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Andy Black - Unravel Me - 4. Quattro (IV)



UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).




Unima, Austropoli, Autumn Theatre, 21 Marzo 20XX

Gli occhi di White si alzarono dal cellulare giusto per un istante, guardando, nascosta dal velluto del palcoscenico, la sala gremita di gente. Sbuffò, per tirare fuori quell'angoscia che l'attanagliava, e poi sorrise.
Ruby era dietro di lei, con una cartellina in mano, che scorreva una lista. Sul suo volto non c'era nulla che lasciasse trapelare qualcosa di buono.
La Presidentessa si mosse velocemente, mentre la musica in diffusione cambiava, passando dalla tecno all'onnipresente raeggaeton.
"La sala è piena" disse, avvicinandosi a lui.
Ruby alzò lo sguardo e poi lo allungò alle spalle della donna, dove lo stilista di quella sfilata, l'eccentrico Marlon Merlin, sbraitava qualcosa alle sue modelle.
Quello era un omino assai strano: non molto alto, non aveva un singolo pelo sulla testa. Le sopracciglia erano bionde, così come la foltissima barba.
"Marlon, che succede?" domandò White, vedendolo profondamente alterato.
"Camelia non viene! E la sua sostituta è chiusa in bagno e non vuole uscire!".
La donna si voltò verso Ruby e fece spallucce.
"Sarà un'abitudine..." sospirò l'altro, facendo segno a una ragazza dai capelli neri e le lentiggini sul viso di voltarsi. Le sistemò meglio il vestito sui fianchi stretti e le diede le scarpe.
"Ci penso io" disse White a Merlin, che intanto aveva continuato a sbraitare in maniera poco mascolina qualcosa. Fu in quel momento che la Presidentessa aderì quasi totalmente al corpo di Ruby, e gli sussurrò una cosa nell'orecchio.
"Io so che tu sei qui soltanto perché te l'ho chiesto io. So che non è la tua sfilata è ho capito anche che Marlon ti sta sulle palle ma per favore: fai uscire Yvonne dal bagno e preparala. Preparala tu personalmente, che a quanto pare hai affinità con lei...".
Ruby indietreggiò per poterla guardare negli occhi.
"Non credo di averle mai sentito dire nulla, in questi giorni".
"È la tua vicina di stanza! Di te si fiderà sicuramente!".
Ruby fece cenno di no con la testa, sconfitto. Mise la cartellina tra le mani di White e si voltò, superando una fila di truccatrici all'opera e di modelle pronte per andare in scena.
I suoi passi battevano sul pavimento di luminol, prima che le mattonelle lo sostituissero, in corrispondenza del corridoio.
Il Salon Rouge - Montaigner era il centro adatto per una sfilata di quella portata, considerato che Camelia avrebbe dovuto calcare quella passerella.
E Austropoli non ne aveva di migliori: luci soffuse davano spazio alle ombre della sala, sterminate poi grossi fasci luminosi che illuminavano le modelle e il loro cammino.
In quel luogo c'era sempre profumo di rose.
Acquisito da una coppia di stilisti di Kalos nei primi anni sessanta, François Rouge e Amelie Montaigner per l'appunto, il vecchio Autumn Theatre era un gioiellino dell'architettura d'inizio secolo. Più che un teatro sembrava bordello con una sala centrale per le sfilate.
Col tempo era stato rimodernato e i discendenti della coppia lo avevano trasformato in uno dei posti più en vogue dell'intera città.
Era evocativo il fatto che lo stesso Ruby stesse percorrendo il corridoio che, più di un lustro prima, avevano calcato modelle del calibro di Verushka e Jean Shrimpton. Il bagno era la prima porta sulla sinistra.
E la porta era di nuovo chiusa.
"Chi è?" domandò Yvonne.
"Ruby, lo stilista. Dobbiamo evitare questa brutta abitudine di parlare con le porte di mezzo...".
La sentì sorridere.
"C'è qualche problema?" domandò poi il ragazzo. "Perché se vuoi possiamo tranquillamente risolvere ogni cosa...".
La porta del bagno si aprì, mostrando lo spettro di quella bella ragazza che viveva a pochi metri da lui: aveva i capelli e il trucco in ordine, ed era pronta per sfilare. Tuttavia indossava un top e un pantaloncino.
"Si gela, qui dentro..." sospirò lui, entrando nel bagno e chiudendo la porta. "Allora?".
Lei spostò gli occhi grigi verso il vestito e sospirò.
"L'abito è brutto. Bruttissimo... E lo stilista mi sta addosso come se fossi la protagonista di un film".
Ruby sorrise. "Oh, ma lo sei" disse quello, prendendola per mano e facendola spostare leggermente. "Stai sostituendo Camelia. Questo è il tuo lavoro, camminare con volto serio e sensuale. Ricordi negli scorsi giorni cosa abbiamo fatto?".
Quella pronunciò le labbra e si poggiò sul lavandino.
