UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
Unima, Austropoli, Leverack Street,
FAME HUB, 25 aprile 20XX
Il vociare
in sala era concitato.
Trenta
file di persone erano incolonnate ordinatamente nella platea di quell'edificio
meraviglioso che era il FAME HUB; ricavato da un vecchio mattatoio, fu rilevato
agli inizi degli anni '00 da un ricco imprenditore di Ponentopoli, che lo
trasformò, rendendolo uno dei posti più in di tutta la città.
Si
respirava un'aria leggera, lì.
“Com'è la
situazione?” domandava Ruby, immobile al centro del corridoio dietro le quinte.
Modelle e truccatori s'inseguivano in una lunga danza d'accoppiamento, in cui
le prime venivano catturate dai secondi e sottoposte a un processo che avrebbe
reso i loro occhi più brillanti, la loro pelle più candida, le loro labbra più
carnose.
Era in
piedi, davanti a una finestra che dava direttamente sulla platea. Guardava le
persone che parlavano.
I più
parevano altezzosi omuncoli vestiti coi meglio abiti del mondo, pronti a
sparare commenti gratuiti su quello che era stato definito il nuovo Micheal
Kors.
A Ruby
quel paragone pesava.
Pesava
tanto.
“Ci sono
quasi tutti. La zona dei giornalisti e dei fotografi è piena” fece White, che
indossava per l'occasione un abito bianco e nero confezionato proprio da Ruby.
Erano rare
le volte che lasciava i capelli sciolti ma quando lo faceva, come quella volta,
riusciva a dare al proprio viso un equilibrio che la rendeva più bella.
“Non dire
così...” rispose l'altro. “Tra poco svengo, Gesù...”.
Poi, alle
sue spalle, uscendo dalla penombra, apparve Yvonne, stretta nel suo vestito.
Trucco e
parrucco le erano già stati applicati. Il fianco candido era scoperto, sotto il
bacio pallido dei deboli fari che illuminavano l'ambiente, e il seno era in
bella vista, nonostante l'eleganza della fasce che le coprivano il petto,
lasciando scoperto il centro della scollatura, fino all'ombelico e anche oltre.
“Stai
tranquillo” disse la bionda, aderendo contro la sua schiena e cingendogli vita;
poggiò il mento sulla sua spalla. “Andrà bene. Gli abiti sono tutti
fantastici”.
Quello
dagli occhi rossi riconobbe il profumo della donna, finendo per sospirare.
“Tu sei
pronta?” le chiese, immobile.
“Mancano
le scarpe. Le metto dopo”.
“Fatti
aiutare e non rovinare il vestito”.
Poi White
si voltò, la guardò e spalancò gli occhi. “Cielo, che meraviglia...”.
Si
avvicinò a lei e la tirò via dallo stilista.
“Sei
meravigliosa” disse, facendola voltare lentamente. Saggiava con le dita il
tessuto delicato dell'abito, poggiate sulle curve deliziose di Yvonne, che
reagì soltanto sorridendo.
Ruby non
si curò di loro, avvicinandosi a sua volta alla finestra che dava sul pubblico.
E in prima
fila la vide: Sapphire, in un elegante tubino nero con dei volant sull'ampio
seno.
Gli occhi
inconfondibilmente blu, e quella pettinatura caratteristica che aveva imparato
ad amare.
“È qui”
sussurrò.
Yvonne e
White si voltarono, raggiungendolo. “Cosa?” domandò la prima, andando alla sua
destra. L'altra invece aveva già capito, e gettò un occhio in sala.
“Non la
vedo”.
“Quella
col vestito nero, la terza sulla sinistra”.
White
guardò dritto, fissando con attenzione la prima fila: vi era un uomo, dai
lunghi capelli castani lasciati cadere sulle spalle; indossava un maglioncino
di filo blu, parecchio attillato, a collo alto.
