2. Orchidea
Era più di un’ora ormai che
aspettava lì fuori. Non ricordava di aver mai assistito a un intervento tanto
tempestivo da parte della Polizia Internazionale; Alakazam, però, era un vero
portento quando si parlava di dover essere rapidi.
In meno di mezz’ora, avevano
ripulito e catalogato ogni cosa in quel sito, rimuovendo anche i resti dagli
alberi di guardia alla tana.
Bellocchio si stava
rigirando fra le mani il piccolo strumento elettronico che aveva trovato sulla
carcassa di quel Delibird, mentre all’interno il reparto della scientifica
faceva tutte le rivelazioni necessarie.
- “Orchidea” sembrerebbe
chiamarsi.
Ritornando sul pianeta terra
dai suoi viaggi mentali, Bellocchio alzò gli occhi verso l’origine della voce
che, ormai, conosceva bene quanto la sua. Alberta, il suo capo e partner in
diverse occasioni, si trovava in piedi, a pochi passi da lui.
- Sul lato destro, in
bassorilievo, è stato inciso da qualcuno – continuò lei.
- Ci sono stati riscontri
nei nostri registri? – chiese lui.
- No, nessuna corrispondenza
con le calligrafie a nostra disposizione. Hai qualche idea? Non hai voluto
parlare con nessuno da quando siamo arrivati qui con Alakazam.
- Nessuna. Non ho trovato la
minima traccia di indizio che possa condurci da qualche parte. Il Pokémon
sembrava muoversi per volontà propria.
- È così:
quella che hai fra le mani è semplicemente un segnalatore di posizione. E non
sembra c’entrare nulla con gli Ultravarchi del Tempio di Regigigas.
- Di quelli me
ne sono già occupato e non è mai capitato nulla di simile. Potrebbe essere uno
dei Pokémon monitorati da qualche ricercatore? Magari ha contratto qualche
malattia come la rabbia.
- Ci stiamo
lavorando – Alberta tirò su il cappuccio del suo giaccone, coprendosi buona
parte del volto. Una ciocca ribelle divenne preda del vento e lei lottò per
inserirla nuovamente all’interno.
Si andò a
sedere nella nuda terra, sulla neve, alla destra di Bellocchio. I suoi occhi
lilla andarono a spaziare sul manto bianco che copriva ogni cosa.
- Perché non mi
dici come ti senti? Croagunk come si è comportato?
- Benissimo per
essere la sua prima missione sul campo, anche se quel Delibird si muoveva in
modo innaturale. Non ho mai visto tanta foga.
Bellocchio
sentì la mano di Alberta poggiarsi sulla sua. Il gesto inaspettato lo prese
contropiede e dovette fare uno sforzo immane per evitare di saltare sul posto.
Lei strinse
dolcemente, senza esercitare troppa pressione. Sorrise, e il calore della sua
mano andò a riscaldare quella di Bellocchio, resa fredda dal vento gelido.
- Non deve
essere stato facile uccidere un Pokémon. Soprattutto per te. Hai fatto quel che
andava fatto e non devi vergognartene. Intesi?
- Sì signora.
- Non c’è
bisogno di questa formalità, lo sai. Puoi benissimo chiamarmi Alberta, sono tua
amica. E se hai voglia di parlare, io sono qui. Intesi? – sottolineò l’ultima
parola con un nuovo sorriso.
Calore andò a
investire le membra di Bellocchio, riscaldato dall’affetto della donna.
- Intesi –
sorrise lui, di rimando.
Alberta capì
che non avrebbe dovuto insistere oltre e lasciò che il silenzio scendesse fra
di loro. Gli cinse il braccio e appoggiò leggermente la testa sulla sua spalla.
Chiuse gli occhi e si abbandonò al sonno mentre i minuti passavano.
Bellocchio la
lascò riposare tranquilla, conoscendo i ritmi serrati che la sua posizione
all’interno della Polizia Internazionale le imponeva. Nonostante questo, non
appena al quartier generale era arrivato il video del suo combattimento,
Alberta aveva scelto i migliori in campo e si era precipitata lì di persona. Il
caso le era sembrato fin da subito troppo strano, cosa che non era sfuggita
neanche a Bellocchio, per non dover essere presenziato.
Il cappuccio
del giubbotto di lei continuava a svolazzare all’indietro, lasciandole la testa
vulnerabile al gelido vento. Dopo averlo rialzato un paio di volte, Bellocchio
si arrese e frugò nelle tasche del suo cappotto. Ne estrasse un colbacco con i
paraorecchie particolarmente lunghi e lo infilò in testa ad Alberta, coprendola
fin sopra al naso.
