UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
Unima, Austropoli, Hotel Continental, Stanza di Ruby, 26
Aprile 20XX
La testa
doleva.
Come se
fosse stata calpestata da una folla impanicata, senza mai riuscire a romperla
del tutto. Le tempie pulsavano, pronte ad esplodere alla prima sollecitazione.
Ruby stava
morendo.
O forse
era soltanto colpa dell'alcool.
Aprì gli occhi
lentamente, senza capire bene cosa stesse succedendo. Sentiva però
l'inconfondibile odore del legno profumato dei mobili presenti nella sua
stanza.
Quella
camera sapeva di buono come poco altro avesse annusato in vita sua. I guanciali
erano morbidi, perfetti per chiunque volesse riposare bene senza svegliarsi con
la schiena bloccata.
Inoltre la
sua camera era in una posizione meravigliosa per osservare l'oceano. Difatti
era esposta a sud, e il sole primaverile riscaldava l'ambiente fin dalle 09:00,
quando, come preimpostato, le tapparelle automatiche si aprivano, lasciando
penetrare la luce.
Forse era
stata quella lingua di sole a svegliarlo.
O magari
era proprio il mal di testa; eppure non ricordava molto della serata
precedente. Dei festeggiamenti, s'intende. L'emozione che aveva provato sulla
sua prima passerella era rimasta impressa nella sua memoria come un marchio a
fuoco.
E poi
quella sosia, quel clone di Sapphire che forse altri non era che il risultato
delle sue ansie e delle sue paure.
Della sua
voglia di stringere al petto la sua donna.
La
telefonata aveva chiarito tutto, e quasi come se lei lo avesse liberato da un
peso raggiunse lo staff e le modelle col cuore più leggero.
Furono
nove i tappi di spumante che saltarono quella sera, e quindi i brindisi,
quattordici, uno per ogni modella che non lo aveva sconvolto.
E le
modelle erano quindici.
Ovviamente
il pensiero volò rapido verso Yvonne, mentre le palpebre provavano ad aprirsi,
braccate impietosamente dalla luce aggressiva di quel sole di marzo.
Che poi
era quasi aprile, pensò.
Mancavano
due settimane alla seconda sfilata e in quel momento il suo unico pensiero era
rivedere i suoi abiti e perfezionarli. Poi pensò al vestito di Yvonne, alle
ampie fasce dorate che le coprivano la parte superiore del seno, lasciando
libero il lato.
Pensava
alla sua pelle candida e a quel tatuaggio sulla parte bassa della schiena.
Sexy.
Il volto
della bella era d'improvviso il protagonista dei suoi pensieri; batteva le
palpebre, quella, e gli occhi grigi venivano nascosti ritmicamente dalle lunghe
ciglia.
E poi, da
grigie che erano, le iridi diventavano celesti, e poi più scure, quasi blu.
Blu come
uno zaffiro.
Le labbra
di Yvonne divennero quelle di Sapphire. Ebbe quasi come l'impressione che
quella fosse lì con lei, sentendone la presenza.
Ma non era
possibile. Ruby era a Unima, Sapphire a Hoenn. L'aveva sentita la sera prima.
Aveva
quasi deciso di aprire gli occhi, di far cominciare finalmente quella giornata,
prima che nella sua testa apparisse White, col suo tailleur e la scollatura
leggermente accennata.
Era
elegante.
Pensò che
avrebbe dovuto telefonarle in mattinata, per parlare dell'eventuale processo
di vendita. I suoi erano tutti abiti fatti a mano e se dopo la sfilata
inaugurale la richiesta avesse superato i tempi d'attesa massimi, sarebbe stato
costretto ad assumere altre persone nell'Atelier.
Abbozzò un
sorriso, ancora immerso nel tepore delle coperte. Gli faceva piacere sapere che
i nodi cruciali della sua vita fossero stati tutti sciolti: pensava all'amore e
gli veniva in mente Sapphire, pensava al lavoro e gli veniva in mente la notte
precedente.
Pensava al
denaro e sapeva che non sarebbe più stato un problema.
L'unica
cosa che si chiedeva era chi diamine avesse messo quel pacco di surgelati da
frigo nel letto, vicino alle sue gambe.
No, non
erano surgelati da frigo.
Erano piedi.
Fu un
attimo, un impeto, un lampo nel buio della notte.
