa".
"Sì, lo so, lo so, ma davvero... grazie di tutto" fece, con quell'accento marcato cha tanto gli piaceva. "Sei stato davvero gentile con me, mi hai aiutata col vestito, mi hai messa a mio agio per via del... nudo e... e poi con Merlin. Mi hai difesa".
"Merlin
è un coglione coi fiocchi. Oltre a esser stato parecchio maleducato con te ti
ha lasciata nel bagno a sperare che tu capissi come entrare in quella
trappola...".
"Lo
hai colpito".
"La cosa più bella della serata".
"La cosa più bella della serata".
Yvonne
rise.
Ed era
bella, Yvonne.
Yvonne era
bella.
Arrivarono
alle stanze, trascinandosi ancora un po' di quel silenzio. Entrambi aprirono le
serrature magnetiche con la card e sospirarono.
"Grazie
ancora per stasera. Buonanotte" disse lei, avvicinandosi e poggiandogli un
delicato bacio sulla bocca. I loro occhi s'incontrarono per un attimo
d'imbarazzo, in cui Ruby, se avesse realmente voluto, avrebbe potuto tirarla a
sé, aderire al suo corpo e saggiare ancora le morbide labbra di quelle.
Ma la
parola d'ordine era Sapphire e la paura di rompere quel giocattolo era più
della voglia di possedere quella bellissima donna, quella notte.
Il secondo
passò, la magia finì e lei sparì nella sua stanza.
E Ruby
rimase lì, inerme.
"Perché sei l'unica persona, in questo momento in grado
di smontare ogni pezzo di me e rimontarlo daccapo.
Per capire cos'ho che non va... Dato che è ovvio che io
abbia qualcosa che non vada.
Cos'è cambiato da prima che partissi?
Cos'è successo? Per quale motivo sei diventato quest'altra
persona?
Non posso non prendermi le mie responsabilità, e forse avrei
dovuto capirlo che la distanza ci avrebbe lentamente logorato da dentro".
Unima, Austropoli, Hotel Continental, Stanza di Ruby, 22 Marzo 20XX
Il piede
premeva sul pedale della macchina da cucito mentre la mente vagava.
Pensava
Ruby, al fatto che poche settimane prima si trovasse nelle stanze di una
piccola stamberga e che dalla finestra dove lavorava vedesse il Revitalizer
Building, con un pezzetto del golfo di Austropoli a colorare quella grigia
visione.
Pensava al
fatto che il suo letto fosse scomodo, col materasso sottile e la rete a cui
mancava qualche molla, lasciando un buco fastidioso, mentre quella notte aveva
dormito su morbido lattice e su doghe di larice.
E le luci:
due lampadine, di cui una fulminata, illuminavano a malapena quella piccola
stanzetta piena di macchie di muffa.
E forse
era meglio così.
Al
Continental, dove soggiornava ormai da una settimana, aveva contato ventidue
corpi lampada, soltanto nella stanza dove dormiva.
Il bagno
ne aveva un'altra decina.
Tutto
l'ambiente era ben illuminato, c'era la televisione, la musica in diffusione
(se voleva) e il frigobar veniva riempito come per magia ogni volta che
rientrava in stanza.
Trovava
sul cuscino una pralina di cioccolato finissimo.
Nel
vecchio alberghetto ci avrebbe trovato al massimo uno scarafaggio.
Continuava
a mettere punti su quel vestito blu dai particolari neri, ma quello che
pensava, sostanzialmente, era che avesse fatto lunghi passi in avanti da quando
aveva messo piede per la prima volta ad Unima.
Alzò per
un attimo gli occhi, fissando il modellino che aveva disegnato e che aveva
attaccato con lo scotch alla finestra.
Era a metà
lavoro.
Pensò che
ci stava mettendo davvero una vita ma quel vestito non era come tutti gli
altri.
No,
nessuno avrebbe visto quel vestito in nessuna delle sue collezioni.
Quello era
un abito che avrebbe indossato soltanto Sapphire e ogni punto dato, ogni piega
che effettuava, c'era il viso della sua donna a guidargli le mani.
