«Fate attenzione» ordinò Kalut, per poi uscire per primo dalla finestra. Aveva un capotto grigio, per confondersi nell’oscurità e allo stesso tempo mimetizzarsi nella neve. Lui sarebbe uscito per primo, i Dexholder lo avrebbero seguito. Erano tutti piuttosto sicuri che, a quell’ora, sarebbero riusciti a sfuggire agli agenti Faces. Per metterli in difficoltà e depistarli, inoltre, ogni gruppo avrebbe seguito una strada differente: a Kalut toccava oltrepassare la grotta che perforava il Monte Corona e arrivare alle cime nord scalando da ovest, partendo da Evopoli, poi Green e Blue si avrebbero preso un percorso speculare, salendo in diagonale lungo le pareti est, per uno dei sentieri alternativi che partivano dal Percorso 211, infine Ruby e Sapphire sarebbero saliti tramite i tunnel che portavano alla cima, sbucando direttamente alle pendici dei rilievi settentrionali.
Il gruppo si sarebbe ritrovato alle coordinate stabilite, su una terrazza del Percorso 215, dove avrebbero proseguito verso la zona indicata da Kalut. Il viaggio sarebbe durato poco più di un giorno e tutto fu calcolato più o meno al secondo, in modo tale da evitare che i primi arrivati dovessero attendere il resto del gruppo per un tempo eccessivamente dilazionato. Il programma inziale comprendeva anche uno scalo a Nevepoli, sacrificando una giornata di cammino in più in cambio di un itinerario meno ostico. Tuttavia, quell’idea era stata scartata, in modo da evitare che altri agenti Faces stabiliti nella città li notassero e cominciassero a seguire i loro movimenti, costringendoli ad un secondo piano di depistaggio.
Contemporaneamente, si ritrovarono tutti costretti ad ulteriori scarpinate interminabili con la neve fino alle ginocchia. Ad alcuni di loro era spettato un percorso più comodo che ad altri ma, in ogni caso, l’aria di avventura nelle terre selvagge che avevano respirato per tutta la loro vita da Allenatori, continuava a ristagnare anche durante la loro maturità. E ognuno di loro ammetteva segretamente di esserne un po’ stufo. Il clima era proibitivo, il freddo tagliente era accentuato dall’orario improponibile e dall’altitudine alla quale si stavano progressivamente avvicinando. Sotto quel manto di ghiaccio e neve, un tempo, c’era stato un panorama estivo. La Faces aveva deciso di far scendere quella maledetta glaciazione proprio a luglio.
Chilometri e chilometri più in direzione dell’equatore, ad Hoenn erano tornati i trenta gradi all’ombra tipici del clima tropicale di quella regione. Dopo l’iniziale ondata di gelo sprigionatasi da Sinnoh, capace di mettere in freezer un’intera regione in poche ore e di far precipitare la temperatura di Hoenn di ben venti gradi, l’ordine metereologico era tornato nei suoi ranghi. Yellow stava dormendo nel letto del B&B in cui alloggiava, la signora che lo gestiva le aveva lasciato le chiavi di tutto il palazzo, per permetterle di rientrare all’ora che preferisse. La Dexholder tornava spesso a tarda notte, dopo aver fatto visita a Silver e Crystal, senza mai aver portato a casa nessun risultato. Solamente un paio di volte si era concessa di uscire a divertirsi. Risultato: aveva bevuto da sola al bancone di un pub sperando che nessuno le desse fastidio, al primo contatto con un tizio che diede segno di conoscerla, se n’era subito andata. Quella sera era andata al cinema da sola. Era entrata nell’Odeon di Porto Alghepoli senza neanche aver letto quali pellicole fossero nelle sale in quel periodo e si era lasciata guidare dalle locandine. Scartati un film per bambini, un romantico, un poliziesco, un horror e un indipendente, aveva ripiegato sul terzo remake di un vecchio cult che non aveva mai visto. Si era addormentata durante la riproduzione, svegliandosi solo con l’accensione delle luci e, uscendo dalla sala rossa per la vergogna, si era ripromessa di scegliere un supereroistico, la volta seguente. Tornata nella sua camera, aveva fatto un bagno ed era andata a dormire con il profumo del nuovo balsamo ancora intriso nei capelli. Lo aveva pagato uno sfacelo di Pokédollari all’erboristeria naturale nella zona est della città, le era stato presentato come un prodotto tipico, fatto artigianalmente con alghe locali secondo tecniche antiche e tradizionali. Non era risultato essere niente di speciale, ma almeno i suoi capelli profumavano di Arbre Magique aroma Mykonos.
In tutto questo, aveva almeno evitato di pensare a Red.