L'adrenalina
lo fece saltare. Spalancò gli occhi e si voltò dall'altra parte, verso la
porta.
E vide una
donna.
Una donna
senza maglietta, di spalle.
Una donna
senza maglietta, di spalle, coperta fino alla vita dal lenzuolo, dai lunghi
capelli biondi.
Ruby
rabbrividì.
Non
ricordava.
Non
ricordava nulla di nulla. Solo la testa che scoppiava e la consapevolezza che
Yvonne fosse nel suo letto.
O forse
no.
Del resto
era di spalle, nonostante avesse visto la schiena della ragazza trenta volte
nelle ultime ventiquattr'ore non poteva avere la certezza matematica finché non
avesse visto in volto chi occupava l'altra metà del suo letto.
E,
pensandoci, non avrebbe neppure dovuto guardarle il viso; allungò la gamba,
sollevando leggermente il lenzuolo.
E apparve.
Apparve il tatuaggio.
Il gelo
nelle vene, il sangue si rapprese e una lenta consapevolezza trasformò ogni suo
pensiero nel volto di Sapphire.
Eppure lui
non avrebbe mai tradito la sua ragazza; era la donna che amava, che avrebbe
portato sulle spalle per il resto della vita.
La testa
scoppiava. Sì, era colpa dell'alcool, sicuramente, che aveva annebbiato
responsabilità, fedeltà. Volontà, forse.
Tuttavia
un senso di sporco si stava espandendo a macchia d'olio nella sua coscienza,
impregnando di nero il candore e il senso di giustizia.
Se
Sapphire si fosse trovata in quella situazione probabilmente lui non l’avrebbe
più guardata in faccia.
D’altronde
sapeva che Sapphire non si sarebbe mai risvegliata nel letto di una modella
bionda.
Gli veniva
da piangere; aveva tradito la donna che amava.
Passò da
steso a seduto, scivolando oltre il sottile lenzuolo, e poggiando le scarpe per
terra.
Poi guardò
meglio.
Aveva
ancora le scarpe ai piedi.
Forse era
l’alcool. Forse era ancora ubriaco.
Abbassò il
capo, puntellando i gomiti sulle ginocchia e fissando le punte delle sue
Armani, lucide ma non abbastanza, forse un po’ troppo opache.
In quel
momento il mal di testa gli impediva di capire per quale motivo Yvonne fosse
nuda nel suo letto e perché lui avesse ancora indosso i vestiti.
“Uh…
ahn…”. La modella si stava per svegliare.
Il ragazzo
si alzò in piedi, cercando di mantenere l’equilibrio e la calma ma dovette
combattere con forza per evitare di risedersi e rimettere.
Guardò
Yvonne, muoversi lentamente e allungare ogni muscolo del corpo. I piedi
sgusciarono fuori dalle lenzuola. Ruby guardò ancora il tribale, coperto per
metà, poi appoggiò gli occhi sulla schiena della bella.
Guardò
quei quattro nei, tutti vicini, come stelle visibili di una costellazione
luminosa, in un cielo vasto e senza nuvole. Si concentrò poi sul volto della
ragazza, disteso, ancora assopito dal sonno.
“Yvonne…”
la chiamò.
“Ruby… que
fais-tu dans ma chambre?” biascicando, mentre stropicciava le palpebre con
le dita. Subito dopo si rese conto d’esser nuda e si coprì, spalancando lo
sguardo. “Oh putain! Je suis nu!”.
Ruby sentì
mille aghi penetrargli nella testa. S’appoggiò al muro e sospirò, chiudendo
leggermente gli occhi.
“Non
urlare, Yvonne… Questa è la mia stanza, non la tua”.
“Et pourquoi diable serais-je nu?!”.
“Io ho un
completo addosso e ho dormito con le scarpe… Non farmi domande a cui non saprei
rispondere…”.
“Chiudi
gli occhi” ribatté lei.
“Già sono
chiusi”.
Il ragazzo
sentì un fruscio prolungato, sostituito poi dal respiro della donna.
“Okay.
Apri”.
Ruby la
guardò, avvolta nel lenzuolo preso dal letto, sporco in
qualche punto di polvere e trucco sciolto. I capelli della donna erano
spettinati, alti sulla testa, e parevano quasi assorbire la luce del sole
pallido di marzo. L'occhio destro era quasi del tutto struccato mentre quello
sinistro invece era
in condizioni dignitose. Sbavature nere di mascara risaltavano di più sul
lenzuolo che quella s'era avvolta addosso, all'altezza del fianco destro. In
lavanderia avrebbero dovuto penare per pulire quella macchia.