"Mi hai insegnato a sfilare. A tenere il collo alto e a guardare un punto indefinito davanti a me".
"Questo è ciò che fanno le modelle. Sfilano col collo alto e guardano un punto indefinito. Il cinquanta percento del loro lavoro è questo".
Yvonne sbuffò, portando le mani ai fianchi. "L'altro cinquanta è non mangiare più niente".
E lì Ruby sorrise, contagiandola e divertendo anche lei. Le prese entrambe le mani, stringendole. "Nonostante quel vestito sia orribile e Marlon Merlin sia uno stronzo il valore aggiunto devi essere tu. Hai tutto ciò che serve" sorrise lui, guardandola con delicatezza in viso, evitando di abbassare lo sguardo verso la scollatura.
Era lavoro, Yvonne era un manichino che respirava e niente più.
"Quindi ora levati i vestiti e ti do una mano a entrare in quell'abito. Poi uscirai lì fuori, sfilerai e ti prenderai un bello stipendio. E diventerai famosa come la modella che ha sostituito Camelia".
Yvonne addolcì lo sguardo e sorrise leggermente. Poi arrossì quando abbassò i pantaloncini, rimanendo in slip. Ruby s'era girato dall'altra parte e aveva preso il vestito, ritrovandola col braccio a coprire entrambi quei seni perfetti.
Al contrario di Kimberly, Yvonne non era abituata a stare nuda davanti a persone qualunque.
"Stai tranquilla, per me è solo lavoro" sorrise lui, voltandola e perdendosi per un secondo di troppo lungo quella schiena nuda.
Prese tra le dita la zip e l'abbassò.
Era effettivamente un vestito difficile da indossare, col velo puntato sul corpo dell'abito e la modella che doveva entrarci senza strapparlo.
Ci voleva l'aiuto di qualcuno.
"Perfetto, ora devi mettere prima una gamba e poi l'altra qui dentro..." fece il ragazzo dagli occhi rossi, sorridendole dolcemente e mantenendo lo sguardo sul suo, per evitare che s'imbarazzasse.
E lei lo fece, scoprendo il seno e impegnandosi ad essere più delicata possibile per non rompere nulla, e alla fine ci riuscì; era davanti allo specchio, con indosso l'abito e lo shesh poggiato sulla spalla. Ruby le tirava addosso il vestito, che cadeva morbido sul busto e si stringeva in corrispondenza dei fianchi della bionda.
"È stretto" fece lei.
"Non rimarrai col sedere da fuori, se è questo che temi" disse lui, lisciando il tessuto sulla pancia con la mano e poi afferrando il lembo superiore del corpetto, proprio vicino al seno. E tirò su, lasciando che quello calzasse alla perfezione.
Yvonne sorrise, annuendo. "Ora va meglio".
"Sei splendida" sorrise il ragazzo, senza neppure guardarla. "Fortunatamente non hai i tacchi, altrimenti non riuscirei a metterti lo shesh. Allora" fece, prendendole il velo sulla spalla e rimanendo un attimo a guardarla.
Era davvero bella. Voleva capire come risaltarle gli occhi e poi annuì.
"Che fai?" domandò quella.
"Niente, niente. Valuto" le rispose, avvolgendo il copricapo di seta inizialmente attorno al collo. Poi qualcuno bussò forte alla porta.
"E allora?! Manchi solo tu, dannata sgualdrina di Kalos!".
Era Marlon Merlin.
Ed era isterico.
Yvonne guardò Ruby attraverso lo specchio del bagno e lo vide annuire.
Andò ad aprire la porta, senza lasciargli intravedere la ragazza, uscì e se la richiuse alle spalle.
"Qual è il problema?" fece, ponendosi davanti a lui con le braccia incrociate.
"La tua amica deve essere pronta tra quattro secondi! Non può andare sempre tutto così male, durante le mie sfilate!" urlava quello, girandosi attorno senza controllo.
Ruby lo bloccò per le spalle e lo strinse.
"Prima cosa, non sei tu la superstar di questa sfilata, lo sono i tuoi vestiti. Quindi calmati. In secondo luogo, la sgualdrina di Kalos qui dentro sta indossando un vestito impossibile e senza proporzioni. Non hai avuto neppure l'accortezza di adattarlo alle sue misure".
"E lasciami!" aveva urlato quell'altro, dando una manata alle braccia di Ruby. "Se al posto di Camelia c'è questa troia è colpa solamente di White e della sua agenzia!".
"Calmo con le parole...".
"Siete degli incompetenti!" urlava ancora quello, indietreggiando. "Ma state tranquilli, non avrete mai più a che fare con me! Io sono uno stilista serio e pretendo...".
E poi Ruby lo colpì con un ceffone violento, che lo zittì.
"Hai finito?" gli domandò, mentre del fuoco impetuoso gli usciva dagli occhi.
Yvonne aprì immediatamente la porta, mostrandosi agli occhi di Merlin. Quello fissò Ruby, poi guardò la figura perfetta della modella alle sue spalle e constatò che, effettivamente, il vestito le andasse davvero bene.
"E ora fammi finire di lavorare" concluse l'altro, voltandosi e spingendo delicatamente la bionda all'interno del bagno.

