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herr - Cards - 18 - Somewhere Over The Rainbow (Epilogo)

herr

 


PREVIOUSLY ON CARDS È il giorno della festa, Natalie ed Hilda tramano per eliminare N ed il ragazzo, assieme a Looker, progetta di togliere di mezzo Zinzolin. N e Hilda scoprono le loro carte all'ultimo e riescono ad incastrare Natalie per i loro omicidi ed a screditare Zinzolin in diretta con tutte le personalità più influenti di Castelia City. Ma non è finita qua, perché infatti anche Zinzolin ha tramato di colpire Hilda e lei si ritrova a dover combattere tra la vita e la morte mentre, tra le braccia di N, sviene.
[avvertenza (aridaje!): a meno che non abbiate una memoria di ferro, vi conviene rileggere il primo capitolo. Non vi dico perché, lo capirete a fine capitolo. Ve lo prometto]

Le luci di un novo giorno erano pronte ad illuminare nuovamente la città di Castelia ed i suoi scintillanti grattacieli. Il porto, un conglomerato di costruzioni in cemento grigio  che si estendeva lungo tutta la costa orientale e meridionale della città, appariva bruciare dei colori dell’alba riflessi sull’acqua. La metropoli lentamente si stava accendendo, i rumori del traffico dal basso della strada solleticavano le sue membra sino al suo risveglio.
La luce calda del sole filtrava attraverso la volta a botte in vetro e ferro della stazione dei treni di Castelia, dando vita ad un interessante effetto simile a quello descritto dallo scienziato John Tyndall: coni di luce si gettavano a capofitto all’interno dell’ambiente, facendo brillare la polvere in sospensione nel raggio d’incidenza degli stessi.
File disordinate di bagagli si estendevano lungo tutto il pavimento, urla confuse risuonavano nell’etere e quando, sovente, lo stridio del treno sulle rotaie si faceva sentire ad alta voce la struttura piombava in un subitaneo silenzio.
« TROVATO MORTO EDWARD ZINZOLIN, L’ESPONENTE POLITICO DEL TEAM PLASMA! TROVATO MORTO EDWARD ZINZOLIN, L’ESPONENTE POLITICO DEL TEAM PLASMA! » gridava un giovane, sventolando una pagina di giornale davanti a sé. « IN COSTRUZIONE LA NUOVA PALESTRA A VIRBANK CITY! IN COSTRUZIONE LA NUOV—»
La sua voce faceva da sottofondo all’arrivo ed alla dipartita di un costante numero di persone.
« Supertreno Castelia City - Anville Town in partenza sul Binario 4, ripeto Supertreno Castelia City - Anville Town in partenza sul Binario 4! » gracchiò una voce dall’alto.
Una giovane sedeva calma e pacifica sino ad un momento prima sul ciglio di una panchina in ferro battuto. Le sue dita correvano sulla stoffa della sua gonna a fiori con movimenti febbrili, le sue ginocchia ondeggiavano sino ad incontrarsi ed allontanarsi palesando il suo nervosismo interiore.
« Uh? »
Il suo sguardo corse lungo il suo braccio, dove aveva scritto qualche ora prima la sua destinazione: sulla sua pelle recava a caratteri cubatili le parole “ANVILLE”.
« È il mio! È il mio! » esclamò, alzatasi repentina « aspettate! Aspettate! »
Allungò il braccio sino ad afferrare l’estremità superiore del suo trolley color verde smeraldo e si gettò nella corsa che la separava dal binario numero quattro. I suoi occhi si spinsero più avanti ed osservò con orrore che le porte del suo treno erano chiuse.
Le sue gambe subirono un’impennata e prima che potesse rendersene conto aveva messo piede fuori dalla stazione, sulla striscia di cemento che delimitava l’arrivo dei treni: il vagone numero 7 la guardava con occhi tristi e languidi.
« Aspettate! Devo entrare! Fermate questo coso! »
Spinse la sua mano sull’oblò di vetro che costituiva la porta ma con suo disappunto non era capace di muoverla.
« Il Supertreno Castelia City - Anville Town sta partendo, ripetiamo—»
« FATEMI ENTRARE! FATEMI ENTRARE! FAT—
La porta si aprì, rivelando un uomo dall’altra parte del treno.
« Deve salire? »
« Oh, sì, grazie! »
« Allora le conviene fare in fretta » scherzò l’uomo, aiutandola a sistemare la sua valigia a bordo.
« Non saprei come ringraziarla… »
Un caldo sorriso illuminò il suo volto. « Non ce n’è bisogno. Che ne dice di prendere un posto e calmarsi? Sembra agitata »
« Lo son— grazie, sì, sarà meglio sedersi… »
« Forza, mi segua »
Si girò ed entrò in un vagone, seguendolo lei a ruota.
Indossava una giacca blu scuro e dei pantaloni del medesimo colore, sul quale spiccava una camicia color lilla ed una cravatta azzurra.
Quando alzò lo sguardo notò che i suoi capelli erano di un atipico color the verde.
Che uomo strano.
« Ecco qua, si accomodi! »
Il braccio del ragazzo disegnò una traiettoria che conduceva sino ad una coppia di poltrone che guardavano sé stesse, al centro delle quali occupava lo spazio rimanente un tavolino in legno di dimensioni esigue.
« Oh, grazie »
« Non mi ringrazi, lo faccio con piacere » concluse. Issò sulla sua spalla destra la valigia e la pose nel portabagagli.
« È una valigia pesante, si sta trasferendo? »
« Più o meno » sorrise la giovane. « Lei? »
« Mi sto recando all’aeroporto di Anville »
« Oh, una vacanza? »
« Una specie » scherzò. « Oh, ma non mi sono ancora presentato! »
Allungò la sua mano destra nei confronti della giovane. « Louis Bloomfield, è un piacere conoscerla »
Lei sorrise. « Erika Joy, piacere! »

Chapter XVIII
Somewhere Over the Rainbow

“Every story ever told really happened.
Stories are where memories go when they’re forgotten.”

