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Lev - Nubian - 7 - Dopo la paura


VII
Dopo la paura


«Andrò io» asserì Kalut, già pronto a salire sul primo Pokémon volante che gli sarebbe capitato a tiro.
«No, dobbiamo parlare» lo intercettò Green.
«Volete fermare la Faces? Avete bisogno di qualcuno in grado di farlo» lo contrastò lui.
«L’ultima volta che ti abbiamo lasciato fare, non siamo riusciti a salvare i nostri amici» entrò in gioco Blue.
«Non avreste fermato Zero se non...» cominciò Kalut.
«Ho detto che ne discuteremo» esclamò Green, autoritario.
Nessuno ebbe da ribattere. Ruby e Sapphire non si erano ancora espressi, Celia fumava distrattamente una sigaretta, Gold succhiava rumorosamente il fondo del suo frullato con la cannuccia. Il gruppo, una volta uscito dal bar, si era riunito in una piccola piazzetta, vicino alla zona portuale di Canalipoli. Platinum stringeva ancora il suo telefono, leggendo per la decima volta ciò che vi era scritto sopra: il messaggio del suo maggiordomo, Sebastian, che aveva indagato su chi fosse l’intestatario del conto corrente alla quale la Faces aveva fatto recapitare le donazioni.

Nome società: AxeCorp
Sede: Austropoli, Unima

«Ok, facciamo come dici tu» si arrese Kalut «siamo otto, alcuni di noi dovranno rimanere qui a Sinnoh per risolvere la questione della neve» parlava come se non stesse camminando su una strada coperta da un mantello bianco e gelido spesso cinquanta centimetri.
«Io propongo di mandare quelli che soffrono di più per il freddo» si intromise Gold.
«Gold, ti prego» lo richiamò Sapphire.
«No perché dovreste vedere quanto sta soffrendo il mio...»
«Gold!» esclamò Blue.
«Cerchiamo di essere ragionevoli» fece Ruby, richiamando l’attenzione di tutti «quali sono i nostri obiettivi? Intendiamo fare irruzione all’interno della sede di una società e puntare un’arma alla gola del primo che capita per farci dire cosa stia facendo per la Faces? Perché se è così possiamo anche restare tutti qui a Sinnoh» riportò tutti alla realtà.
«E’ vero» ammise Green «là dovremmo solo condurre qualche indagine».
«Invece, qui a Sinnoh, c’è una più alta probabilità di infilarsi in questioni spinose nelle quali saremo costretti a lottare, giusto?»
  «Intendi dire che dovremmo mandare a Unima quelli più scarsi nelle lotte?» domandò Celia, con un sopracciglio inarcato.
«A posto, mi toccherà restare a Sinnoh» si lamentò Gold.
«Intendo dire che dovremmo ottimizzare le nostre risorse» concluse Ruby.
«Posso andare io» si propose Platinum «se è vero che dovremo indagare su una società posseduta dalla mia famiglia, sono necessaria».
Tutti acconsentirono, riconoscendone la ragionevolezza.
«Blue, Sapphire» Green prese da parte la sua ragazza e la Dexholder di Hoenn «dovrebbe andare anche uno di noi, non è che non mi fidi di lei, ma non la conosciamo poi da così tanto tempo» sussurrò loro.
«Green, noi dovremmo rimanere a Sinnoh, siamo i migliori a fronteggiare gli psicopatici con le manie di distruzione» lo contrastò Blue.
«Solo una persona, dobbiamo essere certi di...»
«Io vado con la principessa» annunciò Gold, intercettando stralci della conversazione.
«Nemmeno tra duemila anni» inveì Green.
«A diventare un ghiacciolo sul Monte Corona, io non voglio andarci» si giustificò quello.
«Gold, ci andrà qualcun altro al...»
«Non ti sento, sono già in aereo, Austropoli, arrivo» fece quello, mettendosi le mani sulle orecchie e cominciando a girare attorno ad un’imbarazzatissima Platinum.