Tremava per il
freddo, lei.
Bellocchio
quindi aprì il suo cappotto e ne usò una parte per coprirla, cingendole le
spalle col suo braccio e scaldandola col calore del suo corpo.
I minuti
passavano, e la neve continuava a cadere.
Bellocchio stava per assopirsi
quando una voce risuonò dall’interno del covo di Delibird. Anche se attutito
dal vento, riconobbe Plutarch che li stava chiamando e li incoraggiava a
entrare. Con una debole scrollata sulle spalle, risvegliò Augusta.
- Hanno finito, andiamo a dare
un’occhiata.
Insieme percorsero la
galleria, stavolta illuminata a giorno grazie ai riflettori portatili. Una
volta raggiunta la stanza in fondo, misero le protezioni alle scarpe e i guanti
per poi entrare. L’odore di decomposizione era adesso meno forte rispetto a qualche
ora prima, quando Bellocchio vi era entrato per la prima volta: la rimozione
dei cadaveri e tutte le interiora lì ritrovate, unito al continuo funzionamento
dei grossi ventilatori che vi avevano installato, aveva contribuito parecchio a
ripulire l’aria, altrimenti irrespirabile a causa del tanfo.
La caverna era
quasi completamente vuota, tranne per un grosso tavolo di legno massiccio
posizionato in un angolo affiancato da un paio di sedie e una grossa ascia a
due mani, conficcata in un ceppo di legno.
Plutarch li
stava aspettando proprio lì vicino, in piedi, occupato col suo tablet.
- Ah, eccovi
qui. Volete prima la notizia brutta o quella cattiva?
- Cattiva –
risposero all’unisono, Bellocchio e Alberta.
- Beh… abbiamo
analizzato quel componente che ha rinvenuto Bellocchio nel cadavere di quel
Delibird. È a tutti gli effetti un trasmettitore di posizione ma non siamo
stati in grado di trovare il luogo dove inviava i dati. E non è dei nostri:
abbiamo chiesto a qualsiasi ricercatore e chiunque nel settore, non appartiene
a nessuno di loro.
- Quindi
qualcun altro stava seguendo i suoi movimenti – disse Bellocchio.
- Pensi ci sia
qualcuno dietro alle azioni di Delibird? – chiese Alberta.
- Ne sono
sicuro. Non c’è mai stato un episodio di tale violenza in un Pokémon. Avete
ricevuto i dati da Ellie?
- Sì, e il DNA
di quel Delibird era completamente diverso da quello tipico della sua razza. I
nostri esperti stanno ora lavorando per cercare di capire se abbia contratto qualche
tipo di malattia.
-… Comunque –
s’intromise Plutarch – La seconda notizia è che c’era così tanto sangue, qui
dentro, che è stato praticamente impossibile risalire alle vittime. Questo
tavolo, per esempio, ne è così saturo che ormai il legno né è impregnato.
Bellocchio si
avvicinò al tavolo e provò a far scorrere l’indice sulla sua superficie; il sangue
si era coagulato così tante volte da risultare ormai una pozza di liquido
appiccicoso.
- Per finire,
abbiamo trovato dei fiori dietro una stalattite, vi stavamo aspettando prima di
analizzarli.
- Dei fiori? In
una caverna priva di luce? – chiese Alberta.
- Sì, sono
raccolti in un piccolo bouquet. Ve li faccio vedere.
Plutarch
s’incammino. Dalle sue spalle, Bellocchio notò quanto ormai i capelli brizzolati
stavano vertendo verso il bianco completo. Sebbene sulla cinquantina, Plutarch
aveva avuto il dono di una capigliatura folta e resistente. Conscio di ciò, era
solito portare i suoi lunghi capelli, lisci e luminosi, sciolti, liberi di
vagare al di là delle sue spalle, fino a circa metà della sua schiena.
Nonostante l’età, Plutarch era abituato ad allenarsi con gli attrezzi nella
palestra della loro sede, ottenendo così un tono muscolare più volte approvato
da Furio.
Però, come
sempre, Plutarch restava un ragazzino: Bellocchio aveva ormai assistito a fin
troppi dei suoi scherzi in ufficio per poterlo vedere come una persona con
molti anni sulle spalle. Sempre sorridente, pronto alla risata e allo sfottò,
non dava per nulla l’impressione del genio che si nascondeva dietro i suoi
vispi occhi verdi.
