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Levyan - Nubian - 13 - Lo stesso, solito posto


XIII
Lo stesso, solito posto


«Almeno tu sei sveglia, finalmente».
I tre Dexholder si voltarono, trovandosi davanti la figura di Kalut, provato dalla stanchezza ma neanche appena prossimo alla caduta. Sapphire sorrise appena al ragazzo, ma mantenne un certo distacco, come d’altronde tutti, nei suoi confronti.
«Dov’eri finito?» domandò Green, quasi indignato dal comportamento del ragazzo dai capelli bianchi.
«Cercavo di mettermi in contatto con Celia, immagino abbiate visto ciò che sta succedendo ad Austropoli» spiegò Kalut, sedendosi su una delle poltroncine.
I ragazzi annuirono.
«Ok, ad ogni modo, ora dobbiamo concentrarci sul nostro lavoro. Poi sarà il momento di aiutare i nostri amici. Potrei aver trovato la causa dell’inverno che sta congelando Sinnoh, dobbiamo tornare sul Monte Corona e fermare questa follia».
«Siamo tutt’orecchi» lo esortò Blue.
«Sarà difficile crederci, ma provate ad immaginare: la Faces ha costruito una macchina gigantesca che convoglia l’energia di centinaia di Pokémon di tipo Ghiaccio in un solo punto» cominciò lui.
«Una sorta di macchina del meteo?» chiese Sapphire.
«No» rispose Kalut «l’energia... criogenica, per così dire, viene convogliata verso un punto preciso, un luogo particolare che non pensavo esistesse, a dir la verità».
«Di che si tratta?»
«Il Nodo di Regigigas» pronunciò il ragazzo.
La teatrale rivelazione fu seguita da alcuni secondi di silenzio in cui ognuno fece mente locale all’interno della propria mente, cercando le stesse parole appena pronunciate da Kalut.
«Ne ho sentito parlare» intervenne Green «ma avevo cinque anni, era una delle favole che Margi mi leggeva prima di andare a letto» precisò, scetticamente.
«Ti ho detto che neanche io credevo a questa leggenda» si difese Kalut.
«Qualcuno può spiegarci?» si lamentò Sapphire.
Kalut si rivolse verso le ragazze «conoscete Regigigas? Il Gigante Leggendario che si dice abbia trainato tutti i continenti con delle funi?»
«Sì, c’è qualcosa del genere nel database del Pokédex» fece Blue.
«Beh, secondo questa sorta di interpretazione mitica della deriva dei continenti, ci sarebbe un centro, un punto in cui questo Regigigas deve aver puntato tutte le funi utilizzate per trasportare le terre, in modo da fermarle al loro posto: un nodo, appunto» spiegò Kalut.
«Stai scherzando?» chiese Blue.
Ancora una volta, Kalut percepì quel tono di voce scettico e infastidito di chi crede di star perdendo solo tempo.
“Quanto sono ottusi, quando vogliono” comunicò mentalmente a Xatu, che era lì appresso senza che nessuno fuorché lui potesse vederlo.
“Hanno visto di tutto e di più, durante le loro avventure, e faticano a credere ad una cosa tanto piccola...” lo appoggiò lui.
«No, non sto scherzando» rispose a Blue «so cosa ho visto e so che dobbiamo fare qualcosa e dobbiamo farlo tutti insieme, quindi appena sarà possibile voi verrete con me nel punto preciso dove io vi guiderò e distruggeremo la macchina che sta causando questa glaciazione» decise, ferreo.
«Come funziona esattamente la macchina?» chiese Sapphire, dando idea di credergli.
«L’energia criogenica di tutti quei Pokémon non basterebbe ad estendere il gelo per un territorio di centinaia di migliaia di chilometri quadrati, evidentemente, è il congelamento del Nodo ad esserne l’indiretta causa. Non so quale legge fisica o scientifica determini ciò, ma credo debba essere questo, a grandi linee, il suo funzionamento».