La sfilata andò in maniera grandiosa.
Yvonne camminò a testa alta avvolta in un vestito non semplice da gestire, semplicemente con lo sguardo scoperto. Il trucco attorno agli occhi era pesante, in modo da farli risaltare, e anche il volto era stato appesantito dal phard. Due ciuffi biondi tagliavano in diagonale il viso della bella e uscivano verso l'esterno.
La donna tornò indietro ancheggiando vistosamente e poi fermandosi, abbassando lo shesh, come le aveva consigliato Ruby e aveva sorriso, facendo un occhiolino.
Marlon Merlin fu osannato dalla critica nei giorni a seguire ed evitò lo sguardo di Ruby per quasi un mese, quando lo incontrava in agenzia.

Già, perché la sgualdrina di Kalos era stata la chiave del suo successo.

Tornarono in albergo quando il sole stava per sorgere. Il concierge diede a Ruby e Yvonne le chiavi delle loro stanze e passarono i due minuti in cui aspettarono l'ascensore e arrivarono al piano in totale silenzio.
Lei poi abbassò lo sguardo, nel corridoio, sorridendo.
"Grazie, Ruby".
Lui si voltò verso di lei e fece spallucce. "E di cosa? È il mio lavoro".
"Sì, lo so, lo so, ma davvero... grazie di tutto" fece, con quell'accento marcato cha tanto gli piaceva. "Sei stato davvero gentile con me, mi hai aiutata col vestito, mi hai messa a mio agio per via del... nudo e... e poi con Merlin. Mi hai difesa".
"Merlin è un coglione coi fiocchi. Oltre a esser stato parecchio maleducato con te ti ha lasciata nel bagno a sperare che tu capissi come entrare in quella trappola...".
"Lo hai colpito".
"La cosa più bella della serata".
Yvonne rise.
Ed era bella, Yvonne.
Yvonne era bella.
Arrivarono alle stanze, trascinandosi ancora un po' di quel silenzio. Entrambi aprirono le serrature magnetiche con la card e sospirarono.
"Grazie ancora per stasera. Buonanotte" disse lei, avvicinandosi e poggiandogli un delicato bacio sulla bocca. I loro occhi s'incontrarono per un attimo d'imbarazzo, in cui Ruby, se avesse realmente voluto, avrebbe potuto tirarla a sé, aderire al suo corpo e saggiare ancora le morbide labbra di quelle.
Ma la parola d'ordine era Sapphire e la paura di rompere quel giocattolo era più della voglia di possedere quella bellissima donna, quella notte.
Il secondo passò, la magia finì e lei sparì nella sua stanza.
E Ruby rimase lì, inerme.


"Perché sei l'unica persona, in questo momento in grado di smontare ogni pezzo di me e rimontarlo daccapo.
Per capire cos'ho che non va... Dato che è ovvio che io abbia qualcosa che non vada.
Cos'è cambiato da prima che partissi?
Cos'è successo? Per quale motivo sei diventato quest'altra persona?
Non posso non prendermi le mie responsabilità, e forse avrei dovuto capirlo che la distanza ci avrebbe lentamente logorato da dentro".


Unima, Austropoli, Hotel Continental, Stanza di Ruby, 22 Marzo 20XX

Il piede premeva sul pedale della macchina da cucito mentre la mente vagava.
Pensava Ruby, al fatto che poche settimane prima si trovasse nelle stanze di una piccola stamberga e che dalla finestra dove lavorava vedesse il Revitalizer Building, con un pezzetto del golfo di Austropoli a colorare quella grigia visione.
Pensava al fatto che il suo letto fosse scomodo, col materasso sottile e la rete a cui mancava qualche molla, lasciando un buco fastidioso, mentre quella notte aveva dormito su morbido lattice e su doghe di larice.
E le luci: due lampadine, di cui una fulminata, illuminavano a malapena quella piccola stanzetta piena di macchie di muffa.
E forse era meglio così.
Al Continental, dove soggiornava ormai da una settimana, aveva contato ventidue corpi lampada, soltanto nella stanza dove dormiva.
Il bagno ne aveva un'altra decina.
Tutto l'ambiente era ben illuminato, c'era la televisione, la musica in diffusione (se voleva) e il frigobar veniva riempito come per magia ogni volta che rientrava in stanza.
Trovava sul cuscino una pralina di cioccolato finissimo.
Nel vecchio alberghetto ci avrebbe trovato al massimo uno scarafaggio.
Continuava a mettere punti su quel vestito blu dai particolari neri, ma quello che pensava, sostanzialmente, era che avesse fatto lunghi passi in avanti da quando aveva messo piede per la prima volta ad Unima.
Alzò per un attimo gli occhi, fissando il modellino che aveva disegnato e che aveva attaccato con lo scotch alla finestra.
Era a metà lavoro.
Pensò che ci stava mettendo davvero una vita ma quel vestito non era come tutti gli altri.
No, nessuno avrebbe visto quel vestito in nessuna delle sue collezioni.
Quello era un abito che avrebbe indossato soltanto Sapphire e ogni punto dato, ogni piega che effettuava, c'era il viso della sua donna a guidargli le mani.
Ci lavorava a tempo perso. Ci avrebbe messo un po' a finirlo.
Poi il cellulare squillò.