La lunga
barba era incolta, e terminava poco prima della collana con la croce d'argento.
Prima di
lui vi era un uomo con la coppola marrone e un lungo soprabito. Col cellulare,
scattava foto in continuazione.
Infine vi
era lei.
“Sì”
replicò la Presidentessa, sistemando un ciuffo ribelle dietro l'orecchio
destro. “Quella donna è Sapphire”.
Ruby
sospirò, poggiando la fronte calda su quel vetro che pareva essere fatto di
sottile e trasparente ghiaccio. L’ansia era troppa, e le aspettative che tutti
gli stavano caricando addosso lo stavano flettendo lentamente: tutti i giornali
parlavano di questo nuovo fenomeno, e il suo atelier stava acquistando
rapidamente popolarità senza neppure possedere un abito a catalogo per la
vendita.
Chiunque
avesse letto una rivista di moda negli ultimi sette giorni sapeva che quel
giorno, al FAME HUB, sarebbe nata una stella.
E quella
consapevolezza, l'idea che tutti si aspettassero qualcosa di meraviglioso, gli
triturava le costole. La presenza di Sapphire lì, poi, non lo metteva a proprio
agio.
Non sapeva
se quella sera sarebbe salito sul carro dei vincitori, e se così non fosse
stato non avrebbe voluto guardare negli occhi la sua donna, mentre la gente gli
dava del fallito.
Sospirò.
Quell’insicurezza non era da lui.
“Andrà
tutto bene” disse poi Yvonne, prendendogli la mano, quasi come se gli avesse
letto le preoccupazioni nello sguardo. “Sapphire è qui per te. E in ogni caso
sarà un successo”.
“Vero”
rincalzò White, sorridendo contenta. “I tuoi vestiti sono meravigliosi”.
“Sì, me lo
ripetete tutti...” sbuffò quello, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni
neri e attillati. “Ma è il momento di dimostrare qualcosa”.
Spalancò
poi gli occhi, pieno di una nuova energia. “E forza tutte, ragazze!” urlò,
spostando delicatamente Yvonne e avanzando al centro della sala. Analizzò con
sguardo fisso ogni elemento, dai truccatori che stavano lavorando sulle ultime
modelle, che ancora dovevano indossare gli abiti con cui avrebbero solcato le
passerelle, ai tecnici delle luci, dietro le consolle, che urlavano ai loro
aiutanti di regolare il fissaggio dei fari.
Respirava
ad ampi polmoni, Ruby.
Forse era
stato soltanto il panico a coglierlo: aveva desiderato per anni un momento come
quello e proprio in quell'istante capì di volersi trovare da un'altra parte.
Persone su
persone, tanta gente che lavorava per e con lui, ma lì, dietro la cascata di
tessuto del palcoscenico, avrebbe voluto Sapphire. Soltanto lei.
White lo
vedeva boccheggiare. Gli si avvicinò lenta, poggiandogli una mano sulla spalla.
“Hey...
Manca un minuto all'inizio della sfilata. Preferisci che rimanga qui o posso
andare a sedermi davanti, al mio posto?”.
Ruby si
voltò, guardandola negli occhi.
“No, vai.
Vai pure...”.
“Sei
sicuro? Non ho alcun problema a stare con te, sia chiaro!” faceva la donna,
sorpresa dalla situazione. Poi guardò negli occhi Ruby e ne saggiò la rinnovata
determinazione.
“È stato…
è stato solo un momento. Tranquilla. Posso fare ogni cosa, se voglio”.
White
sorrise.
“Ora ti
riconosco”.
La musica
partì all’improvviso, facendo sobbalzare Yvonne, che poggiò una mano sul petto.
“Mon Dieu…”.
“Forza” le
disse il ragazzo, carezzandole i lunghi capelli. “Finisci di prepararti. E
voi!” fece, voltandosi verso le altre ragazze. “Stasera vi voglio perfette!
Siete in grado di farcela?”.
