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Andy Black - Unravel Me - 8: Otto (VIII)



UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.

UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
 




Unima, Austropoli, Hotel Continental, Stanza di Ruby, 26 Aprile 20XX


La testa doleva.
Come se fosse stata calpestata da una folla impanicata, senza mai riuscire a romperla del tutto. Le tempie pulsavano, pronte ad esplodere alla prima sollecitazione.

Ruby stava morendo.

O forse era soltanto colpa dell'alcool.
Aprì gli occhi lentamente, senza capire bene cosa stesse succedendo. Sentiva però l'inconfondibile odore del legno profumato dei mobili presenti nella sua stanza.
Quella camera sapeva di buono come poco altro avesse annusato in vita sua. I guanciali erano morbidi, perfetti per chiunque volesse riposare bene senza svegliarsi con la schiena bloccata.
Inoltre la sua camera era in una posizione meravigliosa per osservare l'oceano. Difatti era esposta a sud, e il sole primaverile riscaldava l'ambiente fin dalle 09:00, quando, come preimpostato, le tapparelle automatiche si aprivano, lasciando penetrare la luce.
Forse era stata quella lingua di sole a svegliarlo.
O magari era proprio il mal di testa; eppure non ricordava molto della serata precedente. Dei festeggiamenti, s'intende. L'emozione che aveva provato sulla sua prima passerella era rimasta impressa nella sua memoria come un marchio a fuoco.
E poi quella sosia, quel clone di Sapphire che forse altri non era che il risultato delle sue ansie e delle sue paure.
Della sua voglia di stringere al petto la sua donna.
La telefonata aveva chiarito tutto, e quasi come se lei lo avesse liberato da un peso raggiunse lo staff e le modelle col cuore più leggero.
Furono nove i tappi di spumante che saltarono quella sera, e quindi i brindisi, quattordici, uno per ogni modella che non lo aveva sconvolto.
E le modelle erano quindici.
Ovviamente il pensiero volò rapido verso Yvonne, mentre le palpebre provavano ad aprirsi, braccate impietosamente dalla luce aggressiva di quel sole di marzo.
Che poi era quasi aprile, pensò.
Mancavano due settimane alla seconda sfilata e in quel momento il suo unico pensiero era rivedere i suoi abiti e perfezionarli. Poi pensò al vestito di Yvonne, alle ampie fasce dorate che le coprivano la parte superiore del seno, lasciando libero il lato.
Pensava alla sua pelle candida e a quel tatuaggio sulla parte bassa della schiena.
Sexy.
Il volto della bella era d'improvviso il protagonista dei suoi pensieri; batteva le palpebre, quella, e gli occhi grigi venivano nascosti ritmicamente dalle lunghe ciglia.
E poi, da grigie che erano, le iridi diventavano celesti, e poi più scure, quasi blu.
Blu come uno zaffiro.
Le labbra di Yvonne divennero quelle di Sapphire. Ebbe quasi come l'impressione che quella fosse lì con lei, sentendone la presenza.
Ma non era possibile. Ruby era a Unima, Sapphire a Hoenn. L'aveva sentita la sera prima.
Aveva quasi deciso di aprire gli occhi, di far cominciare finalmente quella giornata, prima che nella sua testa apparisse White, col suo tailleur e la scollatura leggermente accennata.
Era elegante.
Pensò che avrebbe dovuto telefonarle  in mattinata, per parlare dell'eventuale processo di vendita. I suoi erano tutti abiti fatti a mano e se dopo la sfilata inaugurale la richiesta avesse superato i tempi d'attesa massimi, sarebbe stato costretto ad assumere altre persone nell'Atelier.
Abbozzò un sorriso, ancora immerso nel tepore delle coperte. Gli faceva piacere sapere che i nodi cruciali della sua vita fossero stati tutti sciolti: pensava all'amore e gli veniva in mente Sapphire, pensava al lavoro e gli veniva in mente la notte precedente.
Pensava al denaro e sapeva che non sarebbe più stato un problema.
L'unica cosa che si chiedeva era chi diamine avesse messo quel pacco di surgelati da frigo nel letto, vicino alle sue gambe.

No, non erano surgelati da frigo.
Erano piedi.