                                                              
 Doctor Who, Hell Bent

I passi di Looker si susseguivano esitanti sul pavimento dell’edificio. Si guardava attorno ma subito dopo era pronto a ritrarre lo sguardo: non che vi fosse qualcosa da vedere, stava percorrendo un corridoio ricoperto da mattonelle blu divise da un reticolato di strisce bianche. Davanti a lui un uomo lo precedeva, indossava un candido camice color panna.
« Cosa succederà del corpo? »
« Non sta a noi deciderlo. Dopo aver contattato la famiglia decideremo cosa fare »
« Posso fare qualcosa? »
« È della famiglia? »
« No… »
« Allora non può fare nulla »
L’uomo estrasse una chiave ed aprì la porta di una grande stanza, costellata da barelle sulle quali, celate da un manto biancastro, si nascondevano dei volumi rettangolari.
Looker osservò il macabro scenario, arricciando il naso dal disgusto.
« È un effetto che fa a molti » scherzò l’uomo « prima o poi se ne abituerà. Eccola, ad ogni modo »
Afferrò il lembo di un lenzuolo e scoprì una parte di volume nascosto, rivelando alla luce delle lampade un viso femminile dalla pelle coriacea.
« È lei? »
Looker annuì.
« Ottimo »
« Ho… ho finito? »
« È un poliziotto, me lo dica lei! »
« Non sono molto… pratico »
« Ha finito, sì. Può andare »
Looker osservò nuovamente il corpo della sua amica.
« Deve dirmi qualcosa? »
« No… volevo—»
« Mi dispiace, ma deve andarsene. Quella è la porta »

« Svegliati, Hilda »
L’uomo schiaffò il suo palmo contro la guancia della donna. « Svegliati, Hilda »
« … »
Le palpebre di Hilda lentamente si schiusero, venendo colpite dalla luce che filtrava attraverso una finestra posta davanti a lei.
« Dove… dove sono? Sono morta? »
Guardò attorno a sé, si sentiva stranamente riposata e provava una sensazione di calore lungo tutto il suo corpo. Un uomo le dava la schiena, maneggiando qualche strumento nascosto alla vista dallo stesso.
« Troverai i tuoi vestiti in parte a te, Hilda »
« Chi sei? »
Una risata si sollevò nell’aria. « Troverai i tuoi vestiti in parte a te, Hilda »
L’uomo continuò avanti a sé, svanendo dietro una porta che udì chiudere a chiave poco dopo.
« Aspetta! Aspetta— »
Lanciò uno sguardo alla sua destra ed alla sua sinistra: un paio di jeans ed una maglietta bianca erano stati ordinatamente piegati e poggiati su uno sgabello poco lontano dal materasso dove giaceva.
Alzò la sua schiena e si scoprì, lasciando cadere il lenzuolo che la copriva. Era nuda.
Afferrò la maglietta e la indossò con disinvoltura, dopodiché proseguì con le mutande ed i pantaloni sino a vestire un paio di ballerine color verde smeraldo a piedi nudi. Vagò per la stanza e, tentando di aprire la porta dalla quale era uscito l’uomo, la trovò chiusa.
Tentò più volte di abbassare la maniglia ma il meccanismo non rispondeva.
Si voltò e vide una seconda uscita, più piccola, sulla quale scintillava un’insegna recante le lettere PARADISO.
Rise.
« Seriamente? »
Attraversò la camera e tentò di aprirla, scoprendo davanti a sé un lungo corridoio vivacizzato da una ridondante melodia da ascensore. Le pareti erano bianche e spoglie, una fila di lampade minimali ad illuminare l’ambiente.
Come proseguiva, un odore di rose diffondeva nelle sue narici ed una fredda brezza spirava verso di lei. Conturbanti pensieri circa la natura di quel luogo e la sua meta confusero la sua mente: dove si trovava? Cos’era successo a Zinzolin? Era morta? Ricordava di… esser morta? L’ultima cosa che riusciva a vedere era l’immagine di N in lacrime, dopodiché il buio.
Prima che potesse rendersi conto giunse alla fine, sulla soglia di una porta che conduceva ad una scalinata dante sull’esterno.
Ad accoglierla all’esterno fu un paesaggio angelico.
Sulla terra si estendeva uno strato di candida materia, ricoprente anche i cespugli e le chiome degli alberi che occupavano quel giardino. Delle rose si facevano strada timide tra le foglie, sbocciando rade come gemme incastonate nella boscaglia. L’aria era fredda, pungente, solleticava la sua pelle e s’insinuava nei suoi vestiti provocandole brividi di gelo.
« Neve? » mormorò, chinandosi sino ad immergere le sue mani nello strano materiale.
Stese le sue braccia ed affondò dentro la soffice ed algida nuvola.
Portò lo sguardo in avanti e vide una foto che poggiava sul manto bianco.
« Uh? »
Avanzò e la raccolse; raffigurava lei stessa ed N durante uno dei loro primi incontri. Era stata scattata al porto, oltre le loro figure poteva vedere il mare e le
Si guardò attorno diffidente ma non vide nessun altro oltre a lei sul posto, assenza che la spinse a proseguire.
L’ambiente era immutabile alla sua vista: più s’addentrava nel giardino innevato e più la sensazione di trovarsi in un luogo etereo e separato dal resto del mondo prendeva vita in lei.
Il sentiero si snodava attraverso un ampio campo fiorito, di cui fiori anch’essi bianchi, sino a scendere lungo la riva di un fiume in un bosco che, dopo una breve attraversata, giungeva in una landa assolata e spoglia dalla neve.
D’improvviso lo scenario cambiò completamente.
Una distesa di lavanda si estendeva davanti a lei, danzando sospinta dal vento, mentre ai lati spaziava ciò che sembravano delle montagne basse e dalla punta arrotondata. Una sensazione di caldo la pervadeva, baciata dalla luce del sole che le arrivava dritto in fronte.
Percorse in discesa la collina e giunse al campo fiorito, dove notò una struttura circolare al centro del fazzoletto di terra. Un colonnato circondava il perimetro ed era chiuso da una cupola semisferica.
In lontananza, credette di vedere qualcuno.
« C’è qualcuno? » gridò, come i suoi passi si facevano più vicini al tempio monoptero.
« Ehi! »
S’immerse nelle alte coltivazioni di lavanda e continuò, affannando immersa dal lussureggiare della coltivazione. La pianta accarezzava la sua pelle e trasmetteva un gradevole odore che raggiungeva le sue narici.
« Ehi! Cos’è questo posto? »
A pochi passi da lei, di schiena rispetto alla giovane, stava un uomo in abito bianco.
« N? »

