UNRAVEL ME.
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
ovvero risolvimi, nel senso di districami, sbrogliami.
UNA FRANTICSHIPPING (ma per finta) di Andy Black (ma lo sapevate).
“In questo momento sto vivendo l’incubo che molte notti m’avvolgeva, rendendomi schiava di questo amore che ormai è finito. Il tuo amore, ormai è finito.
Perché, credimi, avrei scalato le montagne a mani nude se soltanto tu mi avessi chiesto di raggiungerti”.
Unima, Austropoli, Hotel Continental, Stanza di Ruby, 29 aprile 20XX
“Sì, come ti dicevo la richiesta è alta, Ruby. Whiteley sta impazzendo, temo ci servirà qualche centralinista. Sono in atelier, ti sto aspettando”.
“Domani…”.
Il telefono, tenuto tra la spalla e l'orecchio, avvertì il ragazzo che si stesse scaricando. Il caricabatterie era però troppo lontano dalla scrivania.
“Sei in camera, Ruby?”.
Quello sbuffò, poggiando il lembo dell'abito azzurro, quello di Sapphire, accanto alla macchina da cucire.
“Sì, White.... Sono in camera” sospirò, decisamente provato.
“E devi uscire. Dobbiamo lavorare, ci sono gli ordini da gestire e ora come ora non sono certa che i nostri otto sarti riescano a produrli velocemente”.
Il ragazzo si alzò in piedi e portò la mano sul fianco.
“Uff... è proprio necessario?”.
“Che diavolo di domanda è questa?! Certo che è necessario! Ci sono i nostri ricavi in ballo!” sbraitava quella.
“È che non ho dormito molto, ultimamente... Sto ideando una linea e...”.
“Linea futura?” si calmò quella.
“Già”.
“Linea futura vuol dire soldi futuri. Invece bisogna incassare i soldi adesso! Quelli di ora!”.
“Io ho bisogno di tempo, White... Sono stanco e ho bisogno di tempo...”.
Dall'altro capo del telefono Ruby sentì un sospiro. Si voltò, allontanandosi dalla scrivania e avvicinandosi alla finestra.
Vi poggiò la testa contro, sospirando, mentre davanti a lui Austropoli viveva, illuminata dai lampioni della notte.
“Non sarà mica successo qualcosa con Sapphire? Dimmi che non c’entra Yvonne o…”.
“Che vai blaterando, White… no… Non ho litigato con Sapphire né con Yvonne…”.
“Ruby” tuonò la Presidentessa, zittendolo. “Era ovvio che non intendessi un litigio”.
Il ragazzo non capiva. “Che cosa dovrebbe succedere tra me e Sapphire, scusa? Lei è a Hoenn”.
“Non parlavo di Sapphire. E non parlavo di litigi”.
“Ah…”.
“Sì. Ah. Yvonne è una tua modella e non devo ricordarti che ci sono in ballo interessi economici molto importanti. Non è il caso di…”.
“White…”.
“È inutile che m’interrompi, io…”.
“White”.
“… le sfilate si fanno con modelle professionali e il suo comportamento potrebbe essere un…”.
“White!” urlò infine Ruby. “Io non ho alcun problema con Sapphire, la amo e con Yvonne non c’è nient’altro che amicizia”.
“… Sai che non è così”.
Ruby abbassò ancora lo sguardo, per poi voltarsi in direzione dell’abito, recuperando il progetto di matrimonio e di vita felice che aveva con la sua vulcanica fidanzata. Però valutò anche le parole di White.
Era davvero così? Yvonne avrebbe distrutto quel castello che si erano costruiti col tempo?
Allontanò quel pensiero; lui amava Sapphire più di ogni altra cosa.
Più di se stesso.
“White...”.
“Sia ben chiaro, a me non interessa della tua vita. Per me puoi anche andare fuori la Small Avenue a raccattare battone... L'importante è che non siano mie modelle. Perché le paghiamo...” fece, enfatizzando l'ultima frase. “Quindi fai quel che ti pare, ma io e te dobbiamo lavorare alla distribuzione e soprattutto Yvonne deve stare in passerella, e non nel tuo letto”.