Tutte
annuirono, con gli occhi preoccupati.
“Ma andrà
bene” sorrise poi, infilando le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri e
cercando di distendere gli animi. “Perché siamo vincenti. Perché gli abiti sono
ben fatti e voi, oltre a essere preparatissime, siete miracoli della natura.
Kimberly” la chiamò poi, voltandosi e guardando la rossa, che si alzò
immediatamente in piedi.
“Ruby”
rispose, avvicinandosi.
Lui la
guardò in volto, quasi del tutto struccata, perdendosi per un attimo nei suoi
occhi. Passò poi a carezzarle con lo sguardo i capelli, chiusi in una grossa
treccia a spina di pesce.
“Sei la
prima. Mi raccomando”.
Quella
annuì, sospirando e vedendo il ragazzo tenderle i lembi della giacca che
indossava.
“Che
succede?” domandò, guardandolo dall’alto dei quindici centimetri dei tacchi che
la elevavano. “Tutto bene?”.
“Sì” rispose
quello, allargando il bordo della gonna e prendendo una spilla dalla tasca.
S’inginocchiò e, con l’ausilio di un paio di forbici, ne tagliò una parte.
“Ruby! Che
fai?!” urlò White, impanicata.
La voce
dello speaker, intanto, dava il benvenuto agli ospiti.
“Sta
cominciando!” rincarò la Presidentessa.
“White,
dopo, sto lavorando…” faceva lo stilista, mentre continuava a tagliare. Il
tessuto della gonna beige della donna s’apriva in due, lasciando all’occhio la
bellezza delle cosce della rossa.
“Perché mi
spogli?” chiese invece Kimberly, totalmente immobile.
“Meglio
nuda davanti a noi che in passerella…”.
“Il
vestito è tagliato male?”.
Ruby alzò
gli occhi, guardando con sufficienza la modella, che si limitò a sorridere.
“Facciamo
che non rispondo”.
Inserì poi
la spilla nel tessuto e la chiuse, rialzandosi in piedi.
“Come te
lo senti?”.
Tutti
guardavano Kimberly, mentre la musica andava e il palco, a qualche metro da
loro, si apriva.
“Vai!”
urlava White, spingendo la ragazza, evitando di farla cadere.
“Va bene,
va bene!” rispondeva invece l’altra, indossando poi la poker face e cominciando
a camminare con eleganza verso la luce bianca dei riflettori.
E fu lei
la prima a calcare la passerella.
White
sbuffò, tirando fuori tutta l’ansia repressa.
“Dannazione,
Ruby!” fece, afferrandolo per il braccio e portandolo verso la finestra
laterale, da dove ammirarono Kimberly arrivare in fondo e posare per le
fotografie, prima di voltarsi e ritornare indietro.
“Fa’ che
non cada, fa’ che non cada, fa’ che non cada, fa’ che non cada…” faceva la
donna, stringendo sempre più forte la mano di Ruby, che intanto aveva poggiato
l’avambraccio sul vetro e vi premeva contro la fronte.
“Non
cadrà”.
Passò un
secondo dalle parole di Ruby che White si voltò verso di lui, toccandogli la
spalla.
“Perché le
hai tagliato la gonna?”.
“Era
troppo tesa sul bordo. O Kimberly stasera è gonfia o io ho sbagliato a prendere
le misure”.
White
sorrise e inarcò un sopracciglio. “Kimberly mi sembra tutto tranne che gonfia…”
ribatté l’altra, guardando la figura perfetta e slanciata della modella che
arrivava a capo della passerella.
Ruby
guardava silenzioso, col cuore che batteva forte.
“Esci…”
sussurrò, quasi come se le stesse parlando all’orecchio. Quella guardò fissa la
luce bianca che aveva davanti, sparata dal riflettore che l’accecava e le
faceva distinguere solo i flash dei fotografi, quindi uscì da dov’era entrata,
camminando elegantemente.