Incoming Call

W  H  I  T  E - B & W -  A  G  E  N  C  Y

Rispose.
"Pronto?".
"Grazie. Soltanto grazie per ieri. Non ho avuto l'occasione di dirtelo ma grazie davvero. Yvonne era perfetta e...".
"White?".
"Sì, sono White. Ti avevo chiamato per ringraziarti".
"Me ne sono accorto" sorrise lui. "Ma non preoccuparti. Dopo l'avventura di Bellevie Avenue sei diventata una sorta di sorella".
"Sì, certo" emulò il sorriso lei. "Ma lo stesso, non eri obbligato a darti da fare con Yvonne, ieri sera... E so anche dell'inconveniente scomodo con Merlin...".
"L'ho colpito".
"Me l'ha detto" tuonò. "Ma mi ha anche detto che hai risolto un problema col vestito di Camelia, adattandolo al corpo di Yvonne".
"Non voleva uscire dal bagno. Ansia da prestazione, forse" faceva quello, alzandosi e prendendo una Winston dal pacchetto. Aprì la porta della stanza e uscì, percorrendo il corridoio con passi lenti e posati.
"Del resto non era un esordio semplice. Ma è stata fantastica".
"Tutto merito della materia prima".
Ridacchiò, quella. "Vi state parlando? Insomma, risiedete nello stesso hotel...".
"La stanza accanto alla mia" rettificò il ragazzo, aprendo la porta del terrazzo e sospirando. Il vento quel giorno era forte e spazzava le cime dei pochi alberi piantati sul lungomare di Austropoli. "Ma comunque no. Cioè... Mi ha baciato, l'altra sera".
"COSA?!" urlò. Ruby strinse occhi e denti, allontanando il ricevitore dall'orecchio. "Ma lei sa di Sapphire?! E tu?! Tu l'hai baciata?!".
Al ragazzo venne da sorridere. Quella tosta donna d'affari sembrava una quattordicenne.
"Non penso sappia di Sapphire ma la cosa non si ripeterà. È stata strana e...".
"E nulla! Non è possibile!".
"Ma cosa, non è possibile? Credo sia stato il suo modo di ringraziarmi per..." e mentre parlava avvicinò la sigaretta alla bocca e la catturò tra la morsa delle labbra. Accese, o almeno provò.
Una, due, tre volte, ma l'accendino faceva cilecca.
"Ho finito il gas..." sbuffò quello, con la sigaretta ancora tra le labbra.
"Come?!".
"No, niente, stavo solo...".
E poi, dal nulla, apparve una fiamma davanti ai suoi occhi; senza pensarci due volte, il ragazzo avvicinò la sigaretta all'accendino e aspirò, riempiendo i polmoni di quel catrame così delizioso e contemporaneamente acido.
Non fumava spesso ma doveva ammettere a se stesso che in quei giorni ne aveva bisogno.
Troppo stress, troppe sorprese.
E quell'angoscia che lentamente continuava a consumarlo da dentro.
Guardò la fiamma, poi l'accendino, quindi la mano delicata che lo manteneva.
E poi, più in fondo, Yvonne, che sorrideva dolcemente.
"Sei tu" osservò Ruby. "White devo andare, ti saluto" concluse lui, riponendo il cellulare in tasca e gettando fuori dalla bocca fumo grigio, che si disperse nel vento.
Yvonne abbassò la testa in cenno di saluto.
"Me ne offri una?" domandò.
Quello non annuì neppure, prendendo il pacchetto di sigarette e poggiandolo sul cordolo del parapetto.
"Grazie. Come stai?".
Ruby annuì. "Bene. Bene, bene, sto lavorando. Mi serviva un attimo di pausa. Non sapevo fumassi".
Quella sorrise ancora, abbassando lentamente il volto. "Tu non mi conosci per nulla".
"Hai sentito quello che dicevo per telefono, vero?".
Lei annuì, accendendosi poi la sigaretta e guardando dritto, perdendo gli occhi nel vuoto oltre l'oceano. "Già".
Lo stilista la osservava con meticolosità, saggiandone ogni particolare del volto, come le labbra morbide e gli zigomi alti, i grandi occhi grigi e i lunghi capelli biondi, stretti in una più che pratica coda di cavallo.
Era perfetta. Per quanto potesse provare a cercarle un difetto era convinto che non ci sarebbe mai riuscito.
Yvonne non aveva crepe.
Anche in quella tuta rosa, con la zip leggermente aperta sulla canottiera nera, scollata il tanto che bastava, quella donna era sensuale. Ogni suo gesto, ogni suo movimento era setoso.
Pareva lasciare una scia di polvere dorata.
"Io intendevo...".
"A Kalos non ci baciamo sulle labbra, per ringraziarci di qualcosa...".
"Ma poi non avresti dovuto ringraziarmi di nulla" sorrise l'altro. "Era soltanto il mio lavoro".
"Non è il tuo lavoro proteggermi dalle parole cattive degli altri. Il tuo lavoro era vestirmi, e lo hai fatto. Ma tu sei stato gentile con me, senza chiedermi nulla in cambio, e da quando sono a Unima è la prima volta che accade" fece.
La sua voce era soffice e delicata.
Ruby si riconobbe attratto da lei ma pensò subito a Sapphire, e cancellò l'ultimo pensiero.
"Io non ho fatto nulla di speciale...".
"Ti ho baciato perché sei stato gentile e sentivo che fosse la cosa giusta da fare. Ma immagino che questa Sapphire sia qualcuno d'importante, per te".
Sospirò, guardandola negli occhi, ponendole una domanda implicita.
"Ho sentito il suo nome. È tua moglie?".
"No. No, no, non è mia moglie. Sapphire è la mia ragazza, e vive a Hoenn".
Yvonne alzò lo sguardo al cielo, sorridente. "Bella. Ci sono stata. Spiagge fantastiche".
"Bluruvia è meravigliosa" aggiunse il ragazzo, prendendo una boccata d'aria nera dalla sigaretta. "E anche a nord di Ferrugipoli l'acqua è fantastica".
"Sono stata a Porto Alghepoli".
"Oh, sì, anche lì...".
Rimasero in silenzio per qualche imbarazzantissimo secondo, prima che lei sospirasse e buttasse per terra mezza sigaretta.
"Ciao" gli disse, calpestandola e voltandosi.
Sparì oltre la porta d'emergenza, rientrando in hotel e lasciandolo lì da solo.
Negli occhi di Ruby era rimasto lascivo ancora il suo volto, e quella scia di polvere dorata, che il vento di quel giorno avrebbe dovuto spazzare via ma che finì per depositarsi davanti ai suoi occhi.