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« Lavoro, ha detto? »
Louis asserì.
« Anche a me piacerebbe viaggiare, sa » commentò Erika. Il suo sguardo corse fuori dal finestrino, ad osservare le distese di deserto che si presentavano davanti a lei. « Vedere nuovi posti, conoscere nuove culture… mi ha sempre affascinato molto »
« Allora amerebbe Sinnoh! Dicono sia la culla della civiltà moderna »
« Oh, davvero? Non ci sono mai stata… » mormorò « non credo di esser mai stata fuori da Unova »
« Non… crede? »
Erika rise. « Vada avanti, non badi a me! Piuttosto, in che campo lavora? »
« Mi occupo di management in una compagnia di telecomunicazioni, non so se ne ha mai sentito parlare »
« Mi dica pure! Può darsi che la conosca »
« Si chiama EKI »
« EKI! Non… non penso di averla mai sentita »
Louis non trattenne una risata. « Ci stiamo espandendo, contiamo di arrivare sino a Sinnoh e, chissà, Hoenn? Ad ogni modo, si segni questo nome »
« Lo farò! » sorrise lei. « EKI… »
Louis osservò con curiosità l’abbigliamento di Erika, mentre lei era intenta ad osservare il paesaggio attorno a sé. Dentro di lei sapeva di esser osservata, era una cosa cui era abituata: le piaceva sapere che qualcuno la stesse guardando senza che essi lo sapessero. La faceva sentire protetta, un passo avanti agli altri, sicura a suo modo. E la divertiva.
« Lei cosa fa? »
« Io? ». Erika abbozzò un sorriso « Al momento sono disoccupata… contavo di trasferirmi ad Anville e trovare lavoro »
« Quindi non fa nulla al momento? »
« Nulla » commentò amareggiata « niente… di niente »
« Be’, ci sarà qualcosa che fa! Anche solo per passare il tempo, no? »
« Ci sarebbe… »
Gli occhi di Louis si illuminarono. « Davvero? »
« Non è nulla di che, glielo giuro »
« Mi dica! » alzò le braccia in segno di arresa « non mordo! »
Erika rise. « Ok, ok! ».
Si alzò ed andò ad estrarre dal suo bagaglio un fascicolo rilegato, sul quale erano stampate cinque lettere. CARDS.
« È un manoscritto? »
« Esatto! » rise lei « mi diletto a scrivere, nel tempo libero »
« Mi sembra più che un hobby! È quasi un libro! »
Si rigirò il manoscritto fra le mani, il suo sguardo palesava una forte curiosità nei confronti del contenuto del romanzo. Sfogliò la prima pagina e lesse il titolo.
« Cards… è un giallo? »
« Quasi »
« Di cosa parla? »
« Vuole veramente saperlo? » scherzò Erika « la avviso, non è qualcosa nella quale si vuole impelagare! »
« Sì! Sì! Ora mi ha messo curiosità! »
« In breve, c’è questa Anita che lavora come giornalista a Castelia City quando un giorno entra in contatto con questa associazione criminale che la ricatta per—»
« Ehi! Non me la vorrai raccontare tutta? »
« Co— come? Hai intenzione di leggerlo? »
« Certo! Quando diventerai famosa potrò dire di esser stato il primo ad aver letto il tuo best-seller! »
Entrambi risero.
« Come farai a leggerlo tutto? »
« Scherzi? Staremo ore su questo treno! »
« Accomodati, allora » sorrise Erika « ma non farti troppe aspettative »
Louis ammiccò. « Troppo tardi, puoi solo sperare di reggere al confronto »
« Spero di esserne in grado » scherzò. « Ora, mentre leggi, credo che andrò… » coprì uno sbadiglio dalle sue labbra « a dormire… »
 