Bellocchio
ritornò alla realtà, non appena Plutarch smise di camminare.
- Eccoli qui –
fece il capo della scientifica.
Indicò per
terra, dove si trovava una piccola zona di terreno spoglio fra le pietre, dal
diametro non più grande di venti centimetri. Al suo interno c’erano una decina
di orchidee; alcune delle quali, fra le più piccole, ancora dovevano sbocciare.
Il profumo che ne veniva emanato fece scomparire immediatamente i residui del
tanfo di morte dalle loro menti.
Bellocchio s’inginocchio
e, tolto il guanto, v’infilò una mano fra gli steli, andando poi a penetrare
nel terreno. Scavò per un po’, ritirando poi il pugno serrato. Si rialzò e, una
volta in piedi, mostrò il contenuto nel suo palmo.
- Umido, molto
umido. Ed è terreno fresco – disse ad alta voce.
Plutarch quasi
gli strappò il braccio quando lo afferrò con una mano e lo avvicinò al viso. Vi
piazzò sopra una fin troppo tecnologica lente d’ingrandimento e la fece
scorrere sul piccolo cumulo di terreno raccolto, osservandolo molto
attentamente.
- Questo
terreno è così tanto ricco di elementi nutritivi da poter far crescere
praticamente qualsiasi cosa al suo interno. Non ne avevo mai visto uno così
fertile. Sembra quasi una cosa soprannaturale.
- E per la luce
solare? Senza quella non potrebbe crescere nulla– chiese Alberta.
- Non ne ho la
più pallida idea.
Plutarch esitò
per un istante, osservando le orchidee.
- Prenderò dei
campioni in più da questo lato della grotta e li analizzerò meglio alla base.
- Ottima idea,
Plutarch. Quando avete finito qui, chiamatemi, farò teletrasportare tutti da
Alakazam. Bellocchio, tu invece mi servi qui.
Lui sorrise in
quel modo bizzarro a cui ormai lei si era ormai abituata, a metà fra il
divertito e il voler dire “sai già che lo avrei fatto senza il tuo permesso”.
- Perfetto,
avevo proprio intenzione di andare a cercare Bianca, potrebbe essermi utile.
Andrò alla Palestra.
- Ottimo. E, mi
raccomando, tienimi aggiornata.
- Certo,
Alberta.
- E non correre
rischi inutili, ci sei più utile da vivo.
- Ai tuoi
ordini, capo – disse lui, irritandola per averla di nuovo chiamata in quel modo.
Nonostante lei
abbia ripetuto più volte a chiunque, all’interno della Polizia Internazionale,
di chiamarla semplicemente col suo nome, lui insisteva nel rivolgersi a lei col
suo grado, quando aveva intenzione di farla innervosire.
In quel momento
Alberta non capì se lo odiava di più per averlo fatto di nuovo, o per il suo
sorrisetto sulle labbra, mentre si allontanava verso l’uscita.
Una volta fuori
dalla grotta, Bellocchio indossò nuovamente cappello e guanti e si diresse
verso di Nevepoli.
Ritornato in
città, Bellocchio non perse tempo e si diresse immediatamente verso la
Palestra, nonostante il brontolio nello stomaco gli ricordasse che erano ormai
quasi dieci ore che non toccava né cibo né acqua.
La neve aveva
smesso di cadere, e ormai il vento s’era acquietato. La calma era assoluta, non
una sola persona si vedeva fra le strade innevate. In questa quiete innaturale,
solo un suono, antico e possente, si propagava nell’aria.
Regigigas.
Dal Tempio
s’innalzava il suo basso, cupo e vibrante respiro costante. La città intera
n’era pregna.
Come una
canzone in filodiffusione a basso volume, il suo rombare si espandeva in ogni
angolo di Nevepoli, facendo vibrare le membra e, quando diventava più
insistente, anche i vetri delle finestre delle abitazioni più vicine alla sua
dimora.
Gli abitanti
del luogo ci avevano ormai fatto l’abitudine ma, alle orecchie di Bellocchio,
quel suono diventava opprimente e intimidatorio. A metà fra il motore di uno
spazzaneve e il continuo percuotersi di una grancassa, quel suono stava
rischiando di farlo impazzire.
Avanzò il
passo. Mano a mano che si avvicinava alla Palestra, il brontolio di Regigigas
aumentava d’intensità, così come l’altezza della neve, quasi come se la natura
si stesse ribellando al suo moto.