Ruby fu attraversato da un fremito.
“Te l'ha detto…”.
“Oh porco Arceus! Detto cosa?! Lo sapevo!”.
“Oh... Non ti aveva detto nulla?” rabbrividì lo stilista. Abbassò lo sguardo verso la strada, dove la stessa Yvonne era appena scesa da un taxi.
“No! Mi aveva detto soltanto che... Niente! Non mi aveva detto che siete stati a letto assieme!”.
“No, aspetta un momento! Non abbiamo fatto nulla! La notte della sfilata eravamo parecchio ubriachi e ci siamo risvegliati nello stesso letto... ma non c'è stato niente! Figurati che avevo ancora l'abito addosso!”.
“Ruby, io... Per favore, non rovinare tutto! Fallo per Sapphire, che ti ama tanto!”.
Fu quello il momento in cui il ragazzo cominciò a irritarsi.
“Ma di cosa parli?! Riesco ancora a pensare col cervello! Yvonne non è nient'altro che una modella, e il mio rapporto con lei si limiterà soltanto all'ambito professionale, da oggi in poi, se la cosa ti fa paura”.
Ruby sentiva l'ansia premere nello stomaco. In cuor suo gli era dispiaciuto dire quelle parole.
“No, Ruby...” sospirò l'altra. “Non sono impaurita dal tuo rapporto con Yvonne... voi avete una bella sintonia è non è una cosa che si vede tutti i giorni... ma forse non è il caso che approfondiate la cosa, nel senso più fisico del termine”.
“Non farò sesso con lei. Voglio chiedere a Sapphire di sposarmi, sarebbe controproducente... Ora vorrei finire di lavorare sul mio progetto... Giuro che domani mattina sarò in ufficio a gestire gli ordini. Ci vediamo lì?”.
“... Devi venire adesso”.
Ruby sorrise sconfitto. “Non… uff…” sbuffò. “Dammi una ventina di minuti per dare gli ultimi punti all’abito e poi ti raggiungo”.
“Grande. Porta da mangiare”.
“Sei una grande rottura di palle, tesoro”.
“Ovvio. Bye, baby”.
Poco dopo rimase da solo, lui, nel silenzio della sua stanza. Guardò lo schermo del cellulare spegnersi lentamente. Poggiò il telefono sul davanzale della finestra e guardò dritto, perdendo lo sguardo oltre l’indefinito. Le parole di White ancora gli risuonavano nella testa; per lei era solo una questione economica, e qualsiasi sfaccettatura della vita delle sue modelle o dello stilista stesso potevano turbare le sfilate e quindi le vendite.
Quasi come se le modelle non fossero altro che manichini in grado di camminare.
Come se i vestiti fossero il modo per arricchirsi e basta; per Ruby quello era un sogno, non un modo per riempire il portafogli.
E nel suo sogno era compresa la dolce e bella Yvonne.
Tossì, il freddo stava lentamente cominciando a fare spazio al clima primaverile ma quando pensava che finalmente il caldo si fosse riappropriato delle giornate una tempesta di vento. Non sapeva mai come vestirsi.
Ripensò poi alle parole della Presidentessa e sospirò. Avrebbe davvero potuto evitare d'incontrare fuori dal lavoro la sua vicina di camera?
Pensò che avrebbe dovuto lasciare il Continental e trovarsi un appartamento non troppo lontano dall'atelier, limitando la sua frequentazione con la modella.
S'avvicinò al tavolo di lavoro e guardò l'abito di Sapphire: era praticamente finito; White gli aveva telefonato prima dell'ultimo punto.
L'ultimo punto prima che l'abito fosse pronto, e che la sua vita prendesse una nuova curva.
Avrebbe stretto la mano della sua donna, l'avrebbe resa sua moglie e avrebbe cominciato a programmare una vita assieme.
Tutto dopo quel punto.
Si sedette lentamente al tavolo, saggiando il tessuto azzurro e carezzando col piede il pedale della macchina da cucire.