Fu un attimo, un impeto, un lampo nel buio della notte.
L'adrenalina lo fece saltare. Spalancò gli occhi e si voltò dall'altra parte, verso la porta.
E vide una donna.
Una donna senza maglietta, di spalle.
Una donna senza maglietta, di spalle, coperta fino alla vita dal lenzuolo, dai lunghi capelli biondi.
Ruby rabbrividì.
Non ricordava.
Non ricordava nulla di nulla. Solo la testa che scoppiava e la consapevolezza che Yvonne fosse nel suo letto.
O forse no.
Del resto era di spalle, nonostante avesse visto la schiena della ragazza trenta volte nelle ultime ventiquattr'ore non poteva avere la certezza matematica finché non avesse visto in volto chi occupava l'altra metà del suo letto.
E, pensandoci, non avrebbe neppure dovuto guardarle il viso; allungò la gamba, sollevando leggermente il lenzuolo.
E apparve. Apparve il tatuaggio.

Il gelo nelle vene, il sangue si rapprese e una lenta consapevolezza trasformò ogni suo pensiero nel volto di Sapphire.
Eppure lui non avrebbe mai tradito la sua ragazza; era la donna che amava, che avrebbe portato sulle spalle per il resto della vita.
La testa scoppiava. Sì, era colpa dell'alcool, sicuramente, che aveva annebbiato responsabilità, fedeltà. Volontà, forse.
Tuttavia un senso di sporco si stava espandendo a macchia d'olio nella sua coscienza, impregnando di nero il candore e il senso di giustizia.
Se Sapphire si fosse trovata in quella situazione probabilmente lui non l’avrebbe più guardata in faccia.
D’altronde sapeva che Sapphire non si sarebbe mai risvegliata nel letto di una modella bionda.
Gli veniva da piangere; aveva tradito la donna che amava.
Passò da steso a seduto, scivolando oltre il sottile lenzuolo, e poggiando le scarpe per terra.
Poi guardò meglio.
Aveva ancora le scarpe ai piedi.
Forse era l’alcool. Forse era ancora ubriaco.
Abbassò il capo, puntellando i gomiti sulle ginocchia e fissando le punte delle sue Armani, lucide ma non abbastanza, forse un po’ troppo opache.
In quel momento il mal di testa gli impediva di capire per quale motivo Yvonne fosse nuda nel suo letto e perché lui avesse ancora indosso i vestiti.
“Uh… ahn…”. La modella si stava per svegliare.
Il ragazzo si alzò in piedi, cercando di mantenere l’equilibrio e la calma ma dovette combattere con forza per evitare di risedersi e rimettere.
Guardò Yvonne, muoversi lentamente e allungare ogni muscolo del corpo. I piedi sgusciarono fuori dalle lenzuola. Ruby guardò ancora il tribale, coperto per metà, poi appoggiò gli occhi sulla schiena della bella.
Guardò quei quattro nei, tutti vicini, come stelle visibili di una costellazione luminosa, in un cielo vasto e senza nuvole. Si concentrò poi sul volto della ragazza, disteso, ancora assopito dal sonno.
“Yvonne…” la chiamò.
Ruby… que fais-tu dans ma chambre?” biascicando, mentre stropicciava le palpebre con le dita. Subito dopo si rese conto d’esser nuda e si coprì, spalancando lo sguardo. “Oh putain! Je suis nu!”.
Ruby sentì mille aghi penetrargli nella testa. S’appoggiò al muro e sospirò, chiudendo leggermente gli occhi.
“Non urlare, Yvonne… Questa è la mia stanza, non la tua”. 
Et pourquoi diable serais-je nu?!”.
“Io ho un completo addosso e ho dormito con le scarpe… Non farmi domande a cui non saprei rispondere…”.
“Chiudi gli occhi” ribatté lei.
“Già sono chiusi”.
Il ragazzo sentì un fruscio prolungato, sostituito poi dal respiro della donna.
“Okay. Apri”.
Ruby la guardò, avvolta nel lenzuolo preso dal letto, sporco in qualche punto di polvere e trucco sciolto. I capelli della donna erano spettinati, alti sulla testa, e parevano quasi assorbire la luce del sole pallido di marzo. L'occhio destro era quasi del tutto struccato mentre quello sinistro invece era in condizioni dignitose. Sbavature nere di mascara risaltavano di più sul lenzuolo che quella s'era avvolta addosso, all'altezza del fianco destro. In lavanderia avrebbero dovuto penare per pulire quella macchia.
“Bene. Comincerei col chiederti se ricordi se io e te abbiamo...”.