“Bene.
Comincerei col chiederti se ricordi se io e te abbiamo...”.
Ruby
abbassò lo sguardo, poco prima che gli occhi di Yvonne si spalancassero. Li
spostò verso il materasso, poi li ripuntò sullo stilista e fece cenno di no.
“No. Non credo, no… non abbiamo fatto... quelle cose…”.
Fu come se
una piccola carica avesse fatto saltare quella diga di preoccupazioni; fu
subito investito da un'ondata di tranquillità.
“Non ho
tradito Sapphire, quindi”.
“Mon Dieu, non con me!” esclamò quella.
“Non... non così, almeno...” disse, svincolando lo sguardo verso la porta. Ruby
fece finta di non sentire quella frase ma non poté non ammettere a se stesso di
non essere rimasto colpito.
“Anche
perché generalmente quando faccio sesso le scarpe le levo...” sorrise, vedendo
l'altra fare altrettanto.
“Abbiamo
bevuto troppo…” fece Yvonne, turbata.
“Credevo
di reggerlo lo spumante”.
La ragazza
s'abbassò e raccolse il reggiseno. “Nessuno regge tanto alcool... Voltati”.
“Ho
esagerato?” chiese l'altro, ubbidendo. Yvonne sgusciò fuori dal lenzuolo e
infilò velocemente le bretelle del bra.
“Decisamente...
Ricordo che White ci ha messi sullo stesso taxi...”.
“Sì... ha
anche chiesto al tassista di assicurarsi che entrassi nell'hotel, ricordo...”.
“Probabilmente
siamo collassati fuori la tua porta” sorrise l'altra, alzandosi. “Puoi
guardare, sono coperta...”.
Ruby
annuì, mentre levava le scomode scarpe e la giacca. Passò poi alla camicia,
sotto gli occhi attenti di Yvonne.
“Che stai
facendo?” gli domandò, cominciando a intravedere il petto del ragazzo.
“Una doccia,
ovviamente. T'inviterei ma questa è una cosa che generalmente faccio da
solo...” le rispose.
In Yvonne
stava crescendo una strana attrazione nei confronti dello stilista, che
prescindeva dal corpo nascosto dalla camicia e dai pantaloni. Aveva voglia di parlare
con lui, di qualsiasi cosa, e il fatto la straniva. Lo guardò un’ultima e
lasciva volta, prima di mettersi a cercare i suoi vestiti e raggiungere subito
dopo la conclusione che lei, i vestiti, la sera prima non li aveva; sospirò e
portò le mani alla fronte, fissando l'abito dorato appoggiato sull'anta
dell'armadio.
“Sono
uscita con quell'abito dal FAME...” disse, quasi rimproverandosi. Avrebbe
dovuto lasciare nei camerini il vestito della sfilata e indossare la sua roba.
“Che stupida!”.
Ruby
sorrise, cominciando ad aprire i bottoni della camicia uno ad uno. La stava
deridendo con l’estrema delicatezza che lo contraddistingueva. “Prendi il
maglione bordeaux dall'armadio. È abbastanza lungo da coprirti le cosce fino al
ginocchio.
Quella eseguì
e, quando si voltò, Ruby non aveva la camicia. Fissò i pettorali di quello per
un secondo di troppo, prima che lui si voltasse dall'altra parte e mettesse il
cellulare sotto carica.
Quello si
accese qualche secondo dopo.
Ma c'era
troppo silenzio.
“Yvonne?”
sorrise ancora.
“O-oui?”
balbettò, con le braccia stese lungo i fianchi; si riconobbe attratta dal corpo
dell'uomo, e la cosa non accadeva sovente. Del resto Ruby era un ragazzo
bellissimo, dagli addominali appena accennati e lo sguardo magnetico.
Fu però il
sorriso del ragazzo a catturarla.
“Il
maglione. È nell'armadio”.
“Oui” sussurrò velocemente.
Ruby la
sentiva parlare in francese e sorrideva. “Adoro quando non ti sforzi di usare
la mia lingua”.
“Crétin...”
sbuffò l’altra, percependo qualcosa di strano oltre al freddo sulla pelle.
Se ne
stava rendendo conto.