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« Hilda » commentò atono N.
Si voltò, rivelandosi alla vista della giovane. Accanto a lui fluttuava un bizzarro Pokémon composto da una testa massiccia e due arti longilinei che scendevano assieme ad una prosecuzione verticale del suo corpo. Un nastro rosso era legato al suo busto ed emetteva una biancastra nebbia.
« Potremmo saltare il gioco dei nomi? Mi ha stufato »
N rise.
« Cosa c’è? »
« Oh, no, nulla » mormorò innocente « non badare a me. Hai bisogno di qualcosa? »
« Sì. Prima di tutto, voglio sapere dove cazzo mi trovo. E seconda cosa, cosa è successo. Tutto. Zinzolin, la festa… »
« Cosa ti ricordi? »
Hilda si lasciò scappar una risata isterica.
« Rispondimi, N. Ho finito coi giochetti »
Il giovane percorse la scalinata che separava il monoptero dal terreno e le si avvicinò.
« Molto bene. Cosa vuoi sapere, dunque? »
« Cosa mi è successo alla festa » ribatté « dopo che sono… »
N le sorrise. « … morta? »
Hilda accennò ad un sì col capo.
« Credi di essere morta, Hilda? »
« Non so più cosa io sia »
« Hilda, sei viva! » esclamò, afferrandole il braccio ed imprimendo una forte pressione sulla sua carne « lo senti? »
« E allora cosa significa tutto ciò? Dove mi trovo? Cosa c’entrano i campi di lavanda e—»
« Nel cuore di Castelia City. I miraggi del mio Froslass fanno miracoli »
« È un… miraggio? »
La sua espressione tradiva un forte stupore. Guardò attorno a sé nella speranza di riconoscere in lontananza lo skyline di Castelia ma nulla che le facesse presagire di trovarsi nella sua metropoli saltava all’occhio. Distese infinite di lavanda si estendevano lungo l’orizzonte, dove trovavano uno scoglio nelle alte montagne che delimitavano la vista.
« Bello, vero? »
Fece una piroetta su sé stesso. « Non è fantastico? Potremmo vivere per sempre dentro un miraggio, vivere una vita splendida e perfetta »
« Saresti capace di rovinare tutto anche là » mormorò Hilda.
Il viso di N rabbuiò. « Già. Ma stiamo parlando di persone che possiamo ancora salvare »
Hilda evitò lo sguardo del ragazzo e puntò i suoi occhi sul terreno ai suoi piedi. Aveva bisogno di riordinare le idee e l’attenzione che lui le riservava la metteva in soggezione, l’idea che fosse capace di leggere ciò che pensava attraverso un banale incrocio di occhi bastava per convincerla a tenere quanto più di suo segreto.
« Allora » la giovane esitò « cos’è successo dopo la festa? »
« Niente di particolare. Dato che non c’erano prove a suo carico Zinzolin è stato rilasciato, Looker se nva e Natalie… be’, non ne sentiremo più parlare »
« Quanto… quanto sono stata… ahem… a dormire? »
« Una settima, all’incirca. Il tempo di rimuovere completamente il veleno in circolo dal tuo copro e di curare ciò che era stato danneggiato. La medicina fa miracoli »
« Stavo veramente morendo? »
N esitò. « Sì »
« Suppongo di esser stata molto fortunata, allora »
« Hai avuto ottimi medici »
Sbuffò.
Non le sembrava reale.
« È finita, non è vero? Siamo liberi »
« Sì, Hilda, è finita »
Un sorriso attraversò il suo viso. Si trattene dal ridere. « Non riesco a crederci… è tornato tutto com’era prima, alla normalità. Non avrei mai pensato di poterlo dire »
« Anche le cose migliori devono giungere ad una fine »
« Ah sì? » rise Hilda. « Dunque…. cosa vuoi fare? Ora, intendo, che facciamo? »
« Questa sera, al Porto Principale, salperò. Ho bisogno di prendermi una lunga vacanza, molto lunga. Ma non preoccuparti, ho disposto anche qualcosa per te nella mia assenza »
La giovane lo guardò confusa.
« Alle nove recati alla pista di atterraggio Montgomery, poco fuori città. Un aereo ti porterà sino a Lentimas Town e, da lì, potrai andare dove vuoi, sotto falso nome. Hoenn, Sinnoh, Alola, Kanto, dovunque, potrai ricominciare da capo »
Rise amareggiata. « Dovunque tranne dove vorrei veramente essere »
« Dov’è che vorresti essere? »
« Con te »
Due semplici parole che lo sforacchiarono come un proiettile.
N abbassò lo sguardo. « Non credo sarà possibile. Oltretutto, è molto più sicuro così »
« Perché fai finta di non vederlo, N? »
« Come scusa? »
« Ti amo, N. Perché fai finta di non vedere che ti amo? Ogni tanto credo che tu tenga a me e dopo ti mostri letteralmente indifferente! Com’è possibile? »
« È meglio che ora tu vada, Hilda. Devi preparare i bagagli »
« No, non partirò né per Hoenn né per Sinnoh né per qualsiasi altra stupida regione tu mi offra. Voglio stare con te »
« Te l’ho detto, non è possibile »
Sorrise. Quanto di meno si sarebbe aspettata di fare ma rise, per evitare di piangere o di prenderlo a pugni.
« Dimmi che non mi ami »
« Cosa? »
« Guardami negli occhi, Natural Harmonia-Gropius, e dimmi che non mi ami. Allora me ne andrò »
Il silenziò calò nella vallata.
N fissò gli occhi castani di Hilda.
« Io… » mormorò. « Io… »
« Cosa, N? Quale fra le tue infinite bugie mi dir—»
« Non ti amo. Io non ti amo, Hilda, non ti ho mai amato »
Qualche mese prima, quando era alle prese con il suo lavoro, una frase del genere non l’avrebbe minimamente toccata. La sua vita ruotava attorno una ripetitiva routine che, a modo suo, non le dispiaceva. Non aveva certezze e non le interessavano, si limitava a fluttuare tra gli eventi e sperare di non esser risucchiata in situazioni irreversibili ma in quel momento, in quell’esatto secondo, la sua vita era cambiata. Aveva bisogno di certezze, di gettare un ancora in fondo al mare e di potersi aggrappare ad essa per resistere alle tempeste più atroci.
Ed in quel momento, una tempesta aveva reciso la catena che credeva indistruttibile e l’aveva costretta in balia delle sferzate di vento.
« No, non è vero » gridò « NON È VERO! »
« Hilda… »
« Tu mi ami… » singhiozzò, le lacrime che scorrevano lungo il suo volto « tu… io so che mi ami, la ruota panoramica, il ballo… »
« Hilda, calmati. Non c’è bisogn—»
« BUGIARDO! Io… io… »
N allungò le sue braccia verso Hilda e tentò di stringerla a sé.
« Vieni qua, Hilda… »
« STAMMI LONTANO! »
Un urlo isterico provenne dalla sue labbra. « Non toccarmi… non toccarmi, N, o ti giuro che—»
« Che cosa, eh? Cosa mi farai? Mi farai perdere il lavoro come a Bianca o forse mi manderai in prigione per dei reati che non ho commesso come a Natalie? O Julie? O Looker? O Zinzolin? Non sei nella posizione di lamentarti! Tu sei l’unica cazzo di persona che ne è uscita indenne da tutto ciò e stai ancora ad elemosinare un ti amo? A me? Non so se è più patetica la Hilda che pensa di diventare una grande giornalista o la Hilda che crede che l’amore sia la soluzione ai problemi del mondo »
Hilda si raggelò.
La calma che aveva fatto da padrone ad N per così tanto tempo, la compostezza che aveva plasmato i movimenti e le azioni del giovane era svanita, come nebbia soffiata via dal vento. Ciò che rimaneva era cristallino ai suoi occhi, per quanto alieno.
« Quello che voglio dire » continuò, rilassando la voce « è che è finita, Hilda. Non c’è motivo di rimanere ancorati al passato, ad un passato che non ci appartiene, non ha nemmeno senso farlo. Siamo liberi di ricominciare, perché non cogliere al volo quest’opportunità? Tu, sei libera, prima di tutto »
Hilda strofinò il lembo della sua maglietta sulla sua guancia.
« Come… come farò a tornare a casa? Anche solo a prendere le mie robe? »
« Non preoccupartene. Avendo la proprietà dell’edificio l’ho fatto chiudere ed ho detto agli inquirenti che non abitavi più là. Nessuno ci ha messo piede »
Hilda singhiozzò. « Se le cose… se le cose stanno così…  Addio, N »
« Molto bene. Froslass, sciogli il miraggio »
Froslass scomparve in una nuvola di luce e poco dopo il paesaggio che li circondava svanì, lasciando spazio ad un triste giardino nel cuore della trafficata ed inquinata Castelia.
Era svanita la magia dei campi di lavanda.
Hilda si voltò e vide un cancello separarla dalla strada e dalla civiltà. Dalla libertà.
Avanzò verso l’uscita, mentre N la seguiva con lo sguardo.
« Oh, e Hilda » esordì « hai risolto le carte? »
Rise. « Non ne hai mai abbastanza, eh? Se volevi prendermi in giro, ti è riuscito bene »
« Come? »
« C, E, J, X. Ed una casella vuota, ovviamente. Gran bel segreto che mi volevi confidare »
N la guardò confuso.
« È meglio così. Addio, Hilda »

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Un gran numero di ore dopo, nel tardo pomeriggio, Erika e Louis continuarono la loro traversata della regione in direzione di Anville Town. La ragazza era sprofondata in un lungo sonno mentre il giovane aveva continuato imperterrito la lettura del romanzo che, quando il treno superò Mistralton, raggiunse una fine.
« Signorina Joy? Signorina Joy? »
Erika sbatté le palpebre, sollecitata dalle scosse che Louis le imprimeva.
« Uhm? » mormorò, rannicchiata sul suo sedile.
« L’ho finito! Ho finito il suo libro! »
« Cos— davvero? »
« Sì! Gliel’avevo promesso, no? »
« Oh, be’, sì… » si mise a sedere composta « mi dica, le è piaciuto? È la prima persona che lo legge fino alla fine! »
« La vedo dura in realtà »
« Come? »
« Non c’è una fine! » aprì il libro sull’ultima pagina e lo rovesciò sul tavolo « Manca l’ultimo capitolo, si è dimenticata di metterlo? »
« Oh, quello? » Erika rise « questo è perché non esiste l’ultimo capitolo! »
« Cosa? »
« È una storia troppo lunga, non mi crederebbe »
« Ci provi »
La giovane non trattenne una risata. « Come dire… da un po’ di tempo a questa parte ho come la sensazione di star vivendo a metà o, comunque, come se mi mancasse una parte del mio essere. Così ho provato a buttare giù tutto ciò che mi passava per la mente sperando di capirci qualcosa »
« Be', sa cosa dicono riguardo alle storie. È ciò che divengono i ricordi quando sono dimenticati... ma perché non scrive un finale? »
« Per varie ragioni. In corso dell’opera mi sono affezionata molto alla storia e scrivere una fine significherebbe chiudere un capitolo — scusi il gioco di parole — della mia vita che non ho voglia di chiudere ora. Inoltre, nemmeno lo scrittore più bravo del mondo riuscirebbe a concludere decentemente quella storia! »
« Anche le cose migliori devono giungere ad una fine, suppongo »
Un flash attraversò la mente di Erika.
« Come scusi? Cos’ha detto? »
« Anche le cose migliori devono giungere ad una fine… c’è qualcosa che non va? »
Erika esitò. « No, no, nulla. Mi è sembrato per un attimo di averla già sentita dire quella frase, ma non ci faccia caso »