«Concentrano l’energia dei Pokémon Ghiaccio» comprese Sapphire «e automaticamente si diffonde l’inverno».
Il gruppo intero impiegò alcuni secondi per metabolizzare le informazioni. Era difficile accettare che qualcosa di simile stesse accadendo, anche per loro, che avevano lottato contro alieni, Pokémon Leggendari, strane creature di laboratorio e folli visionari.
«Dobbiamo aspettare che Ruby si svegli?» chiese Green, tradendo una scintilla di impazienza.
«Io non vengo senza di lui» sottolineò Sapphire.
«E’ importante che il gruppo rimanga compatto» sostenne Kalut.

Nelle ore successive, i quattro Allenatori tentarono di non impazzire. L’attesa li stava corrodendo lentamente, e non c’era nulla che potessero fare di più. Kalut uscì tre o quattro volte a fare ricognizione, riportando agli altri qualche dato a proposito degli agenti Faces che si erano appostati all’esterno dell’ospedale, nel tentativo di recuperare le tracce dei loro movimenti, Green e Blue provarono un innumerevole numero di volte a mettersi in contatto con Gold, Sapphire, ormai non più considerabile una paziente, girava per i corridoi in preda al nervosismo, tornando ogni volta a controllare la stanza di Ruby, in attesa di qualche segno vitale.
Era il primo pomeriggio, quando il sonno arretrato cominciò ad inghiottire uno ad uno tutti i membri del gruppo. Blue si ritrovò a tracannare caffè americano sciacquato di fronte alla macchinetta che era nella sala d’attesa, mentre qualche ragazzino che veniva in visita ad un parente malato dava segno di riconoscerla, in lontananza. Sapphire la fiancheggiò, inserendo a sua volta una moneta nel distributore automatico e premendo il tasto 7, corrispondente di un cappuccino, nome in codice di insipida brodaglia marroncina.
«Dici che Gold e Platinum sono ancora vivi?» chiese la ragazza di Hoenn, per rompere il silenzio.
«Ti prego, non voglio parlare di questo...» la supplicò Blue.
Sapphire non insistette.
«Mi sono rimessa con Green» disse invece la Dexholder di Kanto.
«Sì... lo avevo capito» Sapphire finse di possedere un’ombra di intuito femminile.
«Secondo te è sbagliato?»
«No, perché dovrebbe esserlo?»
«Non so, mi sembra... strano».
«Che vuoi dire?»
Sapphire non stava cercando il dialogo, non riusciva semplicemente a comprendere il linguaggio criptico di Blue.
«Abbiamo già fatto questa esperienza, in passato abbiamo già capito di non essere fatti l’uno per l’altra, ma abbiamo deciso di riprovarci. Ho paura che sia scaturito tutto dalla situazione di pericolo in cui siamo piombati, ho paura che ci stiamo utilizzando a vicenda come una sorta di isola felice in cui dimenticare per un secondo tutto il casino che c’è attorno» sciorinò Blue.
«Perché dovreste essere capaci di utilizzarvi a vicenda? Voi vi volete bene, anche senza essere fidanzati siete comunque degli ottimi amici» disse ingenuamente Sapphire.
«Hai ragione, non dovrei farlo. Ma Green mi dava quel senso di sicurezza che non avevo, lui era sicuro di sé, maturo, responsabile. Adesso, non so più di che cosa ho veramente bisogno».
«Se provi qualcosa per lui, dovresti tenertelo stretto anche se non è ciò di cui hai bisogno al momento».
«Tu fai questo con Ruby?»
«Certo, io non ho bisogno di lui» arrossì Sapphire.
«Ma cosa vado a pensare? Il vostro amore è la cosa più forte che esista sulla faccia della terra, non potrei mai mettermi a paragone» scherzò Blue.
Sapphire non seppe interpretare correttamente quella frase, restando indecisa sulla reazione che avrebbe dovuto avere.
A rompere il silenzio imbarazzante, fu la voce di Green, che le chiamò da lontano.