Ruby abbassò lo sguardo, poco prima che gli occhi di Yvonne si spalancassero. Li spostò verso il materasso, poi li ripuntò sullo stilista e fece cenno di no. “No. Non credo, no… non abbiamo fatto... quelle cose…”.
Fu come se una piccola carica avesse fatto saltare quella diga di preoccupazioni; fu subito investito da un'ondata di tranquillità.
“Non ho tradito Sapphire, quindi”.
Mon Dieu, non con me!” esclamò quella. “Non... non così, almeno...” disse, svincolando lo sguardo verso la porta. Ruby fece finta di non sentire quella frase ma non poté non ammettere a se stesso di non essere rimasto colpito.
“Anche perché generalmente quando faccio sesso le scarpe le levo...” sorrise, vedendo l'altra fare altrettanto.
“Abbiamo bevuto troppo…” fece Yvonne, turbata.
“Credevo di reggerlo lo spumante”.
La ragazza s'abbassò e raccolse il reggiseno. “Nessuno regge tanto alcool... Voltati”.
“Ho esagerato?” chiese l'altro, ubbidendo. Yvonne sgusciò fuori dal lenzuolo e infilò velocemente le bretelle del bra.
“Decisamente... Ricordo che White ci ha messi sullo stesso taxi...”.
“Sì... ha anche chiesto al tassista di assicurarsi che entrassi nell'hotel, ricordo...”.
“Probabilmente siamo collassati fuori la tua porta” sorrise l'altra, alzandosi. “Puoi guardare, sono coperta...”.
Ruby annuì, mentre levava le scomode scarpe e la giacca. Passò poi alla camicia, sotto gli occhi attenti di Yvonne.
“Che stai facendo?” gli domandò, cominciando a intravedere il petto del ragazzo.
“Una doccia, ovviamente. T'inviterei ma questa è una cosa che generalmente faccio da solo...” le rispose.
In Yvonne stava crescendo una strana attrazione nei confronti dello stilista, che prescindeva dal corpo nascosto dalla camicia e dai pantaloni. Aveva voglia di parlare con lui, di qualsiasi cosa, e il fatto la straniva. Lo guardò un’ultima e lasciva volta, prima di mettersi a cercare i suoi vestiti e raggiungere subito dopo la conclusione che lei, i vestiti, la sera prima non li aveva; sospirò e portò le mani alla fronte, fissando l'abito dorato appoggiato sull'anta dell'armadio.
“Sono uscita con quell'abito dal FAME...” disse, quasi rimproverandosi. Avrebbe dovuto lasciare nei camerini il vestito della sfilata e indossare la sua roba. “Che stupida!”.
Ruby sorrise, cominciando ad aprire i bottoni della camicia uno ad uno. La stava deridendo con l’estrema delicatezza che lo contraddistingueva. “Prendi il maglione bordeaux dall'armadio. È abbastanza lungo da coprirti le cosce fino al ginocchio.
Quella eseguì e, quando si voltò, Ruby non aveva la camicia. Fissò i pettorali di quello per un secondo di troppo, prima che lui si voltasse dall'altra parte e mettesse il cellulare sotto carica.
Quello si accese qualche secondo dopo.
Ma c'era troppo silenzio.
“Yvonne?” sorrise ancora.
O-oui?” balbettò, con le braccia stese lungo i fianchi; si riconobbe attratta dal corpo dell'uomo, e la cosa non accadeva sovente. Del resto Ruby era un ragazzo bellissimo, dagli addominali appena accennati e lo sguardo magnetico.
Fu però il sorriso del ragazzo a catturarla.
“Il maglione. È nell'armadio”.
Oui” sussurrò velocemente.
Ruby la sentiva parlare in francese e sorrideva. “Adoro quando non ti sforzi di usare la mia lingua”.
Crétin...” sbuffò l’altra, percependo qualcosa di strano oltre al freddo sulla pelle.
Se ne stava rendendo conto.
Subito dopo si voltò e spalancò le ante del grosso guardaroba grigio. L'odore del ragazzo, pungente e quasi amarostico, era ancor più forte, lì dentro; le ricordava quello di suo padre.
Tra le giacche e le camice appese vi era un abito azzurro, femminile e molto bello, avvolto nella camicia trasparente di plastica. Non era ancora terminato.
Evidentemente lo stilista lo stava ancora ultimando. Lo carezzò, saggiandone la morbida stoffa al di sotto della protezione, poi si rimproverò. Stava perdendo troppo tempo; mentre lei prendeva e indossava il maglione, Ruby accese il cellulare.
Ci fu un attimo di panico, in cui lo stesso dispositivo non sapeva quale notifica far apparire per prima, tra messaggi in segreteria, SMS arrivati e avvisi di chiamata.
Si preoccupò subito per Sapphire, aprendo la sua conversazione.