Ci
lavorava a tempo perso. Ci avrebbe messo un po' a finirlo.
Poi il
cellulare squillò.
Incoming
Call
W H
I T E - B & W - A
G E N
C Y
Rispose.
"Pronto?".
"Grazie. Soltanto grazie per ieri. Non ho
avuto l'occasione di dirtelo ma grazie davvero. Yvonne era perfetta e...".
"White?".
"Sì, sono White. Ti avevo chiamato per
ringraziarti".
"Me ne
sono accorto" sorrise lui. "Ma non preoccuparti. Dopo l'avventura di
Bellevie Avenue sei diventata una sorta di sorella".
"Sì, certo" emulò il sorriso lei.
"Ma lo stesso, non eri obbligato a
darti da fare con Yvonne, ieri sera... E so anche dell'inconveniente scomodo
con Merlin...".
"L'ho
colpito".
"Me l'ha detto" tuonò. "Ma mi ha anche detto che hai risolto un
problema col vestito di Camelia, adattandolo al corpo di Yvonne".
"Non
voleva uscire dal bagno. Ansia da prestazione, forse" faceva quello, alzandosi
e prendendo una Winston dal pacchetto. Aprì la porta della stanza e uscì,
percorrendo il corridoio con passi lenti e posati.
"Del resto non era un esordio semplice. Ma è
stata fantastica".
"Tutto
merito della materia prima".
Ridacchiò,
quella. "Vi state parlando? Insomma,
risiedete nello stesso hotel...".
"La
stanza accanto alla mia" rettificò il ragazzo, aprendo la porta del
terrazzo e sospirando. Il vento quel giorno era forte e spazzava le cime dei
pochi alberi piantati sul lungomare di Austropoli. "Ma comunque no.
Cioè... Mi ha baciato, l'altra sera".
"COSA?!" urlò. Ruby strinse occhi e denti, allontanando il ricevitore
dall'orecchio. "Ma lei sa di
Sapphire?! E tu?! Tu l'hai baciata?!".
Al ragazzo
venne da sorridere. Quella tosta donna d'affari sembrava una quattordicenne.
"Non
penso sappia di Sapphire ma la cosa non si ripeterà. È stata strana e...".
"E nulla! Non è possibile!".
"Ma
cosa, non è possibile? Credo sia stato il suo modo di ringraziarmi per..."
e mentre parlava avvicinò la sigaretta alla bocca e la catturò tra la morsa
delle labbra. Accese, o almeno provò.
Una, due,
tre volte, ma l'accendino faceva cilecca.
"Ho
finito il gas..." sbuffò quello, con la sigaretta ancora tra le labbra.
"Come?!".
"No,
niente, stavo solo...".
E poi, dal
nulla, apparve una fiamma davanti ai suoi occhi; senza pensarci due volte, il
ragazzo avvicinò la sigaretta all'accendino e aspirò, riempiendo i polmoni di
quel catrame così delizioso e contemporaneamente acido.
Non fumava
spesso ma doveva ammettere a se stesso che in quei giorni ne aveva bisogno.
Troppo
stress, troppe sorprese.
E
quell'angoscia che lentamente continuava a consumarlo da dentro.
Guardò la
fiamma, poi l'accendino, quindi la mano delicata che lo manteneva.
E poi, più
in fondo, Yvonne, che sorrideva dolcemente.
"Sei
tu" osservò Ruby. "White devo andare, ti saluto" concluse lui,
riponendo il cellulare in tasca e gettando fuori dalla bocca fumo grigio, che
si disperse nel vento.
Yvonne
abbassò la testa in cenno di saluto.
"Me
ne offri una?" domandò.
Quello non
annuì neppure, prendendo il pacchetto di sigarette e poggiandolo sul cordolo
del parapetto.
"Grazie.
Come stai?".
Ruby
annuì. "Bene. Bene, bene, sto lavorando. Mi serviva un attimo di pausa.
Non sapevo fumassi".
Quella
sorrise ancora, abbassando lentamente il volto. "Tu non mi conosci per
nulla".