Poi, quel bastardo, con i suoi occhi fiammeggianti e il suo volto perennemente sorridente, aveva deciso di fare ritorno proprio quella notte. Nei sogni. Yellow lo stava guardando, anche se non si rendeva conto di star proiettando tutto nella sua mente. Red era dietro il banco della cassa di un grande supermercato e lei aveva un barattolo di sottaceti in mano, restia nel porgerlo sopra al nastro scorrevole. Dietro, la lunghissima fila di mamme con relativi pargoli piangenti al seguito, premeva come il gas sul tappo di uno spumante.
Poi la sensazione di vuoto sotto la spina dorsale. Yellow afferrò le lenzuola, cercando di aprire gli occhi annebbiati dall’oscurità della sua stanza. Era sveglia o no? Il suo mondo sembrava un pacco di farina che perdeva da ogni angolo, quindi sì, era decisamente sveglia. Ma che diavolo stava succedendo attorno a lei?
Un rumore, due rumori, tre rumori, un forte frastuono di vetri che si infrangono. Era in corso una scossa sismica di notevole intensità. Yellow rimase paralizzata, come bloccata da un nastro adesivo invisibile o come una fetta di carne infilata in una confezione sottovuoto. Fu scossa da qualcosa che difficilmente si sarebbe potuta definire paura, quanto insicurezza. Sentire l’instabilità della natura sotto i suoi piedi dava una sensazione simile a quella provata nell’istante che precede un salto nel vuoto, quello in cui si è ormai certi di essere morti. Il tutto, moltiplicato per minuti e minuti in cui il tremolio sembrava smorzarsi per poi tornare normale, in una continua, cinica alternanza.
Finalmente tornò la calma.
Yellow balzò in piedi con scatto felino, indossò una vestaglia e prese la cintura delle sue Ball, catapultandosi fuori dalla porta. Fortunatamente, prese le ciabatte, evitando di lacerarsi le palme dei piedi sui frammenti di vetro in cui si erano ridotte alcune foto appese al muro della camera dalla donna che la ospitava.
«Signora Mills, è tutto ok?» esclamò, verso la stanza della donna, senza curarsi di modulare la voce, nel caos generale che sapeva quel fenomeno avrebbe causato.
«Oh, che Santa Marta ci protegga!» invocava quella, facendo appello alla sua cultura agiografica degna di un amanuense del decimo secolo.
«Maledizione» Yellow si era resa conto dell’assenza di corrente, premendo l’interruttore della luce «Chuchu, Flash» ordinò, lanciando la sfera contenente il Pokémon di tipo Elettro.
Il roditore emise un verso smorzato dal sonno, ma prese subito a diffondere un bagliore giallastro in tutto il corridoio, fungendo da fiaccola per i movimenti della sua Allenatrice. Si diressero insieme fino alla camera della signora, tenendo d’occhio eventuali ostacoli e oggetti pericolanti sulla strada. La signora Mills era scioccata, inerme di fronte alla forte paura provata. Yellow si prodigò per aiutarla, prendendola sottobraccio e guidandola fino al portone. Passando davanti al divano, prese anche una coperta, perché questa potesse avvolgervisi una volta uscita all’aria aperta. Giunsero insieme all’uscita e, senza dimenticare le chiavi, Yellow si chiuse la porta di casa alle spalle.
Il B&B gestito dalla signora Mills era adiacente alla zona turistica di Porto Alghepoli e dava su una larga strada piena di negozi e boutique di marca che conduceva fino al mare. Yellow, mettendo piede fuori dal portone principale, si trovò davanti ad una scena buffa e raccapricciante allo stesso tempo. Tutti i residenti e i turisti di quella zona, in preda ad un sano panico post terremoto, si erano riversati in strada. Si guardavano attorno spaesati, tentavano compulsivamente telefonate che non partivano, per problemi di infrastrutture, chiacchieravano animatamente raccontandosi di come il sisma li avesse colti nel sonno, in bagno, durante il sesso. Quel meraviglioso spaccato sociale dava vita ad una scenografia senza eguali. Quel viale, in quel momento, sarebbe stato il perfetto set di un film, anziché durante il giorno in cui era trafficato da persone che si davano spallate e neanche si guardavano in faccia.
«Va tutto bene?» chiese Yellow alla signora Mills, tornando a concentrarsi su di lei.
«Sì, è solo il magone... sei stata tanto carina a darmi una mano» la ringraziò quella, col fiato ancora corto.
«Per un po’ probabilmente non sarà possibile rientrare a casa, almeno non prima di sapere se ci sono stati o no dei danni e soprattutto non prima delle scosse di assestamento» fece Yellow.
«Allora dormiremo nell’auto, anche se non sarà proprio un toccasana per la mia schiena» rise la signora. Era anziana ma ancora arzilla, dopotutto gestiva comunque un Bed & Breakfast da sola.