"Ma sapevo anche che la tua integrità ti avrebbe portato a stare lontano da situazioni del genere.
Il brutto di tutto questo è che i tuoi occhi hanno parlato per te, quella volta, e niente, proprio niente, è riuscito a levare dalla mia testa il tuo sguardo.
Tu che la guardavi.
Come guardavi me.
Innamorato.
Il problema è che non lo avresti mai ammesso davanti a me".




Unima, Ponentopoli, Aeroporto, 7 Aprile 20XX

L'aeroporto di Ponentopoli brulicava di vita, specialmente in quel periodo. La struttura prendeva le sembianze di un'enorme voliera, con tanto di esemplari di Pokémon uccello che saltavano da una trave all'altra. Grandi vetrate fotovoltaiche lasciavano trasparire la luce del sole, anche se quel giorno nuvole malvagie stavano prendendo il monopolio del cielo.
Ancora non pioveva ma Ruby aveva con sé il suo fido ombrello.
Il segnale acustico di sistema anticipava la comunicazione del ritardo del volo che sarebbe dovuto partire di lì a poco, diretto a Holon.
Odiava i ritardi in aeroporto, Ruby.
Il suo volo non aveva avuto problemi di sorta e, a quanto pareva, neppure quello di Sapphire. Attendeva di vederla sbucare dal gate in uscita, col suo trolley azzurro e lo sguardo spaesato che indossava quando si trovava in un posto che non conosceva.
Analizzava, lei, con gli occhi di chi non aveva avuto il tempo di girare il mondo.
Era in piedi, con un grosso uovo di cioccolata tra le mani, il suo caratteristico cappello bianco (che lo avrebbe reso riconoscibile a chilometri di distanza), e un lungo soprabito sportivo, che  lo aveva protetto dalle raffiche di vento, solite di quella città.
Eppure Ponentopoli era carina.
Non molto grande, era praticamente una città-aeroporto, in cui tutti i servizi e le attività erano per la gran parte nella zona ovest della città, in cui si gestivano gli arrivi e le partenze via aria di Unima.
L'affluenza dal gate aumentava, e lui non sapeva cosa aspettarsi. Fremeva dalla voglia di riabbracciare Sapphire e di gettarsi alle spalle le liti che diventavano mano a mano più frequenti.
"ECCOTI!" sentì poi urlare, e il rumore di un trolley strusciato per terra, lo costrinsero a voltarsi alle spalle.