"Hai
sentito quello che dicevo per telefono, vero?".
Lei annuì,
accendendosi poi la sigaretta e guardando dritto, perdendo gli occhi nel vuoto
oltre l'oceano. "Già".
Lo
stilista la osservava con meticolosità, saggiandone ogni particolare del volto,
come le labbra morbide e gli zigomi alti, i grandi occhi grigi e i lunghi
capelli biondi, stretti in una più che pratica coda di cavallo.
Era
perfetta. Per quanto potesse provare a cercarle un difetto era convinto che non
ci sarebbe mai riuscito.
Yvonne non
aveva crepe.
Anche in
quella tuta rosa, con la zip leggermente aperta sulla canottiera nera, scollata
il tanto che bastava, quella donna era sensuale. Ogni suo gesto, ogni suo
movimento era setoso.
Pareva
lasciare una scia di polvere dorata.
"Io
intendevo...".
"A
Kalos non ci baciamo sulle labbra, per ringraziarci di qualcosa...".
"Ma
poi non avresti dovuto ringraziarmi di nulla" sorrise l'altro. "Era
soltanto il mio lavoro".
"Non
è il tuo lavoro proteggermi dalle parole cattive degli altri. Il tuo lavoro era
vestirmi, e lo hai fatto. Ma tu sei stato gentile con me, senza chiedermi nulla
in cambio, e da quando sono a Unima è la prima volta che accade" fece.
La sua
voce era soffice e delicata.
Ruby si
riconobbe attratto da lei ma pensò subito a Sapphire, e cancellò l'ultimo
pensiero.
"Io
non ho fatto nulla di speciale...".
"Ti
ho baciato perché sei stato gentile e sentivo che fosse la cosa giusta da fare.
Ma immagino che questa Sapphire sia qualcuno d'importante, per te".
Sospirò,
guardandola negli occhi, ponendole una domanda implicita.
"Ho
sentito il suo nome. È tua moglie?".
"No.
No, no, non è mia moglie. Sapphire è la mia ragazza, e vive a Hoenn".
Yvonne
alzò lo sguardo al cielo, sorridente. "Bella. Ci sono stata. Spiagge
fantastiche".
"Bluruvia
è meravigliosa" aggiunse il ragazzo, prendendo una boccata d'aria nera
dalla sigaretta. "E anche a nord di Ferrugipoli l'acqua è
fantastica".
"Sono
stata a Porto Alghepoli".
"Oh, sì, anche lì...".
"Oh, sì, anche lì...".
Rimasero
in silenzio per qualche imbarazzantissimo secondo, prima che lei sospirasse e
buttasse per terra mezza sigaretta.
"Ciao"
gli disse, calpestandola e voltandosi.
Sparì
oltre la porta d'emergenza, rientrando in hotel e lasciandolo lì da solo.
Negli
occhi di Ruby era rimasto lascivo ancora il suo volto, e quella scia di polvere
dorata, che il vento di quel giorno avrebbe dovuto spazzare via ma che finì per
depositarsi davanti ai suoi occhi.
"Ma sapevo anche che la tua integrità ti avrebbe
portato a stare lontano da situazioni del genere.
Il brutto di tutto questo è che i tuoi occhi hanno parlato
per te, quella volta, e niente, proprio niente, è riuscito a levare dalla mia
testa il tuo sguardo.
Tu che la guardavi.
Come guardavi me.
Innamorato.
Il problema è che non lo avresti mai ammesso davanti a
me".
Unima, Ponentopoli, Aeroporto, 7 Aprile 20XX
L'aeroporto
di Ponentopoli brulicava di vita, specialmente in quel periodo. La struttura
prendeva le sembianze di un'enorme voliera, con tanto di esemplari di Pokémon
uccello che saltavano da una trave all'altra. Grandi vetrate fotovoltaiche
lasciavano trasparire la luce del sole, anche se quel giorno nuvole malvagie
stavano prendendo il monopolio del cielo.
Ancora non
pioveva ma Ruby aveva con sé il suo fido ombrello.