Finalmente
arrivò in prossimità delle porte. Si avvicinò e, notando che mancava l’apertura
automatica, alzò un braccio per poter bussare. In quel preciso istante le porte
si spalancarono e una ragazza fuoriuscì dalla sala d’accettazione.
- Salve, sto
cercando la Capopalestra, è qui?
- La Palestra è
chiusa, se vuole sfidare Bianca torni domani – rispose lei, facendo scattare la
serratura alle sue spalle. Il suo lungo giubbotto da neve, bianco, arrivava
quasi fin sotto le ginocchia.
- Mi scusi, non
mi sono presentato. Sono Bellocchio, della Polizia Internazionale. Avrei
urgente bisogno di parlare con Bianca, ci sono degli sviluppi sull’omicidio di
stamattina – allungò la mano, in cerca di quella di lei.
La ragazza si
girò e gli sorrise. I suoi occhi nocciola parvero risplendere di luce propria.
- Come ho già
detto, la Palestra è chiusa. Può venire a casa mia a prendere un tè caldo, se
vuole. È proprio qui vicino – rispose lei, stringendogli la mano.
- Signorina
forse lei…
- Vogliamo
darci del tu? Molto meno freddo. C’è già la neve qui, che congela tutto –
sorrise di nuovo, lei.
- Avanti
Bellocchio non essere timido, non ti mangio mica – s’incamminò per una strada
laterale.
La ragazza fece
pochi passi e poi si voltò, dopo aver notato che non la stava seguendo. Lo invitò
ad avanzare.
- E chiamami
Bianca, non mi piace essere chiamata “Capopalestra” – sorrise di nuovo lei.
Solo allora
Bellocchio capì di avere davanti la persona che stava cercando.
- Scusami, non
ti credevo così giovane. Pensavo di star parlando con una tua assistente –
divenne improvvisamente viola, lui, per colpa del suo comportamento di poco prima.
- Non fa
niente, basta che muovi il sedere che mi sto congelando – lei gli afferrò un
braccio e lo tirò verso di sé.
I due incominciarono
a camminare nella neve. Passarono un paio di minuti in silenzio dopo che Bianca
respinse tutti i tentativi di parlare, obbligandolo a rimandare tutto a dopo il
tè.
Arrivarono nei
pressi della casa di Bianca, situata sulla strada che dalla Palestra portava al
Tempio. Lì la presenza umana lasciava rapidamente il passo alla natura: lontano
dal centro cittadino e dal porto, le poche strutture lì presenti erano tutte
case, bungalow e magazzini. Data la maggior presenza di Pokémon selvatici, gli
abitanti avevano dovuto costruire recinti e muretti per evitare danni. L’unica
eccezione, era la casa di Bianca.
Il vialetto che
dalla strada principale portava alla porta d’ingresso era costituito semplicemente
da diversi massi incastonati nel terreno a intervalli regolari, con ciocche di
erba che ci crescevano attorno. A destra e a sinistra si apriva il giardinetto,
completamente ricoperto di neve. Dal manto nevoso s’innalzavano fiori montani
di tutti i colori. Una coppia per tipo di alberi di Baccafrago, Baccamela e
Baccalampon, costellavano il perimetro del giardino, sotto i quali
scorrazzavano i Pokémon selvatici, liberi di mangiarne i frutti.
Un paio di
Snover si trovavano ai piedi di una panchina in legno, rivolta verso ovest,
occupati nel cercare di afferrare la coda penzolante di un Glaceon
acciambellato sullo schienale.
Bianca
s’incamminò per il vialetto, fermandosi per accarezzare ogni Pokémon che le si
avvicinava.
- Tutto bene,
piccola? – grattò distrattamente dietro l’orecchio della sua Glaceon.
Lei rispose con
un miagolio, agitando più velocemente la coda quando uno degli Snover riuscì ad
afferrarla.
Bellocchio la
seguì sul portico e aspettò che lei aprisse la porta. Una volta dentro, venne salutato
da un’ondata di calore rinvigorente. Subito dopo il piccolo ingresso,
all’interno del quale erano sistemati un paio di appendiabiti, una scarpiera e
un porta ombrelli, si apriva un ampio salone con cucina annessa.
Il pavimento
era rivestito di morbidi e soffici tappeti che ne occupavano la gran parte,
messi uno di fianco all’altro, con una minuzia particolare nella scelta dei
colori: a destra, dove c’erano i divanetti, un piccolo tavolo per il tè, il
camino e vari mobili, tendevano alle tonalità del rosso scuro; a destra, dove
si trovava la cucina, il bancone in marmo e un grande finestrone che dava sul
retro del giardino, prevaleva il verde dei freschi prati montani; mentre fra i
due, si potevano trovare tappeti dai colori misti, che sfumavano da una
tonalità all’altra.