Indugiando un po' troppo, forse.
Era davvero sicuro di volersi sposare?
Di legare la sua vita a quella di Sapphire, con tutti i compromessi che avrebbe dovuto affrontare?
Sarebbe tornato a Hoenn, con ogni probabilità; il lavoro di ricercatrice della donna non le consentiva di allontanarsi troppo spesso dalla regione, dato che il suo ufficio era la regione stessa. C'erano sempre pro e contro.
E lui aveva intrapreso quella nuova carriera, quell'avventura nel mondo della moda che tanto lo appagava, dandogli nuova linfa. Si sentiva completo, da quando viveva ad Austropoli, e dopo la sfilata qualcuno cominciava già a riconoscerlo.
Guardava l'ago, poi il vestito, e toccava ancora il pedale.
Una leggera pressione e poi la fede al dito.
Solo un punto e avrebbe potuto cominciare un'altra vita ancora, più calma.
Dove avrebbe dovuto necessariamente scegliere Sapphire a lui, Hoenn a Unima. Il vecchio contro il nuovo.
Certo, avrebbero potuto vivere una relazione a distanza fino a quando le cose non avrebbero trovato un livello di stabilità, ma il pensiero di finire come White e Black lo faceva rabbrividire.
Sentì per un attimo rumore di tacchi oltre la porta della sua stanza, attutito dalla moquette del corridoio. I passi rallentarono proprio davanti all'ingresso, per un piccolo secondo, prima di proseguire oltre.
Era Yvonne.
A testimoniarlo il bip della tessera magnetica che aveva sbloccato la serratura della sua stanza, pochi metri oltre.
Allontanò Yvonne dalla mente e torno a guardare davanti.
Un solo punto, e tutto quel lusso sarebbe diventato un ricordo; una vecchia pagina di un libro ingiallito nella sua memoria.
Valeva la pena vivere di quel rimpianto?
Gli sarebbe bastato premere sul pedale della macchina da cucito.
Un solo punto e avrebbe abbandonato la vista del golfo di Austropoli che gli baciava lo sguardo al mattino. Quella splendida città, piena di marcio e fiori, luci e ombre.
Un solo punto e Yvonne sarebbe diventata fumo bianco, il ricordo di un corpo meraviglioso, di un profumo dolce e di una voce calda.
Dell'unica donna che aveva toccato le sue labbra da quando Sapphire era entrata nella sua vita.
“Che vado a pensare...” sbuffò, arricchendosi di un coraggio che ricordava lontano e tendendo i lembi dell'abito azzurro.
Solo un punto.
Premette il pedale.
Solo un punto.
.
Nessun punto.
Voleva sposare la sua donna.
Si alzò e sospirò.
Tutto sommato le cose dovevano andare in quel modo; Ruby e Sapphire, Sapphire e Ruby.
Prese l'abito e lo stese sul suo corpo, sospirando nuovamente.
Forse aveva bisogno di una serata libera; niente Yvonne, niente White, niente vestiti. Solo un bicchiere di Baileys, il fuoco del camino e un buon libro.
Come ai vecchi tempi.
Magari avrebbe spazzolato il pelo di Nana. La cosa lo rilassava.
Spruzzò un po' di acqua alle rose sul vestito e lo infilò nella fodera trasparente di plastica.
Lo ripose nell'armadio e quindi sbuffò.
White lo stava aspettando.
Niente Baileys, niente camino, niente libro. Solo White e ancora vestiti.
Infilò il cappotto e aprì la porta, trovandosi davanti Yvonne, col pugno altro, pronta a bussare.
“Ciao” disse lui, vedendola abbassare il braccio.
“Buonasera, Ruby. Mi chiedevo se ti andasse di…”.
Il ragazzo abbassò lo sguardo e fece un passo in avanti, lasciando che Yvonne indietreggiasse. Si chiuse l’uscio alle spalle e infilò la tessera magnetica nella tasca interna del cappotto, interrompendo poi la bionda.
“Sto andando all’atelier, Yvonne. White mi sta aspettando per gestire gli ordini”.