Ho provato a telefonarti per farti gli auguri... A dire il vero ho provato fino all'ultimo a venire lì, ad essere presente ma non ho trovato un aereo giusto che mi facesse essere lì a un orario decente. In ogni caso ti auguro il meglio per stasera. Ti amo tanto, campione <3     22:58

E cerca di fare un buon lavoro, altrimenti vengo lì ad ammazzarti a mani nude. Vestita da selvaggia =P    22:59

Hey... Rispondi al cellulare, per favore? Non farmi andare in paranoia ogni volta!  00:15

Come sempre non rispondi mai. Va beh, stasera l'hai vinta, sarai parecchio impegnato. È che... Dannazione! Volevo essere lì con te!               01:58

Non festeggiare troppo! Non lo reggi bene lo spumante!  02:00

Quando torni in albergo mandami un messaggio. 02:00

Figuriamoci... Starai dormendo crocifisso sul materasso, come tuo solito... Io che ti aspetto pure, poi...     03:42

Buongiorno, Casper.... Appena ti svegli mi dai un cenno? Ho letto alcune testate online che parlano benissimo di ieri sera. Stiamo per diventare ricchi!       11:12


Ruby sorrise. Ovviamente non era il suo obiettivo, arricchirsi tramite la moda. Lui stava vivendo il suo sogno e lì nessuno lo giudicava.
Forse molti lo davano già per gay. Odiava quello stupido luogo comune.
Si voltò per un attimo, fissando Yvonne e la dolcezza che esprimeva cercando di tirare su le maniche del maglione, troppo lunghe.
Poi riabbassò lo sguardo sullo schermo e aprì la conversazione con Sapphire.


Bambola, buongiorno. Ieri abbiamo tirato tardi e mi sono appena svegliato. In giornata dovrò sentire White e vedere quanti ordini abbiamo per i modelli in catalogo. Sarà un lavoraccio. Mangio un morso e vado, ti amo.                 12:01


Abbassò il cellulare e si voltò ancora. La ragazza cercava le scarpe e sembrava avesse fretta.
Un dubbio poi s’insinuò nella sua testa, fastidioso.
“Ehi, Yvonne... Anche se non è successo niente sai bene che sono fidanzato… se Sapphire dovesse venire a sapere una cosa del genere potrebbe mettere a rischio la mia relazione… Lo sai, vero?”.
Je sais. Savez-vous où sont mes chassures?” domandò subito dopo la ragazza, senza dare troppo peso a ciò che aveva detto Ruby.
Il ragazzo fu leggermente infastidito da quell'atteggiamento e si avvicinò subito alla bionda, afferrandola per le spalle. La fissò negli occhi.
Yvonne sussultò. Erano davvero molto vicini.
“Non sto scherzando e voglio che tu prenda seriamente questa cosa. Tengo a Sapphire più di qualsiasi altra cosa al mondo e non voglio perderla”.
Ruby non s'accorse che lo sguardo della donna s'incupì.
“Hai capito?”.
L’altra abbassò il viso, cercando di evitare gli occhi rossi dell’altro, fissando invece le labbra. Le fissò e poi lo guardò negli occhi.
Stava per succedere.
Lui però mollò subito la stretta, allontanandosi.
“Allora?” chiese ancora, cercando conferma.
“Sì. Sì, Ruby. Entendu…”.
“Perfetto” fece l’altro, aprendo la porta del bagno e chiudendosi dentro. “Chiudi la porta, quando esci”.