Il segnale
acustico di sistema anticipava la comunicazione del ritardo del volo che
sarebbe dovuto partire di lì a poco, diretto a Holon.
Odiava i
ritardi in aeroporto, Ruby.
Il suo
volo non aveva avuto problemi di sorta e, a quanto pareva, neppure quello di
Sapphire. Attendeva di vederla sbucare dal gate in uscita, col suo trolley
azzurro e lo sguardo spaesato che indossava quando si trovava in un posto che
non conosceva.
Analizzava,
lei, con gli occhi di chi non aveva avuto il tempo di girare il mondo.
Era in
piedi, con un grosso uovo di cioccolata tra le mani, il suo caratteristico
cappello bianco (che lo avrebbe reso riconoscibile a chilometri di distanza), e
un lungo soprabito sportivo, che lo
aveva protetto dalle raffiche di vento, solite di quella città.
Eppure
Ponentopoli era carina.
Non molto
grande, era praticamente una città-aeroporto, in cui tutti i servizi e le
attività erano per la gran parte nella zona ovest della città, in cui si
gestivano gli arrivi e le partenze via aria di Unima.
L'affluenza
dal gate aumentava, e lui non sapeva cosa aspettarsi. Fremeva dalla voglia di
riabbracciare Sapphire e di gettarsi alle spalle le liti che diventavano mano a
mano più frequenti.
"ECCOTI!"
sentì poi urlare, e il rumore di un trolley strusciato per terra, lo
costrinsero a voltarsi alle spalle.
Era lì.
Sapph era
sorridente, quasi in lacrime; lasciava cadere la valigia per terra e saltava
letteralmente in braccio a Ruby.
Lui
sorrise, sentendo finalmente qualcosa sciogliersi dentro di sé. La strinse in
vita con una mano, con l'altra che manteneva l'uovo di Pasqua. Alzò il collo,
incontrando coi suoi occhi di rubino i suoi di zaffiro.
E si
baciarono.
Appassionatamente,
vivendo il tutto come una liberazione.
"Mi
sei mancato!" esclamò lei, baciandolo ancora avidamente, prima che lui si
staccasse e la poggiasse delicatamente per terra.
"Anche
tu, piccola... Buona Pasqua" disse, dandole tra le mani l'uovo. Quella
sorrise e annui.
"Grazie,
anche a te".
Il ragazzo
la vedeva sorridere e riempiva il suo cuore di gioia.
In quel
mese i suoi capelli erano cresciuti, arrivando a toccare quasi le scapole, ma
aveva comunque mantenuto la sua solita pettinatura, coi ciuffi sulla fronte ben
piastrati e lunghi e una coda bassa dietro la nuca. I suoi occhi blu erano
pieni di una gioia incontenibile.
Ruby perse
qualche secondo in più a guardare quelle labbra che aveva venerato, senza mai
un filo di rossetto e spesso screpolate, ma belle e morbide.
Abbassò
poi gli occhi, vedendo che indossava un cappottino beige parecchio caldo e
sotto delle parigine.
"Sei
bellissima oggi, amore" fece quello, raccogliendole la valigia e
sorridendo. Lei, con l'uovo tra le mani, alzò il braccio destro del suo ragazzo
e si fece abbracciare.
"Solo
oggi?" domandò.
"Esatto".
Uscirono
dall'aeroporto e raggiunsero una grande automobile nera, di quelle con le porte
che si aprivano al contrario e i vetri oscurati.
Un uomo
col cappello nero e un completo Versace si avvicinò al ragazzo e prese la
valigia di Sapphire, che lo vide aprire il portabagagli e infilarvi il trolley
dentro.
Fu Ruby a
farle strada nella grossa Mercedes. La ragazza entrò e la porta si chiuse
automaticamente.
"Sei
diventato ricco e non mi hai detto nulla?" domandò quella, sorpresa.
"No,
che ricco, no. Ma White mi ha messo a disposizione questa macchina e viaggeremo
molto più comodi che sull'autobus. All'andata ci ho messo quattro ore e non è
stata proprio una passeggiata...".