«Ruby è sveglio» disse, senza alzare troppo la voce.
Sapphire scattò immediatamente, lasciando Blue immobile come uno stoccafisso. La ragazza di Kanto sorrise e continuò a sorseggiare il suo caffè.
Il gruppo raggiunse la stanza in cui stava riposando l’ultimo Dexholder. Ruby li accolse con un accenno di sorriso privo di espressività, quasi finto. Era provato, ma non sembrava in condizioni pessime. Forse il suo organismo aveva trattenuto le gemme talmente a lungo da aver conservato un minimo del loro potere senza perderlo tutto d’un colpo.
«Ruby» esclamò Sapphire, gettandosi sul corpo del ragazzo.
«Come stai?» le chiese lui.
«Io? Che diavolo... tu, come... stupido, idiota» sorrise lei, mordendosi le labbra.
«Siamo felici che tu ti sia ripreso» intervenne Blue.
«Sto benissimo» il ragazzo alzò indice e medio della stessa mano, sul primo dito aveva un pulsossimetro che monitorava le condizioni del suo sangue.
«Non vorremmo subito gettarti le brutte notizie addosso, ma urge il nostro intervento al più presto possibile» esordì Green, indelicato.
«Lasciamolo riposare, per ora» si oppose Sapphire.
«No, lascialo parlare» la chetò Ruby, stringendole la mano.
Brevemente, al Dexholder venne spiegato tutto ciò che si era perso durante il suo periodo di degenza. L’intervento degli agenti Faces che avevano fornito a lei e a Sapphire un alibi, la scoperta di Kalut sulle vette nord del Monte Corona, la conversione delle Gemme in semplici sassi, la situazione di Austropoli che si trovava nella morsa di un attacco terroristico, il silenzio totale dei loro contatti con Gold, Platinum e Celia.
Ruby non mutò minimamente espressione durante tutta la spiegazione. Si lasciò andare ad un silenzioso sospiro solamente alla fine, quando fu sicuro di non dover ingoiare altre brutte notizie. Era fin troppo sano per essere uno che quella stessa mattina versava in condizioni abbastanza raccapriccianti, ma nei suoi occhi c’era la vacuità di chi si è reso conto che era meglio rimanere addormentato.
«Dobbiamo muoverci più velocemente possibile, giusto?» chiese solamente.
Green annuì, senza aprire bocca.
«Sapphire ci ha detto che cosa vi è successo sulla Vetta Lancia» cambiò argomento Kalut «abbiamo qualcos’altro su cui indagare».
«Avrei un paio di idee sul come iniziare...» mormorò Ruby.
«Ti lasciamo riposare, per ora» si congedò Blue, portando con sé Green e Kalut.
Sapphire rimase seduta accanto al ragazzo, attendendo che i tre amici li lasciassero da soli per qualche minuto. Seguì con gli occhi il loro movimento, fino a vederli sparire dietro la porta, allora incrociò lo sguardo di Ruby, lasciando che il silenzio prendesse possesso della stanza.
«Mi hai salvato la vita, di nuovo» disse lei, quasi sentendosi vulnerabile nell’ammetterlo.
«Ho fatto il possibile».
«Hai rischiato di morire».
«Tu stai bene».
«Sei un idiota» ripeté lei.
Ruby non volle replicare, neanche con ironia. Sembrò respirare con difficoltà per alcuni secondi, cosa che spaventò Sapphire. Lui scosse la testa e la portò verso di sé, cingendola con il braccio destro. Le poggiò le labbra sulla fronte, immergendosi nei suoi capelli. Lei tramutò quel contatto in un bacio, portandosi poco più su con il viso.