Subito
dopo si voltò e spalancò le ante del grosso guardaroba grigio. L'odore del
ragazzo, pungente e quasi amarostico, era ancor più forte, lì dentro; le
ricordava quello di suo padre.
Tra le
giacche e le camice appese vi era un abito azzurro, femminile e molto bello,
avvolto nella camicia trasparente di plastica. Non era ancora terminato.
Evidentemente
lo stilista lo stava ancora ultimando. Lo carezzò, saggiandone la morbida
stoffa al di sotto della protezione, poi si rimproverò. Stava perdendo troppo
tempo; mentre lei prendeva e indossava il maglione, Ruby accese il cellulare.
Ci fu un
attimo di panico, in cui lo stesso dispositivo non sapeva quale notifica far
apparire per prima, tra messaggi in segreteria, SMS arrivati e avvisi di
chiamata.
Si
preoccupò subito per Sapphire, aprendo la sua conversazione.
Ho provato a telefonarti per farti gli auguri...
A dire il vero ho provato fino all'ultimo a venire lì, ad essere presente ma
non ho trovato un aereo giusto che mi facesse essere lì a un orario decente. In
ogni caso ti auguro il meglio per stasera. Ti amo tanto, campione <3 22:58
E cerca di fare un buon lavoro, altrimenti vengo
lì ad ammazzarti a mani nude. Vestita da selvaggia =P 22:59
Hey... Rispondi al cellulare, per favore? Non
farmi andare in paranoia ogni volta!
00:15
Come sempre non rispondi mai. Va beh, stasera
l'hai vinta, sarai parecchio impegnato. È che... Dannazione! Volevo essere lì
con te! 01:58
Non festeggiare troppo! Non lo reggi bene lo
spumante! 02:00
Quando torni in albergo mandami un messaggio. 02:00
Figuriamoci... Starai dormendo crocifisso sul
materasso, come tuo solito... Io che ti aspetto pure, poi... 03:42
Buongiorno, Casper.... Appena ti svegli mi dai un
cenno? Ho letto alcune testate online che parlano benissimo di ieri sera.
Stiamo per diventare ricchi! 11:12
Ruby
sorrise. Ovviamente non era il suo obiettivo, arricchirsi tramite la moda. Lui
stava vivendo il suo sogno e lì nessuno lo giudicava.
Forse
molti lo davano già per gay. Odiava quello stupido luogo comune.
Si voltò
per un attimo, fissando Yvonne e la dolcezza che esprimeva cercando di tirare
su le maniche del maglione, troppo lunghe.
Poi
riabbassò lo sguardo sullo schermo e aprì la conversazione con Sapphire.
Bambola, buongiorno. Ieri
abbiamo tirato tardi e mi sono appena svegliato. In giornata dovrò sentire
White e vedere quanti ordini abbiamo per i modelli in catalogo. Sarà un
lavoraccio. Mangio un morso e vado, ti amo.
12:01
Abbassò il
cellulare e si voltò ancora. La ragazza cercava le scarpe e sembrava avesse
fretta.
Un dubbio
poi s’insinuò nella sua testa, fastidioso.
“Ehi,
Yvonne... Anche se non è successo niente sai bene che sono fidanzato… se
Sapphire dovesse venire a sapere una cosa del genere potrebbe mettere a rischio
la mia relazione… Lo sai, vero?”.
“Je
sais. Savez-vous où sont mes chassures?” domandò subito dopo la ragazza,
senza dare troppo peso a ciò che aveva detto Ruby.
Il ragazzo
fu leggermente infastidito da quell'atteggiamento e si avvicinò subito alla
bionda, afferrandola per le spalle. La fissò negli occhi.
Yvonne
sussultò. Erano davvero molto vicini.
“Non sto
scherzando e voglio che tu prenda seriamente questa cosa. Tengo a Sapphire più
di qualsiasi altra cosa al mondo e non voglio perderla”.
Ruby non
s'accorse che lo sguardo della donna s'incupì.
“Hai
capito?”.
L’altra
abbassò il viso, cercando di evitare gli occhi rossi dell’altro, fissando
invece le labbra. Le fissò e poi lo guardò negli occhi.
Stava per
succedere.
Lui però
mollò subito la stretta, allontanandosi.
“Allora?”
chiese ancora, cercando conferma.
“Sì. Sì,
Ruby. Entendu…”.