Unima, Austropoli, Molo 12, Bar AVANTGUARDIA, 26 Aprile 20XX, qualche ora dopo

Assente.
Nonostante affondasse in una comoda poltroncina di pelle rossa, in uno dei locali migliori in riva al lungomare di Austropoli, la testa d’Yvonne era da un’altra parte, e si perdeva oltre le balaustre che aveva davanti, di plexiglas trasparente, che le permetteva di guardare l’oceano blu, quel giorno tranquillo.
Si perdeva oltre il Ponte Freccialuce, dove piccoli furgoncini, perlopiù bianchi, s’alternavano a grossi autoarticolati. Emettevano fumo nero dagli scarichi, e il cielo su di loro era più cupo.
Yvonne sapeva che era solo per via di una nuvola passeggera ma le piaceva pensare che il caso volesse punirli per via dell’inquinamento che buttavano nell’aria.
Si perdeva oltre l’orizzonte, in quel punto indefinito in cui l’oceano e il mare s’incontravano, diventando una cosa sola.
Quando era a Kalos lei volava; indossava la sua tuta alare e si abbandonava alle correnti, librandosi nel vento di quei paesaggi così deliziosamente naturali, dove le città lottavano con tutte loro stesse per non essere inglobate all'interno del verde, talvolta fallendo.
E lei si era cibata del sogno di raggiungere quel punto indefinito in cui il cielo e la terra s'innamoravano, ma ogni metro che lei faceva per avanzare verso di lui quello s'allontanava, diventando di fatto irraggiungibile.
Era in quel punto preciso che il suo sguardo si perdeva, quel giorno. Ripensò a poche ore prima, a quando quel ragazzo bello e gentile, che le aveva dato l'opportunità di uscire dalla melma in cui affondava fin nelle ginocchia, le aveva detto di non rovinare la sua relazione quasi ventennale con la donna che amava.
E la cosa l'aveva turbata e infastidita.
Le onde s'infrangevano contro le banchine del porto, poco più in là, quando si rese conto che c'era una motivazione ben precisa se la cosa la infastidiva.
A lei Ruby piaceva.
E piaceva anche molto.
E non soltanto per una questione fisica; del resto era un ragazzo bellissimo e pieno di qualità, manualità, buona volontà. Parlava persino il francese, oltre ad essere gentile ed educato. Quasi le venne da sorridere, ripensando alla differenza abissale che c'era con Sergei.
La cosa quasi la sconvolse: come aveva fatto ad accontentarsi di un simile scarto umano?
E se la cosa si fosse limitata alla gentilezza e alla delicatezza con cui lui la trattava si sarebbe anche adagiata. Ma lei vedeva i suoi occhi quando lavoravano assieme, quando lei si spogliava e lui quasi tremava mentre le bretelle del reggiseno scendevano, e la sua schiena si mostrava nuda.
E si era appena resa conto di avere avuto la stessa reazione, quando la camicia del ragazzo si era aperta.
Prese un sorso dal calice di cuvée che stringeva tra le mani, nonostante non ne avesse per niente voglia dopo la sbronza della notte prima, quindi sospirò e pensò; quella strana consapevolezza, dell'effettiva attrazione che i due provavano l'un per l'altro non si limitava a una sfera unicamente fisica.
Lei aveva voglia di passare il tempo con lui, di parlare con lui.
Voleva trovare il coraggio per baciarlo e costringerlo a cancellare la sua intera vita passata.
Ma Sapphire appariva d'improvviso in ogni suo piano di felicità, a ricordarle che no, non poteva prendersi Ruby con tutta tranquillità.
Ruby era suo.
E più questo pensiero s'insinuava nella sua testa più un fastidio nero e denso le stringeva lo stomaco in una morsa inesorabile.
“Yvonne... Scusa il ritardo...” sentì poi. Gli occhi bassi le permisero di vedere un paio di stivaletti neri, di pelle, e un paio di caviglie candide. Una di questa era avvolta da una cavigliera.