Era lì.

Sapph era sorridente, quasi in lacrime; lasciava cadere la valigia per terra e saltava letteralmente in braccio a Ruby.
Lui sorrise, sentendo finalmente qualcosa sciogliersi dentro di sé. La strinse in vita con una mano, con l'altra che manteneva l'uovo di Pasqua. Alzò il collo, incontrando coi suoi occhi di rubino i suoi di zaffiro.
E si baciarono.
Appassionatamente, vivendo il tutto come una liberazione.
"Mi sei mancato!" esclamò lei, baciandolo ancora avidamente, prima che lui si staccasse e la poggiasse delicatamente per terra.
"Anche tu, piccola... Buona Pasqua" disse, dandole tra le mani l'uovo. Quella sorrise e annui.
"Grazie, anche a te".
Il ragazzo la vedeva sorridere e riempiva il suo cuore di gioia.
In quel mese i suoi capelli erano cresciuti, arrivando a toccare quasi le scapole, ma aveva comunque mantenuto la sua solita pettinatura, coi ciuffi sulla fronte ben piastrati e lunghi e una coda bassa dietro la nuca. I suoi occhi blu erano pieni di una gioia incontenibile.
Ruby perse qualche secondo in più a guardare quelle labbra che aveva venerato, senza mai un filo di rossetto e spesso screpolate, ma belle e morbide.
Abbassò poi gli occhi, vedendo che indossava un cappottino beige parecchio caldo e sotto delle parigine.
"Sei bellissima oggi, amore" fece quello, raccogliendole la valigia e sorridendo. Lei, con l'uovo tra le mani, alzò il braccio destro del suo ragazzo e si fece abbracciare.
"Solo oggi?" domandò.
"Esatto".

Uscirono dall'aeroporto e raggiunsero una grande automobile nera, di quelle con le porte che si aprivano al contrario e i vetri oscurati.
Un uomo col cappello nero e un completo Versace si avvicinò al ragazzo e prese la valigia di Sapphire, che lo vide aprire il portabagagli e infilarvi il trolley dentro.
Fu Ruby a farle strada nella grossa Mercedes. La ragazza entrò e la porta si chiuse automaticamente.
"Sei diventato ricco e non mi hai detto nulla?" domandò quella, sorpresa.
"No, che ricco, no. Ma White mi ha messo a disposizione questa macchina e viaggeremo molto più comodi che sull'autobus. All'andata ci ho messo quattro ore e non è stata proprio una passeggiata...".
"Oh, ma non era necessario" sorrise poi, quasi imbarazzata. "Mi piacerebbe conoscere questa White. Sembra così gentile. Non è una modella, vero?".
"È il capo delle modelle" spiegò il ragazzo.
"Ciò fa di lei una top model?".
E fu lì che il ragazzo sorrise di gusto, vedendola accigliarsi.
"Che diamine ridi a fare?!".
Ruby la strinse e le baciò la guancia.
"No. Non è una top model. È una donna comune, come tutte le altre".
Sapphire era stata messa in moto.
"Ancora con questa storia?! Non esiste una donna uguale all'altra! Nessuna è comune, perché tutte...".
L'altro sbuffò, cominciando a canzonare la fidanzata e a completare la frase che stava dicendo. "Perché tutte possono dare la vita, dannazione, me lo avrai ripetuto cinquecento milioni di volte... Quello che intendevo però era...".
La ragazza sorrise. "Lo so che intendevi. Ma adoro rimproverarti" fece, carezzandogli il volto. "Ho capito cosa intendevi, comunque. Volevi dire le donne vere, non quelle photoshoppate. Quelle con le maniglie dell'amore, le smagliature sulle tette e i capelli che al mattino costruiscono strane impalcature...".
Immediatamente nella testa di Ruby apparve Yvonne.
Lei era una donna vera, perché l'aveva vista davanti agli occhi, e non gli era parso d'aver visto maniglie dell'amore o smagliature sui seni.
Con donne del genere ci lavorava tutti i giorni ma vedeva sui loro volti cenni di disperazione dovuti ad anni di sacrifici.
In fondo le comprendeva.
Come ogni mestiere, anche quello della modella era fatto per gran parte da spirito di abnegazione. In più ci voleva il portamento e, ovviamente, la materia prima.
Ma quella non si acquisiva col tempo.
Yvonne invece non sembrava accusare quel tipo di problemi. Non aveva la malinconia negli occhi come Kimberly, né la paura reverenziale per il suo capo.
Anzi, pareva essere quasi che White temesse che lei decidesse di andare via.
Scrollò lontano quei pensieri.
Stava lavorando troppo in quel periodo.
"Hai una pessima cera" osservò Sapphire, fissandolo da distanza ravvicinata. I suoi occhi blu lo guardavano curiosi. Quello si voltò leggermente e sorrise.
"Ieri abbiamo aperto l'atelier, te l'ho detto... Abbiamo sistemato alcuni sarti nelle varie postazioni e ho consegnato i primi bozzetti agli assistenti. Tra poco affronterò la mia prima sfilata, coi miei abiti e..." sorrise poi, guardando avanti.
Sapphire lo emulò, perdendo la dolcezza nel volto e vestendolo di velata malinconia.
"Hoenn non ti avrebbe dato questa possibilità".
"No. Evidentemente no".
"Beh... Finché non diventerai un pezzo grosso non potrai abbandonare questo posto".
L'autista imboccò l'autostrada. Libecciopoli distava un'oretta di viaggio da lì.
Lo vide annuire.
"Qui è tutto così... grande" fece, perdendo ancora lo sguardo oltre il finestrino scuro. Poggiò la mano sull’appoggiabraccio in pelle nera, saggiandone la morbidezza. Allungò poi le dita, giocherellando col tasto del finestrino, senza mai aprirlo. "Unima è il fiume dove tutti gli animali bevono. E Austropoli è la foce".
"Che poetico" ridacchiò lei.
La guardò, lui, distratto: aveva accavallato le cosce, come faceva sempre, infilandovi la mano destra in mezzo, all'altezza delle ginocchia..
Aveva freddo.
Tuttavia non sembrava curarsene molto. Sopportava.
Aveva appoggiato la testa sul finestrino, allungando il collo e mordicchiandosi le labbra.
Ruby aprì le bocchette dell'aria calda e la vide sorridere.
Annuì, quella, allungandosi a lui e poggiando la testa sulla sua spalla.
Era tremendamente sexy. Voleva fare l'amore con lei, il ragazzo.