Arrivò
davanti ai due, col volto cereo.
Entrambi
rimasero in silenzio, prima che quella si piegasse in due, vomitando tutto ciò
che avesse in corpo, per lo più alcool e qualcosa che alcune ore prima era
riconducibile a tre foglie d’insalata verde.
Il ragazzo
corse da lei, sollevandole i capelli e mantenendole la fronte. Poi guardò
White, col volto di chi sapeva e sospirò.
“Non
sbaglio mai, quando prendo le misure…”.
La sfilata
proseguì in quel modo. Non vomitò più nessuna. Le restanti tredici fecero il
proprio lavoro, con White che fremeva dietro al vetro e sussurrava fa’ che non cada come se fosse un
mantra, e Ruby che continuava a rimbalzare gli occhi tra le modelle e i loro
movimenti sinuosi e le reazioni di Sapphire, che si limitava ad applaudire alla
fine di ogni passerella, senza mai guardarsi attorno. Aveva sul viso
un'espressione neutra, da cui non traspariva mai un'emozione.
Non
sorrideva, né si mordeva l'interno delle guance, com'era abituata a fare
spesso.
Ed era
l'unico cruccio del ragazzo, che quella sera aveva guadagnato serenità man mano
che le ragazze s’accalcavano, sfilando elegantemente sulle lastre nere e lucide
della passerella.
Volle
lasciare Yvonne per ultima.
Lei era
pronta; era accanto all’ingresso in passerella, proprio davanti alla cassa che
espelleva musica di dubbio gusto ad alto volume. Nei suoi occhi s’intravedeva
però una vena d’insicurezza ed era strano.
Solo con
lo sguardo Ruby le fece intendere di aver capito; Yvonne s'aggrappò a quegli
occhi per un lunghissimo secondi, riuscendo quasi a parlargli.
E se solo
avesse potuto, avrebbero detto:
“So che sfilo ormai da un po'... Non molto, in realtà, ma
tre o quattro passerelle le ho calcate. Però non avevano questo peso,
quest'importanza per me.
Tu mi chiederai: perché dovrebbe avere peso per te, questa
sfilata?
La risposta è che lo ha perché ha peso per te; percepisco il
tuo panico, il tuo dolore nel guardare Sapphire davanti a te, che non si
scompone, che non guarda oltre il vuoto del palcoscenico né sorride.
Apatica, è lì. E lo so, può essere un problema se la donna
che ami non ti apprezza, né ti dimostra il suo orgoglio per il tuo operato. Io
però capisco quanto per te sia importante, questa sfilata, e non voglio
sfigurare.
Perché ho indosso il tuo miglior vestito, fino ad ora, e se
sfigurassi io automaticamente lo farebbe anche lui.
E voglio che diventi uno tra i grandi.
Perché mi hai teso la mano e mi hai tirato fuori dal fosso
dov'ero bloccata; mi hai pulita dal fango e mi hai trattata come la più
preziosa tra le rose che hai nel bouquet”.
“È il tuo
momento...” le aveva detto quello.
Yvonne si
era limitata ad annuire. Combatté contro il panico, che la costringeva a non
muoversi da lì, quindi sospirò e fece tutto come avevano provato in atelier,
poco tempo prima.
Avanzò, un
passo, due, tre passi, le luci dei flash avevano inondato il suo volto e
accecato i suoi occhi. Vedeva soltanto i led che delimitavano i bordi della
passerella.
Al
contrario di tutte le sue colleghe, il suo volto non era serio. Lei non era un
manichino, lei era la protagonista, e quindi sorrise leggermente, con le
braccia lunghe che ondeggiavano in corrispondenza di ogni suo sinuosissimo
passo.
“Forza...”
diceva Ruby, al di là del vetro opaco, stringendo la mano a White, che s'era
totalmente zittita. Stava mantenendo il respiro.