ϡ

La sera era calata su Castelia, silenziosa e gelida.
Hilda aveva passato la giornata a sistemare casa, raccogliendo tutto ciò che considerasse utile in un piccolo trolley che avrebbe dovuto portarsi appresso durante il viaggio. Nel corso della sua attività di ricerca si era trovata più e più volte di fronte a scelte di fondamentale importanza, quali maglietta rossa o maglietta blu? e ciò aveva contribuito all’aumento dei suoi bagagli che, da uno, divennero 3. Due trolley ed uno zaino, colmo sino all’orlo: d’altronde, si trattava di lasciare per sempre casa sua e la sua vita a Castelia. Non solo, anche Hilda Baskerville sarebbe stato un lontano ricordo, inciso solo e solamente nella sua memoria.
Erano le otto quando si alzò e decise che era l’ora di partire.
Raggruppò le valigie all’uscita del suo pianerottolo e, vestitasi, s’incamminò fuori.
Come mosse i primi passi all’esterno della sua casa, un brivido attraversò la sua spina dorsale. Faceva freddo. Per qualche scherzo del destino la sua mente, già proiettata in qualche paradisiaca località di mare, aveva pensato che il clima di Castelia si fosse allineato a quello di Pacifidlog Town.
Tornò dentro e cercò di ricordarsi se avesse avuto ancora qualche indumento che la riparasse dal freddo quando le venne in mente la sua giacchetta di pelle che indossava a Nimbasa City. Si lanciò spedita nella sua camera da letto e cercò per il capo di vestiario che aveva visualizzato in mente.
Metterlo su le diede una completamente nuova sensazione di calore.
« Uh? »
La sua mano destra era affondata nella tasca ed aveva incontrato qualcosa al tatto.
Estrasse l’oggetto misterioso, che scoprì essere una carta: un tre di picche, per la precisione.
Spinta dalla curiosità la voltò e notò una scritta impressa sul retro.
Il simbolo dell’infinito era disegnatovi a penna ed attorno ad esso erano stati tratteggiati dei piccolo cuori.
Un sorriso amaro comparve sul su viso. Kitsch come solo N sapeva essere.
« E se… »
Tornò sui suoi passi, nel salotto, e si mise alla disperata ricerca delle cinque carte lasciatele da N. Apriva cassetti e spalancava porte ma, non appena le sembrava di essersi ricordata della loro locazione, essa si tramutava in un buco nell’acqua. Gli errori cominciarono ad accumularsi e la speranza nel decifrare il codice del ragazzo si fece vana.
Si accasciò sul tavolo e schiaffò la carta sul tavolo.
Forse non era destino, forse non era destinata a capire cosa N le volesse veramente dire.
I suoi occhi vagarono per la stanza e, ad un certo punto, incrociarono un cestino che faceva angolo, nascosto da una massiccia credenza al lato.
Si vide prendere e gettare le carte al suo interno.
Saltò dalla sedia ed afferrò l’oggetto dalla forma conica e lo rovesciò sulla tavola, scuotendolo con forza.
Cartine e fazzoletti cadevano, scivolando ai suoi piedi, sino a che non svolazzarono leggiadre quattro carte sulla superficie lignea. I suoi occhi brillarono.
Spazzò via ogni rifiuto che non era giunto sino al pavimento e mise in fila le cinque carte: un asso di quadri, tre di picche, un due di fiori, un otto di cuori, un sette di picche ed un nove del medesimo segno.
« Qual è la chiave? » mormorò osservandole « quale potrebbe mai essere, eh? »
La sua mente si perse fra i pensieri, analizzando ogni più piccolo dettaglio di conversazione con N che poteva condurla alla soluzione del mistero. Il loro primo incontro? No, constatò, non poteva certo essere sicuro che lei decidesse di accettare. Il loro secondo incontro, al porto? Nemmeno quello, pensò.
Evidentemente la chiave di lettura si nascondeva in una delle loro successive conversazioni, posteriori alla giornata in cui le spiegò l’enigma. Ma erano così pochi i momenti avuti con lui, non faceva in tempo a stilarne una lista che arrivava a quel giorno stesso, ed era sicura di non essersi persa nessun particolare.
Diede un’ulteriore occhiata alle carte.
Se le quattro erano state recapitate via posta e della prima non riuscì a ricavare nulla, forse la quarta avrebbe potuto dirle qualcosa di più.
La prese nuovamente in mano e la guardò attentamente.
« Non mi riconosci, Hilda? »
No, non era la sorpresa della guida turistica la risposta.
Affondò la sua mente fra i ricordi.
« Non pensavo di trovarti anche qua, sai? »
« E perché? Di cosa dovresti aver paura? »
« Nimbasa la sera è così bella… pensa quanto sarebbe romantico salire sulla ruota! »
La ruota! pensò. Forse ci avrebbe ricavato qualcosa di interessante.
« Non metto in dubbio che sarebbe decisamente bello, ma pensi che sia ancora aperta? »
« Allora? È aperto? »
« L’ultimo giro, pensi di farcela? »
Oh, N, spero di farcela si rispose nella sua testa.
« Non vedo l’ora! »
« Siamo riusciti a prendere la cabina a cuore! »
Le cabine. Qualcosa nelle cabine.
« Non è stato molto difficile, è la prima che passa. Dopo sarebbero rimaste le picche, i quadri ed infine i fiori, decisamente meglio i cuori »
« Ma certo! Ma certo! »
La risposta colpì la sua mente come un treno in corsa.
Aveva avuto scolpita nella memoria la soluzione al suo indovinello e, nascosta in fondo ad una giacca, il mezzo attraverso cui arrivarci, per tutto questo tempo.
« Devo solo trovare un numero da cui partire… oh—»
I suoi occhi scivolarono sul tre di picche, in quel momento orizzontale rispetto a lei.
Non era stato il simbolo dell’infinito che N aveva voluto disegnare.
Recuperò con velocità un pezzo di carta ed una penna e prese a pensare.
« Ci siamo… un otto di cuori, un otto di cuori quindi è… un A? »
Tratteggiò un A corsiva sul foglio.
« Poi poi… dopo i cuori le picche, perciò il tre è una… I? »
Disegnò una linea accanto alla lettera precedente.
« Bene… ora il sette di picche che dovrebbe essere una O… » mantenendo lo sguardo fisso sulle carte tratteggiò il simbolo corrispondente « ed il nove di picche una… P? »
Rimanevano due carte e la scritta AIPO rappresentata sul foglio.
« L’asso di quadri è una T… »
Fece due linee perpendicolari sulla carta
« E il due di fiori… nulla? » lanciò uno sguardo confuso alla carta « non è… nulla? Com’è possibile? Uno spazio? »
AIPOT .
« A, i, p, o, t ed uno spazio… cosa può significare? »
Era al punto di partenza.
« Aspetta, aspetta… » mormorò, ricontrollando a mente l’ordine delle carte. Poteva darsi che la sua traduzione fosse stata fallace. « L’otto è una A, il tre una I, il sette una M, il nove una… »
Il suo sguardo gelò.
Gli occhi correvano spediti sulla cellulosa da una lettera all’altra mente nella sua testa si faceva strada un’ipotetica traduzione che era quanto di più pauroso avesse mai potuto leggere.
Andò attraverso il sistema di decifrazione un’altra volta ed una quarta ancora, dopodiché ad una quinta e più la sua mente vedeva quelle carte più si convinceva che fosse così.
Scarabocchiò una scritta sul foglio e corse fuori.