- Non fare
complimenti, siediti pure sul divano. Io arrivo fra un attimo.
Bianca si
liberò di giubbotto, guanti, sciarpa e scarpe, lasciandoli scivolare sul
pavimento, per poi dirigersi verso le dispense della cucina.
- Bella casa.
Piccola ed essenziale. Non credevo ti piacessero così tanto i tappeti.
- Sono morbidi
e caldi, è ovvio che siano belli. Vediamo… - iniziò a scavare fra diverse confezioni.
- Ho: arancia e
cannella, limone, vaniglia, frutti di bosco, e fragola. Quale preferisci?
- Limone,
grazie.
- Perfetto,
metto a riscaldare l’acqua. Zucchero?
- Due
cucchiaini.
- Cinque minuti
e sono da te.
Bianca si voltò
e, vedendo Bellocchio ancora in piedi, si precipitò verso di lui. In un attimo
gli fu addosso e l’obbligo a togliersi il cappotto.
- Che stai
facendo? – chiese lui, mentre veniva sballottolato dalle mani di lei che
andarono a sfilargli guanti e cappello.
- Ho detto di
metterti comodo sul divano e riposati. So che non ti sei fermato un attimo da
stamattina, sarai stremato.
Lei gli mise le
mani sulle spalle e, delicatamente, lo spinse verso il divano, per poi farlo
sedere.
- Va bene, ma
solo cinque minuti.
Bianca sorrise
e annuì. Tornò a occuparsi del tè, prese due tazze e le riempì con l’acqua che
ormai si era scaldata sui fornelli.
- Nel frattempo
potresti accendere il camino? È già tutto pronto, basta dar fuoco alla carta.
L’accendino è nella scatoletta di legno a sinistra.
Infuse le due confezioni
di tè e aggiunse lo zucchero. Aprì il forno ed estrasse una teiera con dei
biscotti fatti in casa.
Intanto
Bellocchio era alle prese con il fuoco. Era bastato un attimo e la fiamma era
divampata, facendo però rischiare di far cadere un paio di pezzi di legno, una
volta che il cartone che faceva da sostegno s’era completamente consumato nel
fuoco. Con un paio di rapidi movimenti con la molla forgiata riportò l’ordine e
sistemò il tutto in modo da evitare altri crolli.
- Eccomi qui. I
biscotti non sono proprio freschi, li avevo fatti stamattina.
Posò sul
tavolino il vassoio contenente il tutto e si accomodò sul secondo divano, di
fronte al suo ospite.
Bellocchio
assaggiò il tè e diede un morso a un biscotto. Dopodiché lo ripose nel piccolo
piatto davanti a sé.
- Sono ottimi.
Bianca arrossì.
Si schiarì la voce e bevve un sorso della sua bevanda calda.
- Allora, di
cosa volevi parlarmi? Avete scoperto qualcosa su quello che è successo ai
Parker?
- Abbastanza.
Ho seguito delle tracce fin dentro la foresta qui intorno. Lì ho trovato il
nido di un Delibird, non ho mai visto una cosa così tanto macabra. Crediamo sia
stato lui a uccidere i due bambini.
- Un Pokémon
che uccide degli umani? È una cosa più unica che rara, soprattutto se si pensa
alla natura dei Delibird. Forse era intenzione dell’assassino far perdere lì le
tracce.
Bellocchio
scosse lentamente la testa. Raccolse la sua tazza con entrambe le mani e lasciò
che il suo torpore donasse nuova forza alle sue membra, prima di poter
continuare.
- Ne siamo
sicuri, ho lottato personalmente contro quel Delibird e, credimi, abbiamo le
prove di quanto ho detto.
- Quali prove?
- Bianca, non è
affatto una cosa facile da digerire. Sicura di volerlo sapere? Se sei debole di
stomaco potresti vomitare.
- Sono la
Capopalestra di Nevepoli. È mio diritto e dovere aiutare la mia gente. Se posso
aiutare, devo fare tutto quello che posso.
Bellocchio
iniziò quindi a raccontarle tutto ciò che aveva scoperto da quella mattina, facendosi
aiutare da ciò che Ellie aveva registrato. Una volta conclusa la riproduzione
della sua battaglia con Delibird, Bellocchio ripose gli occhiali e bevve un
altro sorso di tè, ormai freddo dopo l’ora abbondante in cui aveva parlato.