“Presidentessa...”
sussurrò lo stilista, continuando a guardare dritto. “Mi stai stritolando la
mano...”.
“Lo so.
Sopporta in silenzio”.
Yvonne
camminava elegantemente, col viso che puntava dritto e quel sorriso che
continuava a bucare le fotocamere.
Arrivò in
fondo e posò le mani sui fianchi nudi, quindi, come provato in atelier, guardò
prima a sinistra e poi a destra. Cercò Sapphire con lo sguardo ma quella non
era più al suo posto.
Non rimase
a pensare per troppo tempo, fissò dritto e contò.
“Uno...
due...”.
Allargò il
sorriso, sempre leggero, sempre delicato e nascosto dalle morbide labbra.
“Cielo...”
fece Ruby, ridendo. “Lo ha fatto davvero”.
White
sentiva le altre modelle, tutte alle loro spalle, commentare incredule.
La modella
in passerella poi si voltò, mostrando l'incredibile lavoro che lo stilista
aveva fatto sul retro del vestito. Arrivò quindi alla fine, si voltò ancora e
fissò dritto, portando nuovamente le mani ai fianchi e rimanendo seria per un
solo secondo, prima di esplodere in una risata.
Poi uscì
dalla scena.
Si
presentò davanti ai loro occhi con le lacrime pronte a scendere, col trucco che
le illuminava il viso e i capelli che, ancora ben acconciati, le incorniciavano
l'ovale. L'abito le stava addosso in maniera sopraffina, lasciandole scoperti
parte del seno e l'intero centro addome, fin sotto l'ombelico.
“È
andata!” sorrise, fiera, camminando rapida verso Ruby e gettandosi tra le sue
braccia. “Ce l'ho fatta!”.
“Sei stata
fantastica” le diceva l'altro, stringendola alla vita, delicatamente. White la
vide affondare il viso tra la spalla e il collo di Ruby, avvolgendogli le
braccia attorno al collo.
Era
intimo. Sembravano totalmente isolati dal resto del mondo, uniti in quella
stretta in cui entrambi attingevano dall'altro un po' di quel sollievo di cui
necessitavano.
Quella
sfilata li aveva messi a dura prova, portandoli l'uno di fronte all'altra e
mettendo a nudo le loro insicurezze.
Tuttavia
erano in mezzo ad altre quattordici modelle, l'intera crew di preparazione tra
tecnici del suono, delle luci, truccatori, parrucchieri e assistenti, oltre
alla stessa White, e la cosa cominciava a sembrare un tantino esagerata.
“Ragazzi...”
disse la Presidentessa, avvicinandosi. “Forza...” faceva, staccandoli, quasi
infastidita; suscitò in Ruby il sorriso. Quello s'isolò dal gruppo,
riacquistando posizione presso il vetro.
“È andata
via...”.
Nel petto
il cuore batteva come una grancassa, spezzandogli il respiro ritmicamente,
sistematicamente. Era dura.
Perché non
era entrata lì? La musica suonava ancora ad alto volume e telefonarle era
assolutamente fuori discussione. Tuttavia avrebbe potuto mandarle un messaggio.
Già,
avrebbe potuto, se il cellulare non avesse esaurito la batteria.
“Non
c'era” sussurrò Yvonne, avvicinatasi a lui. “Non appena sono arrivata alla fine
della passerella, Sapphire era già andata via...”.
Quello
sbuffò e sentì il presentatore chiamarlo.
I suoi
occhi rubini si spalancarono e il panico lo avvolse interamente.
Cercò con
lo sguardo aiuto in Yvonne, che si limitò a fare spallucce. Al contrario White,
più reattiva, spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e corse verso di
lui, tirandolo poi a sé e spingendolo in direzione della passerella.
Fu
praticamente sommerso dalle luci dei fotografi.
Lui è
Ruby! E questo è l'Atelier Automne! Da domani su tutti i cataloghi online!