Sulla carta erano incise le lettere A, I, M, O, T ed una x, collegate ad una parola qualche centimetro sotto.
“TI AMO”.

ϡ

« STAZIONE DI ANVILLE TOWN, STAZIONE DI ANVILLE TOWN » gracchiò una voce dagli altoparlanti.
« E così… devi andare »
Erika sorrise. « Sì, tra poco scendo »
« È stato uno dei più piacevoli viaggi in treno che abbia mai fatto, cara Erika »
« Davvero? ». La giovane nascose un’espressione imbarazzata.
« Di solito dormo o, specialmente le ultime volte, bevo, ma questa volta è stato molto interessante viaggiare con lei »
« È un peccato che debba andare via, allora »
« Già »
Erika trascinò il suo voluminoso bagaglio al di sotto di lei e lo impugnò saldamente col braccio.
« Suppongo… suppongo che, tra il mio andare ad Anville ed il suo trasferirsi in un’altra regione, queso sia un addio » scherzò lei.
La sua voce era incrinata, corrotta da una nota di amarezza.
« Suppongo sia così » sorrise Louis « devo dire che fra tutte le persone che abbia mai incontrato sei stata la ragazza con la quale ho avuto la più lunga relazione in assoluto! »
Si lasciò scappare una risata. « Non essere così tragico! Sono sicuro che troverai la tua anima gemella anche tu a Sinnoh, magari »
« Quel magari non è rassicurante! »
Erika rise. « Ha ragione, non lo è » commentò, voltandosi.
« Addio, Erika Joy »
« Addio, Louis Bloomfield. È stato un piacere conoscerla »

ϡ

Il porto quella sera faceva da teatro alla dipartita della S.S. Diane che, in tutta la sua magnificenza, prendeva il largo mentre illuminava come un secondo sole la baia di Castelia.
La cerimonia di apertura era finita da qualche ora e ormai l’unico ricordo erano i rifiuti che i festeggiati si erano lasciati dietro senza curarsi di pulire al loro passaggio.
Osservò con malinconia quello spettacolo immaginandosi N in una di quelle meravigliose stanze a divertirsi con qualcuno più simpatico di lei, più divertente e più bello di lei. A quell’ora doveva star cenando nella grande sala da pranzo neoclassica con quei lampadari grandi il doppio di lei che pendevano dal soffitto come una spada di Damocle.
O magari stava osservando il panorama dello skyline che offriva Castelia, pensando a quando il suo aereo avrebbe preso il volo.
No, sapeva che non l’avrebbe fatto.
Si erano dati addio ed era giunta troppo tardi per fermarlo.
Forse era giusto così.
« Cosa ci fa una così bella ragazza nel porto a quest’ora? I festeggiamenti per la S.S. Diane sono finiti da un pezzo »
Hilda si voltò, sconvolta.
« N… »
« Ancora col gioco dei nomi? Non ti aveva stufato? »
« Non capisco, N… »
N sorrise. « È questo il bello »
« Io… » fece un passo indietro, come a volersi proteggere dal giovane « dovevi partire! Perché non sei partito? »
« Non è mai stato il mio piano quello di partire. Credi che avessi lasciato che tu partissi senza neanche controllare se tu fosse andato per il meglio? »
Hilda scosse la testa. « Continuo a non capire »
« Ti farò capire io. Perché sei venuta qua, Hilda? »
« Ho… » abbassò lo sguardo, imbarazzata « ho decifrato le carde »
« Le famose XJ, com’è che funzionava? »
Esitò.
« Ti amo »
« Me l’hai già detto sta mattina, non è una no—»
« No, ti amo. La frase scritta nelle carte, la frase che non hai mai avuto il coraggio di dirmi. È ti amo »
N aprì la bocca ma non riuscì a pronunciare alcuna parola.
« Perché, N? Perché andare incontro a tutti questi problemi solo per dirmi una cosa come questa? Di cos’avevi paura, eh? Avevi paura che ti rifiutassi? Avev—»
« Avevo paura che decidessi di restare con me, Hilda » sentenziò.
Hilda non trovò le parole per continuare.
« Non sarei mai dovuto recarmi in un’altra regione, non avrei mai voluto andarmene. Perché, poi? Per vivere con la consapevolezza di tutte le persone che ho ucciso e di tutte le persone che sono state male per colpa mia? Non posso vivere con questo fardello.
« Ho bisogno di uccidere Natural Harmonia-Gropius. La persona che sono— che è diventato, è una persona incapace di amare. Lo sapeva Zinzolin, lo so io e, nel profondo, lo sai anche tu »
« Non è vero! Non— non è affatto vero! Io so che mi ami, so—»
« Non è questo il punto. Amarti non mi impedirebbe di diventare un uomo peggiore, la mia è una strada in discesa e col tempo potrei peggiorare soltanto, arrivando a fare cose che non riuscirei a sopportare. Non è un amore sano quello che c’è fra me e te, è un rapporto che ti ha distrutto e ora vivi in funzione di esso »
Se prima le carte erano riuscite a riaccendere un barlume di speranza in Hilda ora quella scintilla era stata schiacciata al terreno e consumata dalla forza delle rivelazioni di N. L’amore che provava per lui era l’unica cosa che le rimaneva a quel mondo e, in quel momento, era riuscito a portarlo all’apice ed a trascinarlo a terra, frantumandolo in mille frammenti.
Come gli occhi connessero con la mente copiose lacrime presero a scendere sulle sue guance e giù, sul freddo cemento. I suoi arti si irrigidirono e la sue labbra erano incapace di muoversi per dare vita a suoni. Il respiro faticava  giungere alla sua bocca o almeno questa era la sua sensazione, come se qualcuno la avesse gettata in una condizione di assenza di ossigeno.
I singhiozzi erano brevi e febbrili.
« È questo che volevo risparmiarti, Hilda. Volevo che tu fossi capace di ricominciare un’altra vita lontano da quest’ultima, una vita nuova e felice. So che è chiederti tanto, ma non potrei mai darti l’amore che cerci ne ricevere il tuo »
« Io… » singhiozzò « io voglio solo… solo stare con te! Come tu non riusciresti a vivere con i tuoi errori, pensi che io possa farlo? Vivere sapendo di aver fatto quello che ho fatto e di aver lasciato te qua? »
« Speravo tu potessi farlo, Hilda »
« Non posso, non potrò mai farlo »
Né N né Hilda parlarono oltre.
Evitavano gli sguardi, non erano capaci di sopportare una fatica che ritenevano essere così grande né ne volevano farlo. Avrebbero voluto congelare il tempo in quel secondo, cessare di esistere e finire così la loro triste e miserabile vita, ma sapevano di dover proseguire.
Sapevano di dover confrontarsi, un’ultima volta almeno.
« Voglio cancellare la mia memoria » pronunciò Hilda, rompendo l’imbarazzo creatosi.
N era sbigottito.
« Cosa? »
« Hai detto che volevi uccidere Natural Harmonia-Gropius, no? Bene, anche io voglio uccidere Hilda Baskerville. Se devo dirti addio per un’ultima volta, voglio che sia anche il tuo ultimo addio a me. Voglio farlo, per l’ultima volta, assieme »
« Non lascerò che—»
« Non mi importa cosa tu pensi, è una mia decisione. Che scelte ho, d’altronde? Questa o vivere una miserabile vita oltreoceano, davvero pensi che voglia arrendermi a quello? »
« Ne sei sicura, Hilda? »
Hilda deglutì. « Sì, ne sono sicura »
« Va bene »
N affondò la mano nella sua tasca destra ed estrasse una manciata di bacche dal colore bluastro che, in cima, presentavano una piccola infiorescenza bianca.
« Avevo predisposto assieme a Ryoku che, questa sera, dei suoi sottoposti venissero a prendermi al porto dopo aver… preso queste » indicò con un’espressione del viso i frutti.
« Ryoku? Il saggio? »
« Sì. Reputano che sia il modo migliore per nascondere la memoria del Team Plasma a Unova e sono disposti ad aiutarmi. Prenderò una nuova identità ed i loro scienziati si occuperanno dei miei ricordi »
« Ottimo » sorrise Hilda « voglio farlo anch’io. Quando prendiamo queste bacche? »
« Anche… anche subito, se vuoi »
Porse la mano alla giovane e ne afferrò due piccoli frutti dai quattro che rimanevano.
Assieme avvicinarono le mani alla bocca e si guardarono reciprocamente, entrambi in attesa di cosa avrebbe fatto l’altro.
« Sei sicura di volerlo fare? Dopo di questo… dopo tutto ciò non sarai più Hilda Baskerville, sarà come se non fosse mai esistita »
« Neanche Natural Harmonia-Gropius »
N sorrise. « Allora facciamolo »
Spiaccicarono il palmo della mano sulle labbra e le bacche vennero lanciate all’interno della bocca e, da lì, entrarono nell’esofago.
Hilda portò il braccio a cingere la vita di N e lo spinse verso di sé. N accompagnò i suoi movimenti e l’abbracciò a sua volta, avvicinando le labbra a quelle della giovane. Erano tanto vicini i loro occhi da poter vedere il proprio riflesso nel bulbo dell’altro e i loro respiri forti e chiari giungevano alle orecchie dei due.
Le loro labbra si toccarono per l’ultima volta, unendosi in un lungo ed appassionato bacio sino a che le loro membra non cedettero al pavimento.
Caddero, svenuti, mentre una nuova giornata si apprestava a finire e così come un nuovo giorno sarebbe rinato, anche loro avrebbero visto un nuovo sole.