«Va bene, mi raccomando faccia attenzione» si raccomandò Yellow.
«Come, te ne vai?»
«Verrò più tardi, vorrei andare in ospedale».
«Ah, i tuoi amici. Corri cara, sbrigati» la esortò la signora.
«Farò in fretta» puntualizzò. Poi estrasse la Ball di Golem «Scorta la signora Mills, Gravy» ordinò, convocando il Pokémon Megatone.
Il lucertolone roccioso si accodò immediatamente alla donna, strizzando l’occhio alla sua Allenatrice. Yellow era intanto scattata verso il promontorio, ciabattando sul marciapiede e sfrecciando in canottiera e pantaloncini tra le persone che erano state buttate giù dal letto dallo spavento. Attraversando la città, osservava momento dopo momento quella fase in cui il popolo si riprendeva lentamente dal caos. Lo spavento aveva scosso fortemente gli animi, come solo un terremoto in una terra come Hoenn poteva fare. Era stato come accendere un fiammifero in un ripostiglio pieno di esplosivi. La gente del posto aveva assistito a cataclismi di portata epica, negli anni precedenti e, dopo il Torneo di Vivalet, il panico generale aveva iniziato a scorrere nelle vene della regione. Rayquaza, il Pokémon pacificatore dei due giganti leggendari in eterna battaglia, era stato ucciso. Groudon e Kyogre erano sopiti da due anni, che era un tempo ridottissimo per dei leggendari, e nessuno aveva la certezza che non si potessero risvegliare da un momento all’altro per distruggere finalmente il mondo, privi di qualsiasi vincolo. A conferma di tutto ciò, come un oscuro presagio, una debole scossa sismica immotivata e isolata aveva solleticato Hoenn nel momento appena successivo alla morte di Rayquaza.
Per queste ragioni, si erano iniziate a diffondere alcune voci: alcuni parlavano di un’apocalisse imminente, altri di una sorta di giudizio universale in procinto di porre termine al mondo. Si erano formati dei veri e propri movimenti e delle congreghe basate sulla credenza di un armageddon pronto al colpire gli umani, colpevoli dell’uccisione di un Pokémon leggendario. Ovviamente, la razionalità che muoveva il mondo aveva bollato tali superstizioni come fanatiche e infondate, ma il verbo aveva iniziato a diffondersi. Gli stessi Gold e Green, una volta giunti a Ciclamipoli in cerca di Ruby, settimane prima, avevano potuto ammirare un enorme graffito raffigurante Rayquaza dalla chiara pretesa profetica.
Chissà quale affluenza di nuovi fedeli avrebbero avuto tali dottrine se si fosse venuto a sapere che la Gemma Rossa e la Gemma Blu, gli unici oggetti in grado di dominare Groudon e Kyogre in assenza di Rayquaza, avevano perso il loro potere, tornando ad essere dei semplici sassi proprio nelle mani di Sapphire.
Ma Yellow non era a conoscenza di tutto ciò, lei non era cresciuta ad Hoenn e non possedeva le conoscenze per effettuare un simile collegamento. Le era appena giunta all’orecchio qualche chiacchiera a proposito di tali argomenti, ma non aveva mai approfondito. In quel momento, si stava preoccupando di tutt’altro: cominciava a scorgere l’ospedale in lontananza: nel parcheggio quasi vuoto, era stata attrezzata una tendopoli fornita di sale e camere ospedaliere improvvisate. I degenti in condizioni meno gravi e i più propensi a problemi legati ad ansia e stress cominciavano ad essere spostati all’esterno. L’obiettivo era quello di mettere al sicuro i malati da un possibile ma non augurato crollo dell’ospedale, che necessitava di un check-up di esperti, prima di poter essere considerato agibile. Alcuni pazienti, invece, erano volutamente stati lasciati all’interno, per evitare di sospendere determinate terapie necessarie per mantenerli in vita. L’area dell’ospedale era quindi stata designata al passaggio di pochi autorizzati, per lo più medici di pronto soccorso incaricati di verificare periodicamente le condizioni dei “pazienti a rischio”.
Yellow giunse nella tendopoli e cominciò a guardarsi attorno, alla ricerca dei suoi amici. C’era caos e un intenso traffico di barelle, infermieri e lettini, non era certo il momento migliore per improvvisare una visita, considerando anche che erano in arrivo i primi pazienti rimasti feriti in seguito al terremoto.
«Mi scusi, potrei sapere dove...» il medico al quale aveva rivolto la parola la oltrepassò, ignorandola «Per piacere, sa...» l’infermiera cui si era rivolta non poté evitare di scansarla con una spallata.