«Green, è meglio di niente» mormorò Blue, mentre il suo ragazzo si massaggiava le tempie per placare il nervosismo.
«Celia, tu vai con loro» disse Kalut ad un certo punto.
Quella, che era intenta a fare un tiro dalla Marlboro, esplose in una crisi di tosse e sembrò quasi strozzarsi.
«Stai scherzando? Io sono qui per mio fratello» protestò.
«Appunto, è un tuo punto debole che la Faces conosce» spiegò lui, senza sentir ragioni.
«Porca puttana, Kalut, no. Sono stata la prima a propormi per venire qui e...»
«Celia» Kalut le prese il viso tra le mani «guardami, fai passare la rabbia, rifletti bene e capisci che è oggettivamente la soluzione migliore» le intimò, col suo strano modo di parlare, di cui nessuno riusciva mai a comprendere il livello di serietà.
Quella resse il suo sguardò infuriato per alcuni secondi, prima di calmarsi.
«Vaffanculo... ok» si arrese, gettando la sigaretta.

Quel pomeriggio, dopo vari preparativi, l’intero gruppo si trovò all’aeroporto di Giubilopoli, dove Gold, Celia e Platinum avrebbero preso il jet privato di Ruby per raggiungere la regione di Unima.
«Abbiate cura di voi» salutò Platinum, mentre i vari addetti si facevano carico della sua valigia. Lady Berlitz sembrava a proprio agio sopra un aereo di lusso, ma la luce dei suoi occhi era smorzata dall’ansia dovuta alla situazione critica in cui versava la sua regione.
«Fate attenzione a mio fratello» li allertò Celia, salendo sulla scaletta. Ruby aveva impiegato parecchio per spiegarle che dentro il suo jet non fosse possibile fumare, quando lei lo aveva finalmente compreso, aveva iniziato a chiedere quali alcolici fossero disponibili a bordo.
«Mi tengo il tuo cappotto» disse Gold a Ruby, sparendo all’interno dell’aereo. Ne uscì di corsa qualche istante dopo «quanti anni hai detto che hanno, queste due?» chiese a Blue.
«Gold, Cristo!» lo calciò dentro, lei.
«Dimmi solo se rischio il gabbio o no!» provò a chiedere, prima che una delle hostess chiudesse il portellone.
«Non ho mai visto una compagnia tanto male assortita...» commentò Sapphire, scuotendo la testa.
Kalut non era presente, li stava aspettando fuori dall’aeroporto, per evitare di dover oltrepassare gate e dogane, casistiche in cui avrebbe dovuto fornire nominativo e documenti falsi, cosa che non lo aveva mai entusiasmato. Blue e Green salutavano con la mano, Ruby dava disposizioni ai suoi sottoposti che avrebbero accompagnato i suoi amici per il volo. Sembrava esserci qualche problema per il decollo, a causa della neve, ma la situazione meteorologica sarebbe migliorata progressivamente nelle vicinanze di Unima.
I Dexholder rimasti guardarono l’aereo prendere quota da dietro le vetrate di sicurezza. Il jet nero a linee rosse sparì dopo pochi minuti tra le nuvole, in lontananza, diretto a sud-est.

«Ci divideremo» decise Kalut, quando i quattro compagni furono di nuovo nel parcheggio dell’aeroporto.
«Il piano è ispezionare pezzo per pezzo tutta la catena montuosa di Unima?» chiese Ruby.
«In pratica sì, ma abbiamo degli indizi: dei punti focali attorno ai quali concentrarci» lo rassicurò il ragazzo dai capelli bianchi «in ogni caso, prima di tutto occorre dividere l’area in diversi settori che ci suddivideremo... qualcuno ha un Pokénav?»
Sapphire estrasse il suo e visualizzò la mappa di Sinnoh, porgendolo a Kalut.
«Dividiamo il Monte Corona in tre aree: area sud, non semplice da attraversare, ma con un clima più caldo; area centrale, clima più mite ma vette più alte; area nord, temperature più gelide, ma terreno privo di asperità» li indirizzò il ragazzo.