Arrivarono dopo un po' di tempo. Il viaggio era stato tranquillo. Avevano parlato, riso, litigato. Poi s'erano addormentati entrambi. Infine arrivarono; L'autista li lasciò davanti all'hotel.
"Grazie, Robert" disse Ruby, quando quello chiuse il portabagagli e poggiò per terra la valigia di Sapphire. Quella stava un passo indietro, con le braccia incrociate e il peso sbilanciato sulla gamba destra.
"Prego, signor Normanson".
L'autista si dileguò, lasciandoli lì.
"Signor Normanson "scimmiottò quella, ricevendo una smorfia in risposta.
Entrarono nell'albergo, e Sapphire si guardò attorno, attonita. Vedeva i divanetti, i lampadari, la musica, gli ascensori, le divise degli addetti.
Tutto, persino la clientela aveva una classe che non aveva mai saggiato.
"Uao..." disse sottovoce. "È questo che si prova a guardare il mondo coi tuoi occhi?".
Ruby sorrise.
"La cosa più bella non la vedi, però...".
Sapphire ruotò gli occhi e sbuffò.
"Delle volte sei così melenso che mi chiedo cosa ci veda in te...".
L'altro si limitò a sorridere e a premere il pulsante di chiamata per l'ascensore. Sapphire si voltò ancora, concentrando la propria attenzione sui ghirigori della moquette.
"Ho bisogno di una doccia" osservò il ragazzo, con tono lamentoso.
"Già. Puzzi".
"La mia puzza profumo più del tuo profumo" ribatté l'altro, con superiorità manifesta.
L'ascensore arrivò al piano, aprendosi.
"Non ho capito niente" fece, anticipandolo ed entrando. Si appostò accanto alla tastiera numerica e guardò il fidanzato. "White ti ha riservato l'attico o cosa?".
"Smetti di provocarmi" rispose l'altro, premendo il tasto al posto suo e piazzandosi accanto a lei. Vide le porte chiudersi e rimase in silenzio.
"Altrimenti che fai?" chiese quella, guardandolo col sopracciglio destro alzato.
Lui non raccolse, sospirando e guardando avanti.
"Poi ti faccio vedere".
"UOOO!" urlò, rumorosa come sempre. "E cosa vorresti farmi vedere?!".
Ruby annuì e sorrise. "Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire".
Un altro segnale sonoro avvertì i due dell'arrivo al piano. Fu quando le porte si aprirono che Ruby mise per primo il piede fuori, guardandosi rapidamente attorno. Trascinò con sé la valigia e aspettò che Sapphire lo seguisse, per poi lanciare la valigia per terra e spingere delicatamente la ragazza al muro.
Quella spalancò gli occhi e lo vide aderire al suo corpo, poggiandole gli avambracci ai lati della testa.
"Cosa vorresti vedere, di preciso?" domandò lui, sorridendole.
Sapphire si limitò a seguire il suo sorriso, per poi baciarlo appassionatamente; sentiva le mani del ragazzo tastare sul suo corpo, afferrarle i fianchi e scendere in basso, a stringere le natiche.
E il fatto che chiunque avrebbe potuto vederli soltanto uscendo dalla camera la eccitava.
Fino a un certo punto.
"Andiamo in stanza" disse lei, ansimando.

