Still Alice:
The annoying evidence of Moore’s Paradox
22.
Durante la primavera del nostro ultimo anno insieme,
con amore
Alice.
Marzo.
Un pensiero può essere considerato, per quanto interiore, un giudizio o un imperativo?
«Apri la bocca».
Adriano, svogliato, esegue, scoprendo i denti: detesta il nuovo spazzolino, perché lo ha voluto viola in un momento in cui non ricordava di detestare il viola.
Gli piace il sapore del dentifricio, e bisogna fare attenzione che non lo mandi giù, direttamente dal tubetto, mentre Alice non sta guardando.
Ormai va così: Adriano si è innamorato delle consistenze pastose, e bisogna nutrirlo a creme e frullati, senza che si riesca a fargli assumere un peso nella norma. Quando, la sera, le tocca mettergli il pigiama e con le dita gli sfiora la pelle nuda, Alice rabbrividisce per un motivo sbagliato: gli tocca le costole e sa che se premesse appena un po’ di più forse riuscirebbe ad entrargli dentro la cassa toracica.
Un tempo, chissà quanto avrebbe pregato o supplicato Arceus per farle avere un’altra chance per potergli toccare la schiena, per sfilargli i pantaloni. È stata esaudita, in una maniera che non pensava, che non era nemmeno mai riuscita a contemplare: a volte la vita ti aiuta in maniere inaspettate.
O, semplicemente, rovina tutto ancora una volta.
«Lis, lasciami stare, ti prego» bofonchia Adriano, con lo spazzolino in bocca. «Dopo di darò tutte le attenzioni che vuoi, ma almeno in bagno vorrei rimanere solo».
Il modo in cui lui le dice attenzioni le fa perdere un battito, come i vecchi tempi che ormai non sono più.
«Non ti sto chiedendo attenzioni, Adriano, sto cercando di vestirti. Quindi, te lo chiedo per favore: collabora».
«Tu vuoi sempre attenzioni» lui sorride in un modo che, se la pelle non gli aderisse sgradevolmente al volto, come una maschera, sarebbe ancora affascinante. Per lei lo è, lo è sempre stato. «Le mie attenzioni, non quelle di altri».
«Non credo proprio ci sia nessun altro».
Non c’è mai stato e, forse, lei nemmeno ha mai provato a cercarlo, un altro. È sempre rimasta lì, ad aspettare un momento in cui lui si sarebbe fermato per darle, quella volta sì, attenzioni.
«Dici sempre quello che un uomo vorrebbe sentirsi dire» lui ride, mentre lei gli tira su i pantaloni. Forse ha le mani fredde, o forse lui ha dimenticato com’è che si fa a farsi toccare da una donna innamorata a tal punto da improvvisarsi infermiera.
«Adriano, smettila» sibila lei. Sta quasi tremando. «Adesso è tardi, tu sei stanco, e dobbiamo andare a letto».
«Certo che dobbiamo» lui ride. «Anche se… gli farà male, questa volta?».
Alice alza un sopracciglio, raccoglie i vestiti di lui, abbandonati sul pavimento a prender polvere. Il mantello si è incastrato nel cardine, sbuffa, un giorno la farà togliere, questa maledetta porta.
«A chi dovrebbe far male?».
Si pente della domanda nel momento stesso in cui finisce di formularla e, istintivamente, si porta una mano su una vecchia cicatrice. Adriano ha gli occhi che sembrano lo specchio di Ceneride, l’acqua nel vulcano spento.
«Al nostro bambino, Lis. Ti ricordi? Avevano detto che dovevi riposarti».
***
Cerca sempre di non piangere, davanti a lui: lo si capisce dal modo in cui contrae i muscoli della mascella, e sembra debba ingoiare un boccone eccessivamente amaro.
Sa che potrebbe causare una reazione incontrollata, soprattutto perché Adriano sta lentamente smettendo di essere lucido. A volte ricorda, ma ricorda cose così lontane che sembrano quasi irreali.
E lei non sa come farlo emergere da quel mondo fatto di realtà filtrata, come dirgli che un giorno si sono alzati ed era finito tutto. Ed era stata colpa sua, e di Rocco Petri, e lei, Alice, Lis, non è riuscita a dire niente.
Ma ha ancora una cicatrice sulla pancia e, quando la tocca, non riesce a non pensare che, forse, è stata anche un po’ colpa sua.
Ricorda ancora il dolore, non solo quello fisico, quando l’ha perso. Le si era incastrato dentro e avevano dovuto tirarlo fuori che già non respirava più.
Non aveva mai cominciato.
Un bambino minuscolo, leggero come una piuma di Altaria e con le unghie rosate come conchiglie.
Un bambino bellissimo, con un ciuffo di capelli color acquamarina, e gli occhi che sembravano il fondale acquoso di Ceneride. Suo, loro, figlio.
Era stata una gravidanza difficile, la sua, confinata a letto con la paura che suo figlio potesse annegarle dentro.
Un giorno, però, si era dovuta alzare. Adriano stava facendo una valigia, per andare chissà dove, mentre un bambino si strozzava nel liquido amniotico.
***
«Mi stai dicendo che non c’è più nessun bambino?» Adriano sgrana gli occhi, sinceramente sorpreso. «Io credevo che noi…».
«Non poteva farcela, era troppo…» simile a te. «Fragile».
«Mi dispiace così tanto, Lis» sussurra lui. Nel buio, sembra lui stesso un bambino. «Lo volevamo tanto, non è vero?».
Tu no, pensa lei. Tu te ne sei andato.
«Forse non lo volevamo abbastanza. Non lo so. Importa davvero, adesso?».
«A me importa» sussurra lui. Ha una mano sulla pancia di lei. «Mi è sempre importato».
«Lo dici solo perché non te lo ricordi, Adriano, a te non importava poi così tanto».
Lo sente sospirare.
«Certo che m’importa, Lis. Io ti amo».
Poi però la sente piangere e non riesce a capire perché: Adriano non l’aveva mai vista piangere prima di quel momento. E adesso capisce perché.
Alice, quando piange, fa paura. Perché non si capisce come fare a raccoglierla, quando si piega su una cicatrice e singhiozza come una bambina.
«Lis…».
«Lasciami stare, per favore».
Lui annuisce, ha gli occhi spenti. Se ne sta andando di nuovo.
«Posso usare il telefono?».
AH-AH. Sto sviluppando un gusto estremamente malsano per i finali così, cattivi. Quindi, rieccoci.
Non ho tanta voglia di scrivere questo corner, scusatemi, ma ultimamente questa storia ha preso anche me, e sono contenta di poterci investire quei pochi ritagli di tempo che ho.
Vorrei dare delle spiegazioni in più, sul come ci siamo arrivati, ma mi riservo di farlo prossimamente, magari a fine storia, qualora rimanessero dei "buchi" (cosa che sto cercando di evitare con tutta me stessa).
E that's all. Spero che tutti voi abbiate passato delle belle vacanze.
Gaia
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