“Sì. Anche io devo andare lì. Volevo chiederti se potessi farmi compagnia… Sai… è buio, e in una città grande come questa può accadere di tutto…”.
Gli occhi del ragazzo indugiarono sulla figura della modella, vestita in maniera molto sportiva, con un bomber nero, la cui zip era chiusa fin sotto alla scollatura. Gli stretti leggins le fasciavano le cosce, lasciandole scoperte le caviglie.
“Stai andando a… correre?”.
Yvonne quasi arrossì, nascosta dietro i capelli.
“Avevo intenzione di andare nella palestra dell’albergo ma mi sono accorta di aver dimenticato le cuffiette sulla tua scrivania…”.
“Ti presto le mie, se vuoi” le fece. “Così eviti di uscire”.
“No” ribatté presto lei. “Preferisco riprendere le mie…”.
Ruby fece spallucce. “Come vuoi. Ma poi dovrai tornare da sola, non so fino a che ora ci tratterremo io e White.
“Ma sì, ma sì… Prenderò un taxi…” disse, allungando l’accento dell’ultima parola. Ruby annuì e s’avviò verso l’ascensore, seguito un passo indietro dalla ragazza. Immaginava la faccia di White una volta entrato in ufficio accanto a Yvonne.
La vide premere il tasto che portava al pianterreno per poi voltarsi verso di lui.
Camminarono con passo svelto davanti alla reception. Sulla destra, una bambina di poco più di dieci anni teneva la mano del padre, che leggeva qualcosa da un dépliant informativo.
Incrociò lo sguardo con Yvonne, quella, fissandola poi finché non uscì dalla porta.
Ruby scese gli scalini molto velocemente, seguito agilmente dalla modella, che fece per muoversi davanti, dove un taxi giallo aspettava i clienti per una delle sue ultime corse serali.
Tuttavia Ruby virò verso ovest, camminando sul consumatissimo marciapiedi di Gorgon Street e proseguendo, fino a intersecare la terza strada.
“Vuoi andare a piedi?” domandò quella, raggiungendolo con un secondo di ritardo. Lo affiancò e gli strinse il braccio.
Ruby guardò le sue mani delicate, le dita smaltate.
Sentiva il suo profumo.
“No. Prendo qualcosa da mangiare per White. Tu hai cenato?”.
Lei catturò il suo sguardo.
“Volevo cenare dopo l'allenamento, a dire il vero”.
“Ti conviene”.
Camminavano praticamente a braccetto; sembravano una coppia in tutto e per tutto, con lui che scrutava la strada, a proteggerla dal mondo e lei che lo guardava innamorata.
Perché continuava a guardarlo in quel modo.
Forse avrebbe dovuto allontanarsi, lui. Farle capire che attorno al suo anulare, di lì a breve, ci sarebbe stata la promessa d'una vita costellata di piacere e sacrifici.
Forse sì.
Ma non voleva farlo.
Forse per il profumo dei suoi capelli.
O semplicemente perché, in fondo, gli piaceva avere quella donna accanto.
Sarebbero passati totalmente inosservati, quella sera di fine aprile, in cui il cielo notturno era colmo di stelle che non sarebbero mai riusciti a vedere, per via della luce dei lampioni, eretti nel duro asfalto ogni sei metri.
Yvonne fissava le poche auto che sfilavano, per lo più taxi dalle ruote consumate che stridevano sulle strade. S'era insediato tra di loro un silenzio che la ragazza reputava fastidioso.
Trovò un pretesto.
“Perché non ci fermiamo al carretto degli hot-dog all'angolo? Sono i migliori che abbia mai mangiato”.
Ruby rimase in silenzio, continuando a camminare dritto. Non la guardò neppure.
“Credi che White sia tipo da hot-dog?”.
Yvonne inarcò leggermente le spalle, sorridendo.
“Credo che White sia tipo da super alcool e basta, sincèrement...”.
“Infatti”. Il ragazzo emulò il sorriso, sentendola stringersi al suo braccio. “Un paio di hot-dog, un paio di birre...”.