"Oh,
ma non era necessario" sorrise poi, quasi imbarazzata. "Mi piacerebbe
conoscere questa White. Sembra così gentile. Non è una modella, vero?".
"È il
capo delle modelle" spiegò il ragazzo.
"Ciò
fa di lei una top model?".
E fu lì
che il ragazzo sorrise di gusto, vedendola accigliarsi.
"Che
diamine ridi a fare?!".
Ruby la
strinse e le baciò la guancia.
"No.
Non è una top model. È una donna comune, come tutte le altre".
Sapphire
era stata messa in moto.
"Ancora
con questa storia?! Non esiste una donna uguale all'altra! Nessuna è comune,
perché tutte...".
L'altro
sbuffò, cominciando a canzonare la fidanzata e a completare la frase che stava
dicendo. "Perché tutte possono dare la vita, dannazione, me lo avrai
ripetuto cinquecento milioni di volte... Quello che intendevo però
era...".
La ragazza
sorrise. "Lo so che intendevi. Ma adoro rimproverarti" fece,
carezzandogli il volto. "Ho capito cosa intendevi, comunque. Volevi dire
le donne vere, non quelle photoshoppate. Quelle con le maniglie dell'amore, le
smagliature sulle tette e i capelli che al mattino costruiscono strane
impalcature...".
Immediatamente
nella testa di Ruby apparve Yvonne.
Lei era
una donna vera, perché l'aveva vista davanti agli occhi, e non gli era parso
d'aver visto maniglie dell'amore o smagliature sui seni.
Con donne
del genere ci lavorava tutti i giorni ma vedeva sui loro volti cenni di
disperazione dovuti ad anni di sacrifici.
In fondo
le comprendeva.
Come ogni
mestiere, anche quello della modella era fatto per gran parte da spirito di
abnegazione. In più ci voleva il portamento e, ovviamente, la materia prima.
Ma quella
non si acquisiva col tempo.
Yvonne
invece non sembrava accusare quel tipo di problemi. Non aveva la malinconia
negli occhi come Kimberly, né la paura reverenziale per il suo capo.
Anzi,
pareva essere quasi che White temesse che lei decidesse di andare via.
Scrollò
lontano quei pensieri.
Stava
lavorando troppo in quel periodo.
"Hai
una pessima cera" osservò Sapphire, fissandolo da distanza ravvicinata. I
suoi occhi blu lo guardavano curiosi. Quello si voltò leggermente e sorrise.
"Ieri
abbiamo aperto l'atelier, te l'ho detto... Abbiamo sistemato alcuni sarti nelle
varie postazioni e ho consegnato i primi bozzetti agli assistenti. Tra poco
affronterò la mia prima sfilata, coi miei abiti e..." sorrise poi,
guardando avanti.
Sapphire
lo emulò, perdendo la dolcezza nel volto e vestendolo di velata malinconia.
"Hoenn
non ti avrebbe dato questa possibilità".
"No.
Evidentemente no".
"Beh...
Finché non diventerai un pezzo grosso non potrai abbandonare questo
posto".
L'autista
imboccò l'autostrada. Libecciopoli distava un'oretta di viaggio da lì.
Lo vide
annuire.
"Qui
è tutto così... grande" fece, perdendo ancora lo sguardo oltre il
finestrino scuro. Poggiò la mano sull’appoggiabraccio in pelle nera,
saggiandone la morbidezza. Allungò poi le dita, giocherellando col tasto del
finestrino, senza mai aprirlo. "Unima è il fiume dove tutti gli animali
bevono. E Austropoli è la foce".
"Che
poetico" ridacchiò lei.
La guardò,
lui, distratto: aveva accavallato le cosce, come faceva sempre, infilandovi la
mano destra in mezzo, all'altezza delle ginocchia..
Aveva
freddo.
Tuttavia
non sembrava curarsene molto. Sopportava.
Aveva
appoggiato la testa sul finestrino, allungando il collo e mordicchiandosi le
labbra.
Ruby aprì
le bocchette dell'aria calda e la vide sorridere.