Stretti jeans fasciavano due belle gambe, che si accomodarono sulla sedia davanti a lei.
“White” fece Yvonne. “Ciao... Scusa se ho ordinato e non ti ho aspettata”.
Quella sorrise, sistemando il colletto della camicia nera che fuoriusciva dal maglioncino di filo bianco. “Oh, ma non preoccuparti. Anzi, hai fatto bene... Che bevi? Cameriere!” urlò, alzando la mano.
Quel giorno la stessa Yvonne aveva chiamato White e aveva spinto per prendere un appuntamento, senza dirle di aver bisogno di sfogarsi e di ottenere un consiglio su come comportarsi.
Il cameriere arrivò al tavolino e fu White a parlare.
“Per me un Vodka – tonic senza ghiaccio e per la mia amica un altro spumantino…”.
Yvonne la vide annuire al ragazzo e sospirare, prendendo tra le mani la grossa bag di pelle.
“Comment ça va?” le domandò Yvonne, con le gambe elegantemente accavallate.
La vide annuire lentamente, mentre cercava qualcosa nella borsa.
“Bene. Bene, bene... Oddio, ho appena finito di litigare con Black...”.
“Black è il tuo uomo?” osservò l'altra, mentre la brezza le soffiava sul viso.
La vide annuire. Spostò poi i lunghi capelli castani, sciolti, sulla spalla destra. “Si, è il mio uomo... ormai sono diversi mesi che non ci vediamo...”.
Yvonne inarcò le sopracciglia, sorpresa. “Come mai?”.
“Lui è un Allenatore. Viaggia per il mondo in cerca di Pokémon e avventure e io sono qui, a gestire un'azienda multimilionaria e, da poco, un atelier...”.
“Vi amate tanto, per non esservi ancora lasciati nonostante la distanza...”.
White abbassò lo sguardo. “Ci vuole pazienza, immagino... Ma non ce la faccio più. Certe volte ho bisogno di averlo davanti, di stringerlo tra le braccia...”.
Gli occhi della Presidentessa cominciarono a vagare, e quella sua concretezza nelle cose di tutti i giorni si trasformò in liquida paura dell'ignoto.
“Ho voglia di farci l'amore. Sono mesi che non tocco un uomo”.
Yvonne annuì, comprensiva.
“Mi spiace molto. Dovresti prenderti qualche giorno di pausa e raggiungerlo”.
“La baracca non va avanti senza di me... Piuttosto, tu? Percepisco qualcosa di strano in te…”.
“Ehm... Dovrei parlarti” disse, sistemandosi meglio sulla sedia e poggiando entrambe le suole per terra.
“Sì, lo so... Ormai stiamo decisamente cavalcando l'onda del successo, anche grazie a Ruby e ai suoi abiti e la tua presenza sulla passerella non ti ha lasciata al buio...” sorrise l'altra, che poi aprì la borsa e cominciò a rovistarci dentro, tirando fuori infine una serie di fogli piegati in più parti. “Motivo per cui capisco la tua necessità di rinegoziare i termini contrattuali che abbiamo stipulato qualche mese fa...”.
Yvonne spalancò gli occhi. “Beh... Veramente....”.
White aprì i fogli e li poggiò sul tavolino davanti a loro, mettendoli sotto a un grosso posacenere di cristallo, per evitare che il vento se li portasse via.
“Prendili, portali a casa. Dagli un'occhiata. Posso garantirti che è un'ottima offerta! Hai ricevuto qualche proposta dalla concorrenza?!”.
La bionda sorrise. “Ma no... ma no, ma cosa vai a pensare... fou... In realtà avrei bisogno di un consiglio...”.
White sospirò, quasi sollevata. “Oh. Meglio così allora. Guarda lo stesso ciò che ti offro...”.
“Certo”.
“Di che consiglio hai bisogno?”.
Yvonne si mise comoda, sprofondando con eleganza nella poltroncina, per poi incontrare lo sguardo candido della Presidentessa.
“Io... io credo di provare qualcosa per Ruby”.
White spalancò gli occhi.
“Sei impazzita?!”.
Il tono della voce della donna non lasciava spazio a fraintendimenti; probabilmente, fosse stata Shana lì davanti a lei le avrebbe detto di gettarsi a capofitto in quell'avventura.
Ma Shana ovviamente non era White.