“Perfetto”
fece l’altro, aprendo la porta del bagno e chiudendosi dentro. “Chiudi la
porta, quando esci”.
Unima, Austropoli, Molo 12, Bar AVANTGUARDIA, 26 Aprile
20XX, qualche ora dopo
Assente.
Nonostante
affondasse in una comoda poltroncina di pelle rossa, in uno dei locali migliori
in riva al lungomare di Austropoli, la testa d’Yvonne era da un’altra parte, e
si perdeva oltre le balaustre che aveva davanti, di plexiglas trasparente, che
le permetteva di guardare l’oceano blu, quel giorno tranquillo.
Si perdeva
oltre il Ponte Freccialuce, dove piccoli furgoncini, perlopiù bianchi,
s’alternavano a grossi autoarticolati. Emettevano fumo nero dagli scarichi, e
il cielo su di loro era più cupo.
Yvonne
sapeva che era solo per via di una nuvola passeggera ma le piaceva pensare che
il caso volesse punirli per via dell’inquinamento che buttavano nell’aria.
Si perdeva
oltre l’orizzonte, in quel punto indefinito in cui l’oceano e il mare
s’incontravano, diventando una cosa sola.
Quando era
a Kalos lei volava; indossava la sua tuta alare e si abbandonava alle correnti,
librandosi nel vento di quei paesaggi così deliziosamente naturali, dove le
città lottavano con tutte loro stesse per non essere inglobate all'interno del
verde, talvolta fallendo.
E lei si
era cibata del sogno di raggiungere quel punto indefinito in cui il cielo e la
terra s'innamoravano, ma ogni metro che lei faceva per avanzare verso di lui
quello s'allontanava, diventando di fatto irraggiungibile.
Era in
quel punto preciso che il suo sguardo si perdeva, quel giorno. Ripensò a poche
ore prima, a quando quel ragazzo bello e gentile, che le aveva dato
l'opportunità di uscire dalla melma in cui affondava fin nelle ginocchia, le
aveva detto di non rovinare la sua relazione quasi ventennale con la donna che
amava.
E la cosa
l'aveva turbata e infastidita.
Le onde
s'infrangevano contro le banchine del porto, poco più in là, quando si rese
conto che c'era una motivazione ben precisa se la cosa la infastidiva.
A lei Ruby
piaceva.
E piaceva
anche molto.
E non
soltanto per una questione fisica; del resto era un ragazzo bellissimo e pieno
di qualità, manualità, buona volontà. Parlava persino il francese, oltre ad
essere gentile ed educato. Quasi le venne da sorridere, ripensando alla
differenza abissale che c'era con Sergei.
La cosa
quasi la sconvolse: come aveva fatto ad accontentarsi di un simile scarto
umano?
E se la
cosa si fosse limitata alla gentilezza e alla delicatezza con cui lui la
trattava si sarebbe anche adagiata. Ma lei vedeva i suoi occhi quando
lavoravano assieme, quando lei si spogliava e lui quasi tremava mentre le
bretelle del reggiseno scendevano, e la sua schiena si mostrava nuda.
E si era
appena resa conto di avere avuto la stessa reazione, quando la camicia del
ragazzo si era aperta.
Prese un
sorso dal calice di cuvée che stringeva tra le mani, nonostante non ne avesse
per niente voglia dopo la sbronza della notte prima, quindi sospirò e pensò; quella
strana consapevolezza, dell'effettiva attrazione che i due provavano l'un per
l'altro non si limitava a una sfera unicamente fisica.
Lei aveva
voglia di passare il tempo con lui, di parlare con lui.
Voleva
trovare il coraggio per baciarlo e costringerlo a cancellare la sua intera vita
passata.
Ma
Sapphire appariva d'improvviso in ogni suo piano di felicità, a ricordarle che
no, non poteva prendersi Ruby con tutta tranquillità.
Ruby era
suo.
E più
questo pensiero s'insinuava nella sua testa più un fastidio nero e denso le
stringeva lo stomaco in una morsa inesorabile.
“Yvonne...
Scusa il ritardo...” sentì poi. Gli occhi bassi le permisero di vedere un paio
di stivaletti neri, di pelle, e un paio di caviglie candide. Una di questa era
avvolta da una cavigliera.
Stretti
jeans fasciavano due belle gambe, che si accomodarono sulla sedia davanti a
lei.
“White”
fece Yvonne. “Ciao... Scusa se ho ordinato e non ti ho aspettata”.