Annuì,
quella, allungandosi a lui e poggiando la testa sulla sua spalla.
Era
tremendamente sexy. Voleva fare l'amore con lei, il ragazzo.
Arrivarono
dopo un po' di tempo. Il viaggio era stato tranquillo. Avevano parlato, riso,
litigato. Poi s'erano addormentati entrambi. Infine arrivarono; L'autista li
lasciò davanti all'hotel.
"Grazie,
Robert" disse Ruby, quando quello chiuse il portabagagli e poggiò per
terra la valigia di Sapphire. Quella stava un passo indietro, con le braccia
incrociate e il peso sbilanciato sulla gamba destra.
"Prego,
signor Normanson".
L'autista
si dileguò, lasciandoli lì.
"Signor
Normanson "scimmiottò quella, ricevendo una smorfia in risposta.
Entrarono
nell'albergo, e Sapphire si guardò attorno, attonita. Vedeva i divanetti, i
lampadari, la musica, gli ascensori, le divise degli addetti.
Tutto,
persino la clientela aveva una classe che non aveva mai saggiato.
"Uao..."
disse sottovoce. "È questo che si prova a guardare il mondo coi tuoi
occhi?".
Ruby
sorrise.
"La
cosa più bella non la vedi, però...".
Sapphire
ruotò gli occhi e sbuffò.
"Delle
volte sei così melenso che mi chiedo cosa ci veda in te...".
L'altro si
limitò a sorridere e a premere il pulsante di chiamata per l'ascensore.
Sapphire si voltò ancora, concentrando la propria attenzione sui ghirigori
della moquette.
"Ho
bisogno di una doccia" osservò il ragazzo, con tono lamentoso.
"Già.
Puzzi".
"La
mia puzza profumo più del tuo profumo" ribatté l'altro, con superiorità
manifesta.
L'ascensore
arrivò al piano, aprendosi.
"Non
ho capito niente" fece, anticipandolo ed entrando. Si appostò accanto alla
tastiera numerica e guardò il fidanzato. "White ti ha riservato l'attico o
cosa?".
"Smetti
di provocarmi" rispose l'altro, premendo il tasto al posto suo e
piazzandosi accanto a lei. Vide le porte chiudersi e rimase in silenzio.
"Altrimenti
che fai?" chiese quella, guardandolo col sopracciglio destro alzato.
Lui non
raccolse, sospirando e guardando avanti.
"Poi
ti faccio vedere".
"UOOO!"
urlò, rumorosa come sempre. "E cosa vorresti farmi vedere?!".
Ruby annuì
e sorrise. "Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire".
Un altro
segnale sonoro avvertì i due dell'arrivo al piano. Fu quando le porte si
aprirono che Ruby mise per primo il piede fuori, guardandosi rapidamente
attorno. Trascinò con sé la valigia e aspettò che Sapphire lo seguisse, per poi
lanciare la valigia per terra e spingere delicatamente la ragazza al muro.
Quella
spalancò gli occhi e lo vide aderire al suo corpo, poggiandole gli avambracci
ai lati della testa.
"Cosa
vorresti vedere, di preciso?" domandò lui, sorridendole.
Sapphire
si limitò a seguire il suo sorriso, per poi baciarlo appassionatamente; sentiva
le mani del ragazzo tastare sul suo corpo, afferrarle i fianchi e scendere in
basso, a stringere le natiche.
E il fatto
che chiunque avrebbe potuto vederli soltanto uscendo dalla camera la eccitava.
Fino a un
certo punto.
"Andiamo
in stanza" disse lei, ansimando.
La porta
si spalancò dietro la spinta distratta di Ruby, che stringeva con una mano la
maniglia della valigia e con l'altra la vita di Sapphire.
Gettò la
borsa per terra e chiuse col piede la porta. Poi morse il labbro della sua
donna, stringendola forte e aderendo a quel corpo che tanto aveva desiderato in
quei giorni in cui il vento d'australe gli soffiava addosso.