I passi abbandonarono il buio che vi era tra un lampione e l'altro. Sulla sinistra, un mendicante vestito di stracci chiedeva qualche spicciolo.
“Non bevo birra da mesi...”.
Sorpassarono un Pokémon Market, aperto ininterrottamente dal settembre di sedici anni prima, quindi affondarono di nuovo in un cono d'ombra, dove un passante erroneamente sbatté con la spalla su Yvonne.
Un passante che barcollava.
Lì era tutto buio.
“Ehi!” sbraitò lei.
Erano fermi davanti l'ingresso di un vicolo. E quell'uomo era rimasto fermo a fissare Yvonne.
“Piccolo uccellino...” sorrise.
Ruby sentì Yvonne paralizzarsi, stringendo al suo braccio; mise meglio a fuoco, mentre un automobile illuminava coi fari opachi i loro volti.
Era Sergei, quello fermo davanti a loro. I capelli ricci erano più spettinati dell'ultima volta che lo aveva visto. Indossava un trench beige e sotto una camicia bianca, macchiata di vino rosso sull'addome. Le scarpe, di pelle nera, erano sporche di fango.
“Andiamo via” diceva il ragazzo, avanzando lentamente ma trovando la resistenza della bionda.
L'altro la stava tenendo per il braccio.
“No” disse.
La tirò a sé, strappandola alla presa dello stilista.
“Lasciami!” urlò Yvonne, guardando negli occhi l'uomo che aveva terrorizzato per mesi le sue notti.
“Cosa c'è?!” esclamò l'altro, col suo solito accento russo. “Non ti fa piacere rivedermi?!”.
Ruby fece per avventarsi su Yvonne ma le mani ruvide di Sergei la spinsero verso il buio denso del vicolo.
Urlò ancora, la donna, inciampando e cadendo davanti a un grosso cassonetto della spazzatura giallo, sporco di grasso e fuliggine.
Un Purrloin scappò via, spaventato, mentre Yvonne sentiva il cuore battere violentemente nel petto. Indietreggiava, facendo forza sui talloni e sui gomiti.
“Vattene via! Maledetto!”.
“Zitta! Troia!”.
Si avventò su di lei, quello, tirandole un grosso calcio sulla coscia destra. Quella urlò, prima che Ruby s'avventasse al collo dell'aggressore, stringendolo tra le braccia in una morsa strettissima.
“Sei ancora in giro, avanzo di galera?” gli chiese il Dexholder, accasciandosi lentamente dietro di lui. Sergei lo seguiva, stringendo con le mani i polsi del ragazzo.
Respirava con fatica, dimenandosi.
“Yvonne, vai via!” faceva il ragazzo, continuando a serrare la presa attorno alla testa di quello. “Scappa!”.
Lo sguardo di Ruby incontrava il suo, contrito, colmo di paura. Le labbra tremavano e le mani erano strette nei pugni.
“Chto sluchilos', malen'kaya ptitsa? Vy menya obmanyvayesh'?”.
Il sorriso dell'uomo era sinistro.
“Cosa dice?” domandava quello che lo teneva stretto, ben saldo sulle ginocchia.
Yvonne non rispondeva. Si limitava a tremare, come una foglia al vento.
Vedeva Sergei continuare a dimenarsi, allargando la mano destra e cercando di colpire il volto di Ruby, senza riuscirci.
“Non pensare minimamente di provarci...”.
“Lasciami, mosca!” esclamò quello, voltandosi lentamente e poggiando le ginocchia per terra. Ruby fu costretto a seguire i suoi movimenti.
La forza di quell'uomo lo fece impallidire: riuscì a sollevarlo, alzandosi in piedi, per poi stringerlo alle cosce. Lo sbatté poi tre volte contro il muro, liberandosi dalla presa della morsa contro il collo.
Il cuore d'Yvonne saltò un battito. “Ruby!” esclamò, alzandosi poi in piedi e afferrando vecchia una bottiglia di Budweiser.
Sergei la guardò, sorridendo.
“Tu beve?!”.