Per un
attimo dimenticò tutto.
Dimenticò
di essere un Dexholder, di avere Pokémon nella cintura di quei pantaloni di
pelle. Dimenticò come si chiamava, da dove veniva. Dov'era nato e l'età in cui
si era trasferito a Hoenn.
Dimenticò
l'odore dei prati, il colore dei tetti di Albanova, e Albanova stessa,
sonnacchiosa e sempreverde, priva di un qualsivoglia vagito di vita.
Dimenticò
il nome dei colori, e quello dei suoi piatti preferiti.
Dimenticò
il volto di suo padre, e la voce di sua madre. Niente più responsabilità, né
cose da fare.
Dimenticò
Rossella, Rocco, Adriano. Birch.
Dimenticò
Groudon e Kyogre, e quella cicatrice che gli deturpava la fronte, testimone dei
suoi errori, involontari lampi di un ragazzino senza troppi limiti imposti.
Dimenticò
Sapphire e la fuga galeotta di quella sera, senza un motivo ben preciso.
Dimenticò
la sua voce, i suoi occhi e il profumo dei suoi capelli. In quel momento non
esisteva il suo odore, né la sensazione di vuoto che provava nello stomaco
quando lei era stesa accanto a lui.
Dimenticò
il suo seno, morbido e leggermente smagliato sul lato, totalmente in contrasto
con l’addome tonico e il sedere sodo.
Dimenticò
il fastidio che provava quando si svegliava e trovava i vestiti di quella, che
indossava la sera prima, tutti sparpagliati per la stanza. E dimenticò anche di
dimenticare sempre di arrabbiarsi con lei, in quelle circostanze, perché la
vedeva dormire accanto a lui e se ne innamorava.
Ogni
dannata e patetica volta.
Aveva
dimenticato tutto.
Su quel
palco era rimasto soltanto il guscio vuoto di una vita vissuta essendo qualcosa
che in quel momento gli pareva distante anni luce.
Si
stagliava silenzioso contro l'onda luminosa che catturava un'immagine distorta
di quella che era la realtà. I flash violentavano il suo sguardo, mentre la
musica si abbassava.
Lui era in
alto e gli altri in platea, mentre le sue debolezze venivano spente, come
cicatrici cauterizzate dal calore di persone che non conosceva e che l'indomani
lo avrebbero osannato come il nuovo genio della moda.
Stringeva
tra le mani un microfono. Lo guardò, mentre i flash continuavano a
disorientarlo.
Il
silenzio calò, mentre un leggero fischio si diffuse dalle colonne nere di JBL,
al lato della passerella.
“Buonasera”
sorrise poi. Era visibilmente commosso e la gente cominciò ad applaudirlo,
quasi come per incoraggiarlo.
“Vorrei…
vorrei ringraziarvi tutti. Non è la prima volta che mi trovo davanti a una
platea così grande di persone, ma forse è la prima volta che mi sento… quasi
nudo. E per uno stilista è quasi un paradosso”.
La gente
rise.
“Speriamo
soltanto che questa sia la prima di tante altre manifestazioni. Troverete i
miei abiti sui migliori cataloghi online. Per informazioni prendete le brochure
prima di andare via”.
Sorrise,
quello, mentre i flash continuavano a catturare la sua immagine, a
intermittenza.
“Vorrei
comunque ringraziare tutti i ragazzi che sono dietro le quinte che... che hanno
lavorato duramente...” diceva, allungando poi lo sguardo verso il grande
maxischermo sulla sinistra, dove poteva vedere il suo volto, visibilmente
scosso.
Analizzò
per un decimo di secondo quell'uomo, ritenendolo estraneo ai propri occhi,
nonostante avesse le sue stesse iridi rubine, gli stessi capelli corvini
laccati e quella cicatrice che gli attraversava la tempia destra.