Come fosse
una bambola, le spalancò il cappotto. Se non avesse avuto gli occhi chiusi,
protagonisti della frenesia di quel bacio, avrebbe visto un lungo vestito
bordeaux, in lana pettinata, che terminava poco prima delle parigine.
Il
soprabito cadde ai loro piedi ma finirono per scavalcarlo velocemente.
Caddero
sul letto e Sapphire condì il tutto con un piccolo urletto.
Lei sotto
di lui, che gli stringeva il fianco destro e il collo. Le sue labbra davanti ai
suoi occhi, la maglietta leggermente alzata e gli occhi rubini socchiusi,
pregni di desiderio.
"Stavo
aspettando questo momento dal primo momento in cui sei andato via da casa"
disse lei. "Mi sei mancato un casino".
Avvicinò
le labbra alle sue, incontrando la lingua in un bagnatissimo abbraccio; sentì
le mani di Ruby carezzarle il corpo, scendere in basso e stringerle la coscia.
Lei era
piena di desiderio.
Il ragazzo
affondò oltre il bordo del maglioncino, salendo rapido e avvicinandosi al pizzo
del tanga che indossava.
Era umido.
La ragazza
fremeva di desiderio, carezzando gli addominali duri del fidanzato e sentendo
la sua mano continuare a salire, carezzandole la pancia e terminando più sopra,
stringendole il seno destro.
"Ti
amo..." disse lui, lascivo, mentre modellava il corpo di Sapphire sotto le
sue effusioni.
Pochi
minuti dopo lui era dentro di lei.
Ed
entrambi raggiunsero le stelle.
S’addormentarono,
stretti in un abbraccio senza fine. Poi lei si voltò dall’altra parte, qualche
ora dopo, svegliando il fidanzato.
Ruby si
limitò ad aprire gli occhi, lento.
Inspirò
profondamente, beato dal profumo che aleggiava nell’aria; tutto odorava di
Sapphire, e della sua pelle morbida.
Voltò
lentamente il viso, ammirandola nella statuaria quiete del suo sonno,
assaggiandone con lo sguardo i capelli che si poggiavano morbidi sul cuscino e
più giù, il collo lungo ed elegante e la schiena nuda, che qualche ora prima
aveva baciato per tutta la lunghezza.
Guardò la
linea della colonna, che si stagliava lunga su tutta la sua schiena e che si
ammorbidiva in corrispondenza delle morbide natiche. Le fissò, coperte
parzialmente dal solo lenzuolo bianco, e saliva in lui la voglia di avvicinarsi
nuovamente a lei, far aderire quella schiena al suo petto, spingere contro il
suo sedere, morderle il collo e stringerle i seni.
Sospirò.
S’affacciò
verso di lei, schioccandole un timido bacio sul fianco, per poi alzarsi e
infilare le pantofole.
Ancora si
voltò, cercando di godersi ogni minuto di quel venerdì di Pasqua con lei, già
pensando al fatto che pochi giorni dopo avrebbe dovuto riaccompagnarla
all’aeroporto di Ponentopoli. Analizzò nuovamente la sua figura quando si
accorse che, poggiato sullo scrittoio della suite, vi era il vestito che stava
mettendo assieme per lei.
Lo avrebbe
indossato per l’occasione più speciale che poteva venirgli in mente, e già
immaginava Luminopoli, lui che s’inginocchiava davanti a lei con la Torre Prisma
sullo sfondo.
L’anello,
la proposta, le lacrime.
E quel
vestito.
Lo ripose
nell’armadio, lontano dai suoi occhi, e andò a farsi una doccia.
“E mi ripeto che sono stata una stupida! Una stupida enorme,
perché sarei dovuta tornare lì e incatenarmi a te! Perdere la mia vita ma
mantenere pulita la mia anima!
Perché io lo so che, se fossi rimasta lì, tu non avresti mai
fatto una cosa del genere!
Alla fine dei conti ti avrei perdonato. Ti avrei perdonato
se soltanto ti fosse interessato rientrare nella nostra casa e dormire con me
nel nostro letto.
Ma tu sei lì da mesi ormai, e ogni cellula del mio corpo mi
grida che non tornerai”.
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