Erano tutti di fretta, tutti con qualcosa da fare. Fino a quando, tra la folla, Yellow non riuscì a scorgere Crystal. Cercò di raggiungerla, ma fu costretta ad una difficoltosa gimcana tra personale medico e barelle. Poco lontana da lei, seduta su una sedia a rotelle che era condotta da un infermiera molto giovane, Crystal si guardava attorno spaesata, con gli occhi gonfi dal sonno. Era avvolta in un telo termoriflettente che le evitava di disperdere calore. Il camice da paziente la copriva scarsamente fino al ginocchio, lasciando scoperta l’unica gamba che le rimaneva. Non era più attaccata alla flebo di analgesici, ma non sembrava averne bisogno. Almeno, non in quel momento.
«Yellow» esclamò con la voce rotta, vedendo l’amica avvicinarsi.
Era la prima volta che rivolgeva la parola a qualcuno, dopo l’incidente. Yellow le gettò le braccia al collo, stringendola forte un po’ per rassicurarla e un po’ per accertarsi che stesse bene.
«E’ tutto ok, Crystal, come stai?»
Quella non riusciva a rispondere. Era scoppiata in un pianto liberatorio e Yellow riusciva ad avvertirne il respiro irregolare e interrotto appena dietro l’orecchio, mentre i suoi capelli raccoglievano le sue lacrime.
«Silver, Silver è ancora dentro» formulò Crystal, ancora scossa dalle emozioni.
Yellow non fu sicura di poterla abbandonare così subito, titubò parecchio prima di ribattere, ma alla fine riconobbe che era la cosa migliore da fare: «Vado a cercarlo, tu aspettami qui, resta al caldo» le disse, prima di scomparire con passo felino.
La Dexholder di Kanto scivolò di nuovo in mezzo a quel viavai caotico e fitto di persone occupate a far fronte all’emergenza. Si inserì nel perimetro limitato al solo personale medico, ignorando i richiami dei bodyguard. Rientrò nell’ospedale da cui tutti sembravano fare a gara per uscire e salì di corsa al terzo piano, saltando i gradini due a due. La stanza del suo amico si trovava nel reparto di terapia intensiva, l’unico dotato di tutti i macchinari necessari per mantenerlo in vita. Aveva battuto quel tragitto centinaia di volte, anche più al giorno, da quando era giunta a Porto Alghepoli, ma mai con quella fretta, senza guardarsi attorno, senza pensare a qualcosa da dire a Crystal per strapparle anche solo una smorfia o alla possibile scena del risveglio di Silver.
Quando rimise piede nella stanza dove il fulvo alloggiava contro la sua volontà, con il fiatone e il cuore a mille, si rese conto di come stessero veramente le cose. Una grigia ondata di gelo le salì al cuore, salendo dal pavimento. Silver era ancora lì, in coma farmacologico, spento e inerme, in una stanza abbandonata, nel triste reparto di un ospedale. Nessuno si curava di lui, il mondo lo aveva abbandonato. Non era successo niente e se il terremoto avesse tolto la corrente all’ospedale, spegnendo i macchinari che gli facevano battere il cuore, probabilmente sarebbe morto senza che nessuno se ne accorgesse, in silenzio, da solo.
E Yellow era corsa lì... per che cosa? Per accertarsi che fosse ancora in coma, nonostante il panico generale? Ebbene, lui era ancora tranquillo, l’unico ancora tranquillo.
«Hai sentito, Siryl?»
Il piccolo Whismur rispose con uno sguardo sornione. Tutti lo avevano sentito, erano crollati dei palazzi. E lui era pure ironicamente dotato di orecchie ultrasensibili.
Le Cascate Meteora erano un luogo quieto, in cui era possibile udire il fruscio dell’acqua che scorre timidamente, all’interno di una delle grotte calcaree più antiche del globo. Eppure, il terremoto era riuscito a scuotere anche la proverbiale pace di quel luogo mistico. Una ragazza dai capelli neri, accampata nei pressi di una delle uscite che dava a sud est, scorgeva tutto lo skyline di Hoenn in lontananza: il Monte Camino, più vicino a lei e il Monte Pira, appena in secondo piano. Sullo sfondo, era possibile posare gli occhi anche sul cratere all’interno del quale sorgeva Ceneride e la sottile sagoma della Torre Cielo, ma il buio della notte impediva la vista anche ad un paio di occhi buoni come i suoi. Lei si rendeva conto di cosa stesse succedendo. Era così che tutto era iniziato la prima volta e allo stesso modo tutto sarebbe finito.
«Dobbiamo cercare lui, ancora una volta» disse la ragazza al suo Pokémon.
Come convocato da una forza telepatica, un Salamence spuntò fuori dalla coltre oscura, pronto a fungere da cavalcatura per la sua Allenatrice.
Lyris salì in groppa al dragone, sussurrò una destinazione al suo orecchio e partì alla massima velocità. Rayquaza era morto, Hoenn aveva bisogno di lei.
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