La porta si spalancò dietro la spinta distratta di Ruby, che stringeva con una mano la maniglia della valigia e con l'altra la vita di Sapphire.
Gettò la borsa per terra e chiuse col piede la porta. Poi morse il labbro della sua donna, stringendola forte e aderendo a quel corpo che tanto aveva desiderato in quei giorni in cui il vento d'australe gli soffiava addosso.
Come fosse una bambola, le spalancò il cappotto. Se non avesse avuto gli occhi chiusi, protagonisti della frenesia di quel bacio, avrebbe visto un lungo vestito bordeaux, in lana pettinata, che terminava poco prima delle parigine.
Il soprabito cadde ai loro piedi ma finirono per scavalcarlo velocemente.
Caddero sul letto e Sapphire condì il tutto con un piccolo urletto.
Lei sotto di lui, che gli stringeva il fianco destro e il collo. Le sue labbra davanti ai suoi occhi, la maglietta leggermente alzata e gli occhi rubini socchiusi, pregni di desiderio.
"Stavo aspettando questo momento dal primo momento in cui sei andato via da casa" disse lei. "Mi sei mancato un casino".
Avvicinò le labbra alle sue, incontrando la lingua in un bagnatissimo abbraccio; sentì le mani di Ruby carezzarle il corpo, scendere in basso e stringerle la coscia.
Lei era piena di desiderio.
Il ragazzo affondò oltre il bordo del maglioncino, salendo rapido e avvicinandosi al pizzo del tanga che indossava.
Era umido.
La ragazza fremeva di desiderio, carezzando gli addominali duri del fidanzato e sentendo la sua mano continuare a salire, carezzandole la pancia e terminando più sopra, stringendole il seno destro.
"Ti amo..." disse lui, lascivo, mentre modellava il corpo di Sapphire sotto le sue effusioni.
Pochi minuti dopo lui era dentro di lei.
Ed entrambi raggiunsero le stelle.

S’addormentarono, stretti in un abbraccio senza fine. Poi lei si voltò dall’altra parte, qualche ora dopo, svegliando il fidanzato.
Ruby si limitò ad aprire gli occhi, lento.
Inspirò profondamente, beato dal profumo che aleggiava nell’aria; tutto odorava di Sapphire, e della sua pelle morbida.
Voltò lentamente il viso, ammirandola nella statuaria quiete del suo sonno, assaggiandone con lo sguardo i capelli che si poggiavano morbidi sul cuscino e più giù, il collo lungo ed elegante e la schiena nuda, che qualche ora prima aveva baciato per tutta la lunghezza.
Guardò la linea della colonna, che si stagliava lunga su tutta la sua schiena e che si ammorbidiva in corrispondenza delle morbide natiche. Le fissò, coperte parzialmente dal solo lenzuolo bianco, e saliva in lui la voglia di avvicinarsi nuovamente a lei, far aderire quella schiena al suo petto, spingere contro il suo sedere, morderle il collo e stringerle i seni.
Sospirò.
S’affacciò verso di lei, schioccandole un timido bacio sul fianco, per poi alzarsi e infilare le pantofole.
Ancora si voltò, cercando di godersi ogni minuto di quel venerdì di Pasqua con lei, già pensando al fatto che pochi giorni dopo avrebbe dovuto riaccompagnarla all’aeroporto di Ponentopoli. Analizzò nuovamente la sua figura quando si accorse che, poggiato sullo scrittoio della suite, vi era il vestito che stava mettendo assieme per lei.
Lo avrebbe indossato per l’occasione più speciale che poteva venirgli in mente, e già immaginava Luminopoli, lui che s’inginocchiava davanti a lei con la Torre Prisma sullo sfondo.
L’anello, la proposta, le lacrime.
E quel vestito.
Lo ripose nell’armadio, lontano dai suoi occhi, e andò a farsi una doccia.


“E mi ripeto che sono stata una stupida! Una stupida enorme, perché sarei dovuta tornare lì e incatenarmi a te! Perdere la mia vita ma mantenere pulita la mia anima!
Perché io lo so che, se fossi rimasta lì, tu non avresti mai fatto una cosa del genere!
Alla fine dei conti ti avrei perdonato. Ti avrei perdonato se soltanto ti fosse interessato rientrare nella nostra casa e dormire con me nel nostro letto.
Ma tu sei lì da mesi ormai, e ogni cellula del mio corpo mi grida che non tornerai”.

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