“Inoltre
ringrazio i truccatori e i parrucchieri, i tecnici... e la mia amica White,
presidentessa dell'agenzia che ci ha fornito le meravigliose modelle, che ora
chiamo sulla passerella”.
Fu lui il
primo ad applaudire, seguito dal resto della folla. Una ad una le ragazze
uscirono eleganti, nella stessa sequenza in cui erano apparse al grande
pubblico del FAME HUB. Con lo sguardo le cercò tutte, ricordando i loro nomi
non appena fissava i loro occhi.
“Kendra, Kimberly... Faye... August, Blanche e
Monique... Chanel e Naomi... Janice, Isis, Katie... Mallory... Valentina e Kelly... e
poi Yvonne.
Ancora una
volta fu rapito dal sorriso della bella bionda, che gli si avvicinò,
stringendolo in vita.
Si sporse
poi verso il suo orecchio, sussurrandogli una frase.
“Tres
bien”.
“Loro sono
le meraviglie della natura che indossano i miei abiti stasera. Applausi per
loro e buonanotte a tutti”.
Il boato
scemò un minuto dopo, quando cominciò la processione per il rientro verso le
dimore.
Non ci
volle molto prima che Ruby ritornasse da White, dietro le quinte.
Quella
manteneva tra le mani una bottiglia di costosissimo Jéroboam, e sorrideva
vistosamente. Ruby sentiva una stanchezza non indifferente in corpo, e la voglia
di levare quel vestito nero confezionato da lui era più grande di quella di
festeggiare.
Ma
ovviamente White non lo capiva.
Si alzò,
non appena lo vide avvicinarsi a lei.
“Mi hai
addirittura incluso nei ringraziamenti finali” esordì, porgendo all'uomo la
bottiglia e con quella l'onere di stapparla. Lui abbassò lo sguardo, fissando
per un secondo la bottiglia di Portofino,
finendo poi per fare cenno di
no con la testa.
“No, non è
il caso che beva, credimi. Sono leggermente angosciato dalla situazione di
Sapphire e ho il telefono scarico, non la posso neppure chiamare...”.
“Eh no” lo
bloccò lei. “Dobbiamo festeggiare. Telefona a Sapphire e dille di raggiungerci.
Magari ha avuto qualche contrattempo” disse, cercando nella borsa il
Blackberry. Lo afferrò e guardò negli occhi vermigli lo stilista.
Riusciva a
saggiarne il malessere, mentre aspettava con insana impazienza che quella gli
cedesse il cellulare.
“Ma prima
apri la bottiglia. Spetta a te. Ragazze, ragazzi! Si festeggia!” urlò poi la
donna, alzandosi in piedi e lisciando l'abito. Si voltò, poi, in direzione di
Yvonne, che intanto aveva smontato il vestito, mettendo addosso un jeans e un
maglioncino con lo scollo a V. Seguita dalle altre, la bionda vide lo stilista
stappare lo spumante con garbo e cederlo nelle mani di White, afferrando con un
rapido gesto il cellulare.
Si
allontanò subito dopo, uscendo dalla porta di servizio, che cigolò sotto la sua
spinta.
La luna
illuminava a malapena il vicolo su cui si affacciò il ragazzo. Da lì vedeva il
cielo con difficoltà, attraverso la feritoia formata dalle fiancate dei due
alti palazzi che lo circondavano.
Cinque...
Quattro... Due... Sette...
Ripeteva a
memoria il numero della sua ragazza, fin quando non premette il tasto verde.
Avvicinò
il cellulare all'orecchio, guardandosi intorno e sospirando.
Uno
squillo.
Due, tre
squilli.
Poi
rispose.
“Sapphire
Birch”.
“Oi...”
disse Ruby, in uno sbuffo figlio di un sussurro e un lamento.
“Chi
è?”.
“Sono io, amore. Sto telefonando col
numero di White...”.
“Che
diamine di fine hai fatto?! Sto cercando di chiamarti da trent'anni!”.