Quella
sorrise, sistemando il colletto della camicia nera che fuoriusciva dal
maglioncino di filo bianco. “Oh, ma non preoccuparti. Anzi, hai fatto bene...
Che bevi? Cameriere!” urlò, alzando la mano.
Quel
giorno la stessa Yvonne aveva chiamato White e aveva spinto per prendere un
appuntamento, senza dirle di aver bisogno di sfogarsi e di ottenere un
consiglio su come comportarsi.
Il
cameriere arrivò al tavolino e fu White a parlare.
“Per me un
Vodka – tonic senza ghiaccio e per la mia amica un altro spumantino…”.
Yvonne la
vide annuire al ragazzo e sospirare, prendendo tra le mani la grossa bag di
pelle.
“Comment
ça va?” le
domandò Yvonne, con le gambe elegantemente accavallate.
La vide annuire
lentamente, mentre cercava qualcosa nella borsa.
“Bene.
Bene, bene... Oddio, ho appena finito di litigare con Black...”.
“Black è
il tuo uomo?” osservò l'altra, mentre la brezza le soffiava sul viso.
La vide
annuire. Spostò poi i lunghi capelli castani, sciolti, sulla spalla destra.
“Si, è il mio uomo... ormai sono diversi mesi che non ci vediamo...”.
Yvonne
inarcò le sopracciglia, sorpresa. “Come mai?”.
“Lui è un
Allenatore. Viaggia per il mondo in cerca di Pokémon e avventure e io sono qui,
a gestire un'azienda multimilionaria e, da poco, un atelier...”.
“Vi amate
tanto, per non esservi ancora lasciati nonostante la distanza...”.
White
abbassò lo sguardo. “Ci vuole pazienza, immagino... Ma non ce la faccio più.
Certe volte ho bisogno di averlo davanti, di stringerlo tra le braccia...”.
Gli occhi
della Presidentessa cominciarono a vagare, e quella sua concretezza nelle cose
di tutti i giorni si trasformò in liquida paura dell'ignoto.
“Ho voglia
di farci l'amore. Sono mesi che non tocco un uomo”.
Yvonne
annuì, comprensiva.
“Mi spiace
molto. Dovresti prenderti qualche giorno di pausa e raggiungerlo”.
“La
baracca non va avanti senza di me... Piuttosto, tu? Percepisco qualcosa di
strano in te…”.
“Ehm...
Dovrei parlarti” disse, sistemandosi meglio sulla sedia e poggiando entrambe le
suole per terra.
“Sì, lo
so... Ormai stiamo decisamente cavalcando l'onda del successo, anche grazie a
Ruby e ai suoi abiti e la tua presenza sulla passerella non ti ha lasciata al
buio...” sorrise l'altra, che poi aprì la borsa e cominciò a rovistarci dentro,
tirando fuori infine una serie di fogli piegati in più parti. “Motivo per cui
capisco la tua necessità di rinegoziare i termini contrattuali che abbiamo
stipulato qualche mese fa...”.
Yvonne
spalancò gli occhi. “Beh... Veramente....”.
White aprì
i fogli e li poggiò sul tavolino davanti a loro, mettendoli sotto a un grosso
posacenere di cristallo, per evitare che il vento se li portasse via.
“Prendili,
portali a casa. Dagli un'occhiata. Posso garantirti che è un'ottima offerta!
Hai ricevuto qualche proposta dalla concorrenza?!”.
La bionda
sorrise. “Ma no... ma no, ma cosa vai a pensare... fou... In realtà
avrei bisogno di un consiglio...”.
White
sospirò, quasi sollevata. “Oh. Meglio così allora. Guarda lo stesso ciò che ti
offro...”.
“Certo”.
“Di che
consiglio hai bisogno?”.
Yvonne si
mise comoda, sprofondando con eleganza nella poltroncina, per poi incontrare lo
sguardo candido della Presidentessa.
“Io... io
credo di provare qualcosa per Ruby”.
White
spalancò gli occhi.
“Sei
impazzita?!”.
Il tono
della voce della donna non lasciava spazio a fraintendimenti; probabilmente,
fosse stata Shana lì davanti a lei le avrebbe detto di gettarsi a capofitto in
quell'avventura.
Ma Shana
ovviamente non era White.