Sapphire riusciva quasi a percepire i pensieri del suo ragazzo, come se potesse leggerli nel suo sguardo. Lui avrebbe voluto lasciarla lì e andarsene da solo a risolvere i problemi del mondo, tenerla al sicuro, portare il peso dell’umanità sulle spalle. Ruby non era mai stato capace di condividere il dovere con qualcun altro, fondamentalmente perché non aveva tanta fiducia nelle persone rispetto a quanta ne avesse in se stesso. Eppure, si stava sforzando, tentava in tutti i modi di collaborare, di far finta di essere lo stesso di un tempo come se gli ultimi due anni non fossero mai passati, come se il suo gruppo non avesse mai troncato i contatti con lui, come se i loro sguardi non fossero ancora colmi di sfiducia.
«Ti ricordi della nostra folle idea di comprare un bungalow ad Orocea e vivere lì?» chiese ad un certo punto il ragazzo.
«Ruby! Avevamo quindici anni!» arrossì lei.
«Ci ho pensato» lui era serissimo.
Sapphire lo lasciò proseguire.
«Tu hai idea di quanto sia complicato vivere in un bungalow isolati da tutto e da tutti?»
«Era un’idea stupida, eravamo dei ragazzini» banalizzò lei, sbuffando leggermente.
«E poi tu non saresti capace di vivere stabilmente».
«Dovremmo pensare a qualcosa di più serio...»
«Dovremmo viaggiare» disse lui, lasciandola di stucco «ci sono duemila posti che voglio vedere almeno una volta nella vita, voglio vederli con te».
«Intendi dire...?»
«Intendo dire che appena tutta questa vicenda sarà terminata, io e te facciamo le valige e ce ne andiamo, non so per quanto, non so per dove, ma ci infiliamo in un aereo e mandiamo tutto a fanculo per un po’»
«Ti fermeresti ovunque a comprare roba inutile e costosissima» commentò lei.
«E tu faresti finta di arrabbiarti» sorrise lui.
Sapphire sorrise.
«Mi dai una mano ad alzarmi?» chiese il ragazzo.
«No, fermati, devi riposare...»
«Ti prego, Sapph, non ce la faccio a rimanere qui» riprovò lui.
La ragazza rifletté qualche secondo. Anche lei aveva fatto la stessa cosa, contravvenendo a qualsiasi indicazione medica che le era stata data, ma era ancora in possesso delle Gemme.
«Come ti senti?»
«Una pasqua».
Non c’era niente da fare, Ruby era deciso ad alzarsi dal lettino. Mise una gamba fuori, poi un’altra, si spostò goffamente, non potendo fare pieno affidamento sui suoi arti inferiori. Sapphire lo aiutò a scendere. Sentire il pavimento freddo sotto le piante dei piedi sembrò farlo tornare alla realtà. Stringendo con il massimo impegno la barriera che era al bordo del letto e retto dall’altro lato dalla spalla della ragazza, Ruby mosse un primo passo, poi un secondo, poi un terzo. Infine, fu costretto a tornare in posizione supina, lungo sulle lenzuola odorose di disinfettante.
«Non posso aspettare così tanto» concluse.
«Possiamo farlo, tu ti impegnerai al massimo per rimetterti in sesto, altrimenti ti trascinerò io fin lassù» contravvenne Sapphire.
«No, non capisci, anche rimettendomi in forze in... non so, una settimana... non riuscirò mai a imbarcarmi immediatamente per un viaggio fino alle cime più alte del Monte Corona, non ne sarei in grado».
Sapphire stava lentamente realizzando quanto avesse ragione.
«Ricordi cosa ci è successo sulla Vetta Lancia?» cambiò argomento Ruby.
«Il combattimento con quel ragazzo?» chiese lei.
«No, prima».
«Di che parli?»
«Era tutto stranissimo, la nostra presenza in quel luogo, sembrava... attesa».
Sapphire stentava a capire. Ciò che era avvenuto prima dell’arrivo del ragazzo vestito di nero, le appariva fumoso e onirico. Ricordava chiaramente ogni singolo giorno di viaggio, il cibo in scatola, i fuochi di fortuna, le notti nelle grotte, all’interno dei sacchi a pelo, poi incappava in una sorta di fitto nebbione che terminava solo con il combattimento e... l’esplosione. La sensazione era la stessa che provava quando tentava di ricordare un sogno, i pezzi c’erano, ma non combaciavano gli uni con gli altri, dando vita ad un disegno sfocato e incomprensibile.