“Ruby ha mezzo piede in un matrimonio con una donna che conosce da vent'anni, Yvonne!” continuò l'altra, buttando giù il drink tutto d'un fiato e stringendo occhi e denti, prima di lasciar scivolare il bicchiere di cristallo sul vetro del tavolino.
“Lo so, lo so”.
“Hai intenzione di rovinare la loro storia?!”.
“No! Non lo so...” sospirò l'altra, sbuffando e portando le mani davanti al volto. “Non so più che pensare!” esclamò. “Sono estremamente combattuta, perché capisco che Ruby abbia una vita e che io non debba robinarla ma...”
Rovinarla”.
“Cosa?”.
“Si dice rovinarla. Hai sbagliato”.
“Sì, scusa. Intendevo dire...”
“So cosa intendevi dire. Ma non mi piace” fece l'altra, accavallando le gambe e incrociando le braccia.
Yvonne sentiva i suoi occhi fissarla, giudici atti a condannarla.
“Non guardarmi così... So che non è giusto ma non vuol dire che... Uff!” si lamentò. “Non lo so!”.
White sbuffò, visibilmente contrariata.
“Ruby e Sapphire devono stare assieme. E tu non puoi rovinare la loro storia in questo modo. Inoltre lui deve rimanere concentrato sul lavoro e sulle sfilate... Non devi assolutamente deconcentrarlo in nessun modo!”.
Yvonne distolse lo sguardo. Riusciva a vedere la concentrazione di Ruby volatilizzarsi ogni volta che la vedeva in déshabillé. Lui era attratto da lei, e la ragazzo lo sapeva.
E la cosa era reciproca.
E non si limitava alla sola voglia di vederlo ancora senza camicia, o di dargli altri baci. No.
Yvonne voleva sentire il suo odore, e percepire le mani dell'uomo toccarla, carezzarle il corpo. E dopo baciarla ancora.
E poi avrebbe voluto dormirgli accanto, e aprire gli occhi accanto a lui.
Magari vederlo dormire per qualche minuto, e svegliarlo con un tenero schiocco di labbra.
E poi avrebbe provato per lui. Lo avrebbe aiutato coi vestiti.
E sulla passerella avrebbe sfilato solo per tornare indietro e vederlo sorridere.
Stringerlo in un abbraccio, e vedersi riconosciuta come la musa del suo successo.
Senza mai prendersene il merito.
Forse non era amore, no. Non era innamorata di Ruby.
Ma per quanto tempo avrebbe potuto mentire a se stessa?
“Yvonne, per favore... Sei la donna più bella del mondo, puoi avere chiunque tu voglia! Lascia perdere Ruby!”.
White urlava a squarciagola; una donna col caschetto, con la ricrescita che aggressiva attaccava i capelli castani, la guardava confusa, ma passava oltre, salendo sul marciapiede e perdendosi nella fiumana di sconosciuti.
“Non credo sia questo il problema. Sono venuta qui a Unima alcuni anni fa ma nessuno mi ha mai fatta sentire veramente protetta. Quando tu e Ruby mi avete fatta sfilare io non avrei mai pensato di ritrovarmi… così”.
Sorrise dolcemente, sporgendosi in avanti e bevendo. Poggiò il flûte sul tavolino, accanto al bicchiere vuoto di White, e infine sospirò.
“Così come?” chiese la Presidentessa, ancora immobile ma con un’altra espressione sul volto.
“Parte di qualcosa. Parte fondamentale di qualcosa. Ruby mi ha fatta sentire necessaria, per la prima volta da quando sono qui. E mi piace sfilare…”.
“Questo non c’entra col fatto che tu debba lasciar vivere a Ruby la propria vita, senza interferire”.
Quelle parole risuonarono glaciali, ed ebbero l’effetto di un colpo di martello dietro la nuca.
I loro occhi s’incrociarono per qualche profondissimo istante.
“E io non dovrei vivere la mia vita? Se quello che voglio è lui perché non posso prendermelo?”.
White rimase in silenzio per qualche secondo.
“La cosa migliore da fare non è sempre quella giusta. Valuta le conseguenze delle tue azioni” rimbeccò l’altra. “E firma il contratto”.
Poggiò una banconota da venti Pokédollari sul tavolino, si alzò e se ne andò, lasciandola piena di dubbi.

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