Bianca era
diventata pallida, quasi cadaverica. Le mani le tremavano, facendo tintinnare
la sua tazza.
- È… è davvero
così, dentro quella grotta?
- Sì.
- Tutti quei
Pokémon… morti – Bianca iniziò a respirare a stento.
- Avete già
qualche idea sul chi possa aver attivato quel segnalatore?
- Non ancora, i
miei colleghi alla scientifica ci stanno lavorando, mi faranno sapere qualcosa
il prima possibile. Hai mai visto episodi di aggressività insensata, fra i
Pokémon selvatici di questa zona?
- No, nulla di
simile. Passeggio frequentemente fra i boschi e non c’è mai stato segno di
violenza tra i Pokémon. Hai visto tu stesso quanti di loro vengono a giocare e
mangiare nel mio giardino.
- Sì, ho visto.
È fin troppo strano.
- Già…
Lo sguardo di
Bianca si perse nel vuoto per qualche istante.
- Penso sia ora
di togliere il disturbo, si sta facendo tardi – disse Bellocchio.
- Scusa, stavo
metabolizzando la cosa – Bianca si scusò per il breve momento di assenza.
Si avvicinò
alla finestra e guardò fuori: la neve vorticava, sospinta da violente raffiche
di vento. La sola cosa che la vista era in grado di cogliere era il bianco
candido. Non riuscì neanche a scorgere il corrimano del portico sul lato destro
della casa.
- Hai dove
stare, qui a Nevepoli? – gli chiese Bianca.
- L’albergo “Stardust”.
- Beh, credo tu
non possa tornare lì stasera. C’è una bufera.
- Un po’ di
neve non può fare male – commentò lui.
Bianca indicò
la finestra e gli fece segno di avvicinarsi. Bellocchio la raggiunse e guardò
fuori. Osservò per qualche momento la neve, trasportata dal vento ululante.
- Beh, non mi
sembra così violen… - le parole gli si mozzarono in gola quando vide un piccolo
cartello volare via ad alta velocità, altezza d’uomo.
Bianca, che nel
frattempo si era avvicinata al piano cucina, rise mentre l’osservava.
- Pasta
zucchine e gamberetti? – gli chiese.
- Sì grazie.
Aspetta, fatti aiutare.
- Sai
addirittura cucinare?
- Potrei
stupirti – rispose Bellocchio, alzandosi le maniche del maglione.
Circa quaranta
minuti più tardi, i due erano intenti a ripulire i piatti.
Una volta
finito il tutto e riposto le stoviglie, l’orologio da parete di Bianca segnava
le undici passate.
- La bufera
imperversa ancora. Vado a prepararti la stanza, dammi cinque minuti – gli disse
Bianca.
Bellocchio
l’afferrò per il braccio.
- Non voglio
abusare della tua ospitalità, basta camminare piano e posso tranquillamente
tornare in albergo.
- È dall’altra
parte della città, ci arriveresti morto congelato. Non era un invito, ma un
ordine.
Lei sorrise
nuovamente e poi scomparve, chiudendosi alle spalle la porta della stanza degli
ospiti.
Bellocchio
aspettò una decina di minuti, passati a osservare le tante fotografie dei
Pokémon di Bianca, appesi lì dove le pareti erano libere dai mobili.
La porta della
stanza degli ospiti si aprì e lei ne fuoriuscì.
Reggeva fra le
mani una pila di vestiti. Si avvicinò a Bellocchio che si era sistemato sul
divano e gliela lasciò scivolare in grembo.
- La mia amica
Gardenia viene spesso a trovarmi, qualche volta con lei viene anche Pedro. Qui
ci sono un paio dei suoi pigiami, li lascia da me per comodità, ho preso quelli
che penso possano andarti. Vedi un po’ quale preferisci.
- Non so come
ringraziarti, sei troppo gentile.
- Non c’è di
che. Hai il bagno in camera, il letto è pronto e se vuoi c’è una stufa nell’angolo
della stanza. Basta che non la imposti sul livello massimo, altrimenti si
inceppa. E se hai bisogno di qualcosa, io sono nella camera affianco, bussa
pure.
Gli diede un
leggero bacio sulla guancia e andò in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
Bellocchio
aspettò qualche istante per alzarsi dal divano, dopodiché si diresse nella sua
stanza e, dopo essersi cambiato e lavato, si distese sul letto, scivolando in
un sonno buio e senza sogni.
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