“Ruby ha
mezzo piede in un matrimonio con una donna che conosce da vent'anni, Yvonne!”
continuò l'altra, buttando giù il drink tutto d'un fiato e stringendo occhi e
denti, prima di lasciar scivolare il bicchiere di cristallo sul vetro del
tavolino.
“Lo so, lo
so”.
“Hai
intenzione di rovinare la loro storia?!”.
“No! Non
lo so...” sospirò l'altra, sbuffando e portando le mani davanti al volto. “Non
so più che pensare!” esclamò. “Sono estremamente combattuta, perché capisco che
Ruby abbia una vita e che io non debba robinarla ma...”
“Rovinarla”.
“Cosa?”.
“Si dice rovinarla.
Hai sbagliato”.
“Sì,
scusa. Intendevo dire...”
“So cosa
intendevi dire. Ma non mi piace” fece l'altra, accavallando le gambe e
incrociando le braccia.
Yvonne
sentiva i suoi occhi fissarla, giudici atti a condannarla.
“Non
guardarmi così... So che non è giusto ma non vuol dire che... Uff!” si lamentò.
“Non lo so!”.
White
sbuffò, visibilmente contrariata.
“Ruby e
Sapphire devono stare assieme. E tu non puoi rovinare la loro storia in questo
modo. Inoltre lui deve rimanere concentrato sul lavoro e sulle sfilate... Non
devi assolutamente deconcentrarlo in nessun modo!”.
Yvonne
distolse lo sguardo. Riusciva a vedere la concentrazione di Ruby volatilizzarsi
ogni volta che la vedeva in déshabillé. Lui era attratto da lei, e la ragazzo
lo sapeva.
E la cosa
era reciproca.
E non si
limitava alla sola voglia di vederlo ancora senza camicia, o di dargli altri
baci. No.
Yvonne
voleva sentire il suo odore, e percepire le mani dell'uomo toccarla, carezzarle
il corpo. E dopo baciarla ancora.
E poi
avrebbe voluto dormirgli accanto, e aprire gli occhi accanto a lui.
Magari
vederlo dormire per qualche minuto, e svegliarlo con un tenero schiocco di
labbra.
E poi
avrebbe provato per lui. Lo avrebbe aiutato coi vestiti.
E sulla
passerella avrebbe sfilato solo per tornare indietro e vederlo sorridere.
Stringerlo
in un abbraccio, e vedersi riconosciuta come la musa del suo successo.
Senza mai
prendersene il merito.
Forse non
era amore, no. Non era innamorata di Ruby.
Ma per
quanto tempo avrebbe potuto mentire a se stessa?
“Yvonne,
per favore... Sei la donna più bella del mondo, puoi avere chiunque tu voglia!
Lascia perdere Ruby!”.
White
urlava a squarciagola; una donna col caschetto, con la ricrescita che
aggressiva attaccava i capelli castani, la guardava confusa, ma passava oltre,
salendo sul marciapiede e perdendosi nella fiumana di sconosciuti.
“Non credo
sia questo il problema. Sono venuta qui a Unima alcuni anni fa ma nessuno mi ha
mai fatta sentire veramente protetta. Quando tu e Ruby mi avete fatta sfilare
io non avrei mai pensato di ritrovarmi… così”.
Sorrise
dolcemente, sporgendosi in avanti e bevendo. Poggiò il flûte sul tavolino,
accanto al bicchiere vuoto di White, e infine sospirò.
“Così
come?” chiese la Presidentessa, ancora immobile ma con un’altra espressione sul
volto.
“Parte di
qualcosa. Parte fondamentale di qualcosa. Ruby mi ha fatta sentire necessaria,
per la prima volta da quando sono qui. E mi piace sfilare…”.
“Questo
non c’entra col fatto che tu debba lasciar vivere a Ruby la propria vita, senza
interferire”.
Quelle
parole risuonarono glaciali, ed ebbero l’effetto di un colpo di martello dietro
la nuca.
I loro
occhi s’incrociarono per qualche profondissimo istante.
“E io non
dovrei vivere la mia vita? Se quello che voglio è lui perché non posso prendermelo?”.
White
rimase in silenzio per qualche secondo.
“La cosa
migliore da fare non è sempre quella giusta. Valuta le conseguenze delle tue
azioni” rimbeccò l’altra. “E firma il contratto”.
Poggiò una
banconota da venti Pokédollari sul tavolino, si alzò e se ne andò, lasciandola
piena di dubbi.
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