ϡ

Dal cavalcavia il rumore del treno sottostante che percorreva i binari era potendo ancora più stridente ed amplificato. Il vento che alzava lo spostamento del mezzo raggiungeva Erika e gonfiava le balze della sua gonna tali da far danzare il tessuto dei suoi abiti come leggiadre ballerine all’opera.
« Erika! Erika! »
Una voce familiare la richiamò. Guardò al di sotto del cavalcavia e vide, sulle scale che conducevano a lei, la figura di Louis correre nella sua direzione.
« Louis? Credevo fosse partito! »
« Si—» fece un respiro pesante, affannato dalla corsa « sì, sì, ma poco prima che il treno si chiudesse mi sono accorto che aveva dimenticato il suo libro sul sedile »
« Oh! » esclamò sorpresa « che sbadata! Mi dispiace averle fatto perdere l’aereo! »
« L’ho fatto con piacere, non preoccuparti »
« Ora mi dai del tu! » scherzò Erika.
« Davvero? Scusami, non volevo chiamati— chiamarla—»
« Tranquillo! » fece sorridente Erika « tranquillo, va tutto bene. Mi piace il tu »
Un sorriso comparve sul voto di Louis. « Davvero? Cioè, anche a me, anche a me piace! »
Erika si rigirò il manoscritto tra le mani mentre dava il tempo a Louis di recuperare fiato.
« Ma come farai per l’aereo? Riesci a prenderlo in giornata? »
« Non so se ho poi così tanta voglia di partire per Sinnoh, in realtà. Anville è una bella città e mi hai fatto tornare voglia di visitarla »
« E i bagagli? Sono ancora nel treno! »
« Beh, non ho chiesto anche a loro se volessero rimanere in regione con me! »
A Erika scappò una risata.
« Parlando di te, invece, che ne dici se ti porto in un locale che conosco qua in città? Ti prometto che merita »
« Mi dovrei fidare? »
Louis alzò le mani davanti a sé. « Fai tu, sappi però che non dormirò la notte sapendo che una giovane ragazza così bella come te si è persa ad Anville Town »
« Avrà sì e no 50.000 abitanti! » rise Erika « comunque, dal canto mio, non potrò neanche io dormire la notte sapendo che un giovane ragazzo come te non dorme la notte per avermi fatto perdere ad Anville »
« È un sì? »
Erika asserì. « Andiamo, forza! »

FINE
Quanto è liberatorio scrivere quelle parole.
Ebbene sì, è finita. Chi l'avrebbe mai detto? Io no. Forse sarebbe stato meglio, è sempre meglio tenermi i miei scarabocchi per me ma tant'è.
Ho aspettato moltissimo questo momento e voglio fare le cose per bene. Mi sono letto tantissimi ultimi capitoli e ora sono un guru, potrei scrivere capitoli finali a non finire.
Prima di tutto, ringrazio chi ha letto la versione precedente, also known as la schifezza che ha dato origine a questa versione, con un po' più di dignità.
Questa Cards... Il capolavoro della letteratura postmoderna che faranno leggere nelle scuole assieme ai Promessi Sposi e la Divina Commedia.
Grazie a chi ha recensito Cards, a chi l'ha messa tra le seguite, a chi l'ha messa tra le ricordate e a chi l'ha messa tra le preferite. E grazie a voi lettori silenziosi. Se aveste mosso un dito avreste completamente sconvolto l'ordine degli eventi e non mi ritroverei qua, ora. È un discorso scemo (e nerd) fatto a posteriori ma non posso insultarvi e quindi vi gratifico.