La donna urlò, lanciandogliela contro e colpendolo sulla testa. Si frantumò in decine di pezzi taglienti ed ebbe l'effetto di confondere l'uomo, che si allontanò da un Ruby malconcio.
“Lascialo stare!” urlò quella, furibonda. Il cuore le pareva esploderle dal petto.
“Io ti ammazzo!”.
S'avventò su di lei, Sergei, afferrandola per il braccio e sbattendola contro il grosso cassonetto alle sue spalle.
Quello portò le mani sul suo collo, affondando le dita nella pelle morbida. S'avvicinò a lei, sentendo il fiato che fuoriusciva dalle belle labbra schiuse, e lo fece così tanto da poterle leccare le labbra senz'alcuna difficoltà.
Ma la cosa che lo eccitava di più era il suo sguardo, e le lacrime che cadevano dalle rime dei suoi occhi. Si spostò di lato, alitandole sull'orecchio destro.
E quindi le sussurrò poche parole
“Voglio vedere tua vita lasciare tuoi occhi...”.
Yvonne aveva paura.
Sentiva le gambe tremare e una mano che le stringeva lo stomaco. Le mani poggiavano sul ferro lercio di pattume del cassonetto ma erano paralizzate.
Non riusciva a fare nulla, se non pregare. L'alito di Sergei puzzava d'alcool e sangue e i suoi occhi, con quei capillari disposti a raggiera attorno all'iride color nocciola, dalla pupilla dilatata, la fissavano come fosse una preda.
“V-vai... v-vai via...”.
Le parole che disse risultarono tremule.
“Ti ammazzo” faceva invece quell'altro, stringendo sempre di più il suo collo.
La sentiva diventare sempre più debole, sciogliersi come burro e colarle tra le dita.
“T-ti p... ti prego...”.
“Lasciala!”.
Ruby lo colpì al collo, con violenza immane. Sergei perse la stretta sul collo di Yvonne e inciampò sulla destra.
“Non toccarla!” aveva esclamato Ruby, tirandola a sé e ponendosi tra lei e il suo aggressore.
Una luce illuminò parzialmente il vicolo. Seguì un cigolio sinistro.
“DROGATI DI MERDA! HO CHIAMATO LA POLIZIA! FINITELA DI UCCIDERVI SOTTO CASA MIA O VI BECCATE UN COLPO IN FRONTE!”.
Quando la finestra al secondo piano si chiuse, la luce fuggì via.
Ruby sentì Yvonne avvinghiarsi a lui, da dietro.
“Devi allontanarti da qui. Lui vuole te...”.
“Non ti lascio qui!”.
La ragazza non ragionava.
Entrambi videro Sergei rialzarsi in piedi, sorridendo.
“Yvonne... torna a casa con me”.
“Sei solo un drogato di merda! Vattene!”.
“Sono...” singhiozzò poi. “... sono cambiato” rise. S'avventò poi contro Ruby, stringendo tra le mani il collo della bottiglia di Budweiser che Yvonne gli aveva tirato contro.
Ruby lo guardò sferrare il colpo e indietreggiò, ma trovò nella donna l’ostacolo che lo bloccava.
Fu inevitabile.
Il vetro era affilatissimo e squarciò il tessuto della camicia dello stilista, che poco dopo si colorò di sangue rubino.
Ruby fu assalito da un bruciore allucinante. Il cuore prese a battere vigorosamente nel petto, mentre gli occhi cercavano di scavalcare il buio e guardare le mani.
Le dita erano imbrattate di sangue incandescente, che aveva difficoltà a mettere a fuoco.
“Ruby!” urlò Yvonne, vedendo ridere Sergei sornione. S’abbassò su di lui e gli strinse la testa al petto.
Poi si voltò verso l’aggressore; lo guardava, con l’aria di chi aveva fatto qualcosa di male e ne andava fiero. Gonfiava il petto, stringendo il collo di bottiglia reo di aver ferito il ragazzo vicino al suo cuore.
“Sei uno stronzo!”.