Il ragazzo
sorrise leggermente. “Esageri sempre... Perché sei scappata via appena è uscita
Yvonne?”.
“Non ho
capito” rispose
l'altra, mentre una leggera interferenza infastidiva la comunicazione.
“Perché sei scappata via dalla
platea, stasera, non appena è uscita Yvonne sulla passerella?”.
Sapphire
rimase un secondo in silenzio.
“Svitato...
io sono ad Albanova. Ti stai drogando?”.
“No”
ribatté immediatamente l'altro. “Io ti ho vista, tu eri in prima fila e hai
applaudito in maniera fredda per tutta la sfilata”.
“E
secondo te è plausibile questa cosa?”.
“Cosa?”.
“Che
io, alla tua prima sfilata, applauda in maniera fredda... E comunque mi spiace
di non averti potuto raggiungere... Ho cercato un volo che mi facesse essere in
giornata lì per una settimana ma questi scioperi hanno rovinato tutto! Volevo
farti una sorpresa!”.
“Cosa?!
Sei a Hoenn?!” impallidì l'altro. “Ma non è possibile! Io ti ho vista!”.
“Smettila
di rompere le palle con questa cosa, Ruby! Ti ho detto mille volte che non ero
io!”.
“Ma ti assomigliava tantissimo! Gli
stessi capelli e gli stessi occhi! Pure il seno e... e il portamento! Avevi un
vestito nero!”.
“Come i
funzionari funebri? Ma sei matto?! Sembra che non ricordi ogni singolo indumento
che ho nell'armadio!”.
“Smettila di prendermi in giro!”
s'alterò poi lui, sentendo la rabbia salire. “Eri qui! Ti ho vista!”.
“Ma sei
matto?! E anche se fosse, come faccio adesso a essere a casa nostra?!”.
“... Sei a
casa nostra?” chiese l'altro, dopo una breve pausa.
“E sì!
Senti la porta del forno che cigola?! Questo è il forno della nostra cucina!
Quello che brucia il cibo sopra e lo lascia crudo dentro!”.
Al ragazzo
venne da ridere, per un momento. “Dovremmo cambiarlo”.
“Ormai
mi ci sono affezionata. Ma perché sei così alterato?”.
Ruby fece
spallucce, fissando una tag scomposta fatta con la vernice verde su quelle mura
di mattoni ingrigite dallo smog. “Perché vorrei averti qui... E non ci sei. Per
me è un giorno importante, questo, dentro stanno brindando e io sono qui perché
vorrei soltanto stare con te...”.
“... Vieni
da me, allora”.
Ruby
sospirò.
“Ora non
posso. Ho le sfilate da fare e devo aiutare White con la produzione e le
vendite”.
“Io
sono piena di lavoro in questo periodo. Qui fiorisce e molti Pokémon cominciano
il periodo dell'accoppiamento...”.
“Già...”.
“Non
fare battute sconce”.
“Non sono
Gold. Ma ci sarebbe stata bene” sorrise l'altro.
La ragazza
sorrise, addolcendo il cuore del fidanzato. Poi lasciò sedimentare qualche
respiro e tossì leggermente.
“Entra e
vatti a divertire. E stai lontano da Yvonne...”.
“Poi
cambia poco, ora. Perché sappiamo entrambi che le scelte che fai sono quasi
sempre definitive. Quindi a cosa mi serve più stare a guardare il cellulare,
per ore, ore e ore, sperando che il display s'illumini e mostri il tuo nome?
A cosa
serve rimanere a piangere sul letto, affondando il volto nel tuo cuscino per
poter recuperare un po' del tuo odore.
Dopo tutti
questi mesi, anche quello è sparito. Anche quello è andato via, lasciandomi
sola in questa grande casa, un tempo piena di progetti, di voglia di costruire.
Oggi tomba
di un amore che nel tuo cuore non trova più dimora”.
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