«Estraiamo a sorte?» propose Blue.
Si affidarono al caso: alla coppia Blue-Green capitò la zona sud, a Kalut beccò quella a nord, a Ruby e Sapphire quella centrale. Si sarebbero divisi il giorno stesso, avviandosi verso i propri obiettivi; prima di tutto, però, decisero di entrare in un Centro Pokémon per fare rifornimento di strumenti e oggetti necessari.
«Abbiamo abbastanza provviste? Staremo fuori per un bel po’» disse Sapphire ad un Ruby intento a infilarsi una sottile ma caldissima maglia di pile, dentro uno degli spogliatoi del Centro.
«Ci sono i rifugi, ma comunque sì, abbiamo degli zaini belli carichi. Tieni, indossala» le intimò, porgendole una maglia simile a quella che aveva appena messo, ma con un taglio più femminile.
«Come siamo messi ad Antigelo e Baccaperina?» chiese lei, togliendosi il giaccone e la felpa per infilarsi quella tenuta termica.
«Ho tutto sotto controllo» rispose quello, distraendosi alla fugace vista del suo corpo coperto esclusivamente dall’intimo.
«Girati, dai» arrossì lei, sentendosi osservata.
Ruby sorrise, voltando lo sguardo. Sapphire poté notare tutte le rigature sul suo collo, le linee blu e rosse che sembravano espandersi sempre di più, come un inquietante cruciverba magico.
«Hai intenzione di fare qualcosa per quello?» gli chiese, quasi impietosita.
«Cosa?» domandò Ruby, ma capì prima che Sapphire potesse specificare.
«Non riesci ad estrarle più?»
Ruby scosse la testa, evitando il suo sguardo.
«Non hai nessuno a cui chiedere un modo alternativo?»
«I nonni di Ester sono morti qualche anno fa e io non ho avuto modo di chiedere a lei se sapesse qualcosa» rispose lui.
«Non ne hai avuto il tempo?»
«Sapphire, secondo le dichiarazioni ufficiali, sono ancora sotto shock, in un letto di ospedale, al sicuro da stampa e giornalisti» spiegò lui «non posso andare dove voglio né tantomeno fare quello che voglio».
«Perché la Faces ti lascia girare a tuo piacimento? Loro sanno che sei qui».
«A quanto pare vogliono darmi l’idea di una sorta di libertà condizionata, alla fin fine ho fatto ciò che mi hanno detto di fare, no?»
«Non sei ancora al sicuro» continuò lei.
«No, voi non siete al sicuro» la corresse.
«Ruby!» sembrava arrabbiata, afferrandogli la felpa e stringendola come se dovesse minacciarlo «sei un idiota che continua a non fidarsi di altri tranne che di sé stesso» lo insultò, prima di soffocare la sua risposta con un bacio quasi violento.
Ruby la gestì con difficoltà, finendo con le spalle al muro, ma accolse le sue labbra con piacere.
«Troveremo un modo per tirarti fuori questa roba dal corpo e quando avremo salvato il mondo per l’ennesima volta, vincendo come sempre, andremo a vivere insieme» sussurrò Sapphire all’orecchio del ragazzo.
Ruby sorrideva, lasciando che la sua lei lo stringesse con quella sua attitudine da predatrice.

«Ci avete messo un secolo» si lamentò Kalut, quando i quattro Dexholder uscirono dal Centro Pokémon. Notò il loro cambio di abito, tutti avevano indossato tenute più pesanti e si erano procurati cappelli, sciarpe e guanti. Kalut, differentemente, aveva una maggiore fiducia nelle proprie capacità di adattamento e portava solo un lungo cappotto nero e uno scaldacollo grigio.
«Ci sarà modo di comunicare tra noi, quando saremo lassù?» gli domandò Blue.
«Non può esserci segnale» fece Ruby.
«Infatti non c’è» ribatté Kalut «diamoci un punto di ritrovo, organizziamo un rientro, in modo da incontrarci tutti insieme» propose.