Cosa dire? Spero di non aver copiato abbastanza ma in fin dei conti è uscito qualcosa di semi potenzialmente buono. Mi ritengo contento.
Ora che ho finito di scrivere Cards i punti di domanda sono molti: continuerò a scrivere? Cards avrà un sequel? Mi sono fatto male cadendo dal cielo? Ebbene, signori e signore, il vostro Dr Oz ha una risposta anche per quello! (alle 6:50 di mattina è l'unico programma decente che danno alla tv. Non invidio gli americani).
Ad ogni modo ho davvero troppe cose da fare in arretrato che scrivere, ho sul comodino 3 Metri Sopra il Cielo e non vedo l'ora di cominciarlo. E di finirlo. Insomma, there's a whole new world waiting for me.

BONUS

Nella mia mente malata ogni titolo ha un significato più o meno rivelante rispetto al contenuto del capitolo e voglio darne la mia spiegazione.
A Rush of Blood to the Head prima di tutto, è una canzone dei Coldplay. La mia preferita. Indica principalmente proprio le rush of blood to the head (ha, ha, ha) dei personaggi: lei decide improvvisamente di accettare, il direttore decide improvvisamente di pubblicarla, il capitolo è una sorta di grande rush della storia.
An Unusual Prince anche questa, è una canzone del film Sleeping Beauty (la Bella Addormentata). Si riferisce ad N, un principe "insolito". È un titolo quantomeno calzante. La conoscerete con il titolo Once Upon a Dream, forse.
The Grasshopper Shall Be a Burden proviene da un passo della bibbia citato nel libro La Svastica sul Sole. In quel periodo stavo leggendo il libro. Ve lo consiglio.
Drowned by the Gods il meraviglioso titolo più volte mal scritto. Ah, damned if I do, damned if I don't. Non c'entra una minchia (in realtà sì, sort of. Lei viene "annegata" da Zinzolin. Liberi di essere perplessi, lo sono anch'io).
Misery Loves Company più chiaro di così? La miseria (tristezza, in realtà) ama la compagnia. Cioè le persone tristi si circondano di persone tristi per autocelebrare la loro miseria e rimanere a sguazzare nella tristezza. Quello che fanno gli autori di EFP con la mediocrità nello scrivere, ma è un altro discorso.
All the Time in the World è una citazione ad Alias. Ho apprezzato molto lo show (di J J Abrams, colpevole di Lost) e ho pensato di citarlo. Non ha reale significato.
The Guilty Girls' Handbook ​titolo di Pretty Little Liars. Shauntal e Hilda sono due "guilty girls", fanno cose che teoricamente non dovrebbero fare. Abbastanza lineare.
Before the Flood titolo di Doctor Who. Rappresenta il capitolo "prima" (before) del finale di midseason, il "flood", che travolge metaforicamente i personaggi e li lascia alla deriva pronti per ricominciare da capo la nuova midseason. Sì, me le studio 'ste cose.
Now You See Me, Now You Don't titolo di Pretty Little Liars, ancora una volta. Non ha un significato, è semplicemente bello.
The Blind Beholder è una citazione ad un proverbio inglese, "Beauty lies in the eye of the beholder", ovvero "La bellezza sta nell'occhio di chi guarda" che ho rimaneggiato più volte sino a che del periodo originale è rimasto ben poco. Behold come verbo lo si ritrova anche in improbabili espressioni tipo Lo and behold!. Ciao Shakespeare.
What Becomes of the Broken Hearted titolo di Pretty Little Liars, che hanno preso da una canzone se non ricordo male. Questo ha una logica: il capitolo parla di quello che succede ai cuori spezzati: Hilda, ha il cuore spezzato, N ha il cuore spezzato, Julie lo ha (Hilbert era un suo amico). Sono comunque i "postumi" di ciò che succede ai cuori spezzati. È contorto ma giuro che ha senso.
Unable Are the Loved to Die è una citazione ad una poesia di Emily Dickinson, che ho anche trascritto nel capitolo. Si riferisce al fatto che Julie, che non è amata da nessuno, muore (letteralmente) mentre altri personaggi quali Hilda o N rimangono ancora in vita nonostante tutto. Sono consapevole che la morte a cui si riferisse Emily è metaforica, intendeva che chi è amato nonostante la morte è ancora capace di rimanere vivo nella memoria di chi ama (l'ho sempre letta così) ma qua ho voluto portarla su un piano più pratico.
Six Feet Under ​titolo di Six Feet Under, una serie della HBO. Non dico di averla amata perché non l'ho fatto, ho odiato un sacco di personaggi e non per il loro carattere ma per la stupidità con la quale viene condotta la loro storyline, nonostante ciò ne ho amato altri e una serie come questa è più unica che rara. Guardatela. Anyway, si riferisce alla morte di Julie ed a come ciò influenzi gran parte del capitolo. (Six feet è la profondità sotto la quale negli USA sepolgono i corpi)
Nessun Dorma! è una citazione ad un opera di Puccini, il Turandot. Si riferisce all'inizio del capitolo, quando lei, per l'appunto, dorme. Neanche qua c'è un grande disegno dietro.
Love Is a Losing Game canzone di Amy Winehouse. Il titolo è chiaro, l'amore è un gioco al quale non puoi far altro che perdere, ed è ciò che fanno i personaggi: perdono.
To Sleep, perchance to Dream è una citazione all'Amleto di Shakespeare, contenuta nel monologo To Be or Not to Be. È un gran bel monologo.
Man of Science, Man of Faith titolo di Lost. Indica la dicomotia Benjamin Linus (il mio personaggio preferito di Lost) e John Locke. Nella storia indica la dicotomia tra N e Zinzolin che è una delle basi della storia (nonostante il loro conflitto non sia tra scienza e fede ma rimanga comunque ancorato sui medesimi principi).
Somewhere Over the Rainbow è una citazione alla canzone Over the Rainbow tratta dal film The Wizard of Oz. Mi riferisco ad una splendida versione di Harry Nilsson quando ne parlo. Come nel film indica la terra di Oz qua indica la loro nuova vita, intesa come una nuova landa meravigliosa collocata da qualche parte "oltre l'arcobaleno" e descritta come meravigliosa. Solo là potranno coronare il loro sogno. È anche la canzone che accompagna il finale di You've Got Mail con Tom Hanks e Maggie Ryan.
Nella storia sono disseminate moltissime altre citazioni, anche il titolo della storia (il vecchio) era uno, ovviamente era bruttissimo.
Vi ho tediato abbastanza.

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Goodbye, raggedy man.
[dovevo dirlo]
your friendly neighborhood herr

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