«Ruby, siamo stati solamente pochi secondi da soli, lassù» precisò.
Ruby, concentrato, fissava un punto della parete che era di fronte a lui. I suoi ricordi erano sicuramente più nitidi, lui non aveva rimpiazzato quella sezione della sua memoria con una piacevole esperienza di agonia molto vicina alla morte.
«Era tutto così strano, una sensazione diversa dal solito» rievocò Ruby «come se non fossi veramente lì».
Abbandonarono rapidamente l’argomento, d’altronde non era poi così importante. Sapphire lasciò la stanza poco dopo, lasciando il ragazzo a riposo. Aveva bisogno di confrontarsi con gli altri a proposito del da farsi, la faccenda diventava via via più complicata, rimuginandoci continuamente sopra.

Ruby era solo, uno dei medici al primo anno si era accertato che le sue condizioni fossero stabili, poi lo aveva lasciato a riposo. Negli occhi dello specializzando, aveva intravisto il disprezzo. Ma era sempre così, i lavoratori lo giudicavano, perché lui guadagnava grazie alla sua faccia, al suo nome, alla sua presenza in televisione. In una condizione simile, poi, dove i medici gli avevano salvato addirittura la vita. Nessuno di loro lo avrebbe dimenticato, rinfacciandolo a chiunque accennasse alla minima ammirazione nei confronti di Ruby. Poteva aver salvato persone, città, regioni. Rimaneva comunque un fenomeno da rivista.
Aveva avuto due anni di tempo per imparare a ignorare questa sensazione.
Ruby si allungò verso la sua borsa, che era stata poggiata accanto al suo letto, logora e rovinata, dopo le sue mille disavventure. Ne estrasse il cellulare e lo accese, ricevendo tutte le notifiche che in quei cinque giorni non erano riuscite a raggiungerlo. Lesse qualche articolo a proposito della situazione di Austropoli: erano tutti sullo stesso tenore, parlavano tragicamente della città più grande di Unima che era stata presa in ostaggio dai terroristi. Una intera città, una maledetta intera città.
Poi sorvolò sulla roba inutile: messaggi del suo agente, di qualche collaboratore all’HC One, di un paio di tizi del marketing, dei soci con cui aveva aperto la label, degli sponsor per l’atelier. Lesse con attenzione quelle due comunicazioni di servizio provenienti dalla Lega. Rispose ad Orthilla, che si era preoccupata per lui, dalla lontana Hoenn.
“Sto bene, stiamo lavorando per sistemare le cose qui a Sinnoh”.
Informale, magari anche banale, sicuramente falso, ma tanto quella ragazza baciava il terreno su cui Ruby metteva i piedi, avrebbe tentato di nuovo di contattarlo.
Infine, il ragazzo aprì la rubrica e cercò un numero, cliccò sul tasto chiamata. L’attesa durò una manciata di secondi.
«Ruby, che succede?» rispose una ragazza, dall’altra parte.
«Esther, ho bisogno di farti un paio di domande» spiegò il ragazzo.
La Superquattro di Hoenn si fece più interessata. I due non erano in rapporti particolarmente stretti, la presenza di Ruby a Iridopoli era rara e spesso innecessaria. Eppure, Esther aveva conosciuto il ragazzo molto tempo prima che questi indossasse il mantello del Campione: Esther era la nipote dei due anziani che avevano custodito le Gemme di Groudon e Kyogre fino all’arrivo di Max e Ivan, molti anni prima. Dopo la morte dei due nonni, lei era rimasta l’unico punto di riferimento a proposito di tale faccenda.
«Mi è successa una cosa particolare, potresti saperne di più...» esordì il ragazzo.

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