Si accordarono, studiando accuratamente la mappa, per ritrovarsi a Memoride cinque giorni dopo, lì avrebbero confrontato e condiviso le informazioni, per poi eventualmente ripartire, se ce ne fosse stata la necessità.
«Ok, a questo punto, possiamo subito avviarci» disse Kalut, chiamando a sé uno Skarmory che si era appostato lì vicino ma che nessuno aveva notato.
«Tra cinque giorni a Memoride, nessun problema» annuiva Green.
«Fate attenzione» li allertò il ragazzo dai capelli bianchi, prima di spiccare il volo in groppa al rapace cromato.
«Noi continuiamo insieme fino a Mineropoli» disse Blue, giusto per puntualizzare.
«Siete sicuri di voler partire subito?» domandò Ruby, mentre il gruppo iniziava lentamente a muoversi.

Uscirono da Mineropoli prendendo la strada est, imboccando il percorso 203. In lontananza, iniziarono a scorgere la frastagliata sagoma del Monte Corona che copriva un’ampia area di cielo. Avendo indossato vestiti migliori ed essendosi ormai abituati a quell’ambiente, iniziarono a muoversi più in fretta. Giunsero in poco tempo al termine di quel sentiero, superate due o tre salite e oltrepassati alcune zone di macchia. Si trovarono ben presto di fronte ad una ripida parete, superabile solo in corrispondenza di un’apertura quasi invisibile, tra le sue rocciose irregolarità. Secondo il cartello che Green fu costretto a spogliare dal carico di neve e ghiaccio che lo ricopriva, quella era l’entrata del Varco Mineropoli. Lo imboccarono, fiduciosi. La grotta li accolse tra le sue tenebre, i quattro si trovarono a brancolare nel buio, dopo quei pochi passi che bastarono a farli allontanare dall’entrata.
Ruby prese una Ball dalla cintura e fece per lanciarla, ordinando: «Diancie, illumina il...»
Green gli impedì di terminare la frase «ci penserà Golduck» disse, facendogli cenno di mettere via il suo Pokémon.
Il messaggio balzò chiaro a tutti: non bisognava rischiare di attirare l’attenzione, nemmeno all’interno delle grotte, ragion per cui era preferibile l’utilizzo di un discreto Pokémon Papero a quello del raro esemplare posseduto da Ruby.
Continuarono a percorrere quel lineare tunnel scavato nella roccia, guidati dalla soffusa luce emanata dal Golduck di Green e seguendo lo scalpiccio delle sue zampe palmate.
Verso la metà del tunnel, incontrarono un piccolo manipolo di scout che, imbacuccati con grossi giacconi di lana, si stavano prendendo cura dei piccoli Pokémon che avevano trovato rifugio dal freddo all’interno di quell’antro. Li salutarono, come il codice non scritto del galateo montanaro richiedeva loro, ma si curarono di avanzare speditamente, per evitare di essere riconosciuti.
«Quanti anni avranno avuto?» chiese Blue al suo ragazzo.
«Non è importante» rispose lui.
«Erano dei ragazzini, Green» la Dexholder di Kanto era sempre stata particolarmente empatica nei confronti dei giovani, caratteristica probabilmente setacciata dai resti delle sue esperienze personali.
«Lo so... e stanno facendo il loro dovere» ribatté lui.
Blue non proseguì la discussione, tenne lo sguardo sul gruppo di giovani esploratori alle sue spalle, mentre il fidanzato la tirava per il braccio, spingendola ad avanzare.
Continuarono a camminare, oltrepassando un bivio in corrispondenza del quale si affidarono al Gardevoir di Ruby per selezionare la strada giusta, finché non intravidero in lontananza una debole luce bianca. Era passato da molte ore il mezzogiorno, ragion per cui l’uscita che dava a est era molto meno illuminata di quella che dava a ovest.
«Siamo arrivati» mormorò Sapphire.
A passo svelto, raggiunsero la fenditura che li avrebbe condotti all’esterno. Il forte chiarore li obbligò a socchiudere gli occhi, uscendo dalla grotta. Quando si furono finalmente abituati a quel candore, iniziarono a distinguere i contorni degli edifici e delle strade. Erano giunti a Mineropoli, città famosa per i suoi legami con l’industria di estrazione e raffinazione del carbone. Ovviamente, anche lì la neve aveva ricoperto l’intero insediamento umano, lasciando solo tetti appesantiti da uno spesso strato di farcitura bianca che spuntavano da marciapiedi ghiacciati e strade ricoperte di sale. A Mineropoli, la bufera sembrava aver portato molto più gelo e molta più neve, poiché l’intero complesso urbano si trovava in una depressione del terreno scavata tra due rilievi.
«Secondo le mappe fornite dagli alpinisti, il primo rifugio montano dovrebbe essere abbastanza vicino perché io e Blue possiamo raggiungerlo prima che faccia notte» disse Green, ricontrollando la cartina per l’ennesima volta.
«Io e Sapphire passeremo per la grotta del percorso 207» rispose invece Ruby «da lì dovrebbe essere facile raggiungere le vette del Monte Corona».
Blue abbracciò Sapphire. Green e Ruby si strinsero gli avambracci, cercando di fare sembrare il loro affetto genuino.
«Siate prudenti» si raccomandò Blue.
E così, i due Dexholder di Hoenn li guardarono allontanarsi, avventurarsi per uno dei sentieri che conducevano alle inclinate pareti della montagna. Quando entrambi furono scomparsi tra gli alberi coperti di neve, Sapphire fece un cenno con la testa, iniziando a muovere i primi passi verso l’uscita nord di Mineropoli.
«Aspetta, ho bisogno di un caffè» la fermò Ruby «e poi ho sentito che nella città del carbone fanno il migliore caffè nero del mondo» disse, con aria da intenditore.
Sapphire scosse la testa, ma lo assecondò.
Trovarono il bar più vicino a loro e vi entrarono. Sapphire, avendo un olfatto molto sensibile, storse il naso all’odore che aleggiava in quell’ambiente. Era un misto di birra e legna bruciata, ma a Ruby parve non importare.
«Cosa posso offrirti?» chiese alla sua ragazza.
«No, ora non...»
«Prendi qualcosa»
Sapphire scrollò le spalle, sospirando: «un macchiato».
C’erano poche cose che piacevano alla Dexholder di Hoenn, una di queste era il latte, che avrebbe bevuto sempre, comunque e ovunque.
Il barista, contorcendo in un sorriso il suo volto annerito dalla barba rada, prese le due ordinazioni e cominciò a giocare con le manovelle e le leve della sua macchina del caffè.
Così, mentre il rumore del trituratore di chicchi ottundeva l’udito di Ruby, Sapphire riuscì a distinguere qualche parola della conversazione dei due anziani signori seduti al tavolo tracannando birra a ritmo di briscola.
«Ho sentito che Rufus ha perso l’intero magazzino, povero diavolo» borbottò quello che aveva due assi in mano.
«Funziona sempre così, come la storia del garage di mio cognato» strideva l’altro, mordendosi le unghie per essersi fatto sfuggire una buona mano.
«Quello scherzetto dell’ingegnere ha ammazzato due bambine» riprese il primo.
«Questo maledetto tempo» inveì il primo, accaparrandosi uno dei due assi con il due di briscola.
Sapphire vide arrivare il suo macchiato sul bancone. Il colore scuro del caffè era stato inquinato dal candore del latte e Ruby le aveva già messo sul piattino una bustina di zucchero di canna, conoscendo le sue abitudini, ma si distrasse quasi immediatamente. Evitò la tazzina e fece viaggiare lo sguardo su tutti i tavoli del locale, finché non individuò il telecomando del televisore.
«Posso?» chiese al barista, indicandolo.
Quello fece cenno di non preoccuparsi.
Sapphire cliccò sui tasti in cerca del primo notiziario che le fosse capitato. Lo trovò sul canale tre, era la rimessa in onda del tg del mezzogiorno. Lesse in fretta tutti i titoli delle notizie.
 «Che succede?» chiese Ruby, incuriosito da questa sua improvvisa distrazione.
Lei guardò lo schermo, poi guardò Ruby, poi tornò a guardare lo schermo.
«Attualmente le vittime acce... accertate sono duecentosettantasei, indete... indeterminati i feriti e i dispersi» lesse lei, incespicando sulle parole più lunghe «duecentosettantasei morti in un giorno e mezzo a causa della neve» ripeté la ragazza, guardandolo inerme.
Ruby posò il cucchiaino all’interno della tazzina, incupendosi improvvisamente.
«Togli ‘sta roba, Peter» sbraitò al barista uno dei giocatori di briscola, riferendosi al notiziario «mi mette tristezza!»

Cinque minuti dopo, la caffeina non aveva neanche avuto il tempo di entrare in circolo, che Sapphire solcava la stretta gola innevata che collegava Mineropoli col percorso 207 a grandi falcate. Era determinata, aveva bisogno di sentirsi utile, voleva fermare quella follia.
Ruby tentava di tenerle dietro, con passo inesperto e meno preparato. La guardava scavalcare le irregolarità di quel terreno accidentato con lo sguardo ardente di rabbia. Adorava vederla incanalare quella forza e farla esplodere all’esterno come una fiamma incontrollabile, ma non riusciva a non pensare a quanto quella ragazza si stesse mettendo in pericolo. E non a causa della neve o del ghiaccio, quelli erano scherzetti per Sapphire, risultando invece molto più pericolosi per un uomo di città come lui.
No. Lui aveva paura di vederla assassinata da qualcuno, di sentire il suo corpo spegnersi tra le sue braccia, di vedere la vita fluirle fuori dalla bocca.
Gli era già accaduto, una volta, suo padre era morto guardandolo negli occhi. Lo ricordava bene, ricordava come avesse poi ricevuto una grazia da Celebi, riuscendo a riportarlo indietro. Dopo quel giorno, si era preparato a quando ciò sarebbe accaduto veramente, in futuro. Aveva immaginato di veder morire suo padre nel suo letto, anziano, canuto, debole. Aveva pensato che un giorno si sarebbe dovuto occupare della casa, della palestra, di sua madre.
Invece, due anni prima, aveva ricevuto una lettera nel suo camerino, nessuno dei mille individui che lavoravano con lui avevano avuto il coraggio di dirglielo in faccia. Sapphire era balenata lì con la massima rapidità. Lo aveva trovato in lacrime, con la lettera stropicciata stretta in una mano e la faccia gonfia nell’altra. Lo aveva abbracciato, nel silenzio più assoluto, e lui si era lasciato abbracciare, senza provare niente.
Tornato ad Albanova, si era reso conto che non c’era più alcuna casa ad aspettarlo. Solo un cumulo di macerie abbandonate, qualche mazzo di fiori, delle transenne, un paio di poliziotti, le foto dei suoi genitori su due lapidi simboliche, visto che le due tombe erano vuote.
Soltanto molto tempo dopo, si era reso conto di non aver provato la stessa emozione della prima volta. Non aveva guardato in faccia i suoi genitori sino all’ultimo istante, non li aveva neanche salutati, come suo tipico, probabilmente. Si stava quasi dimenticando di avere avuto dei genitori.
Così, quando guardava Sapphire correre verso il Monte Corona, in cerca di quei nemici che avevano già ammazzato così tante persone, non riusciva a non pensare a lei, stretta tra le sue braccia, fredda, ferita, morente. Quella scena, per lui, era l’ultima. Non c’era più un continuo, un dopo, un secondo atto.
C’era lui e tra le sue braccia il cadavere della ragazza che contava più di tutto il mondo. E poi il vuoto, il niente, l’oblio.
Ruby scosse la testa, si rese conto di aver perso terreno. Guardò il monte, guardò Sapphire che gli gridava di muoversi. Si fece forza, riprese il passo.

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