Ignara del pericolo, o forse troppo stupida e coraggiosa, gli si gettò contro, ma fu afferrata per le spalle dall’altro e sbattuta nuovamente sul cassonetto.
Produsse un tonfo sordo, quando si ritrovò nuovamente a contatto col ferro putrido.
“Perché reagisci, uccellino?” le domandò lui. “Io amo te” sorrideva. “Tu ami me e dobbiamo vivere insieme, in stessa casa”.
“Lasciami!” urlò Yvonne.
Lo vide allargare il sorriso. Sergei aveva appena ferito l’uomo che amava e sorrideva.
Gli sputò sul viso.
E la cosa cancello quell’espressione divertita dal suo volto. Sembrava quasi indignato, per quella mancanza di rispetto. Pulì la saliva con la manica del trench e sospirò.
Il fuoco aveva assorbito totalmente il suo sguardo.
“Troia!” rispose poi a tono, colpendola al muso con un forte manrovescio. Yvonne urlò, terrorizzata, col sangue che scendeva copioso dalle narici e colava sulle labbra carnose.
“Io faccio passare te voglia di fare puttana su passerella, uccellino…” le ringhiò contro, prima di avvicinarle il vetro insanguinato e carnefice al collo. “Basta solo qualche taglio su tuo bel faccino e tu diventi no utile a nessuno. Buona solo su ginocchia” rise.
E lo percepiva, il vetro tagliente della bottiglia, che le carezzava la parte morbida del collo, imbrattato ormai di sangue.
Poi il suo sguardo s’illuminò: Ruby era in piedi, coi denti stretti e la mano sul fianco; si muoveva lentamente, camminando con passi felpati alle spalle di Sergei.
Il cuore pompava con forza sangue nei muscoli, il respiro caldo dell’uomo, alcolico e rivoltante, s’univa al suo e gli occhi si muovevano frenetici sulla figura dell’eroe, per poi tornare a intrecciarsi in quelli dello sgherro.
Ruby aspettava soltanto che Sergei abbassasse l’arma.
“Allora?” domandò quello. “Vuoi fare fine di cane che porti con te?”.
“N-no… Sergei… lasciami…” disse, più calma.
“Io lascia te?!” esclamò poi, sorridendo. “Io ammazza te e scopa con tuo corpo”.
“T-ti prego. Verrò con te. Farò tutto quello che vuoi, ma non farmi del male!”.
Gli occhi del russo si riempirono d’un caldo compiacimento.
Il sorriso dell’uomo tornò ad allargarsi.
“Così piace tu a me. Tu deve avere paura di me”.
Yvonne abbassò lo sguardo. “Io sono terrorizzata da te…”.
“Bene” fece quello. Fu quando la mano armata s’allontanò di qualche centimetro dal collo che Ruby afferrò Sergei per le spalle, tirandolo indietro.
Yvonne colpì velocemente il polso sinistro dell’uomo, lasciando cadere il collo di bottiglia, e subito dopo Ruby colpi dietro le gambe l’avversario, con una ginocchiata.
Il rumore delle sirene cominciava a sentirsi per tutta Gorgon Street. Stava arrivando la polizia.
Con le mani strette attorno al volto, il Dexholder sbatté più e più volte la testa del russo sul pavimento, finché non sentì venirne meno le forze.
“POLIZIA DI AUSTROPOLI! FERMATEVI! CON LE MANI IN ALTO!”.
Fu tutto ciò che riuscì a sentire, prima di accasciarsi sul duro e freddo asfalto.
“Invece oggi non mi rimane altro che il ricordo delle tue parole. Di quelle parole che mi dicevi, che mi hanno convinto per anni a starti accanto, a innamorarmi di te e di quel tuo sorriso dolce, mai esagerato.
Del tuo stile classico, della tua educazione. Della tua disponibilità ad aiutare sempre il prossimo e a sacrificarti.
Tu hai sempre visto la bellezza in ogni cosa, anche in persone come me che di queste cose non sanno nulla. E le mie parole sono volontariamente piene di rimpianto, ma anche di rabbia, verso me.
E poi verso te.”.
